1. DOMANDA AI “MASCHI PLURALI” CHE MI HANNO ROVINATO
LA GIORNATA PROPAGANDANDO FEMMINISMO A RADIO ANCH'IO
Se
ricorrere al denaro per accompagnarsi a sacerdotesse di Venere Prostituta è
così "obsoleto", "maschilista", "patriarcale",
allora perché, quando un fanciullo, un ragazzo, un uomo contemporaneo, in
questa società così "moderna", "femminista",
"plurale", cerca un'alternativa, si trova di fronte, esattamente come
ai tempi in cui Ovidio doveva comporre l'Ars Amandi per insegnare agli uomini
l'arte della cosiddetta "conquista", esattamente come nel medioevo
delle dame e dei cavalieri, esattamente come nel 1850 delle "buone cose di
pessimo gusto" e delle donne "non-emancipate", a:
·
il
"dovere" di farsi sempre e comunque avanti per primo,
con le difficoltà non solo soggettive a vincere la naturale timidezza, ma pure
oggettive a dover agire "alla cieca" (senza poter conoscere in
anticipo quali tempi, modi e scelte d'azione possano avere gradimento e quindi
successo - come si fosse in guerra con l'ordine di attaccare senza conoscer
forze e intenzioni del "nemico" -
privi pure - come si fosse ad una partita a poker impari in cui una
delle due parti conosce le proprie e le altrui carte, mentre l'altra deve
giocare, appunto, "alla cieca" - della possibilità di sapere se si
possiedono o meno quelle particolari doti, di atteggiamento o di aspetto, di
sentimento o intelletto, pretese dalla controparte per un rapporto, e non
apprezzabili nel primo incontro, e, quindi, investiti dall'ingrato dovere di
procurarsi un'occasione per renderle sensibili dalla fanciulla da cui si è
attratti, la quale invece, nel momento stesso in cui è approcciata, ha perfetta
conoscenza di come e quanto è, intensamente, subitaneamente ed a prescindere da
tutto il resto, apprezzata, desiderata, voluta, se non altro per la propria
bellezza), il rischio di esser guardato con sospetto e fatto sentire uno fra i
tanti (un banale scocciatore, un uomo "privo di qualità" o un pezzo
di legno davanti a cui permettersi di tutto, uno specchio su cui testare
l'avvenenza, o un "molestatore" di cui lamentarsi e su cui sfogare
ogni rabbiosa reazione), o, anche quando (sempre più raramente) viene trattato
con umanità, di sentirsi un mendicante senza speranza alla "corte dei miracoli"
d'amore (non si può certo pretendere il "miracolo" di essere, fra
milioni di uomini nel mondo e fra migliaia di pretendenti che ogni anno
"insidiano" le "cortesi damigelle", proprio "l'anima
gemella" della fanciulla incontrata per puro caso in quel giorno e dal cui
“fascino arcano”, con fatale magnetismo, ci sentiamo attratti senza ancora
conoscere nulla di lei, come il cavaliere Renato Degrieux nell'aria di apertura
della Manon Lescault) e con la sicurezza, quindi, di dover vivere continuamente
un susseguirsi di illusione (senza l'idealizzazione non è possibile scegliere
donna alcuna come "unica") e delusioni (per via, ancora prima che di
una personale "inadeguatezza", di una "legge delle probabilità
contrarie" comune a tutti) che, se sperimentata già in giovane età, può
avere effetti devastanti sulla psiche e sull'autostima dei futuri uomini, e che
nessuna donna (checché se ne dica), se non altro perché non è costretta né da
natura né da cultura a farsi sistematicamente avanti per prima (con i relativi
rischi e sacrifici e le conseguenti fatiche e sofferenze, degne di quelle
campagne militari cui Ovidio paragonava la suddetta Ars) può dire di conoscere
per prova diretta;
·
l'ambiguità
del "forse che sì forse che no" degno di un
contrasto "madonna-messere" di Ciullo d'Alcamo (in cui l'approcciata
può giocare sull'indecisione propria e altrui a piacimento, per preciso
interesse, diciamo, "economico-sentimentale", così come per gratuito
sfoggio di preminenza erotica, per non dire sadico diletto, in cui c'è almeno
il 50 percento di probabilità che i dinieghi, lungi dal significare un
disinteresse della donna, denotino al contrario la volontà di mettere alla
prova l'effettiva realtà ed intensità delle intenzioni dell'uomo, di indurlo a
provare, riprovare con nuove sorprese e "rilanci", insistere e
resistere a rifiuti finti e a perfidie vere, di vedere insomma quanto egli sia
disposto ad offrire e soffrire, non solo per ottenere la "migliore
offerta" da lui sotto ogni aspetto, ma per aumentare il proprio "valore"
dinnanzi a tutti gli altri, non solo per immotivato "bullismo
psichico" nei confronti di un particolare individuo, ma per bisogno di
misurare la propria avvenenza o appagare la propria autostima, e in cui un
errore in un senso può portare, da qualche anno, alla denuncia per stalking, e
da secoli, all'ossessività folle di un Orlando furioso e alla disperata pazzia
di un Torquato Tasso, ma un errore nell'altro porta a ricevere l'eterno
disprezzo delle donne in quanto "indecisi", "pavidi nel
corteggiamento", "pigri", "insicuri", "incapaci
di osare"- e tutto quanto davvero potrebbe essere tratto dalla retorica
bellicista di una borghesia che dal caldo del proprio comodo e sicuro salotto
critichi i soldati al fronte costretti a combattere per essa - e alla conseguenza
sistematica di dover confidare i propri "teneri sensi" e i
"tristi e cari moti del cor" alle "vaghe stelle dell'Orsa);
·
la
"prostituzione psichica" del corteggiamento (in
cui, come la più sfortunata delle meretrici nella Londra vittoriana doveva fare
delle sole grazie corporali con tutti gli i passanti siamo costretti - se
vogliamo avere speranza giocando sui grandi numeri- a mettere sistematicamente
in mostra quanto pensiamo sia più apprezzabile della nostra personalità, del
nostro studio, del nostro lavoro, del nostro spirito, di ogni aspetto insomma
della nostra vita materiale e psicologica, ad ogni occasione di incontro con
l'altro sesso, ad offrire di tutto in pensieri, parole ed opere, per la sola
speranza, a dare con probabilità uno per ricevere come funzione di variabile
aleatoria, in cui, come in una corvée medievale, siamo tenuti a prestare, senza
alcun diritto ad una "retribuzione", senza poter accampare diritti,
né attendere ricompense di alcun genere, il meglio della nostra opera, non in
un contratto libero e razionale in virtù del quale si otterrebbe una
contropartita, ma nell'ambito di una "servitù" irrazionale e
"feudale" cui siamo tenuti verso le "Donne" in quanto tali,
come i vassalli lo erano verso i propri signori, in cui siamo a priori tenuti a
"pagare", non solo e non tanto in denaro - comunque necessario
secondo certe convenzioni sociali davvero ottocentesche, includenti cene,
vacanze, weekend, regali e compagnia - quanto anche e soprattutto in tensioni
psicologiche - quando si è comunque sotto esame davanti a colei la quale, posta
sul piedistallo dalla naturale bellezza e dal nostro stesso disio, può
scegliere in ogni momento se divertirsi con noi o contro di noi - recite -
quando si dovrebbe fare la parte dei "gran fighi", dei "grandi
uomini di successo" o dei "grandi conquistatori" per apparire
desiderabili tramite l'evocazione di tante belle - e immaginarie - donne
precedentemente disposte a concedersi a noi, per identificarci tacitamente con
un "uomo che non deve chiedere mai" e che quindi deve per forza avere
eccezionali qualità di corpo e spirito, per simularci simili a star
hollywoodiane e lasciar credere di aggiungersi ad un "club esclusivo"
in caso di concessione a noi - dignità - quando si dovrebbe agire da attori per
compiacere la vanagloria delle donne recitando sentimentalmente il loro
copione, o da giullari per farle divertire magari rendendo ridicoli noi stessi
e lasciandoci poi irridere e illudere nel disio);
PUNTO
DI DOMANDA?
2. MIA NECESSARIA RISPOSTA
Visto che sono ormai 20 anni che non ricevo risposte
precise e sensate da chi si proclama femminista, ho dovuto rispondermi da solo
basandomi su quanto le femmine umane fanno a prescindere dai discorsi
“politically correct” e su quanto, di
conseguenza, si trovano a fare i miei simili.
Poiché, specie in Italia, il "ricercare un
rapporto con le donne" implica, in sequenza:
1. una matta e disperatissima
"caccia" (saremmo i primi, credeteci, a rinunziare
ben volentieri a questa "visione del corpo della donna come preda",
ma l'effetto congiunto delle disparità naturali e della mente delle donne
reali, per nulla intenzionata a rinunziarvi, rende il paragone venatorio il
solo possibile), tanto virtuale, sui siti d'incontro (dove a qualunque creatura
di sesso femminile basta una foto per ricevere 1000 “like”, una battuta per
ricevere mille proposte amorose, e la sola presenza per essere al centro
dell'attenzione di mille ragazzi, e dove quindi autostima, pretese e sadismo
rischiano di raggiungere livelli astrali, con la conseguenza, per tutti gli
avventori, di essere cestinati direttamente senza lettura e senza appello, di
essere trattati come dei "punching-ball" erotico-sentimentali con
allenarsi a fare battute per disprezzare e deridere e a trovare modi per
scaricare la controparte umiliandola e facendola sentire un nulla, di essere
"presi dallo scaffale" solo per essere irrisi con sarcasmo o illusi
con leggerezza ovvero perfidia e poi gettati per una parola, una battuta, un
dettaglio di personalità o addirittura senza un motivo), quanto
"reale", in certi luoghi di barbari "divertimento" (ove si
divertono realmente solo le ragazze, poiché, potendo volteggiare nell’aere
mostrando le loro forme, godono, per gli stessi motivi di cui le femministe si
lamentano a proposito del "corpo delle donne", del privilegio mentale
di sentirsi mirate, disiate ed accettate da tutti, al primo sguardo e a
prescindere da tutto per quello che sono - belle, ché quando manca la bellezza
supplisce l'illusione del desiderio - nonché spesso anche di quello economico
di entrare gratis -quindi sono già appagate nell'autostima senza bisogno di
alcuna conoscenza e di alcun rapporto, mentre i ragazzi, i quali sarebbero
invece costretti a compiere "cavalleresche imprese" per farsi notare,
mostrare particolari virtù per farsi accettare e “fare comunque qualcosa per
"star di paro" ed essere accettati socialmente, avrebbero bisogno,
per sperare di essere parimenti mirati, disiati ed accettati per quelle doti di
sentimento o intelletto in cui la particolare donna nata per apprezzarle
potrebbe percepire il fascino di una bellezza non solo corporale, avrebbero
bisogno, se non di modi e tempi da romanzo dannunziano, almeno di un minimo di
silenzio per poter usare la parola, far sentire il tono della voce, far
apprezzare la scelta dei vocaboli, se non ancora delle immagini, delle musiche
e delle idee evocate da questi);
2. una situazione di partenza
decisamente impari, tanto quantitativamente (il numero di
belle fanciulle disiabili e disponibili è necessariamente di diversi ordini di
grandezza minore di quello di garzoncelli e uomini disianti e potenzialmente
concorrenti, sia per disparità di desideri - mentre il maschile desidera
l'altro sesso con la rapidità del fulmine e l'intensità del tuono per le grazie
corporali, ed ogni altra dote, sebbene sicuramente necessaria per un rapporto
duraturo, viene colta solo successivamente e comunque, senza il trasporto per
la bellezza, non potrebbe da sola mantenere l'attrazione, il femminile in
genere pretende mille altre virtù, non tutte fisiche, non tutte evidenti, non
tutte oggettive, che moltiplicano il numero di uomini i quali potrebbero a
priori concorrere - sia per disparità di comportamenti - mentre un uomo rimane
continuamente disiante e bisognoso d'ebbrezza di sensi dall'adolescenza alla
vecchiaia, una donna, a parte gli eventuali furori giovanili e le ancora più
eventuali trasgressioni adulte, tende, passata la l’età nova, a cedere alla
propria naturale monogamia) quanto
qualitativamente (poiché il bisogno di godere della bellezza non appena questa
si fa sensibile nelle “grazie ch'è bello tacere” non è, in termini di
frequenza, di intensità e di danni psichici in caso di inappagamento,
paragonabile nei due sessi, per motivi ormonali prima che culturali e
psicanalitici prima che socio-economici, e poiché la forza, la profondità e
l'immediatezza con cui nell'uomo, a similitudine di una cascata che irrompe
alla calura, di un fiore che sboccia, di un cielo stellato che splende e di
quant'altro Lucrezio cantava nel “De Rerum Natura” a proposito della “voluptas
cinetica” di Venere Genitrice, non ha corrispettivo nel "razionalismo
sentimentale" con il quale una donna può comodamente indagare ogni aspetto
fisico e psichico di un uomo, chiedersi cosa di sentimentale, di intellettuale,
d’istintuale o di caratteriale le risulta più necessario o gradito e
selezionare conseguentemente i pretendenti) e, di conseguenza, socialmente
(poiché chiunque anche solo lontanamente assomigli ad una figura in grado di
suscitare un sia pur minimo palpito di desiderio è subito circondata da uno
stuolo di amici/ammiratori pronti a tutto per un sorriso, poiché anche le
fanciulle di bellezza non certo "alta e nova" si possono permettere
un comportamento decisamente "altezzoso", o comunque possono avanzare
pretese da "miss mondo") con pochissime probabilità di successo;
3. un approccio problematico
(alle difficoltà psicologiche di cui si è parlato prima, a quelle
numerico-probabilistiche cui si è accennato or ora, si vanno aggiungendo quelle
legali, considerando che, "grazie" alle stesse femministe che
difendente, qualunque atto, detto, parola, gesto, regalo o persino sguardo pur
non avendo nulla in sé di violento o molesto possa essere considerato tale a
posteriori dall'impredicibile e arbitrario “sentire” della donna);
4. quella maschera di servitù imposta a
tutti gli uomini verso tutte le donne chiamata galanteria
(per la quale non solo fisicamente, ma pure psicologicamente - è il caso delle
battute, delle immagini, degli atteggiamenti sociali definiti scorretti solo perché
"offendono" la "soggettività" femminile, mentre tutto
quanto lede la diversa ma non inesistente sensibilità maschile, da certe
battute con poca comicità e molto disprezzo di genere a certi "diritti a
(s)vestirci come ci pare" ovunque e comunque, fino a quanto più avanti
definirò come "stronzaggine", viene visto come sciocchezza di cui
ridere e per cui deridere o addirittura come prerogativa di cui vantarsi e per
cui "lottare" - si dà la precedenza alla “dama”, la quale finisce così
troppo spesso per sentire di potersi permettere di tutto senza dover affrontare
le conseguenze, come una delle scimmie sacre del templio di Benhares), fior
fiore, come diceva giustamente Schopenhauer della stupidità cristiano-germanica
e mostruosità della società occidentale di cui tutto l'Oriente ride, come ne
avrebbero riso i Greci;
5. le "forche caudine" del
corteggiamento (nelle quali la dama di turno, sfruttando
le disparità di numeri, desideri, tempi e modi di cui ho discusso sopra,
potrebbe permettersi qualunque irrisione al disio, qualunque umiliazione
pubblica e privata, qualunque inflizione di dolore fisico e mentale, di senso
di nullità, di inappagamento nel sesso e nella psiche con conseguenze variabili
dalla cosiddetta “anoressia sessuale” al suicidio);
sono
dai fatti portato a due conclusioni indicibili per voi: le donne-femministe
pretendono di mantenere gli antichi privilegi accanto ai moderni diritti,
mentre, checché ne diciate voi uomini-plurali, i desideri naturali non sono
soggetti ad evoluzione sociale.
3. RISPOSTA ALL'ASCOLTATRICE FEMMINISTA CHE HA INVIATO
L'SMS IN TRASMISSIONE
Alla
“cara ascoltatrice” che si lamentava, preciso come io non affermi affatto
"il desiderio femminile non esistere", ma sostenere essere
semplicemente diverso, proprio per il fatto di esistere indipendentemente dalla
nostra volontà. Un vecchio adagio (che voi rinnegherete perché “vecchio”, ma
che io condivido perché “vero”) recita che gli uomini si innamorano con gli
occhi, le donne con le orecchie.
Raramente,
infatti, una donna desidera un uomo soltanto per la bellezza e se ne invaghisce
al primo sguardo, più facilmente ella vuole prima sondarne il valore per
ammirarvi altre virtù, quali la bravura nel creare sogni e illusioni, nel far
vivere all'amata "la favola bella che ieri t'illuse, che oggi
m'illude", e non ultime la cultura e l'eloquenza, tutte virtù che si esplicano
primieramente attraverso la capacità e l'ordine del dire, senza le qual cose la
ragione stessa sarebbe vana.
Per
questo ogni uomo d'animo nobile è portato ad essere poeta o scrittore e ogni
poeta e scrittore brama eternare la donna in prosa o in rima nella perfezione
dell'opera d'arte. Proprio il naturale desiderio dell’uomo nei confronti del
corpo della donna ha creato l’arte, mentre il gusto delle donne boccaccesche
l’ha affinata e consegnata alla Storia. "Chi
è questa che vien c'ogn'om la mira/ che fa tremar di chiaritate l'aere/ e mena
seco amor sì che parlare/ null'omo pote ma ciascun sospira" esclama,
con Guido Cavalcanti, chi vede la bella signorina. Il privilegio
"stilnovista" di essere amate dall'anima nel momento stesso in cui si
rendono visibili dovrebbe far capire alle ragazze come il naturale disio
dell’uomo per il corpo della donna sia da sempre il motore della Vera arte.
Se
la Donna è come un verso, non può e non deve essere apprezzata dalla Ragione,
ma deve essere amata dall’anima nell’istante in cui si fa visibile, allora
l’Uomo è come la prosa ampia, elegante ed armoniosa del Boccaccio: ha bisogno
di tempo e di spazio per esplicare tutto il suo fascino e deve soprattutto
comunicare un senso. Una donna potrà apprezzare un uomo dopo averlo conosciuto
nel fondo dell’animo, così come si apprezza un romanziere, il suo pensiero e il
suo stile, dopo aver letto le sue opere, ma per un Uomo non esiste fiamma
d’amore Vero che non scaturisca dalla vista, il più nobile dei sensi, come
sosteneva Cavalcanti.
Questo
sottende il vecchio adagio.
Se
il “desiderio femminile” (ma tu, cara acida spremuta di limone femminista, da
come danni e condanni il nostro più profondo desiderio, non mi sembri affatto
così “desiderosa” di noi) fosse uguale al nostro, non solo non vi sarebbero
nella società tutti quei fenomeni (prostituzione, corpo femminile nella
pubblicità, certe disparità socio-economiche) di cui da troppo tempo si va
attribuendo la colpa ad una "innata malvagità" maschile (dal
mitologico nome di "patriarcato"), non solo, nella letteratura, non
esisterebbe l’eterno femminino (figlio di quella funzione eternatrice della
poesia grazie alla quale, come nel mito rivelato dal Foscolo nell’ode all’Amica
Risanata, le donne amate dai poeti non sono più soggette alla corruzione del
tempo e della morte ma divengono eternamente belle ed uguali a sé a
similitudine delle divinità e delle creature siderali) e con esso gran parte
delle liriche composte in otto secoli, ma non vi sarebbe neppure, in Natura, la
selezione sessuale.
Quando
dico che l'uomo è naturalmente poligamo e la donna monogama, non lo faccio per
giustificare un tradimento coniugale (essendo eternamente contrario al
matrimonio, non ne avrei proprio bisogno) o, peggio, degli abusi (perché poi
dovrei giustificare io le violenza di altri uomini? con questo principio si dà
ragione a Traini che spara ai neri perché uno su mille fra essi ha commesso un
delitto orribile), bensì per spiegare la realtà senza prescindere (come
pretenderebbe la "sociologia" e la "pseudosessuologia"
femministe) dalla biologia (che sola, fra tutte queste, è una scienza).
Già
Schopenhauer (forse l'unico filosofo rigoroso fra i tanti affabulatori
idealisti dell'Ottocento), due secoli fa, nella Metafisica dell'amore sessuale,
lo spiegava molto semplicemente (anticipando tante "ricerche"
attuali).
Poiché
un uomo, se avesse a disposizione 100 donne, potrebbe generare cento figli in
un anno, come il Re Priamo, mentre una donna, anche avendo a disposizione 100
uomini, potrebbe generarne uno solo, la Natura, la quale ha a cuore
propagazione e selezione della specie (e se ne infischia delle costruzioni
umane di felicità, libertà, uguaglianza) fa sì che il primo sia spinto, con la
rapidità del fulmine e l'intensità del tuono, a mirare, seguire e cercare di ottenere
la bellezza non appena questa appaia alla sua vista e a tentare di goderne
nella vastità multiforme delle creature femminine (ponendo così le basi della
propagazione della vita), mentre la seconda sia trasportata
dall'opposto-complementare bisogno di sentirsi bella e disiata (per poter
attirare quanti più maschi possibile e selezionare fra tutti chi emerge nella
competizione sociale o comunque mostra eccellenza nelle doti volute perché
qualificanti la specie), agendo così da "selezionatrice di vita" anche
quando la sua intenzione non è avere né rapporti né figli (perché non è la
mente ma l'istinto a saperlo).
Almeno
metà di quanto la prosopopea femminile, femminista e "maschile
plurale" chiama "forza femminile" deriva semplicemente da questa
disparità di desideri (o, meglio, dall'immediata facilità nel poterla sfruttare
in ogni modo tempo e luogo - specie qui ed ora dove ogni compensazione/freno
sociale e psicologica viene smantellata sotto il falso nome di “progresso”-
senza limiti, remore, né regole, per finalità variabili dal legittimo interesse
personale al delirio di onnipotenza rilevabile in tanto in certe tendenze
nazifemministe di origine scandinava, quanto in certi atteggiamento stronzi di
stampo pelasgico-matriarcale), che è primariamente una disparità di ruoli, fra
quello privilegiato e "comodo" di selezione della vita
(simboleggiato, come mi disse una mia cara amica biologa, dall’ovulo che se ne
può stare fermo e comodo ad attendere, o, con altra metafora, dall’ape regina,
che attrae e si fa seguire per poi “scegliere”) e quello ingrato e
"faticoso" di propagazione della stessa (ben raffigurato dai
“numerosi e sacrificabili” spermatozoi che corrono e competono fra sciagure,
affanni e rischi, come dai cervi costretti a scontrarsi ed incornarsi per
emergere socialmente ed avere quindi accesso alle femmine ed alla perpetuazione
di sé nella prole).
L'altra
metà della "forza femminile" viene da quei ruoli naturali (madre,
amante, confidente) che nemmeno la più misogina delle società potrebbe cancellare,
e all’interno dei quali, a prescindere dall’ordinamento sociale, come notato
persino da quell’ingenuo idealista di Rousseau, l’influenza della donna
sull’uomo, per tramite di tutto quanto in questi vi sia di più profondo e
irrazionale, è molto maggiore di quella inversa.
Parimenti,
non sostengo nemmeno che il desiderio maschile si riduca ad un “impellente
bisogno”. L'intenso e subitaneo disio per la bellezza non esclude, ma sovente
fa seguire, un altrettanto ineludibile bisogno sentimentale. Lo dimostra
semplicemente la maggiore percentuale fra noi maschi tanto dei poeti quanto dei
suicidi d'amore. Sono le donne a sostenere per comodità e per vanto il
contrario (di essere “complicate” e “sentimentali”, quando il loro “enigma” si
risolve semplicemente il più delle volte, Nietzsche docet, con la gravidanza ed
il loro “sentimentalismo”, di cui San Valentino è l'esempio commerciale, è il
contrario, qui docet Leopardi, del sentimento vero, il quale disdegnerebbe di
“gettarsi a manate”, “vendersi a staia” e “fare pubblica professione di
romanticismo”).
Tutto
ciò dovrebbe però condurre la ragione a conclusioni diverse da quelle di cui il
superficiale (pseudo)egalitarismo femminista ci sta riempiendo le orecchie da
più di un secolo.
Anche
almeno la metà infatti di tutto quanto la voce mendace del femminismo chiama
“oppressione” o “discriminazione” è conseguenza dello stesso privilegio
naturale, o, meglio, dell’equo, umano e necessario tentativo dell’uomo (o,
meglio, di quel sesto di uomini custodi del senno mancante agli altri cinque
sesti) di bilanciare socialmente (con le costruzioni dell’arte come della
religione, della politica come della storia, del pensiero come della società) e
individualmente (con lo studio, il lavoro, la posizione sociale, il denaro, la
fama, il potere, la cultura) quello che in desiderabilità e potere è dato alle
donne per natura dalle disparità di numeri e desideri nell’amore sessuale e da
quelle psicologiche correlate alla predisposizione all’esser madri.
Non
per opprimere, ché non è l’obiettivo dei savi, ma per non essere troppo
oppressi, e soprattutto per avere “pari opportunità” nelle possibilità di
scelta e di forza contrattuale in quanto davvero conta innanzi alla natura,
alla discendenza ed alla felicità individuale.
4.
ULTIMI TENTATIVI PACIFICI E CIVILI DI SPIEGAZIONE ALLE FARNETICAZIONI
ACCUSATORIE DI MASCHILE PLURALE PER RADIO
Ogniqualvolta
si parli di società, di leggi, di costumi, non ci si deve mai dimenticare il
dovere di ragionare ex-summo malo. Poiché non sempre la forza, sia essa quella
fisica, sia essa quella psico-sessuale, è usata per scopi nobili o almeno
legittimi, le limitazioni e le compensazioni sono indispensabili.
Se
nessuno dubita debbano esistere freni all’uso di una forza fisica che potrebbe
degenerare in violenza, perché dovrei accettare che il femminismo tolga uno
dopo l’altro ogni schema sociale, economico e pure psicologico in grado di
fornirmi una possibilità di bilanciamento laddove sarei io, in natura, la parte
debole?
Perché
“tutto quello che è secondo natura è un bene”, come sosteneva quel coglione di
Cicerone? Io ritengo più intelligente il Leopardi disperato amante della nuda
verità: la natura ci è matrigna.
Poiché
la natura si disinteressa di fini umani quali libertà e felicità, deve
provvedervi l’umano consorzio. Il riconoscimento dei bisogni naturali (fra cui
l’ebbrezza dei sensi, il godimento della bellezza, l’attrazione fra i sessi)
non deve implicare affatto l’accettazione passiva dei disagi e delle privazioni
che il loro perseguimento comporterebbe in natura. Come si permette a chi non è
bravo personalmente a cacciare o a trovare il cibo, di comprare il pane, si
deve permettere a chi non ha grandi doti di seduttore di avvalersi del servizio
di sacerdotesse di Venere. Dire il contrario, e pretendere che scelga fra il
morire di fame o l’imparare a sedurre la fornaia, significa accettare di farlo
vivere eternamente affamato e tiranneggiabile.
Se
non mi meraviglia come, essendo proprio questo il fine delle più perfide fra le
donne, sia possibile da parte di queste pretendere, a parole, “uguaglianza” in
tutti quei campi del “mondo come rappresentazione” da noi costruiti per
bilanciare il loro privilegio naturale, proprio mentre continuano (nei fatti
della vita, nel “mondo come volontà”) a sfruttarlo senza limiti, regole né
remore (negandone peraltro, tranne
qualche lapsus freudiano, l’esistenza e la rilevanza), la stupidità maschile di
chi trova modo di sostenere tutto ciò non finisce mai di stupirmi. “Cechitade
di discrezione” (incapacità di percepire il pericolo, magari perché non
esplicito e di discernere il vero dal falso, magari perché accecati dalla
propaganda mediatica e culturale) e “cupidigia di vanagloria” (desiderio di
essere lodati dalla società e dalle “Donne” portato all’estremo dell’autolesionismo
di genere) non bastano a spiegare quanto è ben più grave dell’esterofilia
fustigata da Dante: questi “maschi plurali”, nella foga di denigrare il proprio
genere ed accettare acriticamente la narrazione femminista, arrivano a quella
che Nietzsche vedeva come forma più grave di falsità, arrivano, cioè, ad
“essere superficiali nell’istinto”.
Non
c’è altra spiegazione per la loro adesione alla visione di “prostituzione come
violenza” e del cliente come “immaturo”. Persino il profondo istinto si mostra,
in chi formula tale giudizio, corrotto dalle “idee moderne”.
Se
io sono naturalmente, ineludibilmente ed irrefrenabilmente attratto dalle
lunghe chiome, dal claro viso, dall’alta figura che bella e lontana la fa
mentre la si mira come luna in cielo, dalle membra scolpite come da un divino
artefice, dal ventre piatto e levigato, dalla pelle liscia ed indorata come di
sabbia baciata dall’onda, dalle chilometriche gambe di modella, e dall’altre
grazie che, per dirla con Dante, è “bello tacere”, ed ho profondo e naturale
bisogno, tanto nel corpo quanto nella psiche, di sentirmi disiato, ammirato e
accettato da chi incarna tale bellezza per qualcosa di altrettanto poeticamente
bello, immediatamente percepibile e socialmente luminoso, allora è eternamente
giusto, o perlomeno umanamente equo, che io abbia “qualcosa” di parimenti
efficace per essere immediatamente ammirato, desiderato da tutte e accettato
socialmente come le fanciulle lo sono per le loro grazie, a prescindere dalle
eventuali doti di sentimento o intelletto di apprezzamento soggettivo ed
arbitrario (e perciò inadatte ad essere “moneta” in quell’asta delle offerte
per la più bella a cui, dietro le mentite spoglie del cosiddetto
“romanticismo”, si riduce ogni corteggiamento non velleitario).
Ogni
società storica (quelle preistoriche matriarcali erano secondo me invivibili
peggio dell’età scolare, quelle naturali sono spesso disumane: accettereste che
qualcuno venisse lasciato morire di fame per rafforzare la specie?) ha avuto
“qualcosa” di altrettanto intersoggettivamente valido ed immediatamente
riconoscibile per bilanciare la bellezza e dare così anche agli uomini le
stesse possibilità femminili di vivere liberi e felici nella realtà del “mondo
come volontà” (al di là dell’apparenza del “mondo come rappresentazione”). Le
società migliori avevano la Conoscenza, società meno perfette avevano la Virtù
guerriera e cavalleresca, la società attuale ha il denaro.
Il
culto di Venere Prostituta è di fatto un ambiente “controllato” e soprattutto
codificato in cui, con il consenso libero (il che non vuol dire non motivato)
delle fanciulle coinvolte come sacerdotesse, anche un uomo normale può (pur non
essendo ricco come uno speculatore di borsa) usare il denaro per bilanciare le
disparità naturali ed appagare così, anche se solo in maniera recitata, il
proprio bisogno di bellezza e piacere dei sensi come delle idee in modo
qualitativamente e quantitativamente sufficiente a non farlo deperire nella
psiche (sentimentalmente rimarrà inappagato, ma sarà comunque meglio la
solitudine rispetto alla frustrazione sempiterna d’ogni disio).
Certo
non è un bene in assoluto (bene sarebbe essere apprezzati per il “cor
gentile”). E’ solo il male minore (comunque meglio di quanto capiterebbe
corteggiando, e meglio anche per il sesso femminile, che vede così ridursi il
numero degli approcci maldestri e dei finti innamorati costretti a simulare
interesse sentimentale solo per poter appagare il subitaneo bisogno di sesso
dionisiaco). Quale alternativa mi offrono però i “maschi plurali” e le donne
che fiancheggiano? Il corteggiamento? Facebook? O recitare a memoria
argomentazioni antimaschili sperando che una femminista commossa (implorando il
cielo non sia una racchia) si conceda per gratitudine? O votare una candidata
donna nella speranza che la Madonna di turno mantenga la promessa del pompino?
O fare “l'uomo di casa” sperando di ottenere, senza privilegi di bellezza,
denaro e potere, quella desiderabilità-per-utilità che nemmeno donne giovani e
belle, da casalinghe, hanno mai ottenuto ma, semmai perduto?
Non
mi possono venire a raccontare che l’assenza di alternative, il “timore” di
corteggiare, dipendano da certe mie mancanze di “empatia” o di “maturità”.
Sarebbe come incolpare un neolaureato in cerca di lavoro di non essere
abbastanza preparato e intelligente per avere “pari forza contrattuale” con le
multinazionali presso cui aspira a lavorare. Le disparità naturali, in quanto
tali, sono ancora più profonde di quelle generate anche dalle più inique
costruzioni umane (persino nel caso dell’inumano turbocapitalismo).
Immaturo
è forse chi crede ancora di poter conquistar donzelle soltanto con piccoli doni
votivi, versi melodiosi e rime delicate e languide, come si faceva con le dee
dell’antichità (infanzia dell’uomo) o semplicemente confidando “tristi e cari
moti del cor” e “ricordanze acerbe” come Leopardi faceva con Nerina e come
quasi tutto l’ottocento idealista pensava. Immaturo è forse chi crede ancora
alle condizioni “paritarie” di vita fra maschi e femmine raccontate dai cartoni
animati che guardavamo alle elementari.
Chi
matura capisce come colei per il quale l’uomo, di fatto, è “solo un mezzo il
cui fine è il bambino” (e così DEVE essere per il bene della discendenza) non
potrà mai essere conquistata soltanto “cum parole” ma vorrà qualcosa di
tangibile, di utile a garantire una sicura e felice vita alla prole (ed ahimè,
nulla, oggi, copre questo ruolo meglio del denaro). Chi matura comprende come
giusto nei manga si può far finta che ragazzi e ragazze siano uguali, e se non
se ne rende conto sono le coetanee a farglielo capire, quando dall’età dei
giochi si passa a quella delle richieste di uscita e dei “siete voi a dovervela
meritare”, “siete voi a dover soffrire”.
Un uomo maturo va a puttane proprio perché non crede
più alle favole, non guarda più i cartoni animati. E non ne vuole sapere di
dare ad eventuali stronze l’occasione di ferirlo o tiranneggiarlo.
Il
“fare la stronza”, infatti (ossia suscitare ad arte il disio solo per
compiacersi della sua negazione e di come questa, resa massimamente beffarda,
dolorosa e umiliante da una studiata e raffinata perfidia, possa gettare
nell'inferno della delusione dopo le promesse del paradiso della concessione;
attirare direttamente o indirettamente chi non si è affatto interessate a
conoscere bensì soltanto a respingere, deridere intimamente o pubblicamente
facendolo sentire uno fra i tanti, un banale scocciatore; mostrare le proprie
forme fra vesti discinte solo per porsi su un piedistallo di irraggiungibilità,
per generare frustrazione negli astanti, per farli sentire nullità di fronte ad
una bellezza non compensabile, per maltrattarli se tentano un qualunque
approccio; usare sguardi, movenze, e svestimenti per indurre a farsi avanti chi
si vuole soltanto disprezzare, rendere ridicolo a se stesso e agli altri,
ferire nell'intimo e irridere nel disio in maniera traumatica e indelebile,
trattare da molesto e far sentire privo di qualità come uno straccio da
gettare; sfruttare le debolezze erotico-sentimentali per infliggere dolore fisico
e mentale, per provocare disagi da sessuali ad esistenziali, per realizzare
sbranamento economico-sentimentali o comunque psicologici; usare insomma l'arma
della bellezza per ingannare, irridere, ferire, umiliare, come e peggio di
quanto un bullo farebbe della forza fisica verso un ragazzo più debole) è ormai
nell'occidente femminista divenuto comune tanto sui luoghi di lavoro quanto in
quelli di divertimento, tanto nei rapporti più fugaci e occasionali quanto in
quelli più lunghi e sentimentali.
Non abbiamo affatto “paura” della libertà delle donne,
come voi affabulate, ma ragionevole timore che le femministe (per fortuna non
lo sono tutte le donne) mirino a comprimere ed annullare la nostra. Vi fo
subito qualche esempio:
Se, per vivere il mio sogno estetico completo non
avessi le professioniste, dovrei:
·
adeguarmi alla moda nel vestirmi, nel
parlare (e quindi nel pensare), nello scegliere i luoghi di divertimento,
persino nello scegliere l’auto: dovrei, insomma, adattarmi a quanto mi darebbe
più probabilità di essere visto come “figo” secondo i canoni in vigore (a
prescindere dal fatto di condividerli), perché solo così la fanciulla
casualmente incontrata (di cui a priori non so nulla e che devo dunque
modellare secondo una statistica) sarebbe con maggiore probabilità attratta da
uno sconosciuto come me – con tanti saluti alla libertà di stile e di pensiero;
·
spendere tutte le energie mentali e tutto
il tempo libero per studiare, pianificare ed attuare “strategie” di “conquista”
di questa o di quella fanciulla (spiare profili facebook e foto istagram per
individuare cosa desideri dalla vita e dagli uomini e sorprenderla
positivamente, inventare continuamente sorprese più o meno galanti e
stratagemmi per mettermi in mostra socialmente e culturalmente, escogitare
piani per apparire sempre la “miglior scelta” i tremilaseicento corteggiatori
annuali ecc.), altro che autenticità ed empatia;
·
dovrei davvero vedere come “preda”
qualunque donna un minimo desiderabile passi per strada o incontri sul lavoro
(non una visione “degradante” della donna, ma la legge dei grandi numeri lo
imporrebbero), con tanti saluti alla possibilità di provare empatia per amiche
e colleghe (le quali sarebbero solo e soltanto la controparte nemica di quella
guerra chiamata ars amandi);
·
adeguarmi a quanto un’eventuale
corteggiata volesse fare nei weekend, nelle sere, nei minuti liberi dal lavoro,
con tanti saluti alla vita privata e a quanto mi rende interessante,
emozionante, vivibile, l’esistenza stessa (le mie letture, le mie solitudini, le
mie montagne, le mie corse automobilistiche);
·
adeguarmi alla vita che un’eventuale
fidanzata (per mostro e miracolo conquistata), potendo contare sulle lungamente
spiegate disparità di desideri e di psiche (nonché la minaccia di farmi tornare
alla condizione di “sfigato”), finirebbe per impormi, con tanti saluti alla
“libertà di andare dove voglio”.
Ed
anche se tutto ciò non fosse vero, perché non posso avere la libertà di
rimanere libero?
Perché
non devo più poter pensare di non unirmi a nessuna e di poter continuare ad
avere una vita di cui io stesso sia l’unico fine (non i figli, la coppia, la
patria da non far deperire demograficamente), senza per questo rinunciare ad
avere rapporti amorosi con frequenza e soddisfazione estetica (se non possibile
quella sentimentale)?
5. L'INEVITABILE DICHIARAZIONE DI GUERRA AL
FEMMINISMO E LA DICHIARAZIONE DEI MASCHI PLURALI COME TRADITORI DEL GENERE
MASCHILE
A
negare questo arriva l’occidente dei diritti universali?
Beh,
se tutto quanto ho sopra elencato non è più "accettato", se tutto
questo è obsoleto, maschilista, patriarcale, allora, sinceramente, aveva
ragione Rousseau a vedere il progresso come negativo, avevano ragione gli
oppositori del femminismo (da Catone a Schopenhauer), nel vedere
nell’emancipazione delle donne un’inaccettabile minaccia di tirannia verso gli
uomini, avevano ragione i Romani a fondare, nelle leggi, nei fatti e nei
principi etici e spirituali, la famiglia e lo stato sul padre e non sulla
madre.
Non
era quello che pensavo fino a qualche anno fa, ma quest’ultima deriva mi
costringe a pensarla così. La libertà del culto di Venere Prostituta era la
linea del Piave. Fino a quando avevo la possibilità di vivere libero come un
lupo solitario senza per questo cacciato come predatore, allora, pur non condividendo
in teoria certi aspetti del femminismo, potevo riconoscerne tranquillamente
tutti i “diritti” e le “libertà”. Facessero le donne quanto volessero, io
restavo sempre altrettanto libero di non avervi a che fare. Ma se mi impedite
l’accesso al culto di Venere Prostituta, allora divento costretto ad interagire
con donne che, al di là magari dell’aspetto fisico, non amo, non condivido e
con cui non voglio condividere né la vita né la psiche né il sentimento. Sono
disposto a pagarne qualcuna perché reciti il mio sogno estetico completo, ma
non a recitare io gratis per loro (come sarebbe il corteggiamento) o ad
adeguare ai loro fini la mia vita (come sarebbe nel matrimonio, viste anche le
leggi a senso unico sul divorzio). Con la prostituzione ancora libera e
consenziente è possibile accordare anche chi non condivide nulla del mondo
sedicente moderno con le donne moderne. Senza, è necessariamente la guerra fra
me e loro, fra me e voi. Oggi state passando la linea del Piave: leggi
femministe come quelle francese, svedese o norvegese sono come la testa di
ponte austriaca di Nervesa. Suscitano e susciteranno da parte mia e dei miei
simili la più ferma reazione, la più decisa replica a suon di cannonate, bombe
a mano, e mitragliate. Usiamo pure paragoni bellici. Perché usiamo il nostro
corpo come in guerra avete chiesto? Perché le donne per prime hanno reso, da
sempre, una guerra l’ars amandi (come ho spiegato all’inizio). Perché il
femminismo, fiancheggiato da voi, ha dichiarato guerra alla mia libertà personale
ed al mio desiderio sessuale, chiamandoli violenza anche dove c’è consenso e
disprezzo anche dove c’è apprezzamento. Questa è una guerra che non conoscerà
rese. Avete commesso un errore a tentare di mettere il naso in quel punto oltre
le nostre linee. Di qui non si passa. “O il Piave o tutti accoppati”.
“Un
mondo libero dalla prostituzione” volete? Anche quando le ragazze hanno lo
stesso grado di libero arbitrio con cui chi per bisogno o brama di denaro
commette reati non è certo assolto per “cause di forza maggiore”? Con la scusa
della “mercificazione” in un mondo persino l’arte e la letteratura sono ormai
solo “mercato”, in cui si mettono in vetrina vite e sentimenti su facebook, in
cui si è costretti a far mercato della parte più “nobile” di sé (studio,
pensiero, preparazione, frutto del periodi più intimo e sofferto della
giovinezza) e, se non si è bravi a farne marketing, si resta disoccupati,
mentre se ci si rifiuta di svendersi si viene tacciati di essere “ciusi”?
Supponiamo
per assurdo che ceda a queste motivazioni.
Dovrei
allora accettare che:
·
una qualunque collega mi faccia
psicologicamente e di fatto anche materialmente ri-precipitare nel periodo
scolare, ove in qualunque momento potevo essere sgridato per qualunque motivo
da donne, a cui spettava a capriccio la definizione di bene e male e che se la
potevano avere a male per ogni mia battuta da fanciullo (e quindi ancora
necessariamente innocente), come peraltro voi stessi auspicate dicendo che “se
ci fossero molte più donne in questi ambienti lavorativi ci sarebbe più
controllo rispetto a questi comportamenti scorretti”;
·
le regole stesse del “sessualmente
corretto” mi rendano condannato a vita a quella sottospecie di “stato di natura”
che è l’età scolare, allorquando, mentre sulle coetanee già fiorisce la
bellezza, non avendo ancora avuto tempo
e modo di acquisire poteri e ricchezze, o comunque altre doti immediatamente
evidenti e oggettivamente valide, per compensarla sulla bilancia dei desideri
reciproci, il fanciullo viene trattato sistematicamente come un pupazzo da
sollevare nell'illusione e gettare nella delusione, un pezzo di legno innanzi a
cui permettersi di tutto, uno specchio per provare l'avvenenza senza cura degli
effetti psicosessuali sull'animo altrui, e, anche in caso di successo, un
"piccolo uomo episodico" da gettar via in ogni momento, privo di
qualunque possibilità di star davvero di paro alla "bella";
•
una qualunque ragazza, più o meno bella,
più o meno colta, più o meno intelligente, più o meno ricca (come inevitabilmente
avviene in occidente in conseguenza della sopravvalutazione estetico-filosofica
della figura femminile operata da un femminismo che altro non fa se non
proseguire con altri mezzi ideologici la stupidità cavalleresca dell'alto
medioevo) possa fare sentire me (che magari potrei pure considerarmi di livello
estetico, intellettivo e di estrazione socioculturale pari o superiore) uno
“sfigato” trattandomi con malcelata sufficienza, o addirittura con aperto
disprezzo e con pubblica irrisione solo perché non corrispondo ad assurde
pretese da rotocalco, ho timidamente tentato un approccio o ho ingenuamente
cercato di carpirne i favori in maniera a posteriori non corrispondente agli
inconoscibili gusti ed agli imperscrutabili fini dell'interessata;
•
una fidanzata possa convincermi, indurmi o
costringermi a fare qualcosa che odio o che mi degrada (montare mobili, fare
shopping noioso, girare per l’Ikea nel w/e) o a vivere la vita diversamente da
come vorrei con la esplicita o malcelata minaccia di lasciarmi, la quale, da
legittima che è in ogni stato liberale, diventerebbe invece totalitaria,
terribile e paralizzante se, come vorrebbero gli stati femministi, non fosse
possibile per noi “garzoncelli”, in alternativa al fidanzamento, rivolgersi
alle sacerdotesse di Venere prostituta per appagare i loro bisogni di bellezza
e piacere;
•
una moglie mi dica cosa fare, gli imponga
di fare, o induca a fare (o non fare) qualcosa, grazie semplicemente alla
aperta o tacita minaccia di privarlo dell'appagamento dei bisogni naturali
legati ai sensi (tale minaccia, pur sempre esistita nella storia, diviene vera
fonte di tirannia nel matrimonio femminista, il quale impone l'obbligo di
fedeltà senza vincolarlo a quanto un tempo erano allusoriamente detti “doveri
coniugali”, con le conseguenze immaginabili per il sesso più bisognoso di
appagare i sensi carnalmente)
•
una qualunque società mi obblighi
indirettamente a far miei pensieri, opinioni e visioni del mondo difformi dal
mio sé autentico, ad adottare stili di vita non amati, a prendere scelte di
lavoro o di studio non pienamente conformi alla mia speranza di felicità e di
libertà solo e soltanto per avere una speranza di essere mirato, amato e
accettato dalle società femminil-femminista e dalle donne, o solo e soltanto
per aumentare, con il numero delle persone con cui venire in amichevolmente
contatto, la probabilità di incontrare una fanciulla desiderabile di cui essere
oggetto di scelta (la quale diviene unilaterale e imprevedibile, come ogni
arbitrio ed ogni tirannia, quando non viene compensata e frenata dalle
strutture e dalle posizioni sociali con forme che la demagogia femminista
chiamerebbe superficialmente “discriminazioni” - come appunto la possibilità
per un ragazzo capace e meritevole nello studio di accedere a posizioni di
ricchezza e prestigio superiori a quelle mediamente possedute dalle fanciulle
desiderabili - ma che hanno il solo scopo di rendere bilaterale la scelta e
bilanciato il potere).
ALTRO
PUNTO DI DOMANDA?
No,
grazie, questa non è vita.
Dovrei
accettare che in qualunque luogo di divertimento la prima fanciulla carina mi
usi come specchio per provare la sua avvenenza.
Dovrei
lavorare pensando che le colleghe brutte siano l'unica possibilità per me che
non sono né tronista né calciatore e che le belle esistano solo per farsi
irraggiungibili e generare frustrazione, compiacendosi di come mi sia
impossibile bilanciare in qualche modo il loro privilegio naturale. Allora sì
che diventerei misogino.
Dovrei
passare le pause pranzo a sbavare dinnanzi alle signore e signorine più o meno
vestite che passeggiano, a causa dell’astinenza e del “diritto” a “mostrare
quello che ci pare nel modo che ci pare quando andiamo in giro”.
Dovrei
farmi avanti con la prima che passa con nessuna realistica possibilità di
successo e con qualche probabilità che, con la moda del “me too”, mi metta alla
gogna mediatica come “molestatore”.
Dovrei
riuscire nell'impresa di auto-suscitarmi interesse per donne di bellezza da
rosa sfiorita e di carattere da gramigne crescenti per mancanza di alternative.
E magari sopportarne pure la tirannica vanità da primedonne teatrali e la
vanagloriosa prepotenza da residuato matriarcale ammodernato.
Dovrei
essere usato come “segnaposto” durante il corteggiamento e da montatore di
mobili ikea durante il fidanzamento (solo due delle perfidie del decalogo
pubblicato con orgoglio da quelle stesse donne che raccontate come “empatiche”
ed “evolute”).
Dovrei
vedere le modelle, le grid-girls ed ogni altra bellezza tanto alta e nova da
essere fino ad oggi incontrata solo nei teleschermi e sognata di notte sotto le
stelle scorrenti del cielo pregando la luce incantata della luna di mostrare
forme altrimenti sconosciute agli umani, come altrettanti motivi di suicidio
nella speranza che, con una reincarnazione, possa avere fama, denari, potere
politico-finanziario o gloria sportiva per essere al posto di certi soggetti da
gossip (dato che in questa vita di studioso, ingegnere e benestante dalla
mediocritas non abbastanza aurea, mi si vieterebbe pure di vivere, semel in
anno, l'incontro a pagamento con una fanciulla di simile irraggiungibile
bellezza disposta almeno a recitare da amante per una notte in cambio dei
risparmi di un anno).
Dovrei
rivivere per sempre la condizione liceale e post-liceale, quando nessuno
studio, nessun impegno, nessun successo servivano a farmi uscire dalla
disperata situazione in cui persino coetanee di bellezza men che mediocre e di
intelletto non certo vivissimo mi trattavano come l'ultima delle possibilità
erotico-sentimentali, in cui compagne di classe belle, simpatiche e disponibili
alla compagnia parevano esistere solo nei film americani, in cui si doveva
invidiare qualunque coetaneo fosse fidanzato, finanche con uno scorfano
(“perché intanto voi vi fate le seghe”), in cui tutte le volte cui si chiedeva
di uscire ad una ragazza sembrava di dover
domandare la raccomandazione in un ministero (trafile di amici che
dovevano passare contatti fidati, attese bibliche, risposte interlocutorie o
seccate o scandalizzate delle interessate come quelle di alti funzionari che
fingono disinteresse per aumentare la tangente, che hanno altro cui pensare,
che sono insofferenti ad occuparsi di miseri cittadini di serie b), in cui gli
“incontri” fra compagni ed ex-compagni di classe per “vincere la solitudine con
il dialogo” ed i consigli su come “diventare amici delle donne per capirle e
non usarle come oggetti” (come raccontate per radio) serviva solo a farci
sentire più sfigati ed a cancellare ogni residui di quell'autostima, di quella
determinazione, di quell'autonomia di giudizio e azione senza cui non si appare
interessanti e desiderabili, ma patologici e patetici.
Sono
già esistito abbastanza, in un passato che non avrei voluto rievocare (e da cui
sono uscito proprio grazie alle sante, santissime puttane) in questo tipo di
non-vita. Solo quando, grazie all'alternativa a pagamento, ho potuto cessare di
essere un mendicante d'amore, ho acquisito, se non completa autostima, almeno
sufficiente rispetto da parte del sesso opposto. Solo quando, avendo a
disposizione le sacerdotesse di Venere per i bisogni naturali di bellezza, ho
potuto dialogare con sincerità ed empatia con le altre di bisogni sentimentali.
Non voglio tornare indietro per colpa vostra.
La
deriva femminista è contraria ai miei interessi vitali, quindi voi siete
nemici, anzi, traditori. Ci vedremo a Filippi!
6.
LA MIA PROPAGANDA DI GUERRA SARA' PIU' FORTE DELLA VOSTRA
E
se guerra dev'essere, sono capace anch'io di produrre propaganda di guerra, e
con una mitologia anche più solida della vostra.
Dovreste
studiare di più prima di attribuire al “patriarcato” i difetti di una società
otto-novecentesca. Il principio della “vita spirituale ed ascendente data dal
padre” (cui si accedeva spesso per prova e rito iniziatico da parte di una ristretta
cerchia di aristocratici), percepita come “vera vita”, contrapposta
“all’esistenza puramente corporale e conservativa” data dalla madre (e comune a
tutti gli uomini indistintamente, anche plebei”) da cui la parola nasce (tale concezione virile e guerriera non poteva
ovviamente non prediligere il sesso che, già come spermatozoo, fa coincidere
vita e vittoria) è stata di fatto abbandonata da duemila anni, ai tempi della
sovversione dei valori operata dal cristianesimo, e giunta oggi, tramite i
nefasti effetti delle “idee moderne” ben rilevati da Nietzsche
nell’Anticristiano, a produrre gli “ultimi uomini” che “ammiccano” e saltellano
credendo di aver compreso il senso di una terra divenuta troppo piccola (ma
sono diventati semplicemente, come un gregge di pecore, incapaci di comprendere
o anche solo riconoscere la grandezza)
Soprattutto,
voi e le vostre padroncine dovreste sciacquarvi la bocca prima di parlare (anzi,
abbaiare) di “patriarcato”. Quei valori virili e aristocratici grazie ai quali
i grandi popoli indoeuropei fondatori di città e civiltà (la Grecia Omerica, la
Roma Repubblicana, l'India dei Veda, la Persia Iranica, la Germania Sacra e
Imperiale), nell'atto di far passare l'umanità dalla preistoria alla
storia, dalle società matriarcali senza
classi (nel cui piattume nulla poteva sorgere di capace di valore, significato
e bellezza, per colpa proprio della grande "matrice cosmica" da cui
ogni individuo dirama e a cui ogni individuo ritorna dopo un'esistenza
effimera) a quell'opera d'arte dotata di forma (e quindi di valore,
significato, bellezza) e chiamata civiltà, dal tutto indifferenziato dell'umano
primordiale alle differenziazioni qualitative propriamente storiche (famiglie,
caste, razze, popoli), di ordinare insomma il kaos in kosmos con quell'atto
arbitrario e quindi creatore proprio dello scalpello di un artefice (il quale
decide quale forma dare al marmo informe, cosa essa debba comprendere e cosa
debba viceversa essere ridotto in trucioli), hanno generato opere di grandezza,
potenza e durata degne degli dèi (quali noi possiamo leggere nell'Iliade,
nell'Eneide, nella Baghavad Gita, nei poemi persiani, nell'Edda, nel Beowulf),
hanno compiuto imprese. per forza, coraggio, e splendore “più che umane” e tali
da costituire il mito fondativo di intere epoche, hanno concepito mirabili
strutture dell'arte come della religione, del pensiero come della società,
della politica come della storia, pensate per misurare i millenni e non essere
raggiunte dai contemporanei nè superate dai posteri,
Da
un punto di vista comunitario-anagogico, infatti, la concezione virile permette
di porre la fonte di ogni valore (e quindi di ogni diritto) non in quanto
accumuna gli uomini nel bassamente umano dell'esser nati da una madre, del
contentarsi di piacere e innocenza, del ricercare un tranquillo e pacifico
benessere materiale e morale da bestiame bovino, ma in ciò che li distingue fra
loro e li eleva al più che umano del considerare come vera vita quella nascente
dalla formazione virile alla lotta, alla vittoria, al compimento di imprese di
coraggio e splendore più che umani e tali da fondare città e civiltà, del
volere ad ogni costo il nobile, il bello, il grande, l'eroico (nel senso che
possiamo ancora oggi comprendere leggendo quegli stessi Antichi che le
professoresse fanno studiare senza aver compreso esse per prime – altrimenti
non potrebbero contemporaneamente condividere il femminismo), del ricercare
quanto, proprio per l'essere più difficile, duro, periglioso, selettivo,
mortale, necessitante di abnegazione, doti, impegno, freddezza, abilità e
coraggio, ha più valore, e quindi è il principale modo culturale per
"orientare verso l'alto" una civiltà.
Nei
fatti, sono state le civiltà fondate su valori virili e aristocratici (nel
senso etimologico e originario indoeuropeo di potere dei migliori, non già dei
privilegiati di Versailles), quali quelle sopra citate cui aggiungerei, da
nietzscheano, il Rinascimento Latino (unico periodo in cui, nonostante il
cristianesimo, l’europeo è stato capace di rimettersi al centro dell’universo,
di chiamare il proprio peggio come proprio meglio, di divenire ciò che è, di
usare l’egoismo come generatore di bellezze, significati e valori, in una
parola, di grande politica, di dire insomma sì alla vita ascendente, il cui
concetto di divinità presuppone l’uccisione di quel dio che pretende di essere
unico e non solo impedisce la nascita dei superuomini, ma fa pure restare
l’uomo ancorato a quanto dato in partenza dalla presunta “creazione”, parente
dell’uguaglianza nella specie e nemica di ogni pro-gettarsi nella storia), a
far passare l'umanità dalla preistoria alla storia, dalle caverne ai palazzi
rinascimentali, dalle pitture rupestri al cenacolo, dagli oggetti di pietra
alle mirabilie tecnologiche, dal ricercare cibo al poterlo produrre,
dall'essere determinati dall'ambiente al poter determinarlo assieme alla
propria stessa natura e al proprio destino. Le civiltà più o meno basate sull'egalitarismo
e la collaborazione, come le tanto decantate matriarchie senza classi, o sono
rimaste fuori dalla storia, incapaci nel loro piattume di far sorgere valori,
bellezze e significati, o si sono rivelate storicamente recessive, come nel
caso degli Etruschi, persino quando avrebbero avuto tutti gli strumenti
tecnologici per emergere. “Gli uomini da soli producono solo patriarcato e
violenza”? Certo, nella misura in cui la nostra violenza si può a buon diritto
chiamare civiltà ascendente, e la vostra (finta) non-violenza civilizzazione
decadente. Quando il mondo indoeuropeo era patriarcale, eravamo, come ci
ricorda il Virgilio dell’Eneide, “un popolo nato a regnare, in guerra
invincibile” capace, con uno Scipione non solo retorica da inno nazionale, di
attraversare il mare “a distrugger la Libia”. Ora, dopo due millenni di
sovversione cristiana, due secoli di rivoluzione giacobina, due decenni di
demagogia femminista, siamo un popolo di mostriciattoli europei drogati di idee
moderne (vale a dire idee false), anestetizzati dalle cultura politicamente
corretta e condannati all’estinzione, che dalla Libia viene invaso e dagli
africano sostituito per volere di una finanza senza patria con sede in USA. E
voi presentate i bei valori “pacifici”, “femminei”, “plurali” che hanno, se non
causato, se non permesso, almeno accompagnato e celebrato, tutto questo, come “progresso”?
Né
il susseguirsi delle idee, né l’accrescersi della conoscenza scientifica
garantiscono il “procedere verso l’alto” dell’uomo in quanto tale. L’uomo
moderno non è affatto “superiore” a quello del rinascimento solo perché
successivo e circondato da una crescente presenza di mirabilie tecnologiche. Il
progresso scientifico è avvenuto nonostante (e non “grazie a”) il
“progressismo” sociale giacobino, socialista e femminista, ha origine nella
volontà di potenza degli scienziati (peccato di “libido sciendi” direbbe il
medioevo) e nell’amore apollineo per la chiarezza (radicato nell’antica cultura
greco-romana e sopravvissuto al cristianesimo) ed è stato opera di moderni
ingegneri, e non di moderni professori di lettere, filosofia (o ad “emancipate”
stronzette giornaliste, intellettuali e femministe). Se vediamo le forme
possenti del David michelangiolesco (emblema delle possibilità umane) come “più
belle” dell’informe statuaria attuale divenuta semplice mercato e “fondo di
investimento sulla scultura”, se sentiamo la musicalità dei versi del Poliziano
come più vicina al paradiso (nulla al mondo è più soave di un paradiso pagano
narrato da un cristiano, ci ricordava D’Annunzio) rispetto alle infernali
musiche delle feste di oggi, se pensiamo i dialoghi sull’Amor Platonico del
Bembo come giardini di parole e idee ben più ricche, interessanti, complesse ed
elevate di quanto si possa oggi trovare tra le miriadi di blog sentimentali,
romanzi sentimentali e trattati sentimentali, se miriamo nella chiusa
perfezione dei sonetti petrarcheschi, nell’aperta fantasia delle ottave
ariostesche, nella languida malinconia delle rime del Tasso una poesia senza
corrispettivo né nell’incolto messaggiare “amoroso” dei contemporanei, né nello
snobistico astrattismo degli ultimi poeti di professione, se ammiriamo nel
genio di un Leonardo qualcosa di ineguagliabile da parte della più “evoluta”
delle università attuali così ricche di docenti e studenti che si riempiono la
bocca di “interdisciplinarietà” e di “pensiero creativo”, se riconosciamo nella
vasta cultura di un qualunque disconosciuto (oggi) umanista fiorentino del 400
(ad esempio, Nicolò Niccoli, tanto dotto da fungere da wikipedia ante-litteram
per la generazione dei Poggio Bracciolini, dei Lorenzo Valla, dei Leonardo
Bruni e da non scrivere nulla per non rischiare lasciare ai posteri qualcosa di
non totalmente all’altezza della propria sapienza) una sapienza più profonda e,
non solo quantitativamente, ricca di quanto non si possa trovare mettendo
assieme tutti i docenti e tutti i database di tutte le università moderne, se
riconosciamo che il Galateo di Baldassar Castiglioni racconta un modo di stare
in società ben più civile ed educato di quanto non si faccia oggi nel mondo
così politicamente corretto dell’anglosfera, se ci rendiamo conto di come il
Principe del Machiavelli abbia descritto molto meglio la politica di come la
raccontino oggi i commentatori a libro paga dei monopoli mediatici mondiali
(pronti a spiegare rivoluzioni, guerre e rapine con termini quali “diritti
umani”, “esportazioni di democrazia”, “adeguamento dei conti”), e come la
Repubblica di Platone abbia delineato un modello ideale di stato assai più
auspicabile delle distopie contemporanee (ivi compreso il “sogno femminsta-progressista”),
se, insomma riconosciamo che il vertice della civiltà è stato
raggiunto, nell’arte, nella musica, nella poesia, nell’intuizione
ingegneristica, nella cultura, nei costumi, nella politica, nel linguaggio,
nella poesia, nell’arte, nella letteratura, nella filosofia, dalla Grecia, da
Roma, dal Rinascimento Italiano, allora sono i valori fondati e perseguiti da
quel tipo di mondo, gli archetipi incarnati da chi ha generato quel mondo e
tutto quanto segue dai giudizi di valore in auge nelle fasi ascendenti quelle
civiltà, il “progresso” da perseguire (conformemente ad una visione
complessivamente sferica e non banalmente lineare del tempo storico), il
modello da tenere come meta per il futuro (che non è una mera ripetizione del
passato come crede chi confonde sfera e cerchio), non certo gli opposti
disvalori moderni. E quel mondo, ovvero il mondo indoeuropeo, alle origini,
aveva mete e modelli opposti a quelli che ci vengono insegnati oggi come
“politicamente corretti”. Aveva, soprattutto, educatori di sesso opposto
rispetto a quanto si predica oggi (nella Grecia persino alle madri era negato
partecipare all’educazione dei figli). Per dirla con Nietzsche, “aveva dei
maschi come presupposto.”
Nelle
chiacchiere da salotto politicamente corretto, il femminismo ha sempre
tautologicamente ragione perché idee e parole sono tastate inventate o
trasvalutate dall’educazione femminista, dalla “cultura democratica”, dalla
martellante propaganda “femmineo-democratica” (che ormai ha sostituito la
dialettica con la semplice accusa di “maschilismo” per eliminare qualunque idea
e qualunque parola – a volte pure qualunque persona come nel caso di
licenziamenti “eccellenti” per “scandali” - non conforme senza bisogno di
argomentare nel merito come avrebbero fatto gli “illuministi” di un tempo). Alla
prova della storia, il femminismo è sbagliato. Quindi i giudizi di valore (“il
femminile è positivo, il maschile lasciato da solo è negativo”) sono da
rovesciare, le equazioni (tipo “pace=bene”, “progresso=miglioramento”,
“donne=umanità evoluta”) da cancellare!
Nessuna
considerazione “etica” può giustificare l’ideologia femminista. Sono le idee
morali e le visioni etica a dover servire ed accrescere la vita, non viceversa.
E poiché il sentire femmineo non solo fa vivere male i singoli uomini, ma
minaccia l’esistenza stessa degli Europei come insieme di stirpi storiche, va
mandato, per dirla con il professore di Basilea, “alla malora”. In questo senso
l’esistenza di tanti altri giovani uomini allo stremo della sopportazione per gli
effetti invasivi della propaganda ideologica femminista e della tirannide “naturale”
femminea (senza più freni sociali) appare provvidenziale. Questo sfogo passera
dall’io ad un “noi”. Troverete noi a sbarrare questo genere di progresso. Ci saremo
noi a sbarrarvi la strada!
E
state attenti: se voi avete ragione ed io sono un banditore d'odio, siete
perduti. L'odio è difatti il miglior collante sociale e militare. Mi basterà
organizzare l'odio giovane, puro ed assoluto che il femminismo e i suoi
fiancheggiatori stanno meritevolmente seminando fra i miei simili (non sono il
solo a varcare i confini per trombare dove si puote e a non poterne più delle
melanzane italiane sublimate nella Boldrini e nel suo femminismo demagogico)
per avere gente disposta ad imbracciare un fucile prima che poter essere
arrestata solo perchè preferisce pagare in moneta piuttosto che chinarsi a
novanta gradi nel corteggiamento, nel fidanzamento, nel matrimonio. E, per
quanto voi potrete chiamarci assassini e stupratori, se quel fucile sarà
carico, saremmo semplicemente un esercito. Prima di quanto immaginiate, sarete
puniti col necessario piombo nella schiena come tutti i traditori. Come vedete,
non è sulle donne che vogliamo esercitare violenza. Combatteremo prima di tutto
contro di voi. Eliminati dal mondo i suoi servi, il femminismo sarà innocuo.
Esso non può reggersi senza giudici, giornalisti, sbirri e volontari ong che,
per vana speranza di “piacere alle donne” o sciocca vanità di “essere moderni,
civili, non-maschilisti”, sentenziano, scrivono, incarcerano, agiscono e
parlano contro il proprio stesso genere. Una volta tagliata la mano ai giudici,
sciolte con l'acido le corde vocali ai giornalisti, sfondato di manganellate il
cranio agli sbirri, e giustiziati con un colpo alla nuca volontari
collaborazionisti come voi, nessuna donna avrà più solo il coraggio di
pronunciare la parola “femminismo” e la sua decantata “forza femminile” avrà,
nelle nuove strutture sociali che nasceranno avendo come meta e modello il mito
greco-romano e come ammonimento il mondo attuale, sani e robusti argini per
salvaguardare vita e psiche dei miei simili.
0 Comments:
Yorum Gönder
<< Home