La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Cumartesi, Nisan 28, 2007

IN MORTE DI BENITO MUSSOLINI

Frequentemente si discute se sia definibile Mussolini come uomo di stato. Il motivo per cui i detrattori vorrebbero negargli tale titolo risiede primieramente nel senso vagamente positivo assunto dal termine nella sua dizione comune e imprecisa. In realtà è grande uomo di stato chiunque in qualunque parte del mondo dedichi la propria vita alla realizzazione di un progetto politico, indipendentemente dalla natura di esso, dalla sua valutazione e dalla sua riuscita. In tal senso Mussolini fu certamente un grande uomo di stato, come lo fu, per altri versi, Stalin. Tale definizione prescinde dal valore positivo o negativo che si sceglie di attribuire ai loro programmi più o meno giusti, più o meno nobili, più o meno storicamente fondati.

Mussolini ("il figlio del fabbro", come direbbe Giordano Bruno Guerri), si propose di forgiare gli italiani con l'incudine e il martello, di riformarli totalmente, di trasformare un popolo di esteti e di cultori della forma, di cantori rinascimentali d'amori e di guerre, amanti del bello ma di fuggitori di pericoli, in un popolo di virtuosi guerrieri, un gruppo di individui protesi al proprio particulare in una nazione mossa da un unico anelito spirituale (o almeno da un unico interesse generale), un insieme di persone volte alla furbizia, all'opportunismo, al trasformismo in una identità collettiva unica, granitica e super-individuale e improntata alla saldezza ed all'immortalità delle virtù civiche che fecero grande il buon popolo romano.

Non v'è necessità di ricordare come il tentativo fallì miseramente, non si sa se per la pompa, la ribalderia retorica e a tratti la faciloneria da cui fu caratterizzato durante il cosiddetto Ventennio, o se per l'effettiva impossibilità di mutare il carattere degli Italiani. Quello che è certo è che, come Italiani, non vi è nulla da festeggiare in questo fallimento. Si può forse festeggiare l'esser un popolo di voltagabbana, di mollaccioni che si arrendono alle prime sofferenze (vedi il bombardamento su Roma che provocò il crollo morale italiano mentre quelli di Londra rafforzarono invece lo spirito combattente inglese) e di vigliacchi che saltano sul carro del vincitore (vedi sia la monarchia fuggitiva, opportunisticamente ed egoisticamente traditrice della patria e dei patti e sì arrendevole agli angloamericani, sia la roboante “resistenza”)?

Ho anche l'impressione che l'odio di cui Mussolini fu prima vittima una volta palesata agli italiani l'enormità e la tragicità del suo fallimento sia motivato non già da avversione verso il di lui progetto "imperiale" di grandezza e di potenza, materiale e morale, per l'Italia, ma dall'ira per la constatazione di come non vi sia riuscito. Si tratta dell'odio verso il capo un tempo amato, odio tanto più abissale e violento quanto più era stato intenso e profondo l'amore e alto e nobile il trasporto verso l'ideale cui si proponeva di conformare la realtà e le persone.

Piazzale Loreto è stato nella storia quello che nello sport sono i linciaggi mediatici, giornalistici e da stadio che gli allenatori delle nazionali sconfitte (come ad es. Trapattoni, Sacchi ecc.) subiscono, al di là ed al di sopra dei meriti o delle colpe a loro oggettivamente ascrivibili, ogni volta che le speranze di vittoria degli italiani sono frustrate dagli eventi.

A volte penso che se a Marsala Garibaldi avesse incontrato un'effettiva resistenza borbonica ed il tentativo dei Mille si fosse concluso in una sconfitta già in Sicilia, ora l'eroe dei due mondi sarebbe ricordato come un bandito in camicia rossa o, al massimo, come un sognatore sanguinario che conduceva inutilmente al massacro tante giovani vite. Sono invece sicuro che se l'Inghilterra avesse nell'estate del 1940 accettato le proposte di pace avanzate da Hitler dopo la caduta della Francia e la guerra si fosse conclusa lì, l'opportunista Mussolini (entrato in guerra quattro giorni prima della caduta di Parigi) sarebbe stato innalzato dal suo popolo quale genio machiavellico della politica mondiale (ed il tempismo molto più prosaicamente opportunista che non nobilmente guerriero) dell'Italia sarebbe stato laudato molto più della virtù militare germanica.

E' vero che con i "se" e i "ma" non si fa la storia, ma senza formulare i "se" ed i "ma" non la si può capire davvero. Solo quando si comprendono i motivi per cui i fatti sono andati in un modo e quelli per cui avrebbero potuto andare in un altro si ha una visione se non completa almeno non semplicistica e didascalica della storia. Io non credo nel determinismo storico. A volte è il fato a decidere gli eventi, sotto forma magari di un evento insignificante che finisce per scatenare le più significative rivoluzioni della storia, altre volte è la decisione di un singolo uomo a poter avere conseguenze determinanti, specie durante le battaglie e le guerre. Se tutto fosse deciso in anticipo nemmeno si combatterebbe.

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Perşembe, Nisan 26, 2007

Oggi la Sublime Porta vuole dar voce ad un contributo particolare. Si riporta dunque un articolo della rivista Linea per celebrare un grande poeta e smacherare una grande menzogna attorno ai concetti di "liberazione", "democrazia" e "america".

Nella gabbia di Pound

la verità sulla democrazia americana


Un uomo che fece dei maltrattamenti subiti un preciso motivo di resistenza culturale, da cui scaturirono le sue espressioni più celebri

Ezra Pound La notte tra il 15 e 16 novembre 1945, all’uscita del campo di concentramento del Disciplinary Training Camp di Pisa, una jeep scoperta americana trasportava un anziano e malconcio prigioniero ammanettato. Indebolito e stordito dai molti mesi di carcere duro, rinchiuso in una gabbia all’aperto, esposto al sole e alla pioggia, il vecchio era atteso a Roma da un aereo speciale che, dopo trenta ore di volo e un paio di scali, giunse a Washington. Qui l’aspettavano un processo per alto tradimento, il rischio della condanna a morte, la diffamazione, infine lunghi anni di internamento nel manicomio criminale di St. Elisabeth. Il primo anno lo passò segregato in completo isolamento, in una cella senza finestre, senza contatti con l’esterno. Del resto, sono conosciuti i sistemi carcerari di quel grande Paese. Pound verrà liberato soltanto nel 1958, scosso, ma per nulla distrutto da un’esperienza allucinante: una foto famosa lo ritrae, appena sbarcato a Venezia, nell’atto di fare un sorridente saluto romano davanti ai fotografi.

Ezra Pound, Canti pisani. Edizione con testo a fronte Il trattamento riservato a Ezra Pound dai suoi concittadini americani è noto. Per aver parlato durante la guerra dai microfoni di Radio Roma contro la guerra, contro quella guerra, gestita dagli usurocrati e fatta pagare ai popoli, Pound passò un’interminabile via crucis, che avrebbe fiaccato molti caratteri meno robusti del suo. Anzi, egli fece dei maltrattamenti subiti un preciso motivo di resistenza culturale, e proprio dai periodi più bui scaturirono alcune tra le pagine più celebri e sbalorditive della sua enigmatica, caleidoscopica vena poetica. Leggendo la testimonianza di Piero Sanavio La gabbia di Pound (Fazi Editore), veniamo di nuovo a contatto con una vicenda esemplare di quella lotta che si svolse nel Novecento, culminata nella Seconda guerra mondiale, e che non fu solo una questione di accaparramento delle risorse del pianeta, ma fu lotta politica, ideologica, soprattutto culturale e di civiltà. Pound è una delle più alte espressioni del fatto che, dal 1939 al 1945, furono in gioco i fondamenti stessi della visione del mondo europea, e che non si trattò affatto di un regolamento di conti tra differenti imperialismi, ma tra opposte maniere di concepire la vita e i rapporti politici e sociali in una moderna società.

Piero Sanavio, La gabbia di Pound Il libro di Sanavio – che conobbe il poeta, lo visitò più volte al manicomio di Washington e in seguito anche a Parigi – è una sorta di diario dei contatti con una delle personalità più inclassificabili e geniali del secolo scorso. Purtroppo, l’autore – che ci tiene a dirci che fu attratto, fin da giovane studioso, dalla poetica poundiana, ma per nulla dalle sue inclinazioni politiche – sottopone il suo interessante resoconto a una serie di suoi personali giudizi, di cui il lettore interessato a Pound farebbe anche a meno. Venuti a conoscenza che Sanavio considera quello fascista “un governo criminale” e Mussolini “insopportabilmente italiano”, siamo più tranquilli e ci possiamo volgere alla vicenda di Pound. Il quale aveva idee non omologate e del tutto indipendenti, e questo proprio a differenza di Sanavio, che si mostra provincialmente innamorato dell’America e del sistema liberale, e compreso quello liberticida dei Roosevelt e dei Truman.

Ezra Pound, I Cantos Pound ammirava Mussolini – e ammirò anche Hitler, e a chiare lettere – per una politica sociale che, bene o male, intendeva sottrarre il lavoro alle grinfie della speculazione finanziaria, che invece negli Stati Uniti costituiva il vero potere, allora esattamente come oggi. Dare al lavoratore la giusta paga, la dignità, la certezza di vivere in un sistema organico, in un ordine commisurato all’uomo, semplice e giusto, liberato dalle programmate alterazioni monetarie che arricchiscono gli speculatori, e che conducono alla rovina i popoli. Questo il Fascismo di Pound. E questo fu anche il Fascismo di Mussolini, quando, soprattutto dagli anni trenta, comprese che la questione del secolo era la lotta allo strozzinaggio liberista, prima e più ancora che al comunismo.

Finquando il Fascismo non parve che un caso locale di banale ordine borghese, di messa a posto dei sindacati socialcomunisti, non mancarono, a Londra come a New York, parole d’elogio per la soluzione italiana. Ma in seguito, quando lo stesso Fascismo assunse le dimensioni di una rivoluzione europea che investiva i rapporti economici internazionali, tale da minacciare le consolidate posizioni del liberalismo mondiale, le cose presero un’altra piega. Allora, contro il tentativo fascista di organizzare i popoli partendo dal lavoro e proteggendolo dalla speculazione, l’America e la sua succursale anglo-francese si dettero a brigare per lunghi anni. E, al momento buono, seppero cogliere l’occasione di politica internazionale che volevano, per passare direttamente all’eliminazione fisica del contendente: nulla di cambiato, come si vede, nei comportamenti liberali, dal 1939 fino ad oggi.

Ezra Pound Quando, in Oro e lavoro, Pound scrisse che “questa guerra non fu un capriccio di Mussolini, e nemmeno di Hitler. Questa guerra è un capitolo della lunga tragedia sanguinaria che s’iniziò colla fondazione della Banca d’Inghilterra nel lontano 1694”, metteva il dito su una piaga liberista particolarmente sensibile. Quando poi, aggiungeva che “dopo l’assassinio del Presidente Lincoln nessun tentativo serio contro l’usurocrazia venne fatto sino alla formazione dell’Asse Berlino-Roma”, dovette apparire chiaro che Pound si era fatto dei potenti nemici a casa propria.

The Cantos of Ezra Pound L’affermazione che “non i mercanti di cannoni ma i trafficanti del danaro stesso hanno creata questa guerra, hanno create le guerre a serie, da secoli, a piacer loro, per creare debiti, per poi sfruttarne l’interesse”, presupponeva di aver saputo gettare lo sguardo al di là della retorica propagandistica delle “grandi democrazie”, ben addentro al marcio verminaio che ne regola i comportamenti politici, a far data per lo meno – calcolava Pound - dal momento in cui, dopo la Gran Bretagna nel secolo XVII, il secolo della fondazione liberale, anche gli Stati Uniti erano caduti preda della finanza internazionale, durante la guerra civile tra Nord e Sud. La genialità di Pound, oltre i suoi meriti di poeta “dantesco”, universale, consiste proprio in questo suo eccezionale intuito nella comprensione degli eventi contemporanei. Un intuito che, non di rado, è stato anche irriso, compatito, prendendo il poeta per un visionario, un povero fissato, ossessionato da bizzarre manìe: la teoria monetaria di Gesell, la lotta al monopolio, l’usura… Nulla di più facile che farne un pazzo. Oppure, come fanno gli esponenti della “sinistra” europea illuminata, quelli, per intenderci, che amano l’introvabile America buona e libertaria: nulla di più facile che farne un semplice stravagante, un genio che non capiva nulla di politica, uno che per ingenuità si mise a braccetto di una banda di criminali. Questo è il lavoro sporco dei progressisti alle prese con la grande cultura fascista internazionale, che si tratti di Heidegger o di Pirandello, di Hamsun o di Mishima: separare con l’ascia del pregiudizio gli uomini di cultura dalle loro convinzioni ideologiche, farne dei fantocci inanimati, degli alienati dal proprio mondo e dalle proprie idee. In fondo, il giudizio di un Sanavio su Pound, nonostante una scontata ammirazione per lo scrittore o il personaggio, non si dimostra lontano da quello espresso dal governo liberale americano: un alienato, appunto, un “diverso”. Quindi, secondo la logica della “democrazia” puritana, un pazzo.


Luca Leonello Rimbotti


Una vita da profeta
Nato il 30 ottobre 1885 in Idaho (USA), dopo gli studi Ezra Pound si trasferisce nel 1908 in Europa, da lui già conosciuta in svariati viaggi. A Venezia pubblica i suoi primi versi, A lume spento, e si stabilisce a Londra, dove rimarrà fino al 1920. Di cultura enciclopedica ed eclettica, attratto dalla letteratura provenzale e stilnovista come da quella confuciana, a Londra promuove la nascita di due tra i movimenti letterari d’avanguardia più importanti del tempo, l’imagismo e il vorticismo, in cui si fondevano astrattismo fotografico, futurismo, neo-orfismo e cubismo. In questo periodo, tra gli altri, conobbe e frequentò Joyce, Eliot, W.Lewis, W.B.Yeats, di cui condivise l’interesse per i gli aspetti esoterici della tradizione culturale europea. Dopo numerosi viaggi e soggiorni anche in Italia, nel 1920 si trasferisce a Parigi con la moglie Dorothy e nel 1924 a Rapallo. Lavora ai primi Cantos, collabora a riviste e giornali stranieri e italiani, tiene conferenze in varie città, scrive poesie, saggi, persino musica e uno sceneggiato, Le fiamme nere. Il 30 gennaio 1933 è ricevuto da Mussolini, nel 1934 scrive Jefferson e/o Mussolini: si fa più intenso il suo interesse per la politica sociale fascista. Nel 1939, dopo l’ultimo viaggio negli USA, inizia la collaborazione al “Meridiano di Roma” di Interlandi, nel 1941 quella a Radio Roma, nel 1943 a “Il popolo di Alessandria”. Aderisce alla RSI: nel 1944 scrive alcuni pamphlet contro il sistema guerrafondaio americano: L’America, Roosevelt e le cause della guerra presente e Oro e lavoro. Arrestato il 3 maggio 1945, è rinchiuso nella gabbia del campo di concentramento di Pisa, dove scrive i Canti pisani. Internato in manicomio a Washington, vi rimane dodici anni. Nel 1958 si trasferisce nei pressi di Merano dalla figlia e in seguito, dopo vari soggiorni e ricoveri a Rapallo e a Genova, si reca infine a Venezia, dove muore il 1° novembre 1972.

Tratto da Linea dell'8 maggio 2005.

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Salı, Nisan 24, 2007

RIFLESSIONI AMARE SUL 25 APRILE

Domani gli Italiani (o almeno molti di loro) festeggeranno il 25 Aprile. Io non trovo nulla da festeggiare e conosco invece tre motivi per consigliare di non farlo. Il 25 aprile 1945 sancisce infatti tre punti cardine nella storia per cui, rispettivamente, da europei, da italiani e da cittadini non si ha proprio nulla di cui gioire. Essi sono i seguenti.

1. La fine della potenza europea. Stati Uniti e Unione Sovietica sono i soli veri vincitori del secondo conflitto mondiale. Essi si spartiscono il vecchio continente con logica coloniale, pongono le loro basi militari laddove vi erano le caserme dei gloriosi e millenari eserciti nazionali d'europa, le loro basi culturali dove si formano le ideologie (capitalismo, comunismo) per indottrinare le masse e guidarle con i fumi e i miraggi della politica e le loro basi commerciali ed economiche là dove si decide invece la vita reale dei popoli. Le nazioni europee vincitrici, Gran Bretagna e Francia, lo sono soltanto formalmente. Il loro soccombere militarmente di fronte alla Germania le ha rese umili ancelle della nuova potenza a stelle e strisce, determinante per la vittoria e determinata ad imporre alle vecchie potenze un nuovo ordine (comprendente la decolonizzazione ed il subordinamento dell'europa occidentale ai propri interessi). La Gran Bretagna e la Francia post belliche sono soltanto il pallido ricordo dell'Impero britannico prima potenza mondiale sotto ogni aspetto che occupava un terzo delle terre emerse e della grande Francia vincitrice della prima guerra mondiale. Paradossalmente la Germania è la nazione cha ha perso meno: sconfitta a umiliata dalla prima guerra mondiale ha tentato di rifarsi e tornare al rango di prima potenza che stava già raggiungendo, economicamente e militarmente, prima del 1914 (quando le vecchie potenze, accorgendosi del pericolo, si accordarono per distruggerla). Le è andata male, ma comunque non poteva peggiorare dopo Versaiiles.

2. La fine del sogno di potenza italiano. Il tentativo dell'italia post unitaria di proseguire il Risorgimento con la Prima Guerra Mondiale (combattuta dalla nostra naziona quale quarta guerra d'indipendenza contro l'Austria, ché se avessimo dovuto combatterla come prima guerra mondiale, seguendo interessi geopolitici, avremmo dovuto schierarci con gli imperi centrali, come infatti era prima del famoso "giro di valzer") per assicurarsi appropriati e storicamente soddisfacenti confini territoriali (poi non totalmetne soddisfatti dal trattato di pace: mancava la Dalmazia!) nonché adeguati ingrandimenti coloniali (prospettiva disattesa da Francia a Gran Bretagna che nulla concessero in tal senso all'Italia nonostante le promesse) finisce ingloriosamente con lo spoglio di tutte le colonie e la privazione della Venezia Giulia e dell'Istria che tante vite erano costate durante la Grande Guerra del 1915-1918.
L'Italia dalla fine dell'Ottocento (e non certo da Mussolini) aveva tentato, dopo la sua unità, di assurgere al rango di potenza di primo ordine e per questo tentava (come era assolutamente e al di là di ogni considerazione morale, necessario nella geopolitica dell'epoca) di partecipare alla pari delle altre potenze (in primis Gran Bretagna e Francia) alla spartizione della "fetta" coloniale. Nel 1919 non solo all'Italia non furono concesse tutte le terre proprie per tradizione e cultura (Fiume, la Dalmazia) ma non venne nemmeno considerata nella spartizione delle colonie tedesche. Per questo si parlò di vittoria mutilata. Mussolini, come altri reduci, non mentiva su questo. Al governo disse che i trattati, una volta firmati, vanno rispettati, ma che la storia non finiva a Versailles. Ha mantenuto la promessa di cercare una rivincita e lo ha fatto alleandosi con i nemici di un tempo (gli austro-tedeschi poi diventati terzo reich) una volta provata l'infedeltà degli ex-alleati anglofrancesi. E' andata male, ma l'intenzione non era malvagia.

3. Il trionfo dell'opportunismo italico, dell'interesse particulare e del trasformismo. Praticamente tutti coloro i quali per vent'anni avevano idolatrato Mussolini ed avevano gioito quando il duce del fascismo aveva "messo in ordine" la disastrata ed insatabile Italia del primo dopoguerra cambiarono più velocemente di un camaleonte il colore delle loro camicie dal nero al rosso. Ho rispetto di chi è sempre stato comunista, ma molto poco di chi (e sono la maggioranza) si vanta di aver "fatto la resistenza" dopo aver goduto di diversi benefici materiali e ideali del regime fascista. Tutti gli ideali nazionali in cui gli italiani avevano creduti e per cui tanti, nelle due guerre mondiali, erano caduti vennero svenduti agli angloamericani per un pezzo di cioccolata e un posto in prima fila nel nuovo ordine "democratico". Il bello è che protagonisti di tale politica trasformista furono figure eminenti della cultura, della politica e dell'intelligenza fascista. Oggi sono idolatrati come "anti-fascisti". E' anche per colpa loro che presso i cittadini italici il senso di nazione, l'amore per essa, la voglia di affermarne l'identità, la fedeltà alla parola data e la coerenza ideale sono confusi oggi per provincialismo, sciovinismo, nazionalismo, cecità storico-politica, mancanza di furbizia.

Il fatto che si festeggi la "Liberazione" è una dimostrazione di come gli stessi fondatori di questa repubblica abbiano compreso l'impresentabilità della sua storia e della sua nascita "sic ut ea est".
Capisco profondamente la necessità di un mito, come quello della Resistenza, per dare agli italiani una giustificazione ideale per continuare ad esistere ed a lottare, essendo propriamente inaccettabile continuare a sussistere "per accidente" o accettare di aver sbagliato tutto e di non poter far nulla per rimediare. Si doveva creare un fine nobile e ideale, una volta fallito (con la sconfitta storica) quello politico e reale. Venne individuato nella "Liberazione" (ma da chi? da noi e dai nostri alleati?). Si doveva inventare un nemico esterno, una volta che si erano traditi gli alleati e ci si era alleati con i nemici. Venne individuato nel "nazifascismo" (ma non eravamo sempre noi con i nostri alleati?). Non si può però, in nome dell'illusione, e della vulgata edificante, continuare ad ignorare la realtà effettuale della storia.

Un governo che ignori questi tre punti e pretenda festeggiamenti non merita che i suoi cittadini paghino le tasse. Se non vi è un interesse generale valido non vi è motivo di sacrificare quello individuale. Una volta svenduti gli interessi e gli ideali nazionali, per quale motivo gli italiani dovrebbero privarsi di una parte dei propri introiti? Per permettere a dei mondialisti con la fascia tricolore di far entrare in scuole, ospedali e servizi di ogni genere italiani gente di ogni risma e di ogni cultura e di ogni lingua? Per accelerare la caduta definitiva dell'idea di nazione italiana? Per far sì che dopo la potenza militare e marittima spariscano anche la cultura, la lingua e persino la stirpe?

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Salı, Nisan 17, 2007

LE PAGELLE DI SAKHIR










Consegno ora le pagelle della terza prova dell'anno. Complessivamente sono soddisfatto dei risultati della classe, giacché si tratta di voti globalmente superiori a quelli delle scorse due prove.

MASSA FELIPE: 9 1/2
Ha interpretato alla perfezione quel ruolo che gli inglesi chiamarebbero di "front runner". Dopo i pasticci e le mediocrità sfoggiate in Australia e Malesia si trasforma in un sicuro e infallibile facitore di pole position, vittoria e giro più veloce. Ricorda, in questo suo essere tanto fallace e inconsistente quando le difficoltà della sorte lo relegano lontano dalle primissime posizioni, quanto autorevole ed imprendibile quando riesce a partire davanti, un certo Damon Hill. Come a suo tempo l'inglese, pare Schumacher se ha la macchina migliore e riesce a conservare la pole, mentre in caso contrario risulta più lento e inconcludente dell'ultimo dei piloti di seconda fascia. Questa volta siamo sul "fronte di salita" dell'onda che in precedenza aveva toccato il minimo, per cui un gran voto è d'obbligo. Manca il 10 pieno per il semplice fatto che non riesce a porre un margine di sicurezza fra sé e l'inglese Hamilton, il quale rimane sempre un debuttante. Una gara alla "Schumacher" avrebbe implicato sì da un lato il non strafare quando si è primi, ma dall'altro lato almeno non il lasciarsi raggiungere nell'ultimo terzo di gara dagli inseguitori. La rimonta dalla McLaren con le gomme dure non è sembrata tanto frutto della gestione di gara del ferrarista, quanto del suo affanno. Chi lascia avvicinare gli avversari per calcolo non permette loro di arrivare in scia a un paio di giri dalla fine e comunque, durante l'avvicinamento, piazza ogni tanto un giro veloce per mostrare di essere il dominatore.

HAMILTON LEWIS: 9 1/2
Merita lo stesso voto del vincitore per la consistenza mostrata in gara e soprattutto per aver battuato, in qualifica e sul traguardo, il campione del mondo compagno di squadra. Avevo scritto la scorsa volta che, dopo un terzo e un secondo posto nelle ultime due gare (ossia nelle prime della sua carriera nella massima formula) ci si sarebbe dovuto aspettare, secondo il proverbio, la vittoria. Ora confermo che è lui il vincitore morale del Gran Premio. Svergognare un Alonso al massimo dell'euforia e dalla fiducia (dopo la vittoria in Malesia e la ritrovata testa del mondiale) sia in termini velocistici sia in termini di gestione della gara e mettere fiato sul collo ad un Massa quasi imprendibile in versione "Schumacher" e fare questo alla terza gara in formula uno vale molto più di certe vittorie. Colgo l'occasione per correggere il suo nome (che avevo scritto sempre errando alla francese nelle scorse due prove). Con questo gli rendo onore.

HEIDFELD NICK: 9 1/2
Come ci sono tre piloti in testa alla classifica mondiale, così ci sono tre alunni in testa alla classifica dei voti. Anche il pilota della BMW merita a pieno titolo questo primato, in quanto non solo è veloce come le Ferrari e le McLaren, ma riesce persino a superare la freccia d'argento del campione del Mondo con un eroico e durissimo (ma leale e pulito) sorpasso all'esterno degno del "Leone Mansell" dei tempi migliori: praticamente il più bel sorpasso della Formula 1 2,4 litri e l'unico veramente significativo della gara. Forse l'essersi fatto crescere la bionda barba lo fa sentire un leone con la criniera, ma il fatto è che la sua velocità e soprattutto il suo passo di gara lo rendono in questi ultimi tempi decisamente più consistente di piloti pagati e valutati e pubblicizzati infinitamente di più. Quanto ha mostrato nelle prime tre prove dell'anno lo pone sullo stesso livello prestazionale di Kimi Raikkonen (uno scherzo del destino?), e di Fernando Alonso (considerati entrambi di "altra categoria" rispetto al tedesco) ed una spanna sopra il compagno Kubika (considerato l'astro nascente irresistiile sorto ad oscurare il meno giovane compagno). Non arriva al 10 pieno solo per il fatto di non mancare ill podio. La sua quarta piazza (quella nel mondiale, non quella in gara, che gli va stretta) è però pienamente meritata.

RAIKKONEN KIMI: 9
Molti potranno vociferare su questo voto, ma il finlandese compie almeno due capolavori (dopo il comunque ottimo lavoro di stare davanti al rivale per il campionato Alonso il prova): resiste all'esterno delle due McLaren alla partenza, senza farsi buttare fuori o risucchiare dal gruppo (coma avrebbe potuto facilmente succedere ad un pilota meno talentuoso e attento, nella stessa situazione) e supera Alonso (che gli era saltato davanti al primo giro proprio per il fatto di essere uscito più forte di lui dalla esse dopo il via che Kimi ha dovuto forzatamente percorrere fuori traiettoria) al primo pit stop con un giro "monstre" degno di Schumacher. E' in questi frangenti critici che si vede il campione. Facile è trionfare quando tutto gira alla perfezione. Difficile è affermare il proprio primato quando la ruota sembra girare contro. Un pilota veloce ma normale (vogliam dire un Massa?) dopo aver perso (non per colpa sua) la posizione al via e non essere riuscito a recuperarla subito si sarebbe demoralizzato. Un pilota normale, con lo stesso quantitativo di benzina dell'avversario campione del mondo e quindi con al massimo un solo giro in più di questo per stare fuori ed essere più veloce a serbatoi vuoti, non ce l'avrebbe fatta a saltare davanti. Un campione invece (vogliam dire uno Schumacher?) avrebbe piazzato un tempo fenomenale proprio in quel giro e sarebbe uscito dai box con quel pizzico di vantaggio tala da parmettere di resistere all'arrivo dell'avversario con gomme già scaldate da un giro. E Kimi si è dimostrato un campione. E' da queste situazioni che si vede di che pasta è fatto. Peccato i giornalisti non lo notino, ma sono le medesime situazioni nelle quali Schumacher era maestro.

COULTHARD DAVID: 8
Aveva iniziato la stagione con uno zero tagliato per l'assurda manovra su Wurz indegna di un pilota di formula uno (da 13 anni poi). Ora devo invece è tornato da otto pieno, per una gara fatta di sorpassi, velocità e consistenza, proseguita in un crescendo esaltante e terminata, senza errori o incertezze, solo per la rottura del propulsore. Un eterno ragazzo.

DAVIDSON ANTHONY: 8
Realizza temponi nelle prove libere e nelle qualifiche non si smentisce piazzandosi tredicesimo, ben davanti alle altre tre vetture motorizzate Honda. In gara rompe il motore, ma dimostra una velocità da otto pieno, tenendo presente che la vettura guidata è una modesta SuperAguri.

SUTIL ADRIAN: 8
Si qualifica più avanti dell'ultima fila e questo con la Spyker è un risultato ben più che discreto. In gara poi arriva alla fine senza commettere errori (peccato per i problemi che lo rallentano ai box). Se fosse arrivato davanti al compagno di squadra Albers (così come davanti era in griglia) avrebbe strameritato, ma per un debuttante di cui alla vigilia i cronisti sapevano solo dire che "suonava il pianoforte" è già un risultato roseo. Anzi, arancione.

WEBBER MARK: 7 1/2
Parte da una strepitosa quarta fila, si mantiene veloce in gara (anche se non tanto quanto il compagno Coulthard), ma non arriva alla fine per la rottura del cambio. Per fortuna sua vi sono professori di automobilismo che guardano con attenzione alla sostanza del pilotaggio più che all'apparenza televisiva. Un sette e mezzo dalla Sublime Porta lo dovrebbe consolare.

KUBICA ROBERT: 7 1/2
Il quarto posto di Heidfeld non deve far dimenticare che il pilota polacco ha comunque disputato un'ottima gara. Peccato per la strategia decisa ai box, che lo ha penalizzato in termini velocistici. Per questo non arriva all'otto

TRULLI JARNO: 7 1/2
Meriterebbe anche di più, per il fatto di aver portato la Toyota in zona punti e davanti ad entrambe le Renault campioni del mondo in carica. Non posso però dare otto, perché quando si corre da tre anni con il team emanazione del primo costruttore mondiale di automobili, e quindi dotato di potenziale tecnico ed economico non indifferente (sono passsati per Colonia i migliori progettisti e il budget è di gran lunga il maggiore di tutta la formula uno), la mancanza di risultati e di velocità è da ascrivere anche all'incapacità dei piloti di far progredire la vettura sul piano prestazionale. Un pilota completo (Schumacher docet) deve sapere, attraverso i test di sviluppo e l'analisi delle prestazioni, portare la monoposto, sul medio e lungo periodo, ad un livello superiore a quello in cui la trova la prima volta che ci sale. L'infaticabilità nel provare e il metodo nel progredire e nel trovare o suggerire o valutare nuove soluzioni è qualità indispensabile per definirsi campioni. Se non le si possiede si è solo piagnoni a lamentarsi di non avere fra le mani una "vettura da mondiale". Qualcuno si ricorda come era messa la Ferrari nel 1996? Chi lavorò duramente per rendere una vettura da terza fila degna di vincere i gran premi? E chi fece affluire, nell'arco di un anno, a Maranello le persone, i metodi e le menti e le mentalità giuste, tanto da lottare per il campionato l'anno dopo?

FISICHELLA GIANCARLO: 7
Ennesimo voto mediocre per un pilota ormai costantemente mediocre, che nonostante sia più veloce di Trulli non riesce mai a tentare un serio attacco nonostante il suo team-principal lo inciti costantemente via radio a tale gesto. Finalmente Briatore ha il primo pilota che si merita.

KOVALAINEN HEIKKI: 6 1/2
Manca il sette del suo compagno solo perché manca la zona punti (per un soffio). Si dimostra comunque per la seconda volta parimenti veloce in prova e parimenti consistente in gara. Non si capisce perché la gente continui a considerarlo una promessa mancata o un pilota con la valigia (solo perché è giovane ed ha lo sponsor? ma è una colpa?). Forse con la Renault dell'anno scorso farebbe meglio di quanto fece Fisichella e con una McLaren quest'anno farebbe cose simili ad Hamilton. Se la vettura francese è così, però, la colpa è del più esperto compagno che non ha saputo svolgere un adeguato lavoro di sviluppo e di adeguamento alle gomme Bridgestone. Se Alonso fosse rimasto in Renault ora si parlerebbe del "fenomeno Kovalainen" anziché di quello Hamilton. Resto convinto che Heikki sia stato promosso in Formula Uno con un anno di ritardo. A volte i treni del successo partono un attimo prima di quanto si vorrebbe.

ROSBERG NICO: 6 1/2
Meno brillante del solito, il figlio di Keke si è trovato imbottigliato in gara dietro al compagno, e, per non tamponarlo, deve divagare per prati (anzi, per sabbie). Comunque diversi piccoli errori simili costellano la sua gara, comunque caratterizzata da grinta e determinazione. Non arriva al sette, per il risultato (solo decimo), ma passa la sufficienza per essere riuscito comunque ad arrivare davanti al compagno (ben più esperto) Wurz.

ALONSO FERNANDO: 6
Giunge alla sufficienza solo per essere riuscito a passare Raikkonen al via e per non aver comunque commesso errori. Forse vi è stato qualche problema tecnico a determinare una situazione prestazionale in cui, pur facendo il massimo, lo spagnolo non è riuscito ad andare oltre il quinto posto. Cerco che se con la stessa vettura Hamilton morde la coda di Massa il dubbio sorge.

ALBERS CHRISTIJAN: 6
Sufficienza stentata solo per il fatto di essere riuscito a terminare la gara. In prova e in gara è più lento del compagno, ma gli arriva davanti sfruttando i problemi di quest'ultimo.

LIUZZI VITANTONIO: 6
In prova, pur non passando le prime eliminatorie, riesce ad essere più veloce del compagno di squadra. In gara realizza buoni tempi, subito a ridosso delle due RebBull-Renault (il confronto è d'obbligo, essendo la sua Toro Rosso un semplice clone delle vecchie RedBull-Ferrari). Questo basta per giungere alla sufficienza, ma non alle vette cui il fatto di aver battuto Schumacher sui kart farebbe pensare.

ALEXANDER WURZ: 5 1/2
Non ce la fa a giungere alla sufficienza. Non riesce a rientrare nella top ten e nemmeno a stare davanti al compagno di squadra in giornata no. Nonostante tutti i tentativi rimane dietro alle vetture che potrebbe raggiungere, forse perché bloccato dal traffico. I sorpassi li sa fare, le strategie le conosce, la voglia c'è, come pure l'impegno, tanto, mai il voto è cinque e mezzo.

BARRICHELLO RUBENS: 5
Si può solo valutare come insufficiente una gara nella quale si finisce tredicesimi e doppiati con l'auto di una marca in passato gloriosa e vincitrice come la Honda. Per lui, come per il compagno di squadra, la caffettiera verde di quest'anno costituisce una scusante, per cui l'insufficienza non è grave. "Eppur si muove", diceva Galileo della terra. Per fortuna all'epoca non si potevano vedere i gran premi alla televisione, altrimenti l'Honda di quest'anno, dipinta con i colori dell'orbe terracqueo, avrebbe messo in crisi la sua teoria più di quanto non abbia fatto l'Inquisizione di Urbano VIII.

BUTTON JENSON: 4 1/2
Inesistente in prova, ha, rispetto al compagno di squadra, il buon gusto di eliminarsi subito dalla gara al primo giro, risparmiando una brutta figura alla Honda e una noia a noi.

SCHUMACHER RALF: 4
Nettamente insufficiente una gara nella quale il compagno va a punti e lui, pagato forse anche di più, resta dietro ad entrambe le Williams che montano lo stesso propulsore su un proprio telaio. Il dodicesimo posto ad un giro rispecchia il suo valore attule di pilota, e forse anche quello della macchina.

SATO TAKUMA: 3 1/2
Lento in prova tanto quanto il suo compagno è stato veloce, inesistente in gara. Per fortuna il motore (pietoso) cancella del tutto la sua presenza dalla gara. Non il brutto voto, però.

SPEED SCOTT: 3
Inconsistente in prova (ampiamente dietro di tre decimi al compagno Liuzzi), in gara sparisce in un incidente alla prima curva. Merita proprio un bel tre.

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Cuma, Nisan 13, 2007

Le donne sono creature semplici, gli uomini esseri complicati: questa è la verità checché se ne dica il contrario.

Sono complicati gli uomini. A volte riflettono le proprie complicazioni (così come i propri difetti e le proprie virtù, quando queste ci sono, o le proprie idealizzazioni, quando non ci sono) nella donna e definiscono incomprensibile o complicatissimo quanto sarebbe invece assulutamente CHIARO ad una creatura pensante più semplice.
Quanto io sia complicato è evidente dal genere di post che pubblico (pagelle dei Gran Premi a parte). Ho tentato di darmi una spiegazione "analitica" (psicoanalitica?) nel lunghissimo post di Natale, che costituisce il mio "testamento" amoroso (intendendo con questo il mio pormi versi l'amore sessuale e le escort che ne sono attrici)
Ora, in molto meno spazio, analizzerò quella creatura che Freud (anche lui un uomo troppo complicato) non riuscì ad analizzare e i successori (proprio perché, come spesso fanno gli uomini, cercano in vano, nel cielo, quanto avrebbero davanti al naso) continuano a definire "dolcemente complicata": la donna.

Per me la donna è semplicissima, non è difficile. Non risulta affatto complicata da quando si capisce come l'amore sia l'inganno preparato dalla natura agli uomini per propagarne la specie. Le femmine sono molto più vicine dei maschi ai fini della natura, vivono più nella specie che nell'individuo e, in modo inconsapevole ma proprio per questi istintivo e infallibile, hanno a cura più la continuazione e l'accrescimento di quella che la felicità di questo.
Se per attirare e far cadere nella trappola amorosa (utile non già alla felicità individuale, la quale è illusoria, ma alla continuazione della vita, in cui dolori nascosti dietro le promesse di sommo bene e la fatica per raggiungere quest'ultime sono invece reali) un animale bruto sono sufficienti fisicità e odori, per ingannare in senso erotico-sentimentale un uomo d'intelletto (ossia un animale senziente, a volte fornito anche di ragione e di prudenza) sono sì sempre indispensabili le belle forme (ivi comprese quelle rotonde dei seni), le lunghe chiome, le perfette membra e i vaghi odori (giacché mossi siamo nella sessualità non dal libero arbitrio bensì dal genio della specie), ma servono anche artifici di ogni genere, malìe, movenze sapienti, squisitezze intellettuali ed estasi carnali, sì da far apparire non solo ai sensi ma anche all'intelletto le grazie tutte del corpo come fossero di dea (solo così, vedendo in quella sola donna la meta dei propri moti dell'anima, un uomo può abbandonare, come Orlando, il proprio senno sulla luna e lasciarsi andare alla passione amorosa, rinunciando alla vita serena e autarchica propria del saggio per i diavoli e l'inferno del matrimonio o, oggi, della convivenza, con una creatura che a ben guardare non gli procura vantaggio alcuno, ma solo doveri e costi e processi, e non ha spesso altra attrattiva per lui dalla bellezza, inesorabilmente destinata nel tempo a sfiorire o comunque, anche prima, a non soddisfarlo più una volta posseduta) . L'insieme di queste bellezze sensitive e intellettive, tanto alte e incantevoli alla vista come la luna nel cielo d'estate, ma in realtà proprio come questa splendenti della luce riflessa del nostro desiderio, che è il vero sole, si chiama "Donna".

Oltre a non essere complicata non è neppure dolce, ma serba in sé tutta la crudeltà della natura, nella sua essenza nuda in tutti i sensi.
Per me, ad esempio, la semplice presenza delle fanciulle discinte della pubblicità o delle fiere o delle discoteche è occasione di distrazione, turbamento, disagio.
Tranne le sacerdotesse, le quali sì recitano e suscitano ad arte desideri, ma non ingannano, in quanto mettono liberamente a disposizione (ovviamente dietro compenso da loro stabilito) la loro abilità scenica e la loro corporale bellezza di chi decide altrettanto liberamente di vivere il proprio sogno estetico completo, le altre donne, che invece diffondono l'aurea della loro beltà non perché io che le miro sia felice (o abbia l'illusione di felicità) ma, anzi, per attirare quanti più maschi possibili e poi respingerli (perché questo è selezionare), o semplicemente, spesso, per pura vanità di femmina o, talvolta, per compiacersi di avere un corteo di cavalieri serventi attorno a sé o di giullari da irridere o addirittura di uomini ingenui ferire intimamente, da umiliare nel profondo del desiderio, o da rendere ridicoli davanti a loro stessi e agli altri, e quindi per ferirmi (consciamente o inconsciamente, volontariamente o involontariamente, con leggerezza naturale o con perfidia studiata non fa differenza dal lato del mio desiderio illuso e frustrato), impersonificano ciò che di più crudele e ingannatore vi sia nel mondo palpitante di vita (e di dolore) della Natura Onnipossente.
Sono spesso coloro le quali studiano ogni modo, dall'abbigliamento alle movenze, dalle parole agli sguardi, dai messaggi subliminali all'esposizione delle proprie grazie, per diffondere un'aurea di disio sensuale non già al fine di instaurare un principio di rapporto sentimentale, o sinceramente amichevole o schiettamente erotico, ma solo per il gusto di mettere alla prova la propria avvenenza e la sopportazione altrui, non per vivere il proprio normale e legittimo corteggiamento, ma solo e soltanto per deridere l’aspirante corteggiatore di fronte a sé o ad altri, per farsi gioco e beffe di lui per ribadire con pura vanagloria la propria posizione di preminenza su di lui, e mostrargli quanto lui è insignificante e banale e sostituibile mentre lei è invece unica e da tutti idolatrata
Sono spesso coloro le quali dimenticano come non tutti siano commedianti nati al pari di loro, che si sforzano con ogni mezzo di suscitare ad arte il desiderio negli uomini per poi compiacersi della sua negazione ed infoltire così le schiere di ammiratori, ed alla fine guardano tutti dall'alto al basso, arrivando addirittura a deridere gli approcci, o ad appellare molestatori quegli aspiranti corteggiatori che ingenuamente o maldestramente cercano di conquistarne i favori.
Sono spesso coloro le quali trattano con sufficienza, se non con aperto disprezzo, coloro i quali tentano un qualsiasi tipi di approccio con loro, atteggiarsi come chi ha tanti ammiratori e può fare a meno di tutti, e far così sentire colui, il quale dal trasporto verso la bellezza sarebbe portato ad affinare la propria anima e il proprio intelletto, uno dei tanti, un uomo senza qualità, un banale “scocciatore”. Anche se non sono nulla di tutto questo, anche se non sono stronze, ma comunque non sono escort, al mostrare le grazie che non sono destinate a me, ma comunque davanti ai miei occhi, dalla claritade angelica del viso, dalla figura alta, dalle chiome fluenti e lunghe, dalle linee scolpite delle membra, dalle forme dei seni rotonde, dallo slancio statuario della persona, dalla piattezza d'un ventre perfetto, dalla liscia pelle e levigata e dalle fattezze tutte d''un corpo quasi dea, esprimono di per se stesse "l'arcana promessa di felicità", mi fanno riecheggiare nel profondo la frase: "O Natura o Natura, perché non mantieni poi quel che prometti allor, perché di tanto inganni i figli tuoi?"

La mia sensibilità "leopardiana" è probabilmente esasperata, ma tale disagio esiste è stato da me verificato anche in tanti altri giovani uomini, ed è in dubbio se davvero gran parte delle femmine sia naturalmente costituita da stronze o se semplicemente non sia da esse colta (a scorno della loro presunta sensibilità) questa sfumatura non troppo rara dell'animo maschile.

L'adolescente, nel periodo della prima maturità sessuale, coincidente con quello in cui passa dal mondo dei giochi a quello del pensiero, della riflessione e delle idee, sente profondamente tutta la drammaticità della condizione umana, del "basso stato e frale e 'l mal che ci fu dato in sorte". L'amore poetico dei giovani per Leopardi è significativo, così come significativa è la corrispondenza d'amorosi sensi verso bellezze pure e irraggiungibili come la luna e come quella circonfuse di un'aurea di idealità armoniosa e beata tale da renderle vaghe e sublimi come nulla di raggiungibile può essere (ed oggi raffigurate dalle altissime ed eteree creature che sfilano sulle passerelle come musiche al vento).

Il maggior grado di coscienza fra tutti gli esseri viventi fa sì che ami se stesso più della propria vita, ossia si ami "supremamente" (come dice lo stesso Leopardi nel dialogo di Malabruno e Farfarello). Per questo ricercherà sopra ogni cosa non tanto la vita, la sua conservazione e la sua propagazione, come gli altri animali, bensì la vita felice (e quando la possibilità di essa, o l'illusione di essa, sarà svanità, preferirà la morte alla vita priva di felicità) La ricerca sarà però sempre mossa dal desiderio, da quello stesso desiderio di cui la natura in diverse forme modi e intensità fornisce gli individui affinché perseguano i suoi fini, illusi come da una chimera.

L'uomo ha in comune con gli animali i bisogni naturali (il cibo, il sonno, il sesso), che devono ovviamente essere soddisfatti a pena di infelicità profonda, frustrazione intima, disagio da sessuale ad esistenziale, ossessione, ma è distinto dall'autocoscienza. Per questo il tentare di ottenere il soddisfacimento dei propri desideri seguendo i modi "naturali" può, per via della particolare sensibilità individuale o del fatto stesso di rendersi conto della crudeltà della natura, comportare per lui disagi psicologici, ferite emotive, o addirittura ancora infelicità profonda come nello stesso inappagamento. La "recita" nasconde tutto questo.
L'appagare i propri bisogni nel modo puramente "naturale" (ossia corteggiando) può talvolta portare a situazioni di disagio emotivo o di ferimento psicologico (che per gli animali nelle corrispondenti situazioni non vi sarebbero) quali ho fin troppe volte esemplificato.

Quel rapporto con la donna auspicato e laudato da chi generalmente critica i clienti delle prostitute (appellandosi al sentimentalismo e dimostrando in questo l'ignoranza dei sentimenti dei giovani maschi), ossia il ricercare l'ascoltatrice dei "teneri sensi", dei "tristi e cari moti del cor", della "ricordanza acerba" è precisamente quanto sogna ogni adolescente (nessuno nasce puttaniere), quanto ogni occhio di giovane maschio vede nel tremolare in cielo delle stelle, o in quell'alone di luce diffusa che, come un'aurea di idealità armoniosa e beata, circonda il volto chiaro della luna, ma che il suo intelletto gli fa presto capire poter essere amato soltanto "col telescopio" (per proseguire il discorso leopardiano).

E come la luna la donna è sempre duplice: chiara ed oscura, odalisca ed amazzone, generosa e avara, pietosa e spietata, dolce e fredda, accondiscendente e crudele.
Come la luna la donna ha due volti, quello grave e soave che si mostra a noi (o, meglio che noi abbiamo creato nell'arte ed evochiamo ogni volta nelle immagini e nei suoni delle poesie) e vagheggiamo come irraggiungibile guardando dal basso verso l'alto con occhi sognanti e quello leggero e pragmaticamente duro, "petroso", che ci è nascosto ma ne costituisce l'essenza.
L'atteggiamento dolce, remissivo, carezzevole, l'essere dal sentimento delicato e puro, dalla sensibilità quasi fanciullesca e dalla fantasia ingenua
è proprio del maschile che desidera, non già del femminile, che è desiderato e su questo semplicemente si conforma per proseguire l'illusione e trarre vantaggio diciamo "economico-sentimentale" o semplicemente di autostima.
Che la donna sia invece naturalmente più pragmatica e meno sentimentale, più terrestre e meno sognatrice, e più adatta nel complesso a risolvere i problemi mondani è evidente, se non altro per il semplice fatto di essere potenzialmente madre e dunque predisposta ad incipiare e a curare la vita e i bisogni corporali e attenta a cogliere ogni sfumatura, ogni affetto ed ogni vaghezza del mondo sensibile.
Forse proprio perché, nella sua essenza più profonda, è molto più vicina dell'uomo ai fini della natura, e quindi più "utile", è dotata più dell'uomo di senso pragmatico "particulare" (indispensabile per valutare la soluzione più pragmatica di ogni problema, per trarre il massimo profitto da ogni singolo uomo e da ogni situazione umana concreta) e meno di amore per "le cose necessarie, universali, perpetue", e per questo raramente si innamora di un ideale o di una bellezza ideale (abbiamo il canzoniere di Petrarca per Laura ma non avremo mai un canzoniere femminile per un uomo, se non come esercizio di imitazione o vezzo letterario di qualche cortigiana la quale intende così soltanto accrescere intellettivamente la propria malìa, e quindi come qualcosa avente la leggerezza di un vestito e non la profondità di un desiderio), raramente traspone il proprio più profondo sentire verso una sublimazione artistica (che non sia ovviamente imparentata con quelle persone e quei libri innumerevoli "facenti pubblica professione di sentimento", di cui donne vittime del loro stesso inganno riempiono enfaticamente le biblioteche con il mal gusto romantico nemico di ogni animo sincero e sensibile e già castigato dal Leopardi a proposito del "sentimentale che si getta a manate e si vende a staia"), raramente desidera uscire dalla dimensione soggettiva ed utilitarista del sapere per raggiungere l'assoluto dell'oggettività (ad esempio nella filosofia o nella matematica, almeno a certi livelli, ovvero in ogni opera di pura speculazione e di creazione implicante un "vivere in astratto", o comunque un "astrarsi" dal particolare concreto e vissuto, dalla propria soggettività,dalla propria natura terrena, dal proprio utile materiale).

Il che dimostra ancora una volta che l'essenza dell'uomo è spirituale e quella della donno corporale, e ciò non perché le donne siano intellettivamente meno dotate (versione maschilista), anzi si potrebbe quasi dire il contrario, e nemmeno perché siano "oppresse" (versione femminista, ed anche qui si potrebbe dire che l'oppresso è spesso invece l'uomo, nel profondo, tramite lo sfruttamento delle sue debolezze erotico-sentimentali) ma perché sono solo la volontà ed il sentimento a farci raggiungere le vette dello spirito, non l'intelletto. Volontà e sentimento nelle donne sono rivolte agli abbellimenti della vita mondana, giacché così vuole la natura, mentre nell'uomo, meno utile al mondo di natura, si volgono alla consolazione del mal di vivere e della mancanza di felicità nel presente, e al riequilibrio dei desideri (in natura favorevoli alla donna, che è mirata e bramata di per sé al primo sguardo). Come il pavone crea la bellezza con la coda, il passero con il canto, i pesci con mille vaghi colori, tutti per rendersi graditi alle femmina allo stesso modo in cui ella è da loro disiata per natura, ed esser così parimenti apprezzati e ammirati e accettati, riequilibrando il rapporto, così il maschio della specie umana ha creato l'Arte.
L'uomo, al contrario degli altri animali, non ha come fine la vita in sé, ma la vita felice. Siccome la felicità non esiste mai realmente nel mondo, egli ha fin dalla sua infanzia (l'infanzia dell'umanità: il mondo antico e mitico) creato le opere dello spirito (dalla matematica alla filosofia) o, a livello meno intellettualistico e astratto (anche se ancora intellettuale) e più sensitivo, il sogno (ivi compreso quel sogno estetico che è l'eterno femminino, quando vive nelle musiche e nelle lettere, nelle rime e nei versi, nelle immagini e nei suoni delle poesie, donando l'ebbrezza dei sensi e delle idee).
La donna percepisce meno questo distacco con la vita, giacché è preposta dalla natura (e molto più dell'uomo) proprio a dare continuazione, ad ogni costo, alla vita stessa. Se non fosse così la nostra specie ora non esisterebbe.


SALUTI DALLA SUBLIME PORTA

Il Sultano Beyazid II

Post Scriptum
Non è indispensabile che una donna faccia ciò scientemente per essere definita tale. Quanto descritto infatti appartiene al suo modo di essere, per cui la donna rimane tale anche quando, come individuo, non avrebbe alcun bisogno di aumentare il numero di ammiratori o di amanti o tanto meno di trovare padri per i propri futuri figli.
E' un puro istinto, esattamente come in noi uomini la brama di godere della bellezza nel maggior numero possibile di donne.
L'istinto non sa (o non si cura) che gli individui hanno trovato altri modi per assicurare il benessere e la continuazione della specie umana e non avrebbero più bisogno per la loro sopravvivenza della forza dei desideri suscitati dalla natura. Schopenhauer diceva che alla nascita e alla morte non ci sono rimedi, tranne godersi l'intervallo. Anche agli istinti, dico io, non ci sono rimedi, tranne appunto goderseli. E' questa consapevolezza a muovermi nell'amore sessuale, che ho deciso appunto di vivere in maniera "escortistica", ossia scenica, per dilettare e ingannare piacevolmente, con la bellezza, i sensi e le idee, in attesa che la farsa più grande, ossia la vita umana, trascorra. Il suicidio per noia sarebbe cosa volgare.

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Salı, Nisan 10, 2007

LE PAGELLE DI SEPANG













Terminate la vacanze di Pasqua, torno in classe e distribuisco le pagelle relative al Gran Premio di Malesia, seconda prova dell'anno. Chiamo i piloti per ordine di voto.

ALONSO FERNANDO: 9 1/2
Se si fosse daltonici non si potrebbe distinguere la sua gara della Malesia da quelle che hanno segnato gli sfolgoranti inizi dei due scorsi campinati poi conclusi trionfalmente. L'unico elemento cambiato è infatti il colore: dal giallo Renault all'argento McLaren-Mercedes. Stesse sono invece la perfezione al via, l'autorevolezza nella conduzione della gara, la sicurezza nel mantenere il primato (mai in discussione per un solo giro) e la siderale distanza fra la velocità e la precisione dello spagnolo e il caos caratterizzante il resto dei partecipanti alla gara. Non merita il 10 solo per il fatto di aver perduto la Pole Position (da Massa) e perché la facilità estrema con cui ha ricondotto alla vittoria la McLaren a digiuno da più di un anno è scaturita più dai demeriti dei piloti Ferrari in partenza (e poi dalle difficoltà di Raikkonen col secondo treno e dall'inconsistenza costante di Massa in gara) che non da meriti propri.

HEIDFELD NICK: 9
Quinto in griglia e quarto in gara. Con la BMW, terza forza del mondiale e a rischio affidabilità, si permette il lusso di arrivare davanti alla favoritissima (e strapotente in Australia) Ferrari (anche se solo quella di Massa). La sua velocità sia in prova sia in gara lo pone ad un livello decisamente superiore rispetto a quello di più blasonati colleghi. Evidentemente ad inizio carriera ,ai tempi della F3 tedesca e della F3000, la Mercedes non aveva sbagliato a puntare su di lui. Ora sono i cugini bavaresi a godersi i frutti del seme piantato da quelli di Stoccarda. Forse non sarà un campione come Raikkonen, di cui è stato compagno in Sauber nel famigerato 2001 in cui fu scartato da Ron Dennis proprio per causa del finlandese, ma sicuramente non fa rimpiangere la partenza di un campione del mondo come Jacques Villeneuve.

ROSBERG NICO: 9
Non termina la gara (il motore Toyota non ce l'ha fatta), ma quanto visto è sufficiente per mostrare l'eccezionalità del compito “incompleto” non per colpa sua. Parte in terza fila a ridosso dei migliori con un'auto non certo all'altezza delle prima, non solo per velocità ma anche per la limitatezza dei mezzi economici della squadra (l'unica “indipendente” fra tante auto di grandi costruttori o di grandi multinazionali). In gara resta sempre fra i migliori finché il motore non si rompe. Esprime il proprio dispiacere in un italiano migliore di quello parlato da tanti nostri connazionali. Merita per questo un bel nove, come avesse scritto un tema mirabile.

RAIKKONEN KIMI: 8 1/2
La sua non è certo una gara perfetta come quella australe, ma nelle condizioni in cui erano lui e la squadra non poteva fare di meglio. Il motore surriscaldato dalla gara precedente lo ha fortemente limitato nelle punte velocistiche (e per questo non ha nemmeno tentato il sorpasso su Hamilton quando questi lo rallentava), mentre un secondo treno di gomme morbide scandenti lo ha palesemente penalizzato (facendogli perdere dodici secondi sul secondo pilota McLaren). Recupera decisamente nel finale (con le gomme dure), riportandosi a ridosso di Hamilton ed attendendo un suo errore che non arriva. Per un giudizio completo dovremmo sapere dalla Ferrari come sia possibile che il suo pilota di punta segni il proprio giro più veloce a fine gara e con le gomme più dure. Forse una strana (ma necessaria) gestione del “problema propulsore” non è trascurabile nella risposta. In ogni modo Kimi non arriva al nove essere stato in partenza tanto distratto da aver lasciato più di una macchina di spazio alla propria destra, sì che la McLaren di Hamilton (partita dietro) abbia potuto superare sia lui sia, clamorosamente, anche Massa. Si fosse spostato all'interno il coloured della McLaren sarebbe rimasto quarto ed avremmo forse visto un'altra gara. E' fin troppo facile però giudicare da fuori dall'abitacolo, per cui non tolgo più di mezzo voto.

HAMILTON LOUIS: 8
Si riconferma come piloto autorevole e veloce a dispetto del suo essere debuttante. Secondo podio in due gare, e passaggio da terzo a secondo. Si dovesse esaminare il campionato come un grafico di borsa, si dovrebbe concludere che sarà lui il vincitore di Sakhir.

Per le prestazioni sarebbe da 9, ma il zigzagare in rettilineo ed in frenata per resistere a Massa e rallentarlo permettendo al compagno Alonso di accumulare il vantaggio decisivo lo porterebbe all'8 in condotta. Salomonicamente, decido di dare otto in profitto.


KUBICA ROBERT: 7 1/2
La sua sarebbe stata una gara fenomenale (è risalito fino a superare la Williams di Rosberg) se non fosse stato per i problemi che lo hanno rallentato ai box. Non posso perciò attribuire un voto indeciso, seppur sia io convinto nel cuore che il potenziale per i voti alti c'è tutto in questo pilota polacco.

TRULLI JARNO: 7 1/2
Arrivare a punti con una Toyota merita di per sé un voto alto, anche se la gare rimane incolore. Dovrà essere reinterrogato il pescarese, per sapere se la sua posizione nel mondiale sia quella dell'aurea mediocritas (il sette) o della beatitudine piena (l'otto). Intanto mi limito a constatare come abbia svergognato il compagno di squadra Ralf Schumacher.

KOVALAINEN HEIKKI: 7
Si qualifica davanti all'esperto compagno si squadra, smentendo con i fatti tutte le parole denigratorie di Briatore all'indomani della gara scorsa. Meriterebbe l'otto per questo, se non fosse che si tratta comunque di un risultato che lo pone al di fuori dei dieci eletti a lottare, nell'ultima sessione, per la Pole Position. La colpa pare però più dell'auto che del pilota.

WEBBER MARK: 7
Arriva nei primi dieci, ancora a pieni giri, e rimane il primo dei quattro moschettieri della compagine Red-Bull-Toro-Rosso. Una signora gara per un signor pilota. Certamente di più non si poteva fare con un'auto che di campionato del mondo ha solo il V8 Renault dello scorso anno.

SATO TAKUMA: 6 1/2
Si riconferma un pilota valido come velocità e consistente in gara. Giunge tredicesimo, ma con una Superaguri (Honda dell'anno scorso) è come arrivare terzo. Un podio virtuale prezioso per un giapponese ed il voto deve fungere anche da incoraggiamento. Sto lentamente ricredendomi su questo pilota.

FISICHELLA GIANCARLO: 6 1/2
Arriva sesto, resistendo al connazionale Jarno Trulli. Si fa però battere dal giovane ed inesperto compagno in qualifica. La sua posizione è dunque dovuta più al mestiere ed alla gestione dai box che alle effettive doti di guida e di velocità. Poco più che sufficiente il voto per una gara sempre grigia e poco più che mediocre. Non vi sono certo grandi errori, ma nemmeno grandi slanci. L'idea è quella di un pilota stanco che si avvia alla fine di una carriere iniziata con tante speranze e passata senza grandi splendori, illuminata negli ultimi due anni dalla luce riflessa del compagno Alonso in Renault. Che la differenza fosse nei piloti e non nel materiale è evidente oggi che è lui il caposquadra.

SPEED SCOTT: 6
La sua è sufficienza pienamente meritata per aver battuto Vitantonio Liuzzi (uno che sui Kart batteva Schumacher, quello vero). Peccato che il premio sia solo un quattordicesimo posto. Si tratta comunque di un bel risultato per una scuderia che è di fatto la ex-Minardi.

MASSA FELIPE: 6
Merita la sufficienza per il semplice fatto di aver privato Alonso della soddisfazione della pole con un giro “monstre” proprio in extremis. Se per questa prodezza i suoi fans avrebbero potuto accostarlo all'epico connazionale Ayrton Senna, per quanto ha fatto vedere in gara gli osservatori più distaccati dovrebbero avvicinarlo piuttosto a Hector Rebaque: non chiude alla prima curva lasciando che Hamilton (partito quarto) lo beffi (lui che era in pole), poi si lascia prendere dalla foga e attacca l'inglese da tutte le parti senza concludere nulla, se non di infilarlo all'interno arrivando lungo e facendosi risuperare in uscita. Prosegue nei suoi inutili e impulsivi tentativi di sorpasso fino a quando la rabbia per Alonso che fugge non gli fa sbagliare la misura della staccata e lo fa finire sull'erba. Per fortuna riparte perdendo solo una posizione (quella sulla BMW di Heidfeld) che però non è più in grado di recuparare. La consistenza di un pilota si vede anche in questo: se sa mantenere saldi i nervi nei momenti difficili, se ha la pazienza e la ragione per meditare un attacco appropriato e soprattutto se sa reagire costruttivamente ai propri errori. I suoi nervi sono stati invece paragonabili a quelli del Brasile del 1982 quando più i giocatori carioca, dalla foga, insistevano ad attaccare, più continuavano a prendere goal in contropiede dall'Italia di Paolo Rossi e più la rabbia e la foga crescevano. La pazienza e la ragione hanno fatto difetto nel momento dell'attacco a Hamilton: quando si frena all'interno (dove la pista è meno gommata) non bisogna frenare impiccati come si fosse in traiettoria: in primis perché l'aderenza è minore e quindi anche se il sorpasso riesce si finisce lunghi o ci si fa passare in uscita, in secundis perché non serve finire davanti con tutta la macchina, come se si dovesse superare all'esterno, giacché, avendo il favore della traiettoria, basta arrivare con le ruote anteriori appena davanti alle posteriori dell'avversario perché questo non possa più chiudere e, restando largo, permetta il sorpasso. La capacità di reagire ai propri errori è stata poi pari a zero, se si considera come, dopo l'uscita, egli non solo non sia riuscito a riguadagnare la posizione, ma abbia del tutto perso la velocità che pareva prima renderlo in grado di raggiungere Alonso se non avesse avuto Hamilton a bloccarlo. Mai dunque sapremo se il suo distacco dalla vetta sia stato dovuto all'accidentalità della gara o all'essenza della prestazione velocistica sua e della Ferrari.

WURZ ALEXANDER: 5 1/2
Sfiora la sufficienza così come sfiora la zona punti. Arrivare noni con la Williams-Toyota, praticamente l'unico team “indipendente”, meriterebbe un voto migliore, ma non posso trascurare la batosta subita dal compagno Rosberg in qualifica (quasi due secondi) e soprattutto la posizione (terz'ultimo) in griglia. Di buono ci sono la determinazione nelle strategie, la costanza delle progressione in gara e l'occhio ancora valido nei sorpassi. Se si impegna può migliorare ed andare ben oltre la sufficienza. Le potenzialità ci sono, ci sono sempre state, come dimostrano i suoi inizi di carriera con la Benetton (sono ormai passati dieci anni esatti), quando stupiva tutti con gare da podio, prima di perdersi nella mediocrità del tran-tran quotidiano degli anni successivi, poi finita nella retrocessione a tester. Ora che è “risorto” a pilota titolare speriamo non ricada nell'errore.

COULTHARD DAVID: 5 1/2
La sua non è una gara gravemente insufficiente come quella dell'Australia, ma nemmeno merita le lodi. In qualifica perde per tre millesimi dal compagno Webber ed in gara rompe il motore. Deve essere reinterrogato per stabilire se è ancora un pilota sufficiente.

LIUZZI VITANTONIO: 5
Vince il duello con Speed in prova ma lo perde in gara, e di molto. Purtroppo devo dare un voto insufficiente da un italiano. Non voglio accrescere il dispiacere con altre parole

BARRICHELLO RUBENS: 5
Arriva undicesimo e primo dei doppiati. Con l'auto di un grande costruttore come la Honda si dovrebbe fare di più. Se l'auto non è all'altezza la colpa è, come detto più volte, anche dei piloti che non la sanno sviluppare, specie se, come nel caso, la squadra ha tutte le risorse economiche, tecniche d'espreienza per essere al top.

BUTTON JENSON: 4 1/2
Arriva dodicesimo dietro a Barrichello. Per questo ha messo voto in meno. All'insipienza del brasiliano unisce la rassegnazione di un ormai secondo pilota. E pensare che l'anno scorso era lui il primo pilota Honda ed era lui a vincere i Gran Premi (Ungheria docet). Oggi invece perde il confronto. Peccato che la lotta fra i due sia svolga così in basso.

SCHUMACHER RALF: 4
Prende un decimo in prova dal compagno e un giro in gara dal leader. A volte risulta difficile credere alla teoria dell'ereditarietà, considerando che è nato dallo stesso padre e dalla stessa madre di Michael Schumacher. Ora che il grande fratello non è più presente in Formula Uno una management serio dovrebbe eliminare chi vi rimane solo per oscurarne il cognome, soprattutto se per spargere tutto questo grigiore Ralf percepisce un ingaggio degno di un top-driver quale non è e non è mai stato.

ALBERS CHRISTJIAN: 3 1/2
Non credo che la Spyker, vettura comunque originale, sia così scarsa da meritare un'ultima fila in grigli ad un secondo dalla fila davanti e tre dalla prima e un'ultimo posto in gara costante (prima della rottura). Necessita dunque di nuova interrogazione questo pilota.

DAVIDSON ANTHONY: 3
Viene bastonato dal compagno giapponese sia in prova (dove prende 4 decimi) sia in gara, dove arriva dietro di tre posizioni. Come si può dare un voto migliore di un bel 3?

SUTIL ADRIAN: 2 1/2
La gara precedente avevo dato fiducia al debuttante, premiandolo con un buon voto. Ora invece, dato quello che ha combinato in partenza (dopo una qualifica onorevole ma comunque conclusa all'ultimo posto), devo attribuirgli un voto dal due al tre. Speriamo che le prossime gare risolvano l'incertezza in modo positivo.
Quando si parte ultimi, però si potrebbe sfruttare il vantaggio di non avere gente alle spalle assatanata di posizioni per evitare i guai alla prima curva, specie se la gara è lunga e l'auto non così competitiva da permettere di mettersi in mostra con exploit velocistici, ma solo con la consistenza alla distanza. Speriamo il pianista della Formula uno sappia far tesoro anche di questa “stecca” (comunque solo alla seconda apparizione).

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Cuma, Nisan 06, 2007

NEL DI' SESTO D'APRILE

Gentile Madonna Chiara_di_Notte, vorrei provaste a chiedere, nella lingua che preferite, a certe escort che oggi innanzi a voi menano il vanto d'esser aristocratiche e di costituire l'empireo delle accomagnatrici di lusso, se mai hanno ricevuto un regalo pasquale simile a quello che io vo' porgendovi nella lingua volgare cara a Petrarca.

Se fossimo ancora a Natale sotto il presepe direi semplicemente:

"voi state a quell'Ornella

come l'alta madonna

nella candida gonna

sta ad ogni pastorella".

Visto che ormai è pasqua, anzi, è il dì sesto d'Aprile (venerdì santo come il giorno in cui Petrarca incontrò Laura) devo comporre un sonetto.

Con l'occasione la licenza poetica mi permetterà di darvi del Tu.



Schema metrico:
ABBA ABBA CDE CDE


Bella sei Tu come la luna in cielo

Quando la volta[1] lucida di pianto

Mostra le luci del divino incanto

Tutte frementi pel notturno gelo;


Alta sei Tu come il celeste stelo

D'un fior purissimo che fu sì tanto

Caro alle stelle da venir compianto

Pel suo venir[2] terreno; d'un bel velo


Candido Tu se' cinta agli occhi miei

Come d'un sogno che sognare piacque

Persino alle deità del paradiso;


Passino le dimore degli dèi,

Si bevano del Lete[3] tutte l'acque,

Oblìo mai più s'avrà del tuo bel viso.


NOTE:

[1] Volta celeste

[2] divenire

[3] fiume dell’oblio: non nominato da Omero, secondo Virgilio è il fiume che attraversa l'Elisio; chi beve o si immerge nella sua acqua, perde la memoria della sua vita passata e può quindi reincarnarsi in un altro corpo.
In un'altra versione, non c'è il Lete, ma due cipressi bianchi dove sgorgano due fontane: quella dell’Oblio e quella della Memoria. Le acque della prima cancellano il ricordo della vita passata, quelle della seconda rinnovano la memoria delle cose amate.


Schema per la lettura accentuativa (ricordiamo che si ha l'endecasillabo “a minore” quando il primo emistichio è un quinario, e l'endecasillabo “a maiore” quando è un settenario: nel primo caso le sillabe accentate sono 4a-8a-10a, nel secondo 6a e 10a)


Bel-la-sei-Tu-co-me-la-lu-na in- cie-lo (a minore)

Quan-do-la-vol-ta-lu-ci-da-di-pian-to (a maiore)

Mo-stra-le-lu-ci-del-di-vi-no in-can-to (a minore)

Tut-te-fre-men-ti-pel-not-tur-no-ge-lo ;(a minore)


Al-ta-sei-Tu-co-me il-ce-le-ste-ste-lo (a minore)

D'un-fior-pu-ris-si-mo-che-fu-sì-tan-to (a minore)

Ca-ro al-le stel-le-da-ve-nir-com-pian-to (a minore)

Pel-suo-ve-nir-ter-re-no;-d'un-bel-ve-lo (a maiore)


Can-di-do-Tu-se'-cin-ta a-gli oc-chi-mie-i (a maiore)

Co-me-d'un-so-gno-che-so-gna-re-piac-que (a minore)

Per-si-no al-le-dei--del-pa-ra-di-so; (a maiore)


Pas-si-no-le-di-mo-re-de-gli--i (a maiore)

Si-be-va-no-del-Le-te-tut-te-l'ac-que (a maiore)

O-blìo- mai- più -s'a-vrà -del -tuo -bel vi-so. (a maiore)



SALUTI DALLA SUBLIME PORTA

Çarşamba, Nisan 04, 2007

ERAN TRECENTO, ERAN GIOVANI E FORTI, E SONO MORTI

Salı, Nisan 03, 2007

3 Aprile 1999

Era sempre il dì terzo d'Aprile ad anche allora il sole splendeva e l'aria aprica e serena del meriggio mi consolava.

...TO BE CONTINUED

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