La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Perşembe, Şubat 15, 2018

PENSIERO DI SAN VALENTINO


1. DOMANDA AI “MASCHI PLURALI” CHE MI HANNO ROVINATO LA GIORNATA PROPAGANDANDO FEMMINISMO A RADIO ANCH'IO
Se ricorrere al denaro per accompagnarsi a sacerdotesse di Venere Prostituta è così "obsoleto", "maschilista", "patriarcale", allora perché, quando un fanciullo, un ragazzo, un uomo contemporaneo, in questa società così "moderna", "femminista", "plurale", cerca un'alternativa, si trova di fronte, esattamente come ai tempi in cui Ovidio doveva comporre l'Ars Amandi per insegnare agli uomini l'arte della cosiddetta "conquista", esattamente come nel medioevo delle dame e dei cavalieri, esattamente come nel 1850 delle "buone cose di pessimo gusto" e delle donne "non-emancipate", a:

·        il "dovere" di farsi sempre e comunque avanti per primo, con le difficoltà non solo soggettive a vincere la naturale timidezza, ma pure oggettive a dover agire "alla cieca" (senza poter conoscere in anticipo quali tempi, modi e scelte d'azione possano avere gradimento e quindi successo - come si fosse in guerra con l'ordine di attaccare senza conoscer forze e intenzioni del "nemico" -  privi pure - come si fosse ad una partita a poker impari in cui una delle due parti conosce le proprie e le altrui carte, mentre l'altra deve giocare, appunto, "alla cieca" - della possibilità di sapere se si possiedono o meno quelle particolari doti, di atteggiamento o di aspetto, di sentimento o intelletto, pretese dalla controparte per un rapporto, e non apprezzabili nel primo incontro, e, quindi, investiti dall'ingrato dovere di procurarsi un'occasione per renderle sensibili dalla fanciulla da cui si è attratti, la quale invece, nel momento stesso in cui è approcciata, ha perfetta conoscenza di come e quanto è, intensamente, subitaneamente ed a prescindere da tutto il resto, apprezzata, desiderata, voluta, se non altro per la propria bellezza), il rischio di esser guardato con sospetto e fatto sentire uno fra i tanti (un banale scocciatore, un uomo "privo di qualità" o un pezzo di legno davanti a cui permettersi di tutto, uno specchio su cui testare l'avvenenza, o un "molestatore" di cui lamentarsi e su cui sfogare ogni rabbiosa reazione), o, anche quando (sempre più raramente) viene trattato con umanità, di sentirsi un mendicante senza speranza alla "corte dei miracoli" d'amore (non si può certo pretendere il "miracolo" di essere, fra milioni di uomini nel mondo e fra migliaia di pretendenti che ogni anno "insidiano" le "cortesi damigelle", proprio "l'anima gemella" della fanciulla incontrata per puro caso in quel giorno e dal cui “fascino arcano”, con fatale magnetismo, ci sentiamo attratti senza ancora conoscere nulla di lei, come il cavaliere Renato Degrieux nell'aria di apertura della Manon Lescault) e con la sicurezza, quindi, di dover vivere continuamente un susseguirsi di illusione (senza l'idealizzazione non è possibile scegliere donna alcuna come "unica") e delusioni (per via, ancora prima che di una personale "inadeguatezza", di una "legge delle probabilità contrarie" comune a tutti) che, se sperimentata già in giovane età, può avere effetti devastanti sulla psiche e sull'autostima dei futuri uomini, e che nessuna donna (checché se ne dica), se non altro perché non è costretta né da natura né da cultura a farsi sistematicamente avanti per prima (con i relativi rischi e sacrifici e le conseguenti fatiche e sofferenze, degne di quelle campagne militari cui Ovidio paragonava la suddetta Ars) può dire di conoscere per prova diretta;

·        l'ambiguità del "forse che sì forse che no" degno di un contrasto "madonna-messere" di Ciullo d'Alcamo (in cui l'approcciata può giocare sull'indecisione propria e altrui a piacimento, per preciso interesse, diciamo, "economico-sentimentale", così come per gratuito sfoggio di preminenza erotica, per non dire sadico diletto, in cui c'è almeno il 50 percento di probabilità che i dinieghi, lungi dal significare un disinteresse della donna, denotino al contrario la volontà di mettere alla prova l'effettiva realtà ed intensità delle intenzioni dell'uomo, di indurlo a provare, riprovare con nuove sorprese e "rilanci", insistere e resistere a rifiuti finti e a perfidie vere, di vedere insomma quanto egli sia disposto ad offrire e soffrire, non solo per ottenere la "migliore offerta" da lui sotto ogni aspetto, ma per aumentare il proprio "valore" dinnanzi a tutti gli altri, non solo per immotivato "bullismo psichico" nei confronti di un particolare individuo, ma per bisogno di misurare la propria avvenenza o appagare la propria autostima, e in cui un errore in un senso può portare, da qualche anno, alla denuncia per stalking, e da secoli, all'ossessività folle di un Orlando furioso e alla disperata pazzia di un Torquato Tasso, ma un errore nell'altro porta a ricevere l'eterno disprezzo delle donne in quanto "indecisi", "pavidi nel corteggiamento", "pigri", "insicuri", "incapaci di osare"- e tutto quanto davvero potrebbe essere tratto dalla retorica bellicista di una borghesia che dal caldo del proprio comodo e sicuro salotto critichi i soldati al fronte costretti a combattere per essa - e alla conseguenza sistematica di dover confidare i propri "teneri sensi" e i "tristi e cari moti del cor" alle "vaghe stelle dell'Orsa);

·        la "prostituzione psichica" del corteggiamento (in cui, come la più sfortunata delle meretrici nella Londra vittoriana doveva fare delle sole grazie corporali con tutti gli i passanti siamo costretti - se vogliamo avere speranza giocando sui grandi numeri- a mettere sistematicamente in mostra quanto pensiamo sia più apprezzabile della nostra personalità, del nostro studio, del nostro lavoro, del nostro spirito, di ogni aspetto insomma della nostra vita materiale e psicologica, ad ogni occasione di incontro con l'altro sesso, ad offrire di tutto in pensieri, parole ed opere, per la sola speranza, a dare con probabilità uno per ricevere come funzione di variabile aleatoria, in cui, come in una corvée medievale, siamo tenuti a prestare, senza alcun diritto ad una "retribuzione", senza poter accampare diritti, né attendere ricompense di alcun genere, il meglio della nostra opera, non in un contratto libero e razionale in virtù del quale si otterrebbe una contropartita, ma nell'ambito di una "servitù" irrazionale e "feudale" cui siamo tenuti verso le "Donne" in quanto tali, come i vassalli lo erano verso i propri signori, in cui siamo a priori tenuti a "pagare", non solo e non tanto in denaro - comunque necessario secondo certe convenzioni sociali davvero ottocentesche, includenti cene, vacanze, weekend, regali e compagnia - quanto anche e soprattutto in tensioni psicologiche - quando si è comunque sotto esame davanti a colei la quale, posta sul piedistallo dalla naturale bellezza e dal nostro stesso disio, può scegliere in ogni momento se divertirsi con noi o contro di noi - recite - quando si dovrebbe fare la parte dei "gran fighi", dei "grandi uomini di successo" o dei "grandi conquistatori" per apparire desiderabili tramite l'evocazione di tante belle - e immaginarie - donne precedentemente disposte a concedersi a noi, per identificarci tacitamente con un "uomo che non deve chiedere mai" e che quindi deve per forza avere eccezionali qualità di corpo e spirito, per simularci simili a star hollywoodiane e lasciar credere di aggiungersi ad un "club esclusivo" in caso di concessione a noi - dignità - quando si dovrebbe agire da attori per compiacere la vanagloria delle donne recitando sentimentalmente il loro copione, o da giullari per farle divertire magari rendendo ridicoli noi stessi e lasciandoci poi irridere e illudere nel disio);
PUNTO DI DOMANDA?

2. MIA NECESSARIA RISPOSTA
Visto che sono ormai 20 anni che non ricevo risposte precise e sensate da chi si proclama femminista, ho dovuto rispondermi da solo basandomi su quanto le femmine umane fanno a prescindere dai discorsi “politically correct” e su quanto, di conseguenza, si trovano a fare i miei simili.
Poiché, specie in Italia, il "ricercare un rapporto con le donne" implica, in sequenza:
1.     una matta e disperatissima "caccia" (saremmo i primi, credeteci, a rinunziare ben volentieri a questa "visione del corpo della donna come preda", ma l'effetto congiunto delle disparità naturali e della mente delle donne reali, per nulla intenzionata a rinunziarvi, rende il paragone venatorio il solo possibile), tanto virtuale, sui siti d'incontro (dove a qualunque creatura di sesso femminile basta una foto per ricevere 1000 “like”, una battuta per ricevere mille proposte amorose, e la sola presenza per essere al centro dell'attenzione di mille ragazzi, e dove quindi autostima, pretese e sadismo rischiano di raggiungere livelli astrali, con la conseguenza, per tutti gli avventori, di essere cestinati direttamente senza lettura e senza appello, di essere trattati come dei "punching-ball" erotico-sentimentali con allenarsi a fare battute per disprezzare e deridere e a trovare modi per scaricare la controparte umiliandola e facendola sentire un nulla, di essere "presi dallo scaffale" solo per essere irrisi con sarcasmo o illusi con leggerezza ovvero perfidia e poi gettati per una parola, una battuta, un dettaglio di personalità o addirittura senza un motivo), quanto "reale", in certi luoghi di barbari "divertimento" (ove si divertono realmente solo le ragazze, poiché, potendo volteggiare nell’aere mostrando le loro forme, godono, per gli stessi motivi di cui le femministe si lamentano a proposito del "corpo delle donne", del privilegio mentale di sentirsi mirate, disiate ed accettate da tutti, al primo sguardo e a prescindere da tutto per quello che sono - belle, ché quando manca la bellezza supplisce l'illusione del desiderio - nonché spesso anche di quello economico di entrare gratis -quindi sono già appagate nell'autostima senza bisogno di alcuna conoscenza e di alcun rapporto, mentre i ragazzi, i quali sarebbero invece costretti a compiere "cavalleresche imprese" per farsi notare, mostrare particolari virtù per farsi accettare e “fare comunque qualcosa per "star di paro" ed essere accettati socialmente, avrebbero bisogno, per sperare di essere parimenti mirati, disiati ed accettati per quelle doti di sentimento o intelletto in cui la particolare donna nata per apprezzarle potrebbe percepire il fascino di una bellezza non solo corporale, avrebbero bisogno, se non di modi e tempi da romanzo dannunziano, almeno di un minimo di silenzio per poter usare la parola, far sentire il tono della voce, far apprezzare la scelta dei vocaboli, se non ancora delle immagini, delle musiche e delle idee evocate da questi);

2.     una situazione di partenza decisamente impari, tanto quantitativamente (il numero di belle fanciulle disiabili e disponibili è necessariamente di diversi ordini di grandezza minore di quello di garzoncelli e uomini disianti e potenzialmente concorrenti, sia per disparità di desideri - mentre il maschile desidera l'altro sesso con la rapidità del fulmine e l'intensità del tuono per le grazie corporali, ed ogni altra dote, sebbene sicuramente necessaria per un rapporto duraturo, viene colta solo successivamente e comunque, senza il trasporto per la bellezza, non potrebbe da sola mantenere l'attrazione, il femminile in genere pretende mille altre virtù, non tutte fisiche, non tutte evidenti, non tutte oggettive, che moltiplicano il numero di uomini i quali potrebbero a priori concorrere - sia per disparità di comportamenti - mentre un uomo rimane continuamente disiante e bisognoso d'ebbrezza di sensi dall'adolescenza alla vecchiaia, una donna, a parte gli eventuali furori giovanili e le ancora più eventuali trasgressioni adulte, tende, passata la l’età nova, a cedere alla propria naturale monogamia)  quanto qualitativamente (poiché il bisogno di godere della bellezza non appena questa si fa sensibile nelle “grazie ch'è bello tacere” non è, in termini di frequenza, di intensità e di danni psichici in caso di inappagamento, paragonabile nei due sessi, per motivi ormonali prima che culturali e psicanalitici prima che socio-economici, e poiché la forza, la profondità e l'immediatezza con cui nell'uomo, a similitudine di una cascata che irrompe alla calura, di un fiore che sboccia, di un cielo stellato che splende e di quant'altro Lucrezio cantava nel “De Rerum Natura” a proposito della “voluptas cinetica” di Venere Genitrice, non ha corrispettivo nel "razionalismo sentimentale" con il quale una donna può comodamente indagare ogni aspetto fisico e psichico di un uomo, chiedersi cosa di sentimentale, di intellettuale, d’istintuale o di caratteriale le risulta più necessario o gradito e selezionare conseguentemente i pretendenti) e, di conseguenza, socialmente (poiché chiunque anche solo lontanamente assomigli ad una figura in grado di suscitare un sia pur minimo palpito di desiderio è subito circondata da uno stuolo di amici/ammiratori pronti a tutto per un sorriso, poiché anche le fanciulle di bellezza non certo "alta e nova" si possono permettere un comportamento decisamente "altezzoso", o comunque possono avanzare pretese da "miss mondo") con pochissime probabilità di successo;

3.     un approccio problematico (alle difficoltà psicologiche di cui si è parlato prima, a quelle numerico-probabilistiche cui si è accennato or ora, si vanno aggiungendo quelle legali, considerando che, "grazie" alle stesse femministe che difendente, qualunque atto, detto, parola, gesto, regalo o persino sguardo pur non avendo nulla in sé di violento o molesto possa essere considerato tale a posteriori dall'impredicibile e arbitrario “sentire” della donna);

4.     quella maschera di servitù imposta a tutti gli uomini verso tutte le donne chiamata galanteria (per la quale non solo fisicamente, ma pure psicologicamente - è il caso delle battute, delle immagini, degli atteggiamenti sociali definiti scorretti solo perché "offendono" la "soggettività" femminile, mentre tutto quanto lede la diversa ma non inesistente sensibilità maschile, da certe battute con poca comicità e molto disprezzo di genere a certi "diritti a (s)vestirci come ci pare" ovunque e comunque, fino a quanto più avanti definirò come "stronzaggine", viene visto come sciocchezza di cui ridere e per cui deridere o addirittura come prerogativa di cui vantarsi e per cui "lottare" - si dà la precedenza alla “dama”, la quale finisce così troppo spesso per sentire di potersi permettere di tutto senza dover affrontare le conseguenze, come una delle scimmie sacre del templio di Benhares), fior fiore, come diceva giustamente Schopenhauer della stupidità cristiano-germanica e mostruosità della società occidentale di cui tutto l'Oriente ride, come ne avrebbero riso i Greci;

5.     le "forche caudine" del corteggiamento (nelle quali la dama di turno, sfruttando le disparità di numeri, desideri, tempi e modi di cui ho discusso sopra, potrebbe permettersi qualunque irrisione al disio, qualunque umiliazione pubblica e privata, qualunque inflizione di dolore fisico e mentale, di senso di nullità, di inappagamento nel sesso e nella psiche con conseguenze variabili dalla cosiddetta “anoressia sessuale” al suicidio);
sono dai fatti portato a due conclusioni indicibili per voi: le donne-femministe pretendono di mantenere gli antichi privilegi accanto ai moderni diritti, mentre, checché ne diciate voi uomini-plurali, i desideri naturali non sono soggetti ad evoluzione sociale.

3. RISPOSTA ALL'ASCOLTATRICE FEMMINISTA CHE HA INVIATO L'SMS IN TRASMISSIONE
Alla “cara ascoltatrice” che si lamentava, preciso come io non affermi affatto "il desiderio femminile non esistere", ma sostenere essere semplicemente diverso, proprio per il fatto di esistere indipendentemente dalla nostra volontà. Un vecchio adagio (che voi rinnegherete perché “vecchio”, ma che io condivido perché “vero”) recita che gli uomini si innamorano con gli occhi, le donne con le orecchie.
Raramente, infatti, una donna desidera un uomo soltanto per la bellezza e se ne invaghisce al primo sguardo, più facilmente ella vuole prima sondarne il valore per ammirarvi altre virtù, quali la bravura nel creare sogni e illusioni, nel far vivere all'amata "la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude", e non ultime la cultura e l'eloquenza, tutte virtù che si esplicano primieramente attraverso la capacità e l'ordine del dire, senza le qual cose la ragione stessa sarebbe vana.
Per questo ogni uomo d'animo nobile è portato ad essere poeta o scrittore e ogni poeta e scrittore brama eternare la donna in prosa o in rima nella perfezione dell'opera d'arte. Proprio il naturale desiderio dell’uomo nei confronti del corpo della donna ha creato l’arte, mentre il gusto delle donne boccaccesche l’ha affinata e consegnata alla Storia. "Chi è questa che vien c'ogn'om la mira/ che fa tremar di chiaritate l'aere/ e mena seco amor sì che parlare/ null'omo pote ma ciascun sospira" esclama, con Guido Cavalcanti, chi vede la bella signorina. Il privilegio "stilnovista" di essere amate dall'anima nel momento stesso in cui si rendono visibili dovrebbe far capire alle ragazze come il naturale disio dell’uomo per il corpo della donna sia da sempre il motore della Vera arte.
Se la Donna è come un verso, non può e non deve essere apprezzata dalla Ragione, ma deve essere amata dall’anima nell’istante in cui si fa visibile, allora l’Uomo è come la prosa ampia, elegante ed armoniosa del Boccaccio: ha bisogno di tempo e di spazio per esplicare tutto il suo fascino e deve soprattutto comunicare un senso. Una donna potrà apprezzare un uomo dopo averlo conosciuto nel fondo dell’animo, così come si apprezza un romanziere, il suo pensiero e il suo stile, dopo aver letto le sue opere, ma per un Uomo non esiste fiamma d’amore Vero che non scaturisca dalla vista, il più nobile dei sensi, come sosteneva Cavalcanti.
Questo sottende il vecchio adagio.
Se il “desiderio femminile” (ma tu, cara acida spremuta di limone femminista, da come danni e condanni il nostro più profondo desiderio, non mi sembri affatto così “desiderosa” di noi) fosse uguale al nostro, non solo non vi sarebbero nella società tutti quei fenomeni (prostituzione, corpo femminile nella pubblicità, certe disparità socio-economiche) di cui da troppo tempo si va attribuendo la colpa ad una "innata malvagità" maschile (dal mitologico nome di "patriarcato"), non solo, nella letteratura, non esisterebbe l’eterno femminino (figlio di quella funzione eternatrice della poesia grazie alla quale, come nel mito rivelato dal Foscolo nell’ode all’Amica Risanata, le donne amate dai poeti non sono più soggette alla corruzione del tempo e della morte ma divengono eternamente belle ed uguali a sé a similitudine delle divinità e delle creature siderali) e con esso gran parte delle liriche composte in otto secoli, ma non vi sarebbe neppure, in Natura, la selezione sessuale.
Quando dico che l'uomo è naturalmente poligamo e la donna monogama, non lo faccio per giustificare un tradimento coniugale (essendo eternamente contrario al matrimonio, non ne avrei proprio bisogno) o, peggio, degli abusi (perché poi dovrei giustificare io le violenza di altri uomini? con questo principio si dà ragione a Traini che spara ai neri perché uno su mille fra essi ha commesso un delitto orribile), bensì per spiegare la realtà senza prescindere (come pretenderebbe la "sociologia" e la "pseudosessuologia" femministe) dalla biologia (che sola, fra tutte queste, è una scienza).
Già Schopenhauer (forse l'unico filosofo rigoroso fra i tanti affabulatori idealisti dell'Ottocento), due secoli fa, nella Metafisica dell'amore sessuale, lo spiegava molto semplicemente (anticipando tante "ricerche" attuali).
Poiché un uomo, se avesse a disposizione 100 donne, potrebbe generare cento figli in un anno, come il Re Priamo, mentre una donna, anche avendo a disposizione 100 uomini, potrebbe generarne uno solo, la Natura, la quale ha a cuore propagazione e selezione della specie (e se ne infischia delle costruzioni umane di felicità, libertà, uguaglianza) fa sì che il primo sia spinto, con la rapidità del fulmine e l'intensità del tuono, a mirare, seguire e cercare di ottenere la bellezza non appena questa appaia alla sua vista e a tentare di goderne nella vastità multiforme delle creature femminine (ponendo così le basi della propagazione della vita), mentre la seconda sia trasportata dall'opposto-complementare bisogno di sentirsi bella e disiata (per poter attirare quanti più maschi possibile e selezionare fra tutti chi emerge nella competizione sociale o comunque mostra eccellenza nelle doti volute perché qualificanti la specie), agendo così da "selezionatrice di vita" anche quando la sua intenzione non è avere né rapporti né figli (perché non è la mente ma l'istinto a saperlo).
Almeno metà di quanto la prosopopea femminile, femminista e "maschile plurale" chiama "forza femminile" deriva semplicemente da questa disparità di desideri (o, meglio, dall'immediata facilità nel poterla sfruttare in ogni modo tempo e luogo - specie qui ed ora dove ogni compensazione/freno sociale e psicologica viene smantellata sotto il falso nome di “progresso”- senza limiti, remore, né regole, per finalità variabili dal legittimo interesse personale al delirio di onnipotenza rilevabile in tanto in certe tendenze nazifemministe di origine scandinava, quanto in certi atteggiamento stronzi di stampo pelasgico-matriarcale), che è primariamente una disparità di ruoli, fra quello privilegiato e "comodo" di selezione della vita (simboleggiato, come mi disse una mia cara amica biologa, dall’ovulo che se ne può stare fermo e comodo ad attendere, o, con altra metafora, dall’ape regina, che attrae e si fa seguire per poi “scegliere”) e quello ingrato e "faticoso" di propagazione della stessa (ben raffigurato dai “numerosi e sacrificabili” spermatozoi che corrono e competono fra sciagure, affanni e rischi, come dai cervi costretti a scontrarsi ed incornarsi per emergere socialmente ed avere quindi accesso alle femmine ed alla perpetuazione di sé nella prole).
L'altra metà della "forza femminile" viene da quei ruoli naturali (madre, amante, confidente) che nemmeno la più misogina delle società potrebbe cancellare, e all’interno dei quali, a prescindere dall’ordinamento sociale, come notato persino da quell’ingenuo idealista di Rousseau, l’influenza della donna sull’uomo, per tramite di tutto quanto in questi vi sia di più profondo e irrazionale, è molto maggiore di quella inversa.
Parimenti, non sostengo nemmeno che il desiderio maschile si riduca ad un “impellente bisogno”. L'intenso e subitaneo disio per la bellezza non esclude, ma sovente fa seguire, un altrettanto ineludibile bisogno sentimentale. Lo dimostra semplicemente la maggiore percentuale fra noi maschi tanto dei poeti quanto dei suicidi d'amore. Sono le donne a sostenere per comodità e per vanto il contrario (di essere “complicate” e “sentimentali”, quando il loro “enigma” si risolve semplicemente il più delle volte, Nietzsche docet, con la gravidanza ed il loro “sentimentalismo”, di cui San Valentino è l'esempio commerciale, è il contrario, qui docet Leopardi, del sentimento vero, il quale disdegnerebbe di “gettarsi a manate”, “vendersi a staia” e “fare pubblica professione di romanticismo”).
Tutto ciò dovrebbe però condurre la ragione a conclusioni diverse da quelle di cui il superficiale (pseudo)egalitarismo femminista ci sta riempiendo le orecchie da più di un secolo.
Anche almeno la metà infatti di tutto quanto la voce mendace del femminismo chiama “oppressione” o “discriminazione” è conseguenza dello stesso privilegio naturale, o, meglio, dell’equo, umano e necessario tentativo dell’uomo (o, meglio, di quel sesto di uomini custodi del senno mancante agli altri cinque sesti) di bilanciare socialmente (con le costruzioni dell’arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come della società) e individualmente (con lo studio, il lavoro, la posizione sociale, il denaro, la fama, il potere, la cultura) quello che in desiderabilità e potere è dato alle donne per natura dalle disparità di numeri e desideri nell’amore sessuale e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all’esser madri.
Non per opprimere, ché non è l’obiettivo dei savi, ma per non essere troppo oppressi, e soprattutto per avere “pari opportunità” nelle possibilità di scelta e di forza contrattuale in quanto davvero conta innanzi alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale.

4. ULTIMI TENTATIVI PACIFICI E CIVILI DI SPIEGAZIONE ALLE FARNETICAZIONI ACCUSATORIE DI MASCHILE PLURALE PER RADIO
Ogniqualvolta si parli di società, di leggi, di costumi, non ci si deve mai dimenticare il dovere di ragionare ex-summo malo. Poiché non sempre la forza, sia essa quella fisica, sia essa quella psico-sessuale, è usata per scopi nobili o almeno legittimi, le limitazioni e le compensazioni sono indispensabili.
Se nessuno dubita debbano esistere freni all’uso di una forza fisica che potrebbe degenerare in violenza, perché dovrei accettare che il femminismo tolga uno dopo l’altro ogni schema sociale, economico e pure psicologico in grado di fornirmi una possibilità di bilanciamento laddove sarei io, in natura, la parte debole?
Perché “tutto quello che è secondo natura è un bene”, come sosteneva quel coglione di Cicerone? Io ritengo più intelligente il Leopardi disperato amante della nuda verità: la natura ci è matrigna.
Poiché la natura si disinteressa di fini umani quali libertà e felicità, deve provvedervi l’umano consorzio. Il riconoscimento dei bisogni naturali (fra cui l’ebbrezza dei sensi, il godimento della bellezza, l’attrazione fra i sessi) non deve implicare affatto l’accettazione passiva dei disagi e delle privazioni che il loro perseguimento comporterebbe in natura. Come si permette a chi non è bravo personalmente a cacciare o a trovare il cibo, di comprare il pane, si deve permettere a chi non ha grandi doti di seduttore di avvalersi del servizio di sacerdotesse di Venere. Dire il contrario, e pretendere che scelga fra il morire di fame o l’imparare a sedurre la fornaia, significa accettare di farlo vivere eternamente affamato e tiranneggiabile.
Se non mi meraviglia come, essendo proprio questo il fine delle più perfide fra le donne, sia possibile da parte di queste pretendere, a parole, “uguaglianza” in tutti quei campi del “mondo come rappresentazione” da noi costruiti per bilanciare il loro privilegio naturale, proprio mentre continuano (nei fatti della vita, nel “mondo come volontà”) a sfruttarlo senza limiti, regole né remore  (negandone peraltro, tranne qualche lapsus freudiano, l’esistenza e la rilevanza), la stupidità maschile di chi trova modo di sostenere tutto ciò non finisce mai di stupirmi. “Cechitade di discrezione” (incapacità di percepire il pericolo, magari perché non esplicito e di discernere il vero dal falso, magari perché accecati dalla propaganda mediatica e culturale) e “cupidigia di vanagloria” (desiderio di essere lodati dalla società e dalle “Donne” portato all’estremo dell’autolesionismo di genere) non bastano a spiegare quanto è ben più grave dell’esterofilia fustigata da Dante: questi “maschi plurali”, nella foga di denigrare il proprio genere ed accettare acriticamente la narrazione femminista, arrivano a quella che Nietzsche vedeva come forma più grave di falsità, arrivano, cioè, ad “essere superficiali nell’istinto”.
Non c’è altra spiegazione per la loro adesione alla visione di “prostituzione come violenza” e del cliente come “immaturo”. Persino il profondo istinto si mostra, in chi formula tale giudizio, corrotto dalle “idee moderne”.
Se io sono naturalmente, ineludibilmente ed irrefrenabilmente attratto dalle lunghe chiome, dal claro viso, dall’alta figura che bella e lontana la fa mentre la si mira come luna in cielo, dalle membra scolpite come da un divino artefice, dal ventre piatto e levigato, dalla pelle liscia ed indorata come di sabbia baciata dall’onda, dalle chilometriche gambe di modella, e dall’altre grazie che, per dirla con Dante, è “bello tacere”, ed ho profondo e naturale bisogno, tanto nel corpo quanto nella psiche, di sentirmi disiato, ammirato e accettato da chi incarna tale bellezza per qualcosa di altrettanto poeticamente bello, immediatamente percepibile e socialmente luminoso, allora è eternamente giusto, o perlomeno umanamente equo, che io abbia “qualcosa” di parimenti efficace per essere immediatamente ammirato, desiderato da tutte e accettato socialmente come le fanciulle lo sono per le loro grazie, a prescindere dalle eventuali doti di sentimento o intelletto di apprezzamento soggettivo ed arbitrario (e perciò inadatte ad essere “moneta” in quell’asta delle offerte per la più bella a cui, dietro le mentite spoglie del cosiddetto “romanticismo”, si riduce ogni corteggiamento non velleitario).
Ogni società storica (quelle preistoriche matriarcali erano secondo me invivibili peggio dell’età scolare, quelle naturali sono spesso disumane: accettereste che qualcuno venisse lasciato morire di fame per rafforzare la specie?) ha avuto “qualcosa” di altrettanto intersoggettivamente valido ed immediatamente riconoscibile per bilanciare la bellezza e dare così anche agli uomini le stesse possibilità femminili di vivere liberi e felici nella realtà del “mondo come volontà” (al di là dell’apparenza del “mondo come rappresentazione”). Le società migliori avevano la Conoscenza, società meno perfette avevano la Virtù guerriera e cavalleresca, la società attuale ha il denaro.
Il culto di Venere Prostituta è di fatto un ambiente “controllato” e soprattutto codificato in cui, con il consenso libero (il che non vuol dire non motivato) delle fanciulle coinvolte come sacerdotesse, anche un uomo normale può (pur non essendo ricco come uno speculatore di borsa) usare il denaro per bilanciare le disparità naturali ed appagare così, anche se solo in maniera recitata, il proprio bisogno di bellezza e piacere dei sensi come delle idee in modo qualitativamente e quantitativamente sufficiente a non farlo deperire nella psiche (sentimentalmente rimarrà inappagato, ma sarà comunque meglio la solitudine rispetto alla frustrazione sempiterna d’ogni disio).
Certo non è un bene in assoluto (bene sarebbe essere apprezzati per il “cor gentile”). E’ solo il male minore (comunque meglio di quanto capiterebbe corteggiando, e meglio anche per il sesso femminile, che vede così ridursi il numero degli approcci maldestri e dei finti innamorati costretti a simulare interesse sentimentale solo per poter appagare il subitaneo bisogno di sesso dionisiaco). Quale alternativa mi offrono però i “maschi plurali” e le donne che fiancheggiano? Il corteggiamento? Facebook? O recitare a memoria argomentazioni antimaschili sperando che una femminista commossa (implorando il cielo non sia una racchia) si conceda per gratitudine? O votare una candidata donna nella speranza che la Madonna di turno mantenga la promessa del pompino? O fare “l'uomo di casa” sperando di ottenere, senza privilegi di bellezza, denaro e potere, quella desiderabilità-per-utilità che nemmeno donne giovani e belle, da casalinghe, hanno mai ottenuto ma, semmai perduto?
Non mi possono venire a raccontare che l’assenza di alternative, il “timore” di corteggiare, dipendano da certe mie mancanze di “empatia” o di “maturità”. Sarebbe come incolpare un neolaureato in cerca di lavoro di non essere abbastanza preparato e intelligente per avere “pari forza contrattuale” con le multinazionali presso cui aspira a lavorare. Le disparità naturali, in quanto tali, sono ancora più profonde di quelle generate anche dalle più inique costruzioni umane (persino nel caso dell’inumano turbocapitalismo).
Immaturo è forse chi crede ancora di poter conquistar donzelle soltanto con piccoli doni votivi, versi melodiosi e rime delicate e languide, come si faceva con le dee dell’antichità (infanzia dell’uomo) o semplicemente confidando “tristi e cari moti del cor” e “ricordanze acerbe” come Leopardi faceva con Nerina e come quasi tutto l’ottocento idealista pensava. Immaturo è forse chi crede ancora alle condizioni “paritarie” di vita fra maschi e femmine raccontate dai cartoni animati che guardavamo alle elementari.
Chi matura capisce come colei per il quale l’uomo, di fatto, è “solo un mezzo il cui fine è il bambino” (e così DEVE essere per il bene della discendenza) non potrà mai essere conquistata soltanto “cum parole” ma vorrà qualcosa di tangibile, di utile a garantire una sicura e felice vita alla prole (ed ahimè, nulla, oggi, copre questo ruolo meglio del denaro). Chi matura comprende come giusto nei manga si può far finta che ragazzi e ragazze siano uguali, e se non se ne rende conto sono le coetanee a farglielo capire, quando dall’età dei giochi si passa a quella delle richieste di uscita e dei “siete voi a dovervela meritare”, “siete voi a dover soffrire”.
Un uomo maturo va a puttane proprio perché non crede più alle favole, non guarda più i cartoni animati. E non ne vuole sapere di dare ad eventuali stronze l’occasione di ferirlo o tiranneggiarlo.
Il “fare la stronza”, infatti (ossia suscitare ad arte il disio solo per compiacersi della sua negazione e di come questa, resa massimamente beffarda, dolorosa e umiliante da una studiata e raffinata perfidia, possa gettare nell'inferno della delusione dopo le promesse del paradiso della concessione; attirare direttamente o indirettamente chi non si è affatto interessate a conoscere bensì soltanto a respingere, deridere intimamente o pubblicamente facendolo sentire uno fra i tanti, un banale scocciatore; mostrare le proprie forme fra vesti discinte solo per porsi su un piedistallo di irraggiungibilità, per generare frustrazione negli astanti, per farli sentire nullità di fronte ad una bellezza non compensabile, per maltrattarli se tentano un qualunque approccio; usare sguardi, movenze, e svestimenti per indurre a farsi avanti chi si vuole soltanto disprezzare, rendere ridicolo a se stesso e agli altri, ferire nell'intimo e irridere nel disio in maniera traumatica e indelebile, trattare da molesto e far sentire privo di qualità come uno straccio da gettare; sfruttare le debolezze erotico-sentimentali per infliggere dolore fisico e mentale, per provocare disagi da sessuali ad esistenziali, per realizzare sbranamento economico-sentimentali o comunque psicologici; usare insomma l'arma della bellezza per ingannare, irridere, ferire, umiliare, come e peggio di quanto un bullo farebbe della forza fisica verso un ragazzo più debole) è ormai nell'occidente femminista divenuto comune tanto sui luoghi di lavoro quanto in quelli di divertimento, tanto nei rapporti più fugaci e occasionali quanto in quelli più lunghi e sentimentali.
Non abbiamo affatto “paura” della libertà delle donne, come voi affabulate, ma ragionevole timore che le femministe (per fortuna non lo sono tutte le donne) mirino a comprimere ed annullare la nostra. Vi fo subito qualche esempio:
Se, per vivere il mio sogno estetico completo non avessi le professioniste, dovrei:
·        adeguarmi alla moda nel vestirmi, nel parlare (e quindi nel pensare), nello scegliere i luoghi di divertimento, persino nello scegliere l’auto: dovrei, insomma, adattarmi a quanto mi darebbe più probabilità di essere visto come “figo” secondo i canoni in vigore (a prescindere dal fatto di condividerli), perché solo così la fanciulla casualmente incontrata (di cui a priori non so nulla e che devo dunque modellare secondo una statistica) sarebbe con maggiore probabilità attratta da uno sconosciuto come me – con tanti saluti alla libertà di stile e di pensiero;
·        spendere tutte le energie mentali e tutto il tempo libero per studiare, pianificare ed attuare “strategie” di “conquista” di questa o di quella fanciulla (spiare profili facebook e foto istagram per individuare cosa desideri dalla vita e dagli uomini e sorprenderla positivamente, inventare continuamente sorprese più o meno galanti e stratagemmi per mettermi in mostra socialmente e culturalmente, escogitare piani per apparire sempre la “miglior scelta” i tremilaseicento corteggiatori annuali ecc.), altro che autenticità ed empatia;
·        dovrei davvero vedere come “preda” qualunque donna un minimo desiderabile passi per strada o incontri sul lavoro (non una visione “degradante” della donna, ma la legge dei grandi numeri lo imporrebbero), con tanti saluti alla possibilità di provare empatia per amiche e colleghe (le quali sarebbero solo e soltanto la controparte nemica di quella guerra chiamata ars amandi);
·        adeguarmi a quanto un’eventuale corteggiata volesse fare nei weekend, nelle sere, nei minuti liberi dal lavoro, con tanti saluti alla vita privata e a quanto mi rende interessante, emozionante, vivibile, l’esistenza stessa (le mie letture, le mie solitudini, le mie montagne, le mie corse automobilistiche);
·        adeguarmi alla vita che un’eventuale fidanzata (per mostro e miracolo conquistata), potendo contare sulle lungamente spiegate disparità di desideri e di psiche (nonché la minaccia di farmi tornare alla condizione di “sfigato”), finirebbe per impormi, con tanti saluti alla “libertà di andare dove voglio”.
Ed anche se tutto ciò non fosse vero, perché non posso avere la libertà di rimanere libero?
Perché non devo più poter pensare di non unirmi a nessuna e di poter continuare ad avere una vita di cui io stesso sia l’unico fine (non i figli, la coppia, la patria da non far deperire demograficamente), senza per questo rinunciare ad avere rapporti amorosi con frequenza e soddisfazione estetica (se non possibile quella sentimentale)?

5. L'INEVITABILE DICHIARAZIONE DI GUERRA AL FEMMINISMO E LA DICHIARAZIONE DEI MASCHI PLURALI COME TRADITORI DEL GENERE MASCHILE
A negare questo arriva l’occidente dei diritti universali?
Beh, se tutto quanto ho sopra elencato non è più "accettato", se tutto questo è obsoleto, maschilista, patriarcale, allora, sinceramente, aveva ragione Rousseau a vedere il progresso come negativo, avevano ragione gli oppositori del femminismo (da Catone a Schopenhauer), nel vedere nell’emancipazione delle donne un’inaccettabile minaccia di tirannia verso gli uomini, avevano ragione i Romani a fondare, nelle leggi, nei fatti e nei principi etici e spirituali, la famiglia e lo stato sul padre e non sulla madre.
Non era quello che pensavo fino a qualche anno fa, ma quest’ultima deriva mi costringe a pensarla così. La libertà del culto di Venere Prostituta era la linea del Piave. Fino a quando avevo la possibilità di vivere libero come un lupo solitario senza per questo cacciato come predatore, allora, pur non condividendo in teoria certi aspetti del femminismo, potevo riconoscerne tranquillamente tutti i “diritti” e le “libertà”. Facessero le donne quanto volessero, io restavo sempre altrettanto libero di non avervi a che fare. Ma se mi impedite l’accesso al culto di Venere Prostituta, allora divento costretto ad interagire con donne che, al di là magari dell’aspetto fisico, non amo, non condivido e con cui non voglio condividere né la vita né la psiche né il sentimento. Sono disposto a pagarne qualcuna perché reciti il mio sogno estetico completo, ma non a recitare io gratis per loro (come sarebbe il corteggiamento) o ad adeguare ai loro fini la mia vita (come sarebbe nel matrimonio, viste anche le leggi a senso unico sul divorzio). Con la prostituzione ancora libera e consenziente è possibile accordare anche chi non condivide nulla del mondo sedicente moderno con le donne moderne. Senza, è necessariamente la guerra fra me e loro, fra me e voi. Oggi state passando la linea del Piave: leggi femministe come quelle francese, svedese o norvegese sono come la testa di ponte austriaca di Nervesa. Suscitano e susciteranno da parte mia e dei miei simili la più ferma reazione, la più decisa replica a suon di cannonate, bombe a mano, e mitragliate. Usiamo pure paragoni bellici. Perché usiamo il nostro corpo come in guerra avete chiesto? Perché le donne per prime hanno reso, da sempre, una guerra l’ars amandi (come ho spiegato all’inizio). Perché il femminismo, fiancheggiato da voi, ha dichiarato guerra alla mia libertà personale ed al mio desiderio sessuale, chiamandoli violenza anche dove c’è consenso e disprezzo anche dove c’è apprezzamento. Questa è una guerra che non conoscerà rese. Avete commesso un errore a tentare di mettere il naso in quel punto oltre le nostre linee. Di qui non si passa. “O il Piave o tutti accoppati”.
“Un mondo libero dalla prostituzione” volete? Anche quando le ragazze hanno lo stesso grado di libero arbitrio con cui chi per bisogno o brama di denaro commette reati non è certo assolto per “cause di forza maggiore”? Con la scusa della “mercificazione” in un mondo persino l’arte e la letteratura sono ormai solo “mercato”, in cui si mettono in vetrina vite e sentimenti su facebook, in cui si è costretti a far mercato della parte più “nobile” di sé (studio, pensiero, preparazione, frutto del periodi più intimo e sofferto della giovinezza) e, se non si è bravi a farne marketing, si resta disoccupati, mentre se ci si rifiuta di svendersi si viene tacciati di essere “ciusi”?
Supponiamo per assurdo che ceda a queste motivazioni.
Dovrei allora accettare che:

·        una qualunque collega mi faccia psicologicamente e di fatto anche materialmente ri-precipitare nel periodo scolare, ove in qualunque momento potevo essere sgridato per qualunque motivo da donne, a cui spettava a capriccio la definizione di bene e male e che se la potevano avere a male per ogni mia battuta da fanciullo (e quindi ancora necessariamente innocente), come peraltro voi stessi auspicate dicendo che “se ci fossero molte più donne in questi ambienti lavorativi ci sarebbe più controllo rispetto a questi comportamenti scorretti”;
·        le regole stesse del “sessualmente corretto” mi rendano condannato a vita a quella sottospecie di “stato di natura” che è l’età scolare, allorquando, mentre sulle coetanee già fiorisce la bellezza,  non avendo ancora avuto tempo e modo di acquisire poteri e ricchezze, o comunque altre doti immediatamente evidenti e oggettivamente valide, per compensarla sulla bilancia dei desideri reciproci, il fanciullo viene trattato sistematicamente come un pupazzo da sollevare nell'illusione e gettare nella delusione, un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto, uno specchio per provare l'avvenenza senza cura degli effetti psicosessuali sull'animo altrui, e, anche in caso di successo, un "piccolo uomo episodico" da gettar via in ogni momento, privo di qualunque possibilità di star davvero di paro alla "bella";
         una qualunque ragazza, più o meno bella, più o meno colta, più o meno intelligente, più o meno ricca (come inevitabilmente avviene in occidente in conseguenza della sopravvalutazione estetico-filosofica della figura femminile operata da un femminismo che altro non fa se non proseguire con altri mezzi ideologici la stupidità cavalleresca dell'alto medioevo) possa fare sentire me (che magari potrei pure considerarmi di livello estetico, intellettivo e di estrazione socioculturale pari o superiore) uno “sfigato” trattandomi con malcelata sufficienza, o addirittura con aperto disprezzo e con pubblica irrisione solo perché non corrispondo ad assurde pretese da rotocalco, ho timidamente tentato un approccio o ho ingenuamente cercato di carpirne i favori in maniera a posteriori non corrispondente agli inconoscibili gusti ed agli imperscrutabili fini dell'interessata;
         una fidanzata possa convincermi, indurmi o costringermi a fare qualcosa che odio o che mi degrada (montare mobili, fare shopping noioso, girare per l’Ikea nel w/e) o a vivere la vita diversamente da come vorrei con la esplicita o malcelata minaccia di lasciarmi, la quale, da legittima che è in ogni stato liberale, diventerebbe invece totalitaria, terribile e paralizzante se, come vorrebbero gli stati femministi, non fosse possibile per noi “garzoncelli”, in alternativa al fidanzamento, rivolgersi alle sacerdotesse di Venere prostituta per appagare i loro bisogni di bellezza e piacere;
         una moglie mi dica cosa fare, gli imponga di fare, o induca a fare (o non fare) qualcosa, grazie semplicemente alla aperta o tacita minaccia di privarlo dell'appagamento dei bisogni naturali legati ai sensi (tale minaccia, pur sempre esistita nella storia, diviene vera fonte di tirannia nel matrimonio femminista, il quale impone l'obbligo di fedeltà senza vincolarlo a quanto un tempo erano allusoriamente detti “doveri coniugali”, con le conseguenze immaginabili per il sesso più bisognoso di appagare i sensi carnalmente)
         una qualunque società mi obblighi indirettamente a far miei pensieri, opinioni e visioni del mondo difformi dal mio sé autentico, ad adottare stili di vita non amati, a prendere scelte di lavoro o di studio non pienamente conformi alla mia speranza di felicità e di libertà solo e soltanto per avere una speranza di essere mirato, amato e accettato dalle società femminil-femminista e dalle donne, o solo e soltanto per aumentare, con il numero delle persone con cui venire in amichevolmente contatto, la probabilità di incontrare una fanciulla desiderabile di cui essere oggetto di scelta (la quale diviene unilaterale e imprevedibile, come ogni arbitrio ed ogni tirannia, quando non viene compensata e frenata dalle strutture e dalle posizioni sociali con forme che la demagogia femminista chiamerebbe superficialmente “discriminazioni” - come appunto la possibilità per un ragazzo capace e meritevole nello studio di accedere a posizioni di ricchezza e prestigio superiori a quelle mediamente possedute dalle fanciulle desiderabili - ma che hanno il solo scopo di rendere bilaterale la scelta e bilanciato il potere).
ALTRO PUNTO DI DOMANDA?
No, grazie, questa non è vita.
Dovrei accettare che in qualunque luogo di divertimento la prima fanciulla carina mi usi come specchio per provare la sua avvenenza.
Dovrei lavorare pensando che le colleghe brutte siano l'unica possibilità per me che non sono né tronista né calciatore e che le belle esistano solo per farsi irraggiungibili e generare frustrazione, compiacendosi di come mi sia impossibile bilanciare in qualche modo il loro privilegio naturale. Allora sì che diventerei misogino.
Dovrei passare le pause pranzo a sbavare dinnanzi alle signore e signorine più o meno vestite che passeggiano, a causa dell’astinenza e del “diritto” a “mostrare quello che ci pare nel modo che ci pare quando andiamo in giro”.
Dovrei farmi avanti con la prima che passa con nessuna realistica possibilità di successo e con qualche probabilità che, con la moda del “me too”, mi metta alla gogna mediatica come “molestatore”.
Dovrei riuscire nell'impresa di auto-suscitarmi interesse per donne di bellezza da rosa sfiorita e di carattere da gramigne crescenti per mancanza di alternative. E magari sopportarne pure la tirannica vanità da primedonne teatrali e la vanagloriosa prepotenza da residuato matriarcale ammodernato.
Dovrei essere usato come “segnaposto” durante il corteggiamento e da montatore di mobili ikea durante il fidanzamento (solo due delle perfidie del decalogo pubblicato con orgoglio da quelle stesse donne che raccontate come “empatiche” ed “evolute”).
Dovrei vedere le modelle, le grid-girls ed ogni altra bellezza tanto alta e nova da essere fino ad oggi incontrata solo nei teleschermi e sognata di notte sotto le stelle scorrenti del cielo pregando la luce incantata della luna di mostrare forme altrimenti sconosciute agli umani, come altrettanti motivi di suicidio nella speranza che, con una reincarnazione, possa avere fama, denari, potere politico-finanziario o gloria sportiva per essere al posto di certi soggetti da gossip (dato che in questa vita di studioso, ingegnere e benestante dalla mediocritas non abbastanza aurea, mi si vieterebbe pure di vivere, semel in anno, l'incontro a pagamento con una fanciulla di simile irraggiungibile bellezza disposta almeno a recitare da amante per una notte in cambio dei risparmi di un anno).
Dovrei rivivere per sempre la condizione liceale e post-liceale, quando nessuno studio, nessun impegno, nessun successo servivano a farmi uscire dalla disperata situazione in cui persino coetanee di bellezza men che mediocre e di intelletto non certo vivissimo mi trattavano come l'ultima delle possibilità erotico-sentimentali, in cui compagne di classe belle, simpatiche e disponibili alla compagnia parevano esistere solo nei film americani, in cui si doveva invidiare qualunque coetaneo fosse fidanzato, finanche con uno scorfano (“perché intanto voi vi fate le seghe”), in cui tutte le volte cui si chiedeva di uscire ad una ragazza sembrava di dover  domandare la raccomandazione in un ministero (trafile di amici che dovevano passare contatti fidati, attese bibliche, risposte interlocutorie o seccate o scandalizzate delle interessate come quelle di alti funzionari che fingono disinteresse per aumentare la tangente, che hanno altro cui pensare, che sono insofferenti ad occuparsi di miseri cittadini di serie b), in cui gli “incontri” fra compagni ed ex-compagni di classe per “vincere la solitudine con il dialogo” ed i consigli su come “diventare amici delle donne per capirle e non usarle come oggetti” (come raccontate per radio) serviva solo a farci sentire più sfigati ed a cancellare ogni residui di quell'autostima, di quella determinazione, di quell'autonomia di giudizio e azione senza cui non si appare interessanti e desiderabili, ma patologici e patetici.
Sono già esistito abbastanza, in un passato che non avrei voluto rievocare (e da cui sono uscito proprio grazie alle sante, santissime puttane) in questo tipo di non-vita. Solo quando, grazie all'alternativa a pagamento, ho potuto cessare di essere un mendicante d'amore, ho acquisito, se non completa autostima, almeno sufficiente rispetto da parte del sesso opposto. Solo quando, avendo a disposizione le sacerdotesse di Venere per i bisogni naturali di bellezza, ho potuto dialogare con sincerità ed empatia con le altre di bisogni sentimentali. Non voglio tornare indietro per colpa vostra.
La deriva femminista è contraria ai miei interessi vitali, quindi voi siete nemici, anzi, traditori. Ci vedremo a Filippi!

6. LA MIA PROPAGANDA DI GUERRA SARA' PIU' FORTE DELLA VOSTRA
E se guerra dev'essere, sono capace anch'io di produrre propaganda di guerra, e con una mitologia anche più solida della vostra.
Dovreste studiare di più prima di attribuire al “patriarcato” i difetti di una società otto-novecentesca. Il principio della “vita spirituale ed ascendente data dal padre” (cui si accedeva spesso per prova e rito iniziatico da parte di una ristretta cerchia di aristocratici), percepita come “vera vita”, contrapposta “all’esistenza puramente corporale e conservativa” data dalla madre (e comune a tutti gli uomini indistintamente, anche plebei”) da cui la parola nasce  (tale concezione virile e guerriera non poteva ovviamente non prediligere il sesso che, già come spermatozoo, fa coincidere vita e vittoria) è stata di fatto abbandonata da duemila anni, ai tempi della sovversione dei valori operata dal cristianesimo, e giunta oggi, tramite i nefasti effetti delle “idee moderne” ben rilevati da Nietzsche nell’Anticristiano, a produrre gli “ultimi uomini” che “ammiccano” e saltellano credendo di aver compreso il senso di una terra divenuta troppo piccola (ma sono diventati semplicemente, come un gregge di pecore, incapaci di comprendere o anche solo riconoscere la grandezza)
Soprattutto, voi e le vostre padroncine dovreste sciacquarvi la bocca prima di parlare (anzi, abbaiare) di “patriarcato”. Quei valori virili e aristocratici grazie ai quali i grandi popoli indoeuropei fondatori di città e civiltà (la Grecia Omerica, la Roma Repubblicana, l'India dei Veda, la Persia Iranica, la Germania Sacra e Imperiale), nell'atto di far passare l'umanità dalla preistoria alla storia,  dalle società matriarcali senza classi (nel cui piattume nulla poteva sorgere di capace di valore, significato e bellezza, per colpa proprio della grande "matrice cosmica" da cui ogni individuo dirama e a cui ogni individuo ritorna dopo un'esistenza effimera) a quell'opera d'arte dotata di forma (e quindi di valore, significato, bellezza) e chiamata civiltà, dal tutto indifferenziato dell'umano primordiale alle differenziazioni qualitative propriamente storiche (famiglie, caste, razze, popoli), di ordinare insomma il kaos in kosmos con quell'atto arbitrario e quindi creatore proprio dello scalpello di un artefice (il quale decide quale forma dare al marmo informe, cosa essa debba comprendere e cosa debba viceversa essere ridotto in trucioli), hanno generato opere di grandezza, potenza e durata degne degli dèi (quali noi possiamo leggere nell'Iliade, nell'Eneide, nella Baghavad Gita, nei poemi persiani, nell'Edda, nel Beowulf), hanno compiuto imprese. per forza, coraggio, e splendore “più che umane” e tali da costituire il mito fondativo di intere epoche, hanno concepito mirabili strutture dell'arte come della religione, del pensiero come della società, della politica come della storia, pensate per misurare i millenni e non essere raggiunte dai contemporanei nè superate dai posteri,
Da un punto di vista comunitario-anagogico, infatti, la concezione virile permette di porre la fonte di ogni valore (e quindi di ogni diritto) non in quanto accumuna gli uomini nel bassamente umano dell'esser nati da una madre, del contentarsi di piacere e innocenza, del ricercare un tranquillo e pacifico benessere materiale e morale da bestiame bovino, ma in ciò che li distingue fra loro e li eleva al più che umano del considerare come vera vita quella nascente dalla formazione virile alla lotta, alla vittoria, al compimento di imprese di coraggio e splendore più che umani e tali da fondare città e civiltà, del volere ad ogni costo il nobile, il bello, il grande, l'eroico (nel senso che possiamo ancora oggi comprendere leggendo quegli stessi Antichi che le professoresse fanno studiare senza aver compreso esse per prime – altrimenti non potrebbero contemporaneamente condividere il femminismo), del ricercare quanto, proprio per l'essere più difficile, duro, periglioso, selettivo, mortale, necessitante di abnegazione, doti, impegno, freddezza, abilità e coraggio, ha più valore, e quindi è il principale modo culturale per "orientare verso l'alto" una civiltà.
Nei fatti, sono state le civiltà fondate su valori virili e aristocratici (nel senso etimologico e originario indoeuropeo di potere dei migliori, non già dei privilegiati di Versailles), quali quelle sopra citate cui aggiungerei, da nietzscheano, il Rinascimento Latino (unico periodo in cui, nonostante il cristianesimo, l’europeo è stato capace di rimettersi al centro dell’universo, di chiamare il proprio peggio come proprio meglio, di divenire ciò che è, di usare l’egoismo come generatore di bellezze, significati e valori, in una parola, di grande politica, di dire insomma sì alla vita ascendente, il cui concetto di divinità presuppone l’uccisione di quel dio che pretende di essere unico e non solo impedisce la nascita dei superuomini, ma fa pure restare l’uomo ancorato a quanto dato in partenza dalla presunta “creazione”, parente dell’uguaglianza nella specie e nemica di ogni pro-gettarsi nella storia), a far passare l'umanità dalla preistoria alla storia, dalle caverne ai palazzi rinascimentali, dalle pitture rupestri al cenacolo, dagli oggetti di pietra alle mirabilie tecnologiche, dal ricercare cibo al poterlo produrre, dall'essere determinati dall'ambiente al poter determinarlo assieme alla propria stessa natura e al proprio destino. Le civiltà più o meno basate sull'egalitarismo e la collaborazione, come le tanto decantate matriarchie senza classi, o sono rimaste fuori dalla storia, incapaci nel loro piattume di far sorgere valori, bellezze e significati, o si sono rivelate storicamente recessive, come nel caso degli Etruschi, persino quando avrebbero avuto tutti gli strumenti tecnologici per emergere. “Gli uomini da soli producono solo patriarcato e violenza”? Certo, nella misura in cui la nostra violenza si può a buon diritto chiamare civiltà ascendente, e la vostra (finta) non-violenza civilizzazione decadente. Quando il mondo indoeuropeo era patriarcale, eravamo, come ci ricorda il Virgilio dell’Eneide, “un popolo nato a regnare, in guerra invincibile” capace, con uno Scipione non solo retorica da inno nazionale, di attraversare il mare “a distrugger la Libia”. Ora, dopo due millenni di sovversione cristiana, due secoli di rivoluzione giacobina, due decenni di demagogia femminista, siamo un popolo di mostriciattoli europei drogati di idee moderne (vale a dire idee false), anestetizzati dalle cultura politicamente corretta e condannati all’estinzione, che dalla Libia viene invaso e dagli africano sostituito per volere di una finanza senza patria con sede in USA. E voi presentate i bei valori “pacifici”, “femminei”, “plurali” che hanno, se non causato, se non permesso, almeno accompagnato e celebrato, tutto questo, come “progresso”?
Né il susseguirsi delle idee, né l’accrescersi della conoscenza scientifica garantiscono il “procedere verso l’alto” dell’uomo in quanto tale. L’uomo moderno non è affatto “superiore” a quello del rinascimento solo perché successivo e circondato da una crescente presenza di mirabilie tecnologiche. Il progresso scientifico è avvenuto nonostante (e non “grazie a”) il “progressismo” sociale giacobino, socialista e femminista, ha origine nella volontà di potenza degli scienziati (peccato di “libido sciendi” direbbe il medioevo) e nell’amore apollineo per la chiarezza (radicato nell’antica cultura greco-romana e sopravvissuto al cristianesimo) ed è stato opera di moderni ingegneri, e non di moderni professori di lettere, filosofia (o ad “emancipate” stronzette giornaliste, intellettuali e femministe). Se vediamo le forme possenti del David michelangiolesco (emblema delle possibilità umane) come “più belle” dell’informe statuaria attuale divenuta semplice mercato e “fondo di investimento sulla scultura”, se sentiamo la musicalità dei versi del Poliziano come più vicina al paradiso (nulla al mondo è più soave di un paradiso pagano narrato da un cristiano, ci ricordava D’Annunzio) rispetto alle infernali musiche delle feste di oggi, se pensiamo i dialoghi sull’Amor Platonico del Bembo come giardini di parole e idee ben più ricche, interessanti, complesse ed elevate di quanto si possa oggi trovare tra le miriadi di blog sentimentali, romanzi sentimentali e trattati sentimentali, se miriamo nella chiusa perfezione dei sonetti petrarcheschi, nell’aperta fantasia delle ottave ariostesche, nella languida malinconia delle rime del Tasso una poesia senza corrispettivo né nell’incolto messaggiare “amoroso” dei contemporanei, né nello snobistico astrattismo degli ultimi poeti di professione, se ammiriamo nel genio di un Leonardo qualcosa di ineguagliabile da parte della più “evoluta” delle università attuali così ricche di docenti e studenti che si riempiono la bocca di “interdisciplinarietà” e di “pensiero creativo”, se riconosciamo nella vasta cultura di un qualunque disconosciuto (oggi) umanista fiorentino del 400 (ad esempio, Nicolò Niccoli, tanto dotto da fungere da wikipedia ante-litteram per la generazione dei Poggio Bracciolini, dei Lorenzo Valla, dei Leonardo Bruni e da non scrivere nulla per non rischiare lasciare ai posteri qualcosa di non totalmente all’altezza della propria sapienza) una sapienza più profonda e, non solo quantitativamente, ricca di quanto non si possa trovare mettendo assieme tutti i docenti e tutti i database di tutte le università moderne, se riconosciamo che il Galateo di Baldassar Castiglioni racconta un modo di stare in società ben più civile ed educato di quanto non si faccia oggi nel mondo così politicamente corretto dell’anglosfera, se ci rendiamo conto di come il Principe del Machiavelli abbia descritto molto meglio la politica di come la raccontino oggi i commentatori a libro paga dei monopoli mediatici mondiali (pronti a spiegare rivoluzioni, guerre e rapine con termini quali “diritti umani”, “esportazioni di democrazia”, “adeguamento dei conti”), e come la Repubblica di Platone abbia delineato un modello ideale di stato assai più auspicabile delle distopie contemporanee (ivi compreso il “sogno femminsta-progressista”), se, insomma riconosciamo che il vertice della civiltà è stato raggiunto, nell’arte, nella musica, nella poesia, nell’intuizione ingegneristica, nella cultura, nei costumi, nella politica, nel linguaggio, nella poesia, nell’arte, nella letteratura, nella filosofia, dalla Grecia, da Roma, dal Rinascimento Italiano, allora sono i valori fondati e perseguiti da quel tipo di mondo, gli archetipi incarnati da chi ha generato quel mondo e tutto quanto segue dai giudizi di valore in auge nelle fasi ascendenti quelle civiltà, il “progresso” da perseguire (conformemente ad una visione complessivamente sferica e non banalmente lineare del tempo storico), il modello da tenere come meta per il futuro (che non è una mera ripetizione del passato come crede chi confonde sfera e cerchio), non certo gli opposti disvalori moderni. E quel mondo, ovvero il mondo indoeuropeo, alle origini, aveva mete e modelli opposti a quelli che ci vengono insegnati oggi come “politicamente corretti”. Aveva, soprattutto, educatori di sesso opposto rispetto a quanto si predica oggi (nella Grecia persino alle madri era negato partecipare all’educazione dei figli). Per dirla con Nietzsche, “aveva dei maschi come presupposto.”
Nelle chiacchiere da salotto politicamente corretto, il femminismo ha sempre tautologicamente ragione perché idee e parole sono tastate inventate o trasvalutate dall’educazione femminista, dalla “cultura democratica”, dalla martellante propaganda “femmineo-democratica” (che ormai ha sostituito la dialettica con la semplice accusa di “maschilismo” per eliminare qualunque idea e qualunque parola – a volte pure qualunque persona come nel caso di licenziamenti “eccellenti” per “scandali” - non conforme senza bisogno di argomentare nel merito come avrebbero fatto gli “illuministi” di un tempo). Alla prova della storia, il femminismo è sbagliato. Quindi i giudizi di valore (“il femminile è positivo, il maschile lasciato da solo è negativo”) sono da rovesciare, le equazioni (tipo “pace=bene”, “progresso=miglioramento”, “donne=umanità evoluta”) da cancellare!
Nessuna considerazione “etica” può giustificare l’ideologia femminista. Sono le idee morali e le visioni etica a dover servire ed accrescere la vita, non viceversa. E poiché il sentire femmineo non solo fa vivere male i singoli uomini, ma minaccia l’esistenza stessa degli Europei come insieme di stirpi storiche, va mandato, per dirla con il professore di Basilea, “alla malora”. In questo senso l’esistenza di tanti altri giovani uomini allo stremo della sopportazione per gli effetti invasivi della propaganda ideologica femminista e della tirannide “naturale” femminea (senza più freni sociali) appare provvidenziale. Questo sfogo passera dall’io ad un “noi”. Troverete noi a sbarrare questo genere di progresso. Ci saremo noi a sbarrarvi la strada!
E state attenti: se voi avete ragione ed io sono un banditore d'odio, siete perduti. L'odio è difatti il miglior collante sociale e militare. Mi basterà organizzare l'odio giovane, puro ed assoluto che il femminismo e i suoi fiancheggiatori stanno meritevolmente seminando fra i miei simili (non sono il solo a varcare i confini per trombare dove si puote e a non poterne più delle melanzane italiane sublimate nella Boldrini e nel suo femminismo demagogico) per avere gente disposta ad imbracciare un fucile prima che poter essere arrestata solo perchè preferisce pagare in moneta piuttosto che chinarsi a novanta gradi nel corteggiamento, nel fidanzamento, nel matrimonio. E, per quanto voi potrete chiamarci assassini e stupratori, se quel fucile sarà carico, saremmo semplicemente un esercito. Prima di quanto immaginiate, sarete puniti col necessario piombo nella schiena come tutti i traditori. Come vedete, non è sulle donne che vogliamo esercitare violenza. Combatteremo prima di tutto contro di voi. Eliminati dal mondo i suoi servi, il femminismo sarà innocuo. Esso non può reggersi senza giudici, giornalisti, sbirri e volontari ong che, per vana speranza di “piacere alle donne” o sciocca vanità di “essere moderni, civili, non-maschilisti”, sentenziano, scrivono, incarcerano, agiscono e parlano contro il proprio stesso genere. Una volta tagliata la mano ai giudici, sciolte con l'acido le corde vocali ai giornalisti, sfondato di manganellate il cranio agli sbirri, e giustiziati con un colpo alla nuca volontari collaborazionisti come voi, nessuna donna avrà più solo il coraggio di pronunciare la parola “femminismo” e la sua decantata “forza femminile” avrà, nelle nuove strutture sociali che nasceranno avendo come meta e modello il mito greco-romano e come ammonimento il mondo attuale, sani e robusti argini per salvaguardare vita e psiche dei miei simili.

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