La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Salı, Mart 20, 2007

PER LA FESTA DEL PAPA' (che non diverrà mai la mia festa)

Ieri era la festa del papà. Qualcuno fra i lettori lo ha saputo da giornali, televisioni, cartelloni pubblicitari? No, certo. Magari su questi ultimi campeggiavano ancora le pubblicità della festa della donna, della donna "a priori". Dell'uomo, ed in particolare dell'uomo padre, non del gay o del diverso, non è politicamente corretto parlare, nemmeno se si tratta di una figura la cui assenza è sempre più fragorosa e devastante nella nostra società. Del padre si parla soltanto quando, impazzito per la perdita dei figli, della casa, dei beni e della dignità uccide o si suicida, o quando, condannato da un tribunale, è costretto a versare mantenimenti periodici.
La figura dell'uomo è ormai ridotta a quella del bancomat che deve emettere banconote per mogli e figli, a comando. Ogni scusa vale: dalla minore età dei figli (che sono del padre solo quando è questione di soldi ma sono della madre quando è questione di affidamento) al diritto di abitazione (ossia un dovere del marito di cedere la casa alla moglie e di arrangiarsi magari a dormire in macchina dato l'odierno rapporto salari/affitti & mutui), dal diritto al mantenimento (non si sa come compatibile con la sbandierata uguaglianza dei sessi, la quale dovrebbe prevedere, per persone adulte ed emancipate, semmai il diritto a trovarsi un lavoro per mantenersi da sole, non già di farsi mantenere a vita solo per aver comodamente scelto, per un certo periodo, di fare le mogli per interesse) all'onnipresente accusa di molestie sessuali. Ci si può sorprendere se, pagare per pagare, gli uomini moderni decidano di evitare tutte le unioni più o meno legalizzate e si rifugino nelle puttane come unico contatto col mondo femminile? Almeno con loro paghiamo solo quello che consumiamo. E manteniamo la nostra libertà.

I. LA STRONZAGGINE ED I PRIVILEGI MULIEBRI
Che una donna possa sfruttare la bellezza e la disparità di desideri naturali per avere vantaggi economici e farsi anche mantenere è accettabile come tutti i fatti personali e ingiudicabile (se avviene in maniera chiara e consensuale), ma che questo debba divenire un diritto da sancire legalmente anche dopo che l'accordo si è rotto no.
Il bello è che quando l'accordo è chiaro e consensuale, senza inganni o giustificazioni di facciata (come nel meretricio) si tende a vedere la donna che agisce per interesse come una vittima (dell'uomo che agisce mosso dal genio della specie, dal suo naturale bisogno di bellezza e di piacere, nei sensi e nelle idee, sublimato spesso in vario modo e che dovrebbe invece correttamente essere visto come la preda, poiché agente per questo ad un grado inferiore di libertà e lucidità, proprio come una gazzella che si abbevera vicino alle leonesse).

Del resto l'unica figura in cui il maschile può essere rappresentato è quella della preda da sbranare o del pupazzo da umiliare o del giullare da irridere: qualsiasi
altra raffigurazione dell'uomo (magari forte, affermato o semplicemente PADRE) è considerata maschilista o almeno, sessista.

Non mi sorprende in una cultura mediatica nella quale quanto è considerato tradizionalmente (oppure arbitrariamente) maschile è vituperato, irriso o considerato brutale, barbarico e indegno di essere rappresentato mentre quanto è ritenuto per analogie (oppure sempre per arbitrio) femminile è esaltato, beatificato e presentato come segno di modernità, raffinatezza, intelligenza.

Non vorrò poi parlare (l'ho già fatto più volte) della pretesa morale sessuale corretta di oggi, squisito esempio di un doppiopesismo degno dei miglior periodo gesuita, per la quale è normale che quanto urta la particolare sensibilità femminile (atti, detti, sguardi o toccate) debba essere considerato offensivo, punito dalla legge e giustificante la vendetta più ampia, crudele, dolorosa e soggettiva da parte della donna e quanto invece ferisce l'altrettanto particolare (e non già inesistente) sensibilità maschile (ad esempio il comportamento intriso di stronzaggine, divenuto regola nelle femmine moderne, anche quando non usano le mani, e spesso motivato da prepotenza, vanagloria, necessità di autostima o sadismo o comunque volontà di provocare sofferenza emotiva) sia trascurabile, non penalmente rilevante, appartenente alla normalità, alla tollerabilità o comunque al "diritto della donna" e non provocante in sé offesa o umiliazione (anche se è quanto l'uomo prova, di fronte a sé o agli altri, quanto sente come intima ferita nella sessualità e può provocargli traumi, blocchi psicologico e metterlo a disagio emotivo, momentaneo e poi esistenziale)

Depreco entrambi i comportamenti: sia mettere le mani addosso o comunque trattare con villania verbale o tacita una donna, sia provocare un uomo in quanto tale per avere modo di sfoggiare sadismo e prepotenza e preminenza erotico-sentimetnale, umiliare, irridere nel desiderio, ferire intimamente, o distruggere psicologicamente (o fisicamente) o addirittura tiranneggiare.
Il problema non è riconoscere il diritto della donna di rifiutare chi non le piace e di non essere molestata, diritto chiaramente riconosciuto da ogni uomo non brutale e prepotente, bensì notare che, contro l'evidenza dei fatti, l'immaginario femminista e hollywoodiano vuole rappresentare la violenza (o la molestia) della donna solo come reazione a quella dell'uomo, mentre potrebbe benissimo essere a volte il contrario (ammesso, E NON CONCESSO, che reazioni violente di qualsiasi tipo, psicologiche o fisiche, possano giustificarsi reciprocamente).

Se vogliamo (discutibilmente) giustificare i fatti secondo principi di azione e reazione allora anche quanto viene sovente definito violenza o molestia da parte dell'uomo (in ogni campo) può essere visto quale reazione a ben più gravi violenze o molestie (di natura psicologica, emotiva, sessualmente offensiva in maniera esplicita o implicita) attuate dalla donna (ovviamente con le sue armi naturali).

Ognuno ha il suo modo di definire la “stronzaggine”. A volte, giustamente, si definiscono stronzi gli ingannatori che illudono dolci donzelle. Essi sono odiati anche da me, in quanto a me totalmente opposti. Io però ho il mio modo di definire le stronze, come scrissi sul malocchio.
SI INTENDONO CON STRONZE LE DONNE APPARTENENTI ALLE SEGUENTI CATEGORIE
a) coloro le quali, essendo appagate del semplice sentirsi ammirate da schiere di corteggiatori, senza che questo necessariamente si traduca in un vero rapporto umano, sincero e appagante, poiché la vanità, naturale nelle femmine, si mostra manifestamente soddisfatta dal ricevere quelle cure, quelle riverenze, quelle attenzioni che i plurimillenari privilegi della Galanteria impongono di tributarle, sfruttano la situazione per attirare ad arte ammiratori e poi respingerli, con l'unico scopo del proprio diletto e del rendere loro ridicoli agli occhi degli amici e dei presenti, dell'offendere il loro desiderio di natura, del farsi gioco del loro purissimo ed ingenguo trasporto verso la bellezza
b) coloro le quali dimenticano come non tutti siano commedianti nati al pari di loro, che si sforzano con ogni mezzo di suscitare ad arte il desiderio negli uomini per poi compiacersi della sua negazione ed infoltire così le schiere di ammiratori, ed alla fine guardano tutti dall'alto al basso, arrivando addirittura a deridere gli approcci, o ad appellare molestatori quegli aspiranti corteggiatori che ingenuamente o maldestramente cercano di conquistarne i favori
c) coloro le quali trattano con sufficienza, se non con aperto disprezzo, coloro i quali tentano un qualsiasi tipi di approccio con loro, atteggiarsi come chi ha tanti ammiratori e può fare a meno di tutti, e far così sentire colui, il quale dal trasporto verso la bellezza sarebbe portato ad affinare la propria anima e il proprio intelletto, uno dei tanti, un uomo senza qualità, un banale “scocciatore”.

Ognuno ha anche il proprio modo di reagire. Non credo che, come vorrebbero rappresentare le femministe, quello più diffuso fra gli uomini sia la violenza (la quale sarebbe intimamente sbagliata in tali casi, più per rispetto di se stessi che non della donna stronza, la quale, sentendosi violemente bramata, potrebbe comunque compiacersi), bensì un più diffuso e sfumato sentimento di distacco e di avversione verso il mondo femminile e un certo tipo di donna che si matura lentamente con l'abitudine (per "dovere sociale", "definizione di norma" e "rispetto della donna") a subire certi comportamenti senza reagire (tanto sono comportamenti "normali") e può esprimersi poi nei più vari casi della vita e del lavoro in tutte le discriminazioni e le offese delle quali le femministe si lamentano.

Il mio modo di reagire è invece quello di restare indifferente e ostentatamente guardare altrove dalle belle forme di donne che, come la natura leopardiana, promettono e non mantengono (ed anzi vogliono ferire nel profondo, umiliare in pubblico o in privato ed irridere nel desiderio).
Per abolire ogni rischio di essere sessualmente deriso e ferito, devo potermi affidare al Sacro Antichissimo Culto di Venere Prostituta giacché altrimenti, per riconciliarmi alla vita di natura, sarei costretto a cercare sempre l’approccio con ogni donna dalle parvenze simili al mio sogno estetico, concedendo a molte “stronze” la possibilità di trattarmi con sufficienza, disprezzo o irrisione, quando invece non voglio ciò succeda nemmeno al primo sguardo. Certo potrei testarle tutte e mandare a quel paese le “stronze” ma in primis esse avrebbero comunque la possibilità di ferirmi psicologicamente (dato che un minimo contatto è necessario nel tentativo), di compiacere la loro vanagloria e di irridermi intimamente o pubblicamente (anche se sarebbe solo un episodio, ma gli episodi feriscono) ed io voglio evitare ciò, in secundis anche nei casi di non stronzaggine non è piacevole subire rifiuti e non mi piace il modus vivendi di tentare N volte con N donne diverse per sperare nella n+1 esima (non sono un tester), in tertio non sono a disagio solo quando donna fa la stronza, ma anche solo quando le situazioni la pongono in condizione di poterlo essere. Il corteggiamento, come detto, almeno al primo stadio, quello in cui le virtù dell’uomo (soprattutto d’intelletto) non possono ancora esser rese evidenti, è uo di questi casi, soprattutto nei luoghi di barbaro divertimento come le discoteche, nei quali l’uomo virtuoso è ridotto a un nulla, poiché non può esercitare e sfoggiare le sue fondamantali qualità, ossia la cultura e l’eloquenza. In questi luoghi di perdizione, dove volteggiano figure di donna impenetrabili e intangibili, come le ombre dei gironi danteschi, l’impossibilità di ottenere dannunzianamente l’amanza alimenta insani desii. Non credo di essere il solo a pensare così.

II. LE PUBBLICITA' SESSUALMENTE OFFENSIVE
Se poi parliamo di violenza psicologica, offesa intima e desiderio (o diritto) di vendetta sessuale, dovrebbero le care sostenitrici della lotta contro la "violenza di genere" e le molestie sessuali, spiegarmi ove sia il fondamento epistemologico per cui i nostri atti (a volte dettati da pura maleducazione, altre volte da prosecuzione di quanto avviene in natura, ove il maschio deve inseguire ed insistere la femmina che fugge e resiste, raramente invero da prepotenza o da malignità premeditata) sono considerati molestie o addirittura "violazioni dell'intimità", mentre le loro aperte violenze psicologiche, le loro chiare provocazioni mentali (o, a volte, anche fisiche), le loro prepotenze sessuali (derivanti sovente da voglia di infliggere sofferenza emotiva, quasi sempre da bisogno di mostrare la propria posizione di preminenza nella sfera erotico-sentimentale, e a volte di umiliare pubblicamente o irridere nel desiderio chiunque rivolga loro lo sguardo o la parola) sono considerate puro nulla, o comunque "loro diritto" o "normalità" (quando non addirittura "stile pubblicitario").

Basti pensare solo alle immagini televisive.
Da tempo immemorabile la moda propone pubblicità sessualmente volgari, esplicitamente offensive quando non ancora chiaramente idiote. L'ultima (innovativa), di Dolce e Gabbana, raffigurante un uomo (dall'aspetto però chiaramente efebico ed omosessuale) che blocca a terra una donna mentra altri Adoni maschili stanno placidamente a guardare, è stata persino vietata per legge. Sarebbe però stato degno di un vero ministero delle pari opportunità lamentarsi parimenti quando la stessa violenza simbolica o psicologica di tali pubblicità "sessualmente offensive" è (ed è stata) rivolta contro gli uomini in genere, non solo quando come in questo caso lo è contro le donne.

Non oso ricordare le continue e subdole pubblicità della Brail ove le donne perennemente stronzeggiano contro gli uomini, subdolamente e sadicamente, in maniera da ferire l'incoscio (o anche il conscio per chi ha questioni aperte) di tanti uomini di oggi.
Questo per non dire delle pubblicità vagamente sadomaso (sì, si scherza, ma fino a quando? Ed anche qui la donna immobilizzata è uno scherzo. E fino a che punto il gioco rimane tale nel nostro inconscio? E se nel reale qualcuno non distingue o eccede nel giocare?) nelle quali l'uomo è legato, frustato, picchiato, torturato, schiacciato.
Fino a lì si dice che è solo un gioco. La moda ci abitua al peggio.
Mi permetto solo di notare che anche nelle innocue caramelle si rappresentano ragazze che picchiano ingenui, assolutamente non violenti e anche delicati aspiranti corteggiatori (con le rose in mano). Questo ha conseguenze incalcolabili nell'immaginario dei giovani uomini, i quali non possono non sentirsi ancora più insicuri e ancora meno apprezzati di quanto la loro condizione naturale e sociale già non li rendano normalmente.

Come se non avessero abbastanza problemi nel relazionarsi con le coetanee o nel cercare di ottenere anche solo una realistica speranza di appagare i propri naturali desideri di bellezza e di piacere che la stessa pubblicità modaiola contribuisce ad accrescere ben oltre la natura e ad dirigere verso un modello di donna rarissimo e quasi impossibile da trovare nel mondo reale, almeno nei paesi mediterranei. Per questo si creano non solo le ragazze anoressiche, ma anche i ragazzi frustrati, che vedono impossibile congiungersi col proprio sogno estetico.

Lo dico chiaramente. Se la maggioranza dei ragazzi è segaiola e repressa la colpa non è loro o della natura che fa bramare loro la beltade ed il piacer, ma delle loro coetanee, di bellezza spesso mediocre e dal comportamento quasi sempre altezzoso, le quali pretendono per relazionarsi con loro in tale sfera, che si reciti da seduttore per compiacere la loro vanagloria o da giullare per farle divertire ed esigono comunque si paghi (in tempo, fatiche, corteggiamenti, e talvolta sempre in denaro, sotto forma di doni e omaggi o comunque in sincerità o addirittura in dignità, quando si dovrebbe recitare da cavalier servente disposto a dire e fare tutto per avere in cambio la sola speranza) e soprattutto si atteggiano a miss mondo non appena mostrano una seppur lontana e vaghissima somiglianza con l'ideale estetico interpretato dalle fanciulle del motor show e dalle modelle della televisione.
Ovvio che le vere incarnazioni del sogno estetico dell'anima moderna (formato nell'inconscio dai mezzi di comunicazione, ma in realtà nascente dalla natura e identico a quello che prese vita dai versi, dalle rime, dalle immagini, dai suoni, dalle musiche dei poeti, mossi dal medesimo disio) siano massimamente rimirate da chi deve vivere in questo mondo.

Non ci si deve stupire se la prima naturale reazione dei maschi di oggi sia quella di ricercare momenti di abbandono alle onde della voluttà ed alla bellezza delle grazie dei corpi femminili in compagnia delle prostitute.

Non potete, care donne che vi lamentate della degradazione dei giovani d'oggi da corteggiatori a puttanieri, pensare che per l'immaginario maschile e l'inconscio (almeno fra gli uomini più sensibili e attenti) passino senza lasciare traccia le immagini, i pensieri sottesi, i messaggi subliminali e le pubblicità di oggi, mostranti sempre i "corteggiatori" come o dei violenti o degli imbecilli. Quesi sempre o sono presentati come bruti, volgari e potenziali violentatori, e allore vengono duramente puniti o annientati in maniera fisica e psicologica, oppure sono mostrati quali sciocchi privi di qualità, banali scocciatori, poveri illusi nel credere una donna bella possa condersi loro, e parimenti vengono maltrattati, umiliati, irrisi in ogni modo la fantasia umana cinematografica e pubblicitaria sia in grado di inventare.
La reazione NATURALE dell'animo umano, sia essa conscia o inconscia, è quella di dire "non avrete ciò che disprezzate" (ed è quello che tacitamente dico alle donne che non sono escort proprio scegliendo di pagare le escort). Sciocco sarebbe pretendere il contrario e sciocco è voler che si rischi di essere disprezzati proprio nel momenti in cui massimamente si apprezza (la bellezza) e proprio da chi si sta mirando.

III. LE BALLE IDEOLOGICHE SUL COSIDDETTO MEDIOEVO
Mi obietterebbero le femministe che le derisioni del maschio non sono prese sul serio per retaggio culturale mentre quelle della donna potrebbero esserlo per una persistenza del "maschilismo medievale". O che comunque si tratta di un minimo di riequilibrio simbolico dopo il medioevo misogino. Già, il medioevo dipinto da loro, il medioevo come luogo a-temporale e a-storico di streghe e roghi e donne oppresse.
Beh, che se lo studino il medioevo prima di parlarne!
Magari potrebbero leggere di Nencia da Barberino, e di tutti i mestieri svolti dalle donne i cui segreti e i cui consigli si narrano in versi. E' quello un mondo in cui le donne non partecipano alla società?
Se è vero come è vero che l'arte è lo specchio della realtà, è davvero credibile che la realtà del medioevo fosse per le donne simile alla situazione dell'Afghanistan talebano? O si deve pensare che tale rappresentazione discenda dall'orientamento ideologico di chi ha inventato il termine stesso di medio-evo (ossia età di mezzo, qualcosa fra antichità ed era moderna da saltare a tutti i costi, da non guardare nemmeno, da lasciare nelle tenebre dell'ignoranza e dell'oblio) per denigrare ciò che aveva interesse a cambiare? Per chi non lo avesse capito sto parlando degli illuministi (padri poi di ogni tipo di ideologia) che volevano fare la rivoluzione borghese e dovevano dunque presentare l'ordine costituito come ignoranza, tenebra, male assoluto e afflizione dell'umanità voluta da forze oscure e maligne. Ovviamente che nel medioevo siano stati inventati la bussola (indispensabile per permettere viaggi lunghi e conoscere dunque culture un tempo ignote e avere commerci materiali e intellettuali con popoli diversi e lontani) e l'orologio (invenzione epocale che ha cambiato per sempre il rapporto dell'uomo col tempo) e quasi tutto quanto, nella cultura, nella linguistica, nelle tradizioni musicali e culinarie e persino nella tecnologia definisce l'identità di quanto noi, popoli europei, siamo oggi non passava per la mente di dirlo (lo dirà, sia pure in modo parziale, e ancora una volta ideologicamente orientato e per questo limitato, il Romanticismo).

Il frutto più soave del medioevo poi qual è stato? Indubbiamente la lirica, che nasce in Italia proprio nel medioevo. La nascita della poesia siculo toscana, il metro stesso del sonetto (ideato da Jacopo da Lentini, notaio di Federico II di Svevia alla corte di Palermo), la canzone stilnovista e la Commedia dantesca sono le sublimi espressioni del medioevo davanti alla cui bellezza il mondo (anche e soprattutto quello più "emancipato" e più "moderno") può solo sospirare ammirato e sognante. E' un caso che l'elemento in comune di queste mirabilie artistiche sia proprio le figura della donna?
La domanda è ovviamente retorica.

Il medioevo è un periodo in cui la figura della donna-angelo è l'immagine, quasi il simbolo, della beatitudine dell'animo fatta sensibile, la meta ideale cui tende ed in cui si giustifica idealmente l'intera vita dell'uomo, in cui nasce la cosiddetta galanteria, e tutti i privilegi di cui le donne godono ancor oggi (e da cui si guardano bene, per quanto moderne, colte ed emancipate, a rinunciare), in cui Dante rende immortale in verso il culto del femminino sacro con l'ultimo canto del Paradiso contenente la preghiera a Maria.

Se si tratta di un periodo misogino allora il Sultano di Costantinopoli è cattolico ed il Papa è turco.

Nella civiltà tradizionale la donna aveva un ruolo assolutamente centrale in famiglia e non solo nell’educazione dei figli, ma proprio come centro del vivere domestico e sociale (il resto di cui ci si lamenta e da cui nasce per reazione il femminismo è relativo alle innaturali condizioni della prima industrializzazione, nella quale le masse spostate dalle campagne alle città erano costrette a lavori e ritmi di vita quasi forzati e contavano solo i denari guadagnati in fabbrica e non il sistema di valori millenario della civiltà precedente, di cui le donne erano portatrici al pari degli uomini) Nelle famiglie nobiliari (e sarà così fino al Settecento, prima dell'ondata moralizzatrice giacobina) la moglie era di fatto libera come il marito: il matrimonio era un mero accordo commerciale, separato dalla vita affettiva e verametne privata. Era un atto formale per unire le fortune delle famiglie, in un accordo all’interno del quale vi erano sì la procreazione (per la prosecuzione della stirpe) e l’educazione (per garantire la continuità ideale) e la recita del vivere assieme e del presentarsi uniti nelle occasioni ufficiali, ma anche il mantenimento dell’indipendenza sentimentale e mondana dei singoli, ognuno dei quali aveva i propri amanti, le proprie amiche, i propri cicisbei, e viveva a proprio piacimento la vita reale, con i propri divertimenti, le proprie feste, la propria gratificazione erotica.Comunque vi era un bilanciamento (di poteri e di apprezzamento) altrimenti non avrebbe potuto reggersi il mondo neppure nell’instabilità.
Anche nei periodi cosiddetti bui del medioevo, le donne non erano inesistenti, bensì avevano un ruolo non indifferente, in quanto erano le muse dei poeti, l'immagine di ogni più alto sentimento e la rosa da proteggere e per cui combattere nei tornei, in suo onore e nel suo nome erano feste e giostre e scontri e duelli: erano dunque idealmente giustificate anche se erano costrette nei loro ruoli di madri e spose così come i maschi lo erano in quelli di guerrieri, sacerdoti, servi della gleba: la rigidità era nel mondo sociale. La loro influenza nel privato è sempre stata poi tutt'altro che irrilevante: le belle avevano sempre l'arma ammaliatrice, con la quale potevano conquistare sultani, papi e imperatori, mentre anche le altre avevano comunque la possibilità di esprimere la loro volontà di potenza nel desiderio di procreare, di generare idee e stili tramite la forza dell’ispirazione suscitata negli uomini per tramite dei loro istinti, nella brama di forgiare figli forti e robusti, destinati un domani, nelle sua più profonde, radicate e inconfessabili pulsioni, a dominare il mondo, nella volontà di educare e possedere la prole formandola, con la forza dell’agire materno, a immagine e somiglianza della propria anima, della propria tenacia, della propria abnegazione. Le donne non erano mai indifese come lo erano gli uomini senza potere, al limite avevano l'arma del vittimismo: qualche cavaliere arrivava sempre in loro soccorso)
Non era affatto esclusa la presenza e l’essenza del femminile, né individualmente né filosoficamente. Mentre nel mondo vagheggiato dalle femministe sarebbe tutto molto femminilmente autoreferenziale. Quindi non c’è nessuna simmetria (né contrappasso) in quanto propongono coteste donne.
Nel mondo tratteggiato dalla pubblicita femminista-hollywoodiana l’uomo avrebbe una sua cantrice? avrebbe un ruolo rispettato come quello di una dama del medioevo? avrebbe chi si suicida per lui? Sarebbe il modello per poetessi, pittrici e musiciste? Sarebbe un ideale? Avrebbe, oltre agli obblighi, l'ammirazione quando li rispetta e li sublima (come per sante, cortigiane e dame di classe)? A me pare che la donna-femminista delle pubblicità sia principalmente autoreferenziale (ama la sua di bellezza, non quella dell'uomo, concepisce la propria come sensibilità, e chiama bestiale o inesistente o infantile quella dell'uomo). Tranne che nei periodi di dominio dei barbari talebani (i quali in ogni tempo impediscono l’espressione del femminile) esisteva sempre un bilanciamento, o comunque una coesistenza di maschile e femminile.
A differenza della società "tradizionale", fondata sul senso dell'identità, sulla realtà oggettiva e superindividuale dello spirito e sulle sue opere (che forse ingiustamente si chiama patriarcato), nella quale comunque le donne hanno un ruolo sociale riconosciuto e rispettato (di madri, di spose o di dame) ed in ogni caso,
anche nei periodi a loro più bui, svolgono un'azione incisiva (anche se non apparente) sul mondo umano e dunque sulla storia, tramite la fortissima ineludibile influenza esercitata per natura sull'uomo per mezzo di la quanto in lui è più profondo, vero e irrazionale, nella società pubblicizzata dalla Brail o dalle femministe gli uomini sono totalmente apolidi, non ricoprono alcun ruolo, non esercitano nessuna influenza, non hanno alcun diritto o tutela, non possono esprimere nulla di sé, non vengono soddisfatti nei loro desideri e nelle loro esigenze, non vengono protetti e accuditi, non sono apprezzati in nessuna dote, non ricevono alcun rispetto, alcun complimento, alcun sorriso, alcun gesto o sacrificio in loro onore (come invece capita alle donne cantate dai poeti, celebrate nelle opere d'arte e nelle feste, onorate nei tornei, vezzeggiate nel privato, accudite e protette nella famiglia, rispettate nella società, idolatrate negli incontri, privilegiate e adorate nella mondo mondano, e sempre al centro di sorrisi, apprezzamenti, innamoramenti tutti sorgenti al primo lor apparire, in ogni epoca cosiddetta "maschile" o "cupamente medioevale").

Giudicando il medioevo con i parametri di oggi le femministe dimostrano solo l'intolleranza che hanno nel giudicare quanto è diverso da loro. La loro incapacità di valutare una cultura, una organizzazione sociale ed un sistema di valori diversi da quanto arbitrariamente ritengono l'assoluto della giustizia e delle perfezione è indice dell'arroganza con la quale si pongono verso il diverso, verso il maschile in primis. Proprio loro che parlano di accogliere le differenze e di comprendere l'altro (nel senso latino di "cum-prendere", prendere con sé), non necessariamente nemico, cadono nell'errore di non vedere l'uomo se non per quello che è nella loro deformazione soggettiva. Si parla tanto (da parte delle femministe e di altre entità politicamente corrette) di vivere nell'armonia delle differenze e nel rispetto delle diversità (culturali, etniche, sessuali ecc.) e si attribuisce la causa dell'intolleranza e dell'incomprensione alla "cultura maschilista" (spesso associata al medioevo). Questo fa veramente ridere. Come si può pretendere di capire ed apprezzare persone e culture distanti da noi nello spazio, se non si capiscono e si disprezzano persone e culture (come quelle medievali) lontane da noi nel tempo?

Dicendo che il medioevo è un periodo buio ed infelice per chi l'ha vissuto si commette l'errore di giudicare la felicità e l'infelicità, la giustizia e l'ingiustizia di epoche diverse e lontane da noi con i parametri propri della nostra era e della nostra visione del mondo.

Il medioevo aveva tutta un'altra concezione dell'umano e soprattutto del divino, degli altri (e soprattutto alti) valori spirituali, un'altra visione del mondo, una totalmente differente prospettiva sulla vita e sulle cose terrene e celesti, un certo tipo di giustificazione ideale dell'esistenza. Aveva dunque un concetto di felicità, ed un modo per uomini e donne di sentirsi felici, del tutto diverso dal nostro.
Quello che pare mostruoso a noi per l'uomo (e la donna) del medioevo sarebbe probablimente normale e quanto pare normale e progredito a noi sarebbe demoniaco o comunque causa di sofferenza e smarrimento per loro. La società medievale aveva i suoi equilibri interni ed i suoi meccanismi di compensazione che spesso ci sfuggono ma che comunque garantivano una certa serenità a uomini e donne che vi vivevano, coerentemente con il sistema di valori costituente il loro mondo. Se non fosse stato così il mondo sarebbe cambiato molto prima. E' invece l'evoluzione verso la civiltà industriale ad aver rotto gli equilibri, trasvalutato i valori e creato le contraddizioni e le infelicità per gli individui che sono arrivate fino ad oggi e che hanno necessitato i cambiamenti sociali e sessuali ben noti e senza i quali la vita non sarebbe stata più tollerabile.

Secondo l'anacronismo mostruoso propugnato dalle femministe, nel medioevo vi avrebbe dovuto essere molta gente infelicissima, secondo i nostri parametri moderni.
Magari, se si potessero studiare le loro menti, si scoprirebbe che non erano così infelici poiché le fatiche, le privazioni e i sacrifici avevano valenza ideale ed erano fonte di intima gioia nella speranza e nella certezza del futuro, poiché la vita presenta aveva un senso idealmente giustificato ed eternamente eroico, poiché la ricchezza e la felicità si misuravano non quello che si aveva ma su quello che si era, perché parole come nobiltà o trascendenza valevano di più di termini quali denaro e lavoro e via dicendo.

Tutte le ingiustizie, le oppressioni, le immoralità e le cause di infelicità che le donne hanno subito e a cui il femminismo (meritoriamente, per quanto attiene questa parte di libertà individuali) ha reagito non erano radicate nella notte dei tempi e nella malvagia natura del maschio "fallocratico", come dicono loro, bensì nell'inumana e innaturale condizione della società della rivoluzione industriale.
Strappate dalle vita nelle campagne, ove erano il centro della famiglia e della società contadina, trasposte in città meccanizzate e industrializzate, ove la persona non era più, come nella civilità tradizionale, definita dai valori spirituali di cui è rappresentazione e di cui da trasmissione alla prole, ma dal lavoro prodotto e dal denaro guadagnato, e costrette ad una posizione subordinata (perché mentre i mariti erano in fabbrica esse dovevano pur occuparsi della casa e dei figli, ed in ogni caso il lavoro pesante delle fabbriche le svantaggiava economicamente e materialmente) si sono trovate davvero infelici. Alle mostruosità che dovevano vivere (totale dipendenza dal marito e rischi indicibili in caso di "decadimento" dal ruolo di donna rispettabile, elementi assenti nel mondo tradizionale, cui erano sconosciute sia l'economia sia la morale borghesi e in cui la protezione sociale era garantita alle donne dal loro stesso ruolo di madri o anche solo di figlie e sorelle nell'ambito della grandi famiglie patriarcali) hanno giustamente reagito a partire dalla fine dell'Ottocento.
Le loro infelicità erano però nate proprio dal modello culturale che, scientificamente pianificato da una elite finanziara e massonica (erano massoni tutti i protagonisti delle rivoluzione, da D'antone a Napoleone) per gli interessi propri, e non già dell'umanità (anzi, Umanità), aveva distrutto il mondo della tradizione (il cosiddetto medioevo appunto, altrimenti appellato ancien regime).

IV. IL MONDO MODERNO
Non si pensi che dopo questa rivalutazione storico-filosofica del cosiddetto medioevo (che dovremmo piuttosto chiamare, per il suo splendore artistico, "civiltà delle feste, dei suoni, dei colori e delle forme", e non già "buio") io voglia tornare indietro nel tempo, o far arretrare il processo di emancipazione femminile. Io sono ben contento, come individuo, di vivere in QUESTO mondo. Semplicemente, noto, non farò sacrifici per questo mondo. Dato che il ruolo di Pater Familias non solo è stato abolito dal codice e dal pensare moderni, ma è per giunta culturalmente deprezzato e attaccato, perché dovrei prenderne gli oneri senza riceverne gli onori? I doveri senza i diritti?I rischi e le fatiche senza i privilegi? I sacrifici senza le ricompense materiali e spirirtuali? Sarei un pazzo. Allora faccio il puttaniere

Che senso ha sacrificare se stessi in un mondo in decadenza?
Risulta del tutto privo di significato limitare se stessoi, le proprie possibilità di essere liberi, di scegliere i godimenti (o le consolazioni dai mali) e di ricercare la vita felice o, meglio, il vivere sopportabilmente, di fare insomma della propria vita qualcosa di vivibile, di rendere il rumore caotico dell'esistenza qualcosa di ascoltabile grazie ai versi, alle rime ed alle parole musicali che decidiamo di introdurre,
in nome della prosecuzione della vita senz'altro scopo. Gli animali lo farebbero, ma solo perché non sono in grado di rendersene conto. All'uomo, cui l'intelletto è stato dato, non solo per soffrire maggiormente del proprio stato "basso e frale", ma anche per capire l'ordine delle cose e trarre dalla conoscenza il modo per rendere la vita sopportabile o comunque per trarre delle soavi consolazioni, non può apparire degno di sé compiere sacrifici per mera la prosecuzione specie. La natura non ha infatti un senso umano. Avrebbe invece senso nobile compiere sacrifici di sé, anche estremi, per permettere la prosecuzione, nel mondo, di un ideale in cui viva la parte più pura di noi e nel quale vivremo ancora dopo la morte, l'affermazione insomma e l'immortalità, sulla terra, di un valore spirituale in cui risieda la nostra identità, quale poteva essere il senso sacro e romantico di Nazione.

La Nazione, quell'unità d'arme di lingua d'altare di memorie di sangue di cor, è l'io collettivo capace di tramandare nei secoli le azioni, i pensieri, le gesta degli avi. E' dunque quell'identità che spezza il ciclo naturale di nascita e di distruzione perpetuandosi nella conservazione di sé al di là della vita e della morte dei singoli individui. E' dunque, in questo, divina. La sua sede però non è l'Olimpo, ma la Patria, ossia la "terra dei padri". E quello della paternità spirituale è un tema centrale e decisivo.

Una delle ultime soddisfazioni del padre, quella che avrebbe potuto, nonostante tutto, convincere i più nobili e i più idealisti degli uomini ad essere, nonostante tutto, genitori, era la perpetuazione del proprio cognome. Ogni grande civiltà ha avuto il concetto della seconda nascita (così come quello della seconda morte, la "mors secunda"). E questa seconda nascita, nel mondo romano, era l'imposizione del cognomen. Una è la vita del corpo, che è data dalla madre e termina con la morte. Altra è la vita dello spirito, che è data dal padre e può durare in eterno, se si lascia eredità di affetti e se le azioni nel mondo sono state grandi e virtuose. E' una compensazione amorosa ed armoniosa: così come la madre ha la gioia di prolungare corporalmente la propria vita nel figlio che contiene in grembo, che allatta e che le sopravviverà, così il padre ha la soddisfazione di vedere prolungato spiritualmente il proprio nome nel figlio che educa, in cui traspone la propria identità e che la proseguirà nel suo agire e nel suo pensare, trasferendola a sua volta ai nipoti. Il nome (anzi, il cognome) è il simbolo tutto ciò. Anche per gli antichi, di tutte le civilità, d'oriente e d'occidente, il nome era tutto, conteneva l'identità. Ulisse non è riconosciuto da Polifemo finché non gli dice il nome. Ed è rivelando il proprio nome che Calaf consegna se stesso ed il proprio amore alla bella e crudele Turandot. Ora poteva essere ancora qualcosa, ma le leggi del "conformi ai principi di uguaglianza sanciti dall'Onu" hanno voluto che non fosse più nulla. A questo punto, come suggerisce Marcello Veneziani, l'identità di ciascuno potrebbe semplicemente essere costituita da una sequenza alfanumerica arbitrariamente scelta dagli interessati (come i nick dei forum). Il voler perdere la tradizione del cognome paterno è segno della caduta di ogni valore spirituale della vita. Non si pretenda poi di far la morale su qualche argomento particolare, giacché ogni norma etica, non essendo fondata più su un sistema organico e coerente di valori spirituali e di giustificazione ideale dell'esistente, apparirà come mero arbitrio di una o più persone o tentativo di chi è più debole in un ambito di limitare il più forte per poi combatterlo dove i rapporti di forza sono diversi. L'individuo ha dunque oggi il diritto a disconoscere qualsiasi autorità si presenti come etica o assoluta, negando che qualcuno possa dire a lui cosa siano il bene e il male, cosa debba o non debba fare della sua vita. La sparizione della figura paterna è l'effetto concreto di quanto in filosofia è la morte di Dio ben analizzata da Nietzsche. Purtroppo gli uomini moderni non sono oltre-uomini e non hanno la forza di imporre liberamente ed arbitrariamente valori e significati alla vita ed al mondo con lo stesso spirito creativo e potente con un artista crea nella propria opera d'arte. E' ovvio che l'unico significato della vita rimanga, per gli ultimi uomini contemporanei, quello biologico, e, quindi, materno.

La natura dà agli umani il desiderio di propagare la vita, ma non li appaga, perché non fornisce un senso a tutto ciò e non rende possibile propagare parimenti l'individualità.
Crudele e vano è vivere senz'altro scopo. Per giustificare idealmente l'esistenza, gli uomini crearono persino gli dèi. "Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dovette porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dei olimpici. L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura [...] fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dei olimpici". Come scrive Diego Fusaro, "Proprio gli dei olimpici sono il mezzo con cui i greci sopportano l'esistenza, della quale hanno visto la caducità, la vicenda dolorosa di vita e morte, soffrendone in modo profondo a causa della loro esasperata sensibilità; gli dei olimpici giustificano la vita umana vivendola essi stessi, perchè la vivono in una luce senza ombre e fuori dall'angoscioso incombere della morte.

Crudelissimo è poi dover piegarsi alle leggi meccanicistiche della natura accettando di tornare al nulla da cui si è nati dopo aver tanto sofferto, pensato, creato, e soprattutto desiderato di lasciare una traccia di sé sulla terra.

Già gli Antichi (con l'istituto dell'adozione e, a livello più esteso, con il concetto di discepolo o, nel caso dei grandi artisti, di posterità pensante) avevano superato il mito del sangue comprendendo come la vita nel mondo dello spirito, al contrario di quella del corpo, sia capace di tramandarsi senza bisogno di discendenza sanguinea o del supporto della genetica, se si lasciano un’eredità d’affetti e un insegnamento ideale, e soprattutto senza distruggere l’identità dei singoli, se essa si mantiene, nelle opere prodotte dal loro genio e dal loro sentire, e nel ricordo dei posteri.

Ora invece le donne, sia nel loro agire, sia nel loro pensare, pongono l'accento sulla vita come fatto materiale e materno, attribuendosi addirittura preminenza in questo, e sviliscono, o negano del tutto, l'aspetto spirituale e paterno, quello che attiene alla sfera superiore della vita, quella che dà senso e significato alla vita sensitiva. Fino al secolo scorso si poteva pensare che questo atteggiamento femminile non fosse innato, bensì indotto da una discriminazione culturale e da un forzato allontanamento delle donne dal mondo del pensiero in favore della funzione materna e sposalizia. Ora invece si scopre che aveva pienamente ragione Schopenhauer. Ora che le donne non solo hanno le stesse possibilità di istruzione e di lavoro degli uomini, ma addirittura costituiscono la maggioranza del corpo docente e hanno impostato una cultura diffusa nei luoghi della comunicazione di massa che privilegia sotto ogni aspetto il femminile al maschile (dall'immagine corporale alla visione del mondo: tutto quanto appare femmineo è considerato a priori bello, moderno, intelligente, e quanto invece è virile brutto, bruto, brutale, sorpassato, primitivo o addirittura cattivo, e dire il contrario, magari citando termini quali tradizione, nobiltà, trascendenza, altezza spirituale, agire puro, eroismo, contemplazione, è considerato politicamente scorretto, quando non apertamente ridicolo in quanto incomprensibile ad un mondo basato su valori meramente terreni) hanno reso evidente l'intima natura del loro animo., la quale è esattamento come l'ha descritta Schopenhauer.

La giustificazione ultima che la donna di oggi dà di sé e per la quale si attribuisce valore e con la quale attribuisce valore e significato al mondo circostante (e non ultimo quello degli uomini, classificando gli utili, gli inutili, i vantaggiosi, i dannosi e gli indifferenti) è tutta fondata sul concetto biologico di maternità, come avverrebbe in natura, sulla preoccupazione per la discendenza corporale e il meccanismo genetico di riproduzione, sulla tutela degli interessi della “specie” ancor prima di quelli dell’individuo, proprio come se fosse mossa dal “genio” di schopenhaueriana memoria più che non dal libero arbitrio e dal gusto individuale, dal suo pensiero o dal sentimento.

E’ l'animale infatti a vivere per riprodursi, obbedendo al genio della specie, giustificando la vita nell’utilità e finendo per essere utile non a sé ma alla natura, mentre l'uomo, anche al di là di ogni discorso etico, si distingue per il vivere invece per se stesso, giustificato in sé come ars causa artis, quasi fatto estetico puro, e la sua eredità, se vi è, è spirituale, non corporea.

Anche di là del bene e dal male (lungi da me l’intenzione di predicare la morale alle donne, ché l’uomo è l’ultimo a poterla insegnare), è questa la vera differenza. Pare che la donna moderna si ponga da sé dall’altra parte.
“La donna è il trionfo dalla natura sullo spirito come l’uomo è il trionfo dallo spirito sulla morale” (O.Wilde).

Le qualità per le quali reclama un ruolo di preminenza nella società e con le quali arriva a giustificare ultimativamente a sé e al mondo la propria esistenza sono infatti meramente corporali (come se l’uomo volesse giustificare sé per la mera forza fisica e volesse in quella reclamare una preminenza nel mondo: non avrebbe senso nemmeno per il mondo guerriero, nel quale, come insegna il Bushido, comunque la vera forza è spirituale, e proprio per questo può produrre opere etico-spirituali quali sono state, in Occidente, l’Iliade omerica o l’Eneide virgiliana, in grado di fornire all’uomo sub specie aeternitatis una visione ideale e completa della propria vita), legate alla riproduzione o comunque ad un utile materiale (si sono proposti diversi esempi, da parte delle donne stesse sostenitrici della loro miglior attitudine alla condizione concreta della società: dall’intuito per le cose terrene alla pragmaticità nella risoluzione dei problemi quotidiani, dalla predisposizione, diretta conseguenza del trovarsi biologicamente predisposta ad esser madre, a comprendere senza parole sfumature di carattere o esigenze sentimentali, alla capacità di soddisfare la sfera erotico-sentimentale di un uomo in cambio di un compenso o comunque di un vantaggio concreto).
Il suo fine pare dunque essere sempre, anche quando si fa oggetto estetico degno di ammirazione, l’utilità corporale, o magari la sfera affettiva, ma sempre legata alla felicità della prole e dunque alla specie.
Per l'uomo invece la ricerca dell’appagamento sessuale (specialmente nella sua espressione più schietta che si ha col meretricio), pur nascendo sempre da un bisogno biologico, si fa divertimento, o fatto estetico puro, o sublimazione ideale, o addirittura creazione artistica (quindi finalità prettamente individuali e, nel caso dell’arte, tendenti all’immortalità tramite la sublimazione dei propri desideri fattisi suono, rima, marmo o pittura).

In base a tutto ciò le donne stesse concludono (esplicitamente o implicitamente) che il mondo futuro deve dunque essere una specie di matrilineare Etruria preromana, nella quale le donne svolgono tutti i lavori ed i figli non conoscono i loro padri, salvo ricordarsi di loro tramite la firma nell'assegno di mantenimento.

V. LA PARENTESI CONCLUSIVA
Non ci si aspetti poi che gli uomini non traggano VANTAGGIO da questo. Concludo infatti con questa parentesi, fortemente ironica ma profondamente vera. Per migliaia di anni le donne erano riuscite ad imporre qualcosa di assolutamente assente in natura: il fatto che un maschio debba mantenere a vita la femmina con cui si accoppia provvedendo ai suoi bisogni. Se tanto il "dono", ossia il dar qualcosa in cambio dell'accoppiamento, se non proprio in denaro, o altra utilità economica, oppure materiale o sentimentale, almeno in doti utili alla femmina o a lei gradite oppure conferenti prestigio sociale, quanto il "combattimento" con altri maschi della stessa specie (implicante fra gli umani "costi" in termini materiali tempo, fatica, soldi, e immateriali di concentrazione, sforzo, dignità, sincerità, recita, frustrazione, irrisione, ferite emotive) sono fatti normalmente presenti in natura (il "gratis" non esiste, ed il "sesso libero" è una sciocca invenzione sessantottina come tante altre utopie comuniste: mai come in quel campo noi esseri umani, ma prima ancora esseri viventi, siamo condizionati e quando non è il genio della specie a guidarci lo è l'interesse personale), non si trova però traccia in specie alcuna dello statuto del "mantenimento a vita". Anzi, in molte società di mammiferi sono le femmine a doversi occupare di tutto, mentre i maschi fanno semplicemente "il bel sesso". E' il femminile ad essere, in natura, il sesso utile (se non altro perché, per il ruolo di madre, la femmina è più vicina agli interessi della natura: "vive nella specie più che nell'individuo", direbbe Schopenhauer). Il leone è il re della foresta per la bellezza e lo splendore della sua criniera e per la maestà della sua fisicità e della sua forza, ma sono le leonesse a dover faticare per il cibo e le altre esigenze della società leonina.

La femmina della specie umana era invece riuscita prodigiosamente a rovesciare questa situazione creando qualcosa di mostruoso: il matrimonio. Con esso l'uomo doveva dare tutto (e per tutta la vita) in cambio di un'unica cosa (e solo per il tempo limitato al fuggente rigoglio della bellezza femminile).

La disparità di desideri fra maschio e femmina, è vero, fa sì che NATURALMENTE quest'ultima tragga vantaggio per mettere alla prova e selezionare in base alle doti volute (per il bene della discendenza), oppure per ottenere qualcosa di utile a sé o alla specie, oppure ancora per avere nutrimento per la prole o provocare movimenti o azioni indispensabili all'evoluzione (per questo la mantide religiosa arriva persino a divorare il compagno). Nelle femmine dotate di autocoscienza il fine non è più la specie ma diviene l'individuo, per cui agiscono razionalmente nell'interesse personale, ma il meccanismo è il medesimo, dato che medesima è, anche fra gli umani, la disparità di desideri. Ma questa è e sarebbe solo prostituzione, in senso stretto (ossia il concedersi per interesse) o in senso lato (ossia accompagnarsi come fidanzata, amica o amante ad un uomo in cambio di vita con agi principeschi e soggiorni in alberghi da favola, oppure semplicemente doni, regali, viaggi da sogno, vestiti firmati, creme, auto sportive, o addirittura promozione sociale, fama, ricchezza, successo, vantaggi di carriera e prestigio), prosecuzione di quanto avviene in natura, NON MATRIMONIO. In natura il maschio dà solo fino a quando in cambio ottiene qualcosa (è un "do ut des"), non "a vita" e "per diritto della donna".
Da quando venne istituito (dalle donne: il nome deriva da loro e nessuna femminista mi convincerà mai che sia stato voluto dagli uomini, giacché pensare questo è ritenere i maschi talmente idioti da agire contro il proprio interesse) il matrimonio si creò quella che il codice civile chiamerebbe "disparità di prestazioni dovuta a sfruttamento di una condizione di bisogno" (il bisogno naturale maschile di ebbrezza e piacere dei sensi). Non parliamo poi del matrimonio monogamico, assolutamente innaturale per l'uomo (il quale non può appagare la propria brama di bellezza e di piacere con una sola donna, amando per natura, al contrario delle donne, la "variatio" sessuale) e creatore di fortuna per le cortigiane di ogni epoca (si dimentica che nella "maschilista" Atene gran parte delle ricchezze materiali era detenuta dalle "etere", le prostitute d'altro borgo, dimenticate dalla storiografia per uno strano accordo fra i maschilisti vergognosi di mostrare le debolezze e le stupidità conseguenti al loro sistema sociale teoricamente di superiorità maschile ma praticamente di privilegio femminile, e le femministe bramose di dipingere le donne solo come vittime). Il "giochino" delle donne oggi si è rotto.
Le femministe moderne che hanno lottato contro il matrimonio ed in favore dell'emancipazione della donna da esso non si sono accorte che NEI FATTI stanno emancipando l'uomo, non la donna.
E' vero che in tutti modi cercano di proseguire il retaggio del diritto matrimoniale al mantenimento con leggi di ogni genere, ma quando c'è bisogno della legge e della coercizione per imporre un uso, significa che tale uso è decaduto o comunque non più radicato e interiorizzato negli uomini.
Divieti e imposizioni non son mai serviti a nulla di effettuale. Solo il processo storico detta le leggi realmente rispettate e realmente efficaci. Ed il processo storico (benedetto dal femminismo) del mondo emancipato spinge verso la prostituzione diffusa e soffusa (fra le italiane, ad esempio, non ci sono nemmeno più le prostitute di professione di un tempo, additate dalla società come tali e conscie del loro ruolo sociale, bensì soltanto donne "normali", casalinghe o lavoratrici, quindi con una posizione sociale riconosciuta e rispettata, le quali, magari occasionalmente, e non già per bisogno, bensì per mera opportunità, scelgono di mettere a frutto il desiderio di natura suscitato altrimenti gratis negli uomini: tanto è vero questo che persino le escort professioniste, per confondersi fra le altre donne e non esser meno valutate, si presentano sovente come studentesse o modelle, quasi mai come prostitute) e l'abolizione del dovere al mantenimento di una donna. Non servirebbe né proibire la prostituzione né imporre i mantenimenti. Come Marx insegna, non si può far girare al contrario la ruota della storia.

E la storia dei sessi sta delineando per il futuro non già quel paradiso della donna che la pubblicità vuole rappresentare, ma un giardino di Allah per gli uomini i quali, a patto di possedere un minimo di capacità economica, potranno avere tutte le bellezze femminee un tempo disponibili solo per i migliori cavalieri, per i più potenti re e per i più ricchi mercanti. La pubblcità ama la donna fatale e ridicolizza i maschi. A ben guardare ciò è il classico meccanismo di compensazione morale per qualcosa che sta sparendo. La vittima della storia e del femminismo è la dama, "questo mostro della società occidentale e della stupidità cristiano germanica con le sue assurde pretese di rispetto e di venerazione" (come direbbe Schopenhauer). E' un bello scherzo del destino che il femminismo da Schopenhauer stroncato filosoficamente sul nascere abbia realizzato nei fatti quanto egli stesso si proponeva (la poligamia e l'abolizione dei privilegi femminili).

Resistano nelle sofferenze economiche e morali (descritte all'inizio di questo articolo) gli uomini di questo tempo, ultimi uomini in quanto ultime vittime della rabbia femminista causata degli errori di partenza del femminismo stesso.
Tutte le sentenze del mondo che condannano gli uomini a pagare e tutte le pubblicità dell'universo che umiliano l'uomo non potranno cambiare l'evolversi irreversibile della società.
Quanto subiscono ora gli ultimi uomini e gli ultimi padri è simile a quanto subirono le vittime di Luixi XVI o di Carlo X di Francia. Il futuro è roseo per loro, per noi maschi. Se davvero fosse roseo per le donne (come dipingono le femministe), queste non sarebbero arrabbiate. Sono adirate e cattive per il semplice fatto che, magari inconsciamente, sanno di aver "rotto il giochino" e di aver perduto ciò che non riavranno più. Per questo tentano di sfogarsi con sentenze, accuse e ricatti, sfruttando ancora gli ultimi residui di privilegio pseudo-galante.

Non si avranno più le stronzette che se la tirano e disprezzano i maschi, non si avranno più le fanciulle qualsiasi di bellezza spesso mediocre e di comportamento quasi sempre altezzoso, con un corteo di servi attorno a loro, non si avranno donne-rispettabili, donne-regine, donne-fatali o donne-angelo, si avranno solo donne e basta che dovranno lavorare come e più degli uomini e non avranno più privilegi (nessuno spenderà più un solo centesimo per le mediocri né tanto meno le manterrà nel matrimonio). Certo vi saranno sempre le più fortunate (perché più belle) che guadagneranno con la prostituzione, esplicita o implicita, diretta o sfumata. Esse però non faranno altro che faticare con molti (e non sempre molto gradevoli) per ottenere quello che in passato, con molto meno sforzo, avrebbero ottenuto da uno solo (che avrebbero potuto scegliere a loro piacimento). Contente loro.......... Io come maschio sono contento, in quanto la richiesta di solo denaro in luogo del lungo processo di corteggiamento, doni, tornei, fatiche, rischi (e mantenimenti) va soltanto a vantaggio del soddisfacimento facile dei miei desideri naturali. Qualcuno dirà che mancano il sentimento e la poesia, ma io ribatto che essi, in quanto frutto dell'illusione e dell'arte scenica, possono essere creati in senso artistico, estetico e raffinatamente teatrale da una attrice abbastanza brava (e da uno spettatore sufficientemente educato alla bellezza). Per il sentimento vero rimarrà sempre l'amicizia (che, non avendo a che fare con la natura e la riproduzione è e sarà per sempre il solo vero grande sentimento umano).

L'emancipazione della donna dal ruolo di moglie produce questo: prima gli uomini erano costretti (socialmente) a mantenere una donna (a vita), e dovevano pagare (di volta in volta) per le cortigiane (le quali, essendo rare per il pregiudizio sociale contro di loro, erano strapagate). Fra i doveri dell'uomo vi erano essere padre, marito e soldato (non trascurabile era la fatica di realizzare quest'ultimo termine!). Chi non si adeguava era socialmente escluso e quindi erano di fatto obblighi. In cambio avevano una donna dedita a loro ma destinata ad invecchiare (e quindi a non più soddisfarli dopo qualche tempo) e la gestione del potere politico (per chi non era nelle classi inferiori).
Se il primo errore del femminismo è stato, come detto, chiamare patriarcato e oppressione quanto non era più tradizione patriarcale (distrutta dal trionfo della borghesia rivoluzionaria) ma società industriale, ed è stato un errore contro gli uomini (voluto per giustificare ogni nefandezza contro di loro in nome di una presunta vendetta storica) il secondo errore è stato contro le donne, ed è stato di credere che il potere renda liberi. Nulla di più sbagliato: più il grado di potere cresce, più chi lo detiene è determinato e necessitato dai meccanismo del potere stesso (fino a divenirne praticamente schiavo: poche vite erano infatti effettivamente più faticose e dure e piene di doveri e prive di tempo libero di quelle dei monarchi assoluti che effettivamente esercitavano il potere: i re libertini e dissoluti che delegavano non fanno testo, giacché non erano il potere effettivo). L'uomo libero non è il potente, ma l'asceta. Certo questo lo insegnerebbe la filosofia medioevale (oltre a quella antica), ma le femministe non vogliono leggere il medioevo.....

Ora gli uomini non sono socialmente (lo sono, a volte, legalmente, ma sempre meno via via che le donne lavorano e guadagnano sempre più) tenuti a mantenere alcuna donne (così come non sono tenuti a fare i soldati) e continuano a pagare (come avrebbero comunque fatto prima, dato che l'infinità del loro desiderio di natura è la medesima) le cortigiane (le quali, essendo più numerose perché diffuse fra donne comunque socialmente riconosciute che non hanno alcun danno d'immagine a prostituirsi, costano meno). Per contropartita devono condividere il potere con le donne, ma proprio in questo hanno meno obblighi e meno doveri e sono dunque, come individui, molto più liberi (e lo dimostra il fatto che pochi scelgano di essere padri, mariti e soldati). Rimane però a loro il fatto di avere una donna che li accudisca: è la madre (la vita media delle donne è tale che un uomo può pensare di rimanere sotto la protezione materna per tutto il periodo non solo della giovinezza ma anche della sua maturità, avendo dunque i vantaggi del matrimonio senza i costi e gli svantaggi). Di fatto è la poligamia, poiché, una volta che il bisogno di essere curato e protetto intimamente è soddisfatto nel modo migliore (come solo la madre, garantita dalla natura, può fare), l'uomo può godere (nei sensi e nelle idee) della bellezza così come essa è diffusa nella varietà multiforme dell'universo femminino. Il costo di tutto ciò è comunque inferiore di quanto sarebbe stato mantenere una donna. Ed il minore potere e prestigio dell'uomo è ampiamente compensato dal fatto di non averne bisogno per appagarsi carnalmente.

Prima le più belle e desiderate volevano essere dame e si davano ad uno solo, al migliore, al più potente, al più ricco, al più bello, al più nobile. Era dunque difficile ottenerne i favori. Era difficile anche trovarle a pagamento. E quelle normali, non belle, avevano COMUNQUE il vantaggio di essere mantenute.

Ore le più avvenenti interpreti del sogno estetico contemporaneo vogliono essere modelle, attrici, manager ecc. Molte di esse, pur di raggiungere rapidamente la ricchezza ed il successo, o di vivere quali principesse rinascimentali, fra "cani, cavalli e belli arredi", ossia molto più agiatamente di quanto si potrebbe con un lavoro normale anche se ben pagato, o anche solo per potersi permettere capricci materiali come creme, gioielli, vestiti firmati ed auto sporitve, sono disposte (per interesse, certo, ma l'interesse è un desiderio molto più forte, nella donna, che non la concessione per amicizia o divertimento) a darsi a molti. Non è dunque difficile, disponendo di denari (o anche della virtù del risparmio per accumulare l'equivalente del "biglietto" per una notte con le modelle escort) ottenerne i favori. Il consumismo e l'individualismo, fratelli dell'emancipazione femminile contemporanea, rendono non disprezzabile per le donne concedere le proprie grazie anche a uomini che non apprezzano (ma di cui apprezzano la busta o la preminenza socio-economica).
Quelle normali non hanno più alcun vantaggio dall'essere donne: devono lavorare se vogliono vivere. E se si prostituiscono devono farlo ottenendo molto meno (come apprezzamento sia materiale sia spirituale) di quanto avrebbero ottenuto secoli fa semplicemente sposandosi e con il loro "darsi" fanno aumentare l'offerta di grazie femminili e calare i prezzi.

Del resto l'aumento di sacerdotesse di Venere "no-prof" in ambienti anche insospettabili non fa che confermare tutto questo.

Schopenhauer diceva: "La natura mostra una grande predilezione per il genere maschile. Tutto ciò che della riproduzione è leggero e piacevole, il godere della bellezza, l'appagamento immediato e schietto, il coito è principalmente una faccenda maschile, mentre tutto quanto è pesante e doloroso, il parto, l'allattamento, l'accudimento della prole, una faccenda solo femminile. Se gli uomini volessero trarre profitto da questa situazione potrebbero accoppiarsi con tutte le donne che desiderano senza doversi preoccupare di mantenerle o di fornire aiuto nella crescita e nel nutrimento della prole. E potrebbero lasciare la donna sola ad arrangiarsi in queste cose con le sue sole forze."
Non ho riportato le esatte parole, giacché preferisco ricordare, pensare ed interpretare piuttosto che digitare su google e copiare, ma esatta è (come spesso accade) la profezia di un genio filosofico.

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Pazartesi, Mart 19, 2007

LE PAGELLE DI MELBOURNE

Ecco le pagelle del primo gran premio della stagione. Chiamiamo i piloti per ordine di voto.

RAIKKONEN KIMI: 10
Il Grande Juan Manuel Fangio diceva che il miglior modo di vincere una gara è molto semplice: partire dalla pole position, andare in testa alla prima curva e non farsi più agguantare. Ognuno di questi tre aspetti rifulge brillantemente nel weekend di Kimi Raikkonen. La pole è stata conquistata con autorità e naturalezza, dissipiando come nuvole al vento le roboanti ed ostili dicerie dei profeti da test invernali (i quali lo ritenevano più lento del compagno di squadra Massa) e con quasi mezzo secondo di vantaggio su chi era unanimanente considerato l'unico vero numero uno in gara: il campione in carica Alonso. La manovra con la quale Raikkonen è scattato davanti a tutti ed ha girato in testa alla prima curva, staccando all'esterno, sulla traiettoria ideale, ed evitando magistralmente e con precisione millimetrica una eventuale carambola con le due McLaren e la Bmw di Heidfeld (che si stavano tirando la frenata in tre all'interno, nell'esatto modo in cui proprio dieci anni fa esatti, sempre qui a Melbourne, sempre alla stessa curva, i vari Herbert ed Irvine, scontrandosi, crearono il disastro in partenza che eliminò il favoritissimo Jacques Villeneuve) ha avuto in sé una perfezione perentoria e sublime. Il modo in cui Kimi ha mantenuto in ogni momento il controllo della gara, senza esagerare nel forzare i tempi ma anche senza lasciare mai una realistica possibilità di successo agli inseguitori (lasciati avvicinare solo di qualche secondo, e in maniera assolutamente controllata, nell'ultimo terzo di gara, quando avrebbe potuto perdere anche un secondo al giro senza correre rischi, ed ha perciò preferito rallentare, evitando di far correre dei rischi alla meccanica per il puro gusto di umiliare gli avversari nel distacco) è stato superbo.
Non un errore, non una sbavatura, non una singola imperfezione si può trovare nello svolgimento da parte del finlandese del primo compito in classe che lo ha portato alla prima vittoria in Ferrari. Non ottiene la lode soltanto per la poca fantasia e la poca passione nel festeggiare l'opera, la quale, ben inteso, resta un'opera d'arte.


HAMILTON LOUIS: 9 1/2
"Vorrei la pelle nera", diceva una canzone dei tempi andati. Ora si capisce il perché della rischiesta canora: nessun bianco, dagli immemorabili tempi della vittoria al debutto di Giancarlo Baghetti a Reims, è riuscito, al debutto in formula uno, a lottare con molta audacia e pochi errori per le prime posizioni e per giunta risultando spesso più veloce del compagno di squadra bi-campione del mondo. Una impresa simile era quasi riuscita in verità proprio qui a Melbourne a Jacques Villeneuve, il quale, prima di ritirarsi, era in testa davanti a Damon Hill, ma in quel caso la superiorità della Williams Renault sulla concorrenza nonché la non certo stratosferica abilità dell'Inglese avrebbero reso meno eclatante anche la vittoria. Questa volta, non si fosse trattato del secondo e mezzo impiegato in più dai suoi meccanici rispetto a quelli di Alonso e della scelta stessa (presa dal team ovviamente a favore dello spagnolo) di fermarlo prima del compagno-rivale (sfavorendolo, dunque), sarebbe stato lui a vincere (e con merito) il duello in casa McLaren Mercedes.


ROSBERG NICO: 9
Arriva settimo con una Williams, prima fra le squadre che Enzo Ferrari definirebbe "garagiste", non certo all'altezza, per budget e organico, delle grandi case. Il suo, e quello di Frank Williams (senza una macchina valida nessun campione può nulla) è un vero miracolo, passato sotto silenzio dai commentatori che guardano solo all'apparenza delle gare. Partiva molto indietro in griglia e l'aver saputo recuparare in gara con determinazione e lucidità, evitando comunque di commettere le sciocchezze in cui cadeva lo scorso anno, lo presenta come una futura promessa di campione o, almeno, di "animale da gara". Nella classifica dei tempi in gara è quinto, segno inequivocabile che, in primis, sa essere veloce ed efficace anche nelle più disparate condizioni delle gare e dei duelli, in secundis, pone più attenziona a mettere a punto la vettura per l'efficienza in gara che non per una effimera soddisfazione mediatica al sabato. E questo, assieme al magistrale sorpasso di Ralf Schumacher nelle ultime battute (degno davvero delle gesta del padre Keke), è segno che la stoffa, quella vera, quella autentica, c'è, e non è solo ricamata nel cognome.


MASSA FELIPE: 8 1/2
Posto che la rottura in qualifica non è colpa sua, il comportamento in gara è stato da otto pieno. Partito ultimo, è riuscito a risalire in fretta ma senza rischi verso la zona punti, mettendo a segno una serie di sorpassi degna dei tempi d'oro della Formula 1. E' vero che la macchina era la migliore del lotto, ma è altrettanto vero che nei tempi moderni non è facile esprimerne il potenziale quando ci sono gli avversari a rovinare l'aereodinamica. Meriterebbe il nove se avesse mantenuto, negli ultimi giri, la lucidità ed il raziocinio per pianificare l'attacco alla Renault di Fisichella in evidente crisi di gomme (oltre che in chiara inferiorità di prestazioni a priori). Con un minimo di freddezza e di calcolo in più avrebbe potuto trovare il punto debole per attaccarlo con successo. Certo ha fatto comunque molto, date le circostanze, ma la frustrazione e la stanchezza sono giustificazioni soltanto per piloti mediocri, non per il campione che egli si propone di diventare.


ALONSO FERNANDO: 8
Un buon compito, ma da un campione del mondo ci si sarebbe aspettato qualcosa di più. Bravo a conquistare comunque la prima fila e a stare davanti al compagno in prova, meno bravo a scegliere il modo di affrontare la prima curva (avrebbe potuto costargli caro: se l'è cavata retrocedendo quarto). In gara non ha commesso errori, ma non è risultato più veloce di Hamilton, né abbastanza veloce da non farsi surclassare da Raikkonen. Certo il motivo di questo risiede anche nella vettura, ma le vetture sono anche quello che i piloti le fanno diventare nel corso dei test di sviluppo. Il proseguio della stagione dirà se il fatto di aver vinto due titoli lo pone allo stesso piano o di un Emerson Fittipaldi (divenuto bicampione giovanissimo come lui) o di un Mika Hakkinen (tanto per restare in McLaren) non solo da un punto di vista statistico.


SUTIL ADRIAN: 8
Voglio dare al giovane pianista lo stesso voto del bicampione Alonso, perché partire ultimo dai box alla gara d'esordio con una monoposto chiaramente più lenta di tutte le altre e giungere alla fine (sia pure ultimo fra i classificati) staccato di soli due giri (che è comunque il distacco che qualunque pilota, anche bravo ed esperto, prenderebbe dalla Ferrari di oggi con una Spyker motorizzata dalla Ferrari di ieri) è un compito ottimo. Se non altro emerge la costanza dell'impegno e la tenacia della lotta, che per un giovane sono le prime delle virtù per sperare di diventarare un campione.


HEIDFELD NICK: 7 1/2
Non merita l'otto pieno per il fatto di aver pasticciato con le strategia al primo pit stop, in modo da passare da secondo a quinto, dietro anche al compagno di squadra Kubica. Merita più di un mediocre sette perché comunque, in prova, si è trovato terzo a meno di un decimo da Alonso. I tempi non possono mentire e la sua classe non è dunque acqua, come hanno frettolosamente pensato alla Williams due anni fa dopo una sola stagione (in cui comunque conquistò una pole). Il voto incerto deve essere uno sprone per portare la consistenza in gara ai livelli della velocità sul giro di qualifica. Anche per lui la stagione dirà la verità. E chissà che in casa Mercedes non si pentano, dopo averlo tanto amorevolmente cresciuto nelle formula minori (formula 3 tedesca, formula 3000, di cui fu campione 1999 dopo aver perso per un soffio da Montoya l'anno prima) di averlo scaricato senza tanti complimenti, preferendogli, a fine 2001, l'allora giovanmissimo compagno in Sauber Raikkonen. Se la legge dell'ex vale anche in Formula uno i cugini della BMW potrebbero far provare molti dispiaceri a Norbert Haug e compagni.....


KUBICA ROBERT: 7 1/2
Non è potuto arrivare all'otto pieno per il semplice fatto che non ha finito la gara (anche se non per colpa sua). Prima di ritirarsi era comunque meritatamente davanti al compagno di squadra (più veloce di lui in qualifica) Heidfeld. Speriamo che in futuro la BMW Sauber gli dia modo di mostrare il suo valore (già intravisto al debutto lo scorso anno), sia rispetto al compagno di squadra, sia rispetto a più conclamati campioni, permettendoci di definire meglio questo voto incerto.


SATO TAKUMA: 7 1/2
Arriva dodicesimo ed in Giappone gli faranno grandi onori. Tenendo conto che con una SuperAguri (la Honda dell'anno scorso gestita da un tem che ha per budget una frazione di quello della casa Madre) si piazza in mezzo alle Honda vere il suo è un compito più che discreto. E dire che non ha nemmeno provocato caos come spesso in passato. Bisogna ammettere che il pilota giapponese è in crescita e questo voto deve incoraggiarlo sulla via delle serietà agonistica.


FISICHELLA GIANCARLO: 7
Un voto mediocre per un pilota mediocre. Inizia il suo dodicesimo anno di Formula uno (dodici come le stagioni in cui si corre a Melbourne, dove debuttò con la Minardi) con un quinto posto "sanza infamia e sanza lodo". Preferisco, da professore, non dire altro, altrimenti ciò che penso di lui avrebbe il sopravvento sulla pura valutazione oggettiva della gara. Aggiungo solo che, con Alonso, la stessa Renault pareva su tutto un altro pianeta. E nulla (specie nell'evoluzione competitiva delle monoposto anno dopo anno, gp dopo gp) avviene per caso.


SCHUMACHER RALF: 6 1/2
Il grande (solo per statura) fratello di Michael Schumacher inizia la stagione così come ha terminato tutte le altre da quando (1997) è in Formula Uno: nella perenne incertezza se essere l'ultimo fra i primi o il primo fra gli ultimi. La sua gara è lo specchio di tutto quanto ha saputo mostrare durante la carriera: veloce ma non velocissimo, consistente in gara senza essere un "animale da corsa" (come invece il fratello), fa quanto è umanamente possibile fare per non far sembrare la sua Toyora una versione colorata della Corolla diesel di serie. Come negli anni della Jordan, come negli anni della Williams, sembra sempre che tragga il massimo da una vettura che, pur essendo più che discreta, non è la più veloci. Visto che però le stesse vetture con altri piloti hanno vinto e che la Toyota (che non ha mai vinto) dispone del budget maggiore di tutto il circus ci si potrebbe aspettare qualcosa in più in termini di capacità di messa a punto e sviluppo sul lungo termine. Se al terzo anno della sua presenza la Toyota pare fare il passo del gambero la colpa non può non essere anche sua. Il voto tiene però conto del buon comportamento in gara: almeno non ha commesso errori.


KOVALAINEN HEIKKI: 6 1/2
Flavio Briatore ha definito la sua gara pessima. I giornalisti vorrebbero affibiargli un quattro in pagella. Io invece gli do la sufficienza piena. Debuttare in gara su un circuito non facile, non provocare incidenti, qualificarsi decendemente, non danneggiare la vettura, non andare a sbattere, portare a termine la gara nei primi dieci ed arrivare per giunta staccato di sole cinque posizioni dal compagno di squadra undici anni più esperto non è opera che meriti l'insufficienza. Chi dice il contrario non ha probabilmente mai debuttato in alcuna competizione automobilistica, né ha l'umiltà per capire cosa ciò significhi e quanto importante e difficile sia uscirne con all'attivo un risultato nella TOP TEN.


TRULLI JARNO: 6
Raggiunge la sufficienza perché non ha commesso errori, e perché è dovuto all'insufficienza prestazionale delle Toyota se non è giunto nei punti. Prende però un voto inferiore al compagno Ralf Schumacher perché ha perso il confronto diretto. Non c'è altro da dire sulla sua gara, se non confermare quanto vale anche per Ralf Schumacher: al terzo anno con una scuderia un pilota che abbia, oltre alle doti di guida, quelle di sviluppo a lungo termine e di sensibilità tecnica nei confronti della vettura, dovrebbe trovarsi in una situazione migliore.


LIUZZI VITANTONIO: 6
Con una Red Bull vecchia di un anno e ribattezzata Toro Rosso non poteva fare più di quanto ha fatto giungendo 14esimo senza commettere gravi errori. In mancanza di altri elementi di valutazione, merita la sufficienza perché, pur battuto dal compagno di squadra in qualifica, è più davanti a lui nei tempi di gara.


SPEED SCOTT: 6
Perde una ruota in gara, ma in qualifica è più veloce del compagno. Non posso dargli più della sufficienza stentata, perché i suoi tempi di gara non sono granché.


BARRICHELLO RUBENS: 5 1/2
La sua gara esiste solo perché ostacola il connazionale Felipe Massa. Ne ha tutto il diritto, essendo con lui in gara a pieni giri, ma il confronto prestazionale è impietoso. Batte il compagno Button, ma non può lavarsi le mani del disastro globale Honda, dopo che l'anno scorso la vettura era in grado di vincere i Gran Premi.


WEBBER MARK: 5
Insufficenza netta per una gara in cui il pilota di casa parte in buona posizione (settimo) ma arriva in una pessima (13esimo e doppiato). A chi si ricorda di come proprio qui, cinque anni fa, al debutto, giunse quinto con la Minardi sopravanzando le Toyota e mandando in visibilio il pubblico, sembra di guardare le corse e la carriera di un gambero. Non è però una insufficienza grave perché le potenzialità velocistiche rimangono in lui ancora vive (nono nella lista dei giri veloci, fatto non disprezzabile con una vettura "assemblata" come la Red Bull- Renault). Il voto basso serva da motivazione.


DAVIDSON ANTHONY: 4 1/2
Dietro al compagno in prova ed ancor di più in gara. Non riesce poi a ripetere l'impresa di stare davanti alle Honda come in qualifica e finisce 16esimo a due giri dal vincitore. Il suo voto incerto fra l'insufficienza recuperabile e quella grave è dovuto proprio a questa altelena di prestazioni.


BUTTON JENSON: 4
Una grave insufficienza per un pilota irriconoscibile. Risulta molto più lento di Barrichello in gara (e, assieme al brasiliano, ostacola Massa) e giunge addirittura 15esimo, ultimo dei piloti doppiati di un giro. Non si capisce come possa essere lo stesso giovane che nel 2000 sbalordì tutti al debutto con la Williams e solo l'anno scorso vinceva in Ungheria con la stessa Honda. Se Webber è un gambero, per lui non ci sono paragoni bastevoli. E' solo la prima prova dell'anno, ma se l'atteggiamento è questo, per evitare la bocciatura servirà un miracolo, a lui ed alla Honda tutta.


WURZ ALEXANDER: 3 1/2
Straperde il confronto con il compagno in Williams Nico Rosberg. Tutta la sua esperienza di pilota (ha debuttato nel 1997 ed è uno dei senatori) e di collaudatore (da anni non fa che girare per i top team come macinatore di chilometri) nulla può contro la classe cristallina del giovane Nico (che ha solo un anno di Formula uno alle spalle). Questo in sé non sarebbe tanto grave, quanto il non rendersi conto della stupidaggine che Coulthard ha fatto contro di lui ed il giusficarlo. Per me ciò non è segno di fair play, ma del fatto che la sua testa è altrove. Un pilota "con la testa sulla spalle", anche se calmo, avrebbe almeno dovuto notare e far notare come non sia concepibile guadagnare 20 metri su una frenata lunga poco più di 80. Evidentemente lui, dall'abitacolo, non si è nemmeno accorto di dove fosse Coulthard.


ALBERS CRISTIJAN: 3
Si becca 2 secondi in qualifica dal compagno di squadra debuttante ed in gara combina un disastro uscendo di pista in una maniera che necissiterebbe dei rilievi dei vigili urbani per essere coperta di una spiegazione plausibile. Merita proprio un bel tre.


COULTHARD DAVID: 0
Federico il Grande diceva che il tempo e le esperienza degli uomini e della storia passano invano, perché gli uomini (lui, principe illuimnato, si poneva al di sopra) sono tutti stupidi e non imparano mai. Per fortuna il re di Prussia non era il team manager della Red Bull, altrimenti oggi avrebbe motivo di rafforzare il suo convincimento e di ritenersi ancora più infallibile nei giudizi di quanto già non credesse nella sua illustre vita. Un pilota che ha debuttato nel 1994 (in sostituzione di Senna, peraltro) ed è perciò il più esperto della classe, non può nemmeno pensare di tentare un sorpasso all'interno quando, prima della frenata, è staccato di una macchina dalla vettura che lo precede. Se lo si pensa vuol dire che il cervello non è in funzione. Se addirittura lo si tenta vuol dire che nulla hanno insegnato 13 anni di formula uno ed ancora di meno si considera la correttezza agonistica ed il rispetto per la gara e l'impegno degli avversari (nel caso, l'incolpevole e sfortunato Wurz). Già è difficile suparare oggi quando si è appaiati in rettilineo (date le staccate brevi), è quasi impossibile quando si è appena a ruota, è da cretini quando si è dietro. Il tentativo di Coulthard passa ogni concezione umana e divina delle corse e della stupidità. Zero Assoluto.

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Perşembe, Mart 08, 2007

CHE INCUBO, SOGNAVO DI ESSERE ALLO ZOO!

Questa notte è stata turbata per me da un incubo orribile. Nelle tenebre ho sognato di visitare il sito di Chiara di Notte e di leggervi, sotto un racconto riguardante uno zoo, nei commenti, qualcosa che non potrebbe mai essere scritto da una mia amica cara per sentimento e intelletto. Per fortuna era solo un sogno.
Il racconto non era malissimo, era composto secondo lo stile di lei, crudo ma pregnante di significato, ma nei commenti si faceva strada un'interpretazione dello scritto e soprattutto del reale basata su una pseudo-morale del tutto infondata e su un tale insieme di vane credenze, falsità e mistificazioni utopiche o vetero femministe da far sembrar quasi vere, dall'altra parte, per contrasto, le balle e i luoghi comuni del peggior maschilismo pisquanoide.
Il filo-conduttore (tacito ma evidentissimo nelle connessioni, dal finale del racconto via via giù per i vari post) di tutti commenti era una pretesa superiore etica "naturale" per la quale, essendo in natura preminente il sesso femminile ed avvenendo che sia sovente la femmina a divorare il maschio e mai viceversa, anche nella specie umana, ove la possibilità per una donna di divorare l'uomo (sentimentalmente, economicamente o psicologicamente, fino a ridurlo ad un fantasma di se stesso, privo di tutto, di ogni pensiero e di ogni volontà vitale) esiste, sarebbe da considerare "positivo, bello e naturale e progressista" il comportamento prepotente, tirannico o addirittura predatorio delle donne nei confronti dei maschi, mentre sarebbe da reputare "negativo, brutto, brutale, contro natura e immorale e arretrato" il tentativo di un uomo di opporsi a ciò "con le proprie armi" o di organizzarsi assieme ad altri per ideare costrutti sociali non già di oppressione, bensì di limitazione e freno a tutto questo.
Le donne più false e melliflue chiamano questa forza "branco", riconoscendola solo quando è il corrispondente naturale della loro naturale prepotenza (la natura compensa spesso le armi di ognuno) e si volge perciò ad azioni turpi ed efferate, mentre, non essendone capaci (così come un uomo non avrà mai i privilegi femminili, le donne non avranno mai quelli maschili), la disconoscono quando al contrario si volge alla costruzione di una realtà super-individuale (creata a partire dalle singole anime, in modo da non annullare ma anzi comporre costruttivamente le diversi identità, eppur parimenti oggettiva al pari di quella sub-individuale del corpo), a fini nobili o comunque immortali, e si dovrebbe chiamare "spirito". E' inutile però spiegare oltre qualcosa che sa di Platone a chi definirebbe "branchi di maschi" persino gli uomini dell'età di Pericle.
Resta il fatto che, nei commenti, veniva definita "bella immagine" quella di una tigre donna che serra le mascelle intrappolando e dilaniando e annichilendo il suo aspirante amante, colpevole soltanto di sentire nel profondo del suo essere l'ingenuo trasporto verso la bellezza proprio di ogni uomo fatto anche di carne e sentimento, oltre che di forza, mentre dall'altro lato si tratteggiava nitidamente la figura dell'uomo o come potenziale violentatore, o come pericoloso pazzo pronto a trasformarsi all'improvviso da tranquillo cittadino rispettoso della legge a belva umana.

Già qui, volendo assumere per vero il dato, vi sarebbe una prima contraddizione, in quanto, se ogni maschio dolce, remissivo, dal sentimento delicato e puro, dalla sensibilità quasi fanciullesca e dalla fantasia ingenua e creativa viene "divorato" (o comunque fortemente disprezzato e guardato dall'alto al basso con sufficienza quando non con aperto disgusto), la specie si evolve nel senso favorevole ai maschi duri, violenti, "bastardi" ed aridi, rendendo inutile ogni altro discorso "morale" contro di essi come genere, in quanto l'origine di tutto sarebbe sempre e comunque la scelta della femmina. Non si lamenti poi questa se fatica a trovare amici veri o uomini capaci di sognare e far sognare coi versi, le musiche, le immagini e l'altre bellezze non corporali, o anche solo di non vedere lei come un "buco da riempire", ma come un ideale etereo da desiderare e rimirare come la luna nel cielo: è tutto frutto di un'evoluzione da lei voluta ed imposta. Il punto però è un altro.

Posto che i pazzi violenti esistono, ma non sono certo la maggioranza, vorrei chiedere a chi ha dipinto questo "quadro" che risponderebbe se io vedessi in ogni donna una potenziale infanticida, citando a suffragio articoli di giornale ritagliati ed elaborati a sistema antropologico.
Discorso a parte meritano coloro che pazzi non sono, ma che vengono fatti impazzire dalle moderne "stregonerie" legali, sociali e femministe, o di quelle, sempiterne, dell'amore sessuale suscitato e sfruttato ad arte, aventi entrambe come effetto il rendere il resto della vita di un uomo simile all'esilio: senza "casa, famiglia, roba".

Su questi, che a mio avviso costituiscono la maggioranza dei cosiddetti "pazzi omicidi", passionali o meno, scriverò un un post a parte ("Le Pseudopsicologhe e San Giuseppe") per prendermi gioco tanto delle madonne che giocano a fare le psicologhe quanto dei pisquani che (ad ulteriore dimostrazione del fatto che, come vergato da Schopenhauer, i cinque sesti degli uomini sono costituit da imbecilli), vi credono.

Mi permetto soltanto una parentesi personale.
Ovviamente io, per indole prima che per natura, non mette mai le mani addosso per primo, senza che vi sia stato consenso, né ad una donna bellissima, né ad una bruttissima, né ad una donna completamente nuda, né ad una con burqua, sia ch'ella passeggi indifferente a me, sia che lo abbia adescato, e nemmeno durante la copula seguito a fare qualcosa che la mia sacerdotessa dà segno di non gradire più o di cui dice di essere stanca. Non so se sia perché non godo mai davvero, non riesco mai ad abbandonarmi realmente al piacere o perché sono timido o perché non sono abbastanza "animale". Non so se sia un fatto razionale, di merito o dovuto all'indole e al caso o ad una inconscia inibizione al sesso sfrenato e alla furia dionisiaca. Il fatto è che so questo valere per me (non so per altri), e per tutte le situazioni che la mia mente "normale" (ci vuole un bel coraggio) riesce ad immaginare.
A quanto traspare dai posto che ho sognato scritti da Chiara di Notte, però, si va ben oltre. Si parla di essere una "fata maligna" (non so se crederci o meno), di possedere doti uniche di convincimento, di portare gli uomini al punto in cui il desiderio si fa esasperazione ed ossessione, di ridurre in marmellata il loro cervello, di farli impazzire (sia fisicamente sia psicologicamente) e questo esce dal mio concepibile. Quando si forzano i fatti e si esasperanole situazioni, quando si suscita consapevolmante la pazzia nell'altrui core, non si verifica la misura vera dell’uomo, il suo comportamento sociale “all’ordinario”, ma il suo modo di divenire folle o di reagire all’offesa. Non sempre l’ira e lo sdegno sono controllabili (pur non giustificando violenze o omicidi) e non sempre in quei casi estremi le azioni e i gesti rispecchiano l’intenzione vera, l’animo e la volontà delle persone (del resto, le donne quando impazziscono sono capaci persino di fare a pezzi i propri figli). Non potrei sapere nemmeno per me, come reagirei da pazzo (vorrei vedere loro, le dame, che appena ci si dimentica di una galanteria ne fanno una questione capitale!)

Sottolineo solo come, se io credessi di essere ingannato da una donna, non direi "mi dispiace perché comunque le voglio bene", ma "che sparisca dalla faccia di questa dannata terra!". Si trasforma in odio per me una gentilezza di core tradita. Ma è un exemplum fictum. In realtà io preferisco prevenire che vendicarmi, e nella vita reale evito ogni situazione in cui potrei essere vittima di stronzaggine (spesso appena scorgo avvicinarsi una bella donna che non sia escort mi giro dall’altra parte o la ignoro: non do nemmeno la possibilità ad un’eventuale stronza di approfittare di me). Se subisco però l’offesa il desiderio di vendetta esiste. Ovvio poi che piccole offese non mi suscitano la volontà di grandi rappresaglie: spesso, in quei casi è bello fingere di perdonare. Se però, all’estremo opposto, qualcuno rovina (legalmente o meno) la mia vita, io vorrei rovinare (legalmente o meno) la sua, anche a costo di rischiare la mia.
Non sono per nulla d’accordo col corrente ritenere un uomo si misuri nel malinteso. Indipendentemente da quanto accaduto, se ci si pensa vittime di un malinteso, allora è giusto essere pacati e gentili affinché l’altro un giorno si ravveda, ma se invece ci si pensa (a torto o a ragione) vittime di un inganno allora no. Non credo si abbia diritto ad appellare infantile il comportamento di chi reagisce a suo modo all’offesa, e se la devo dire tutta, l’infantilismo non è nella reazione, ma nell’azione di chi pretende di poter fare senza subire.

Non riconosco disparità e privilegi alle donne. Se qualcuno pensa che io, per il semplice fatto di aver scelto un nick da sovrano del Quattrocento, voglia seguire una modalità pseudo-cavalleresca di difesa aprioristica e ad oltranza delle donzelle sbagliate. Una volta che la fiducia è tradita o l’offesa e l’irrisione sono state portate a compimento, le regole e i privilegi della galanteria per me finiscono. Non li concedo a chi ha dimostrato di non meritarli. Per me è l’intenzione che conta: l’intenzione di perfidia e cattiveria nell’ingannare e nel ferire. Se le stesse ferite sono fatte senza intenzione (o con un’intenzione non cattiva, come, ad esempio nella sfera erotico-sentimentale, verificare e decidere, e non ingannare e deridere) non le ritengo offese. Se però subisco un’offesa o un inganno mi vendico con una crudeltà, una perfidia e una intensità di odio direttamente proporzionali all’intenzione di chi mi ha offeso, sia esso uomo o donna.

La colpa non è continuamente da una parte, per cui, se è vero che, essendovi gli psicolabili pronti sempre a fraintendere qualsiasi sguardo, qualsiasi parola, qualsiasi sorriso, qualsiasi vestimento o movenza della donna a proprio vantaggio o a pseudo-giustificazione delle loro voglie brutali, o addirittura i violentatori per indole, la "chiara" del sogno fa bene a tenere pronta la "padella" per difendersi, è altrettanto vero che, essendovi le stronze pronte sempre a ferirmi intimamento o umiliarmi pubblicamente e ad irridermi nel desiderio, o addirittura le vampire divoratrici per indole, io faccio altrettanto bene ad attuare ogni misura atta a proteggermi (ad esempio appagando il mio natural disio di bellezza e di piacere in uno "zoo" che non mi esponga ai rischi di ferimenti o sbranamenti) senza venire descritto per questo come "uno sciocco bambino che va alla giostra".

Terminata questa parentesi, vorrei far notare come, proseguendo nella lettura dei commenti, si colga chiaramente l'ambiguità (voluta e donotante sottile malvagità d'animo e perfidia femminili, unite a cieca stupidità prettamente maschile) con cui vengono trattati i termini di "forza, violenza" (in latino "vis") e prevaricazione, ingiustizia. Avendo già scritto un post molto approfondito (e lungo) al riguardo qui noto solo come non tutta la violenza sia prevaricazione (si pensi alla legittima difesa, o anche alla giusta vendetta) e, d'altra parte, non tutta la prevaricazione sia violenta (si pensi agli inganni, ai raggiri, alle tirannie erotico-sentimentali o all'uso distorte delle leggi e della morale).
La violenza senza sopraffazione è propria dei veri uomini, come mostrano i leali scontri del mondo guerriero ed eroico, capace per questo di creare una realtà superiore, una grandezza ed un'identità immortali, di conferire agli uomini ed alle nazioni una vita idealmente giustificata, e di generare opere etico-spirituali quali l'Iliade o l'Eneide, e tutte quelle mirabilie del pensiero che noi possiamo appunto solo ammirare, mai riprodurre. La sopraffazione senza violenza è invece diffusa fra certe (non tutte, ovviamente) donne (di oggi come di ieri).

Non si finirà mai di sottolineare quanto il vero male (o comunque il vero problema) sia la volontà di sopraffazione, tragicamente insita, come dimostrato da Schopenhauer, nella volontà di vivere e dunque presente al massimo grado negli umani (i quali, in quanto coscienti, sono della volontà la massima espressione) indipendentemente dal fatto che essa utilizzi mezzi brutali, violenti e diretti ovvero sottili, perfidi e indiretti. Sull'Utopia della sognata chiara potrei anche essere d'accordo, se solo non attribuisse falsamente ed arbitrariamente l'esclusiva colpa agli uomini.
E' vero che l'essere umano è peggiore del peggiore degli animali, ma ciò vale per ambo i sessi, checché se ne dica e checché s e ne voglia dimostrare il contrario.
Ella dice che non le risulta dalle cronache dei giornali di branchi di donne che attuino violenza o si radunino per delitti efferati. Certamente, ma nemmeno si verificano casi di uomini-vampiro che, sfruttando le debolezze carnali altrui, facilmente trasfornantesi in altrettante debolezze sentimentali, dilaniano moralmente, economicamente e psicologicamente un uomo togliendogli ogni avere, ogni sentire, ogni pensiero di ragione, di interesse e di fiducia ed ogni speranza di felicità. Lasciate che siano le potenziali vittime a valutare quale situazione (delle due) sia più turpe, quale sofferenza più atroce, quale offesa più profonda, quale tipo di morte (o di sopravvivenza) più crudele e quale tipo di sopraffazione più malvagia e meritevole dello sdegno. Non pretendiate di essere l'unica fonte di verità e di sensibilità.

Ognuno usa (o tende ad usare, nel bisogno o nella prepotenza) le proprie armi (nel senso di quelle che per natura possiede in maggior grado o con le quali si sente favorito: violenza fisica, morale, psicologica, o inganno dialettico, truffa economica, cavillo giuridico, raggiro erotico-sentimentale, seduzione, intelligenza, bellezza ecc.) nella giungla umana e non si è certo moralmente superiori se si scelgono quelle nelle quali ci si ritiene in vantaggio su chi si vuole opprimere. Questo vale tanto per gli uomini quanto per le donne. Moralmente superiori sarebbero, forse, quelle persone, di ambo i sessi, che rinunziano a sopraffarre il prossimo , ma risultano talmente rare che, se riconosciute, vengono subito nominate santi o sante.

Quanto a me, io ritengo comunque che non vi sia troppa differenza fra chi direttamente uccide o violenta e chi lo fa indirettamente, distruggendo psicologicamente una persona oppure creando ad arte la disperazione nell'animo altrui e dunque la pulsione all'omicidio o al suicidio. Sono anzi propenso a deprecare di meno chi almeno, in tutta questa turpitudine si espone in prima persona e non si nasconde dietro apparenza pacifiche o vittimiste.

Un altro topos letterario (in realtà banale) di quei commenti letti nell'incubo riguarda l'attribuire cagione dei mali del mondo e dei dissidi fra le genti agli uomini mossi da cupidigia, tutti descritti come criminali pronti a qualsiasi violenza per ottere ciò che non possono avere altrimenti, per difetto di virtù o di forza. Che l'origine dei contrasti e delle violenze e delle ingiustizie sia la cieca cupidigia era cosa nota a tutti i letterati e filosofi, da Cicerone a Schopenhauer, oltre ad essere conclamata persino dal profeta della non-violenza (che io non amo) Gandhi (non mi risulta essi fossero donne). Il Mito (che contiene sempre una parte di verità) sarebbe però portato a mostrare la donna come causa e motore della cupidigia di cose terrene, non già l'uomo, che ne è vittima e attore indiretto e a volte manovrato. La Guerra di Troia ebbe origine da una donna (non certo dispiaciuta che forti guerrieri dessero la vita per lei) ed in ogni caso, prima di Pandora e del suo vaso, gli uomini vivevano pacifici e sereni (e un po' accade ancora ai maschi più tranquilli prima di dover entrare in contatto con le giovinette). Più concretamente, in ogni civiltà del passato l'emergere della componente femminile è stato segno di de-spiritualizzazione, di caduta dei valori tradizionali, di perdita del senso ideale in grado di giustificare l'esistenza e di trionfo del materialismo e dell'individualismo. Fu così in Roma (e infatti Augusto, per compiere la restitutio imperii, ripristinò il mos maiorum con leggi severe per le donne, anche se poi il potere di esse tornò a crescere generando quella situazione così ben descritta da Giovenale e caratteristica della decadenza e della futura rovina). Fu così nella seconda Roma, Costantinopoli, negli ultimi tempi forte di intrighi e debole d'esercito e travolta dall'assalto del più giovane e virile impero Ottomano.
Fu così in Venezia (vera e propria repubblica delle dame salottiere, secondo in racconto che ce ne dà il Principe Eugenio, il quale non era certo uno sprovveduto) la cui caduta è un perpetuo esempio di cosa porti il prolungato neutralismo e l'immobile pacifismo (rimasta in piedi "per accidente", priva di vera forza militare e civile, venne abbattuta alla prima occasione di utilità dalle altre potenze senza quasi colpo ferire, a scorno di una storia millenaria). Fu così persino per la Parigi di Luigi XVI, nella quale tutto ciò che profumava di nobile e di virile era svilito e sbeffeggiato da indegni intrighi di femmine.
Sarei tentato di citare lo stesso Schopenhauer, il quale vede nelle donne la rovina dell'odierna società proprio in quanto la loro cupidigia (da filistei) si appunta su beni terreni (il corpo, gli agi, la ricchezza) piuttosto che su quelli spirituali (la virtù, il coraggio, la conoscenza pura) e a ciò induce pure l'uomo a conformarsi, tramite il profondo influsso esercitato tramite ciò che in lui vi è di più profondo e irrazionale (lo stesso "femminista" Rousseau diceva che gli uomini saranno sempre ciò che le donne vorranno e dunque saranno virtuosi solo quando alle donne si insegnerà la virtù: ma questa è utopia), facendo emergere (a livello sia individuale sia sociale) le ambizioni e gli impulsi "non nobili".
Può non risultare un caso infatti che proprio la società odierna, mercantile e basata su valori meramente terreni, dopo aver de-spiritualizzato il mondo, tolto agli individui ed ai popoli qualsiasi possibilità oggettiva di giustificare idealmente la propria esistenza, e chiamato progresso la distruzione dei valori spirituali alla base della creazione delle immortali opere dell'arte e del pensiero, da Omero a Virgilio, da Platone a Dante, abbia avuto la coincidenza da un lato di conferire alla donna parità di diritti, materiali e ideali, di promuoverne l'emancipazione, di esaltarne (anche oltre ogni logica) la figura e il pensiero (laddove si vuole essere politicamente corretti o modernamente pubblicitari) e addirittura di darle una certa preminenza sociale per il suo valore di "madre" (e dunque creatrice di vita corporale) e dall'altro di rendere sterili le arti, la filosofia, le rime, le pitture, le musiche, tutte, insomma, le espressioni dello spirito, un tempo invece capaci di mirabilie del pensiero, di versi immortali, di grandezza ideale, dei più soavi suoni, delle più divine immagini e delle più sublimi melodie.
Non amando però generalizzare sulle donne come esse generalizzano sugli uomini detestando l'attribuire (ad esse o ad altri) colpe delle quali NON posso essere matematicamente certo, mi limito a tenermi il dubbio ed affermo con certezza soltanto quanto segue.

Nel desiderio,un uomo si "accontenta" della bellezza, mentre una donna "pretende" l'eccellenza (nelle doti che ognuna, soggettivamente, pone in ordine diverso d'importanza, e possono essere, oltre alla bellezza, l'intelligenza, la virilità, la cultura, la ricchezza, il cuore ecc.). Sovente le doti da lei volute devono risultare utili o gradite a lei per motivi soggettivi o conferenti prestigio sociale.
Nel mondo materialista e de-spiritualizzato tali doti coincidono sovente con la capacità di produrre ricchezza o comunque di raggiungere una posizione di preminenza economico-sociale.
Per raggiungere tale posizione servono di norma tempo, doti e soprattutto fortuna. Chi è troppo giovane, troppo poco portato a ciò (perché magari ha doti volte più all'affermazione nel mondo dello spirito che non in quello mondano) o non abbastanza assistito dalla dei bendata deve o rinunciare a ciò che intimamente desidera (ossia la bella donna) o costringersi a cercare di ottenere quella posizione di forza socio-econimica ad ogni costo e con ogni mezzo. Di qui nasce ogni sorta di iniquità e di furfanterie, che l'uomo, per natura, non commetterebbe mai, ma che è spinto dalla brama muliebre di cose terrene a fare (altrimenti viene disprezzato, umiliato nel suo desiderio, considerato debole e costretto a rimirare altri al suo posto accompagnarsi ai suoi sogni estetici viventi). Non è una questione di bisogno, di tornaconto personale, di plagio sociale o di "sudditanza" o di "idolatria": è proprio desiderio puro.
Se le donne avessero come modello San Francesco gli uomini violenti o cupidi di guadagno al di là di ogni scrupolo non esisterebbero, o almeno sarebbero emarginati e non conseguirebbero il successo e soprattutto il potere che attualmente invece hanno.
Non è una colpa desiderare ciò che la natura ci spinge a bramare, ma non è intellettualmente onesto negare l'evidenza di tutto ciò (è evidente come il fatto che un uomo desideri la bellezza muliebre).
Per tutti le volte nelle quali (provocatoriamente) quei commenti sognati parlano di uomini che vogliono tutto con la violenza e la sopraffazione diretta io ho altrettante argomentazioni per asserire (altrettanto provocatoriamente) le donne voler tutto con l'inganno e la sopraffazione indiretta, o addirittura con l'istigazione a far compiere ad altri la violenza per proprio conto. La storia sarebbe piena di esempio, da Messalina alla tanto celebrata Maria Teresa d'Austria. Certamente è assurdo parlare anche di storia con chi sostiene la famosa bufala dei "5000 anni di stupri". Si può forse spiegare alle femministe che il ruolo (ed il rispetto), ad esempio, delle matrone romane, o delle dame rinascimentali, per il semplice fatto che fosse diverso da quello dell'uomo non fosse secondario o comunque poco influente (tanto nel privato quanto nella politica)?

E' tutto inutile, esattamente come far capire a quel davide quanto il "sogno della non violenza" descritto dai post della sua interlocutrice non derivi affatto da un desiderio di equità e di giustizia. Ella infatti (la quale perciò non puà essere la Chiara di Notte che conosco e rispetto) vuole semplicemente eliminare la violenaza dell'uomo (o, almeno, quanto ella definisce come tale, e che vede esplicarsi nelle forze fisiche e di coesione fra maschi e per le quali si sente più debole o comunque non avvantaggiata) per far sì che la violenza della natura (o, almeno, quanto ella considera naturale, come il divorare uomini in ogni senso, il tiranneggiarli sessualmente, l'illuderli per proprio profitto, l'annullarli mentalmente o l'umiliarli o irriderli nel desiderio), nella quale si sente in posizione migliore, possa fare libero corso senza freni (e soprattutto a suo vantaggio). Un uomo savio direbbe "no, grazie". Un uomo moderno dice "ah, sì, non è affatto di parte la tua visione".

Un sintomo di questo è il citare proditoriamente e senza razionale pertinenza alcuna il tema della poligamia di fatto degli uomini (anche sposati) quale sinonimo di volontà di oppressione o di scarsa considerazione della donna. Avrei in serbo per l'argomento un paio di post, per dimostrare come sia la natura stessa ad inculcare nel petto dell'uomo una brama infinita di cogliere l'ebbrezza ed il piacere dei sensi da quante più donne possibili, ed a farne nascere il desiderio immediatamente e al primo sguardo, con l'immediatezza del fulmine e l'intensità del tuono, ma con la soavità di plenilunio di giugno dopo la pioggia, non appena la bellezza si fa sensibile a lui nelle fattezze del corpo muliebre. Ciò è complementare alla brama femminea di farsi sommamente desiderare e seguire in ogni dove, (come una fiera nei boschi) dal maggior numero possibile di maschi, in modo da ampliare al massimo la rosa di coloro che sono disposti a competere per lei e dai quali selezionare chi mostra eccellenza nelle caratteristiche volute per la riproduzione e il bene della discendenza (o, razionalizzato nelle società più evoluto, quelle doti materiali o intellettuali che rendono un uomo gradito o utile alla femmina, o conferiscono prestigio sociale).
Tutto ciò risponde ai fini della natura, non a quelli dell'uomo (ed è infatti motivi di infinite infelicità individuali, da quelle dei giovani uomini intimamente feriti dalle "stronze" a quelle delle donne tradite): il desiderio maschile serve garantire la massima propagazione dell'istinto vitale, quello femminile a garantire la selezione dell'eccellenza.
Questo è l'amore naturale "l'inganno che la natura ha dato agli uomini per propagarne la specie".
Tutto il resto, nell'amore, è solo costruzione dell'uomo, della sua ragione, della sua arte, della sua parola, e, più profondamente, del suo inconscio.
L'aveva già compreso Schopenhauer:

"L'uomo tende per natura all'incostanza in amore, la donna alla costanza. L'amore dell'uomo cala sensibilmente non appena è stato soddisfatto: quasi tutte le altre donne lo eccitano più di quella che già possiede, perciò desidera variare. Invece l'amore della donna aumenta proprio da quel momento. Ciò dipende dal fine della natura, la quale mira a conservare la specie e quindi a moltiplicarla il più possibile. L'uomo infatti può comodamente generare in un anno più di cento figli, se ha a disposizione altrettante donne: la donna invece, per quanti uomini abbia, potrebbe comunque mettere al mondo un solo figlio all'anno (a prescindere dalle nascite gemellari). Perciò l'uomo va continuamente alla ricerca di altre donne, mentre la donna si attacca saldamente a un unico uomo: la natura infatti la spinge a conservarsi, d'istinto e senza alcuna riflessione, colui che nutrirà e proteggerà la futura prole." (LA METAFISICA DELL'AMORE SESSUALE)
Non serve però scrivere oltre, dato che la stessa autrice ammette la verità di quanto sopra. Pensa però di cavarsela con il sostenere che allora anche la donna ha diritto ad andarsene per il mondo a selezionare il proprio "Campione". E, di grazia, chi glie lo impedirebbe?
Il desiderio maschile di godere di tante donne e quello femminile di cercare tanti uomini per selezionare l'eccellenza, in quanto natura, non possono essere moralmente condannati. Non possono, per lo stesso motivo, e non potranno mai, essere né mutati né impediti. Non si capisce dunque che significhi tale obiezione: si sta forse proponendo l'obbligo per le donne di accontentarsi dei mediocri? Sia nel matrimonio, sia nel fidanzamento di qualsiasi tipo (amore, interesse) sia nella prostituzione dichiarata è sempre la femmina a scegliere il maschio che le è più utile o gradito: la differenza è solo nei criteri di scelta e nella possibilità per certi di rientrarvi. Come fa a lamentarsi una donna con gli uomini per il fatto di aver lei stessa scelto male?
Nessuno vuole la botte piena e la moglie ubriaca, ma tutti hanno diritto a scegliere cosa volere.
Non si può negare che l'amor naturale (il quale contiene non solo la sofferenza del corteggiamento e del combattimento per i maschi, ma anche quella del tradimento per le femmine) contenga un potenziale di dolore che non tutti DEVONO essere costretti a subire solo perché sono nati o maschi o femmine.
Si deve dunque ammettere che come una donna non voglia giustamente soffrire nell'essere tradita un uomo non voglia soffrire nel dover faticare, rischiare ferimenti intimi, umiliazioni pubbliche ed irrisioni profonde e subire quasi certe delusioni reiterate, frustrazioni del desiderio, e financo ossessioni, ogni volta che deve conciliarsi alla vita di natura godendo della bellezza corporale di una donna e congiungendosi a lei in estasi di sensi e di idee.
Per la prima è stato inventato il matrimonio monogamico (con obbligo di fedeltà). Per il secondo l'escorting (con sicurezza di corrispettivo per quello che il maschio dà). L'importante è appunto che nessuno sia costretto in essi e che si possa scegliere. Poi pacta serbanda sunt: per me un marito che ha promesso fedeltà deve rispettare tale promessa (anche se secondo me impossibile, se non vuole scegliere fra essere infelice nel profondo del desiderio o esserlo nel profondo del sentimento) ed una escort che ha promesso di concedersi (per denaro) deve mantenere.
Non vedo in tutto ciò cosa vi sia di irrispettoso per la figura delle donna. Non vedo perché certe tematiche legate alla gelosia (che è propria di tutti gli amanti, anche dei mariti infedeli) debbano presupporre il considerare la donna inferiore. Io, pur fortissimo sostenitore della poligamia, non la penso così.

Tutto il resto dei commenti si basa su assunti del tutto errati, che i davide e la chiara del sogno fanno a gara a sostenere l'uno più fallacemente dell'altra.

1) Suppongono la violenza sia solo degli uomini. In realtà, la violenza, come spiegato, è nel mondo, gli uomini, in genere, prediligono quella fisica, le donne, per ovvi motivi, quella psicologica, ma non vi è più bontà, ragione o evoluzione, bensì più perfidia. Spesso le donne hanno anche meno bisogno degli uomini di usare violenza, a parità di nequitia e di prevaricazione. Sfruttando socialmente quella stupidità cristiano germanica che è la galanteria (e l'assurda assunzione diffusa a livello legale e sociale secondo la quale sarebbe un fiore prezioso e debole da proteggere) fanno sì che siano sempre altri uomini ad usare la violenza (fisica, economica o morale) contro chi vogliono loro, o addirittura usano la legge (o il biasimo sociale) come strumento di violenza contro quell'uomo di cui si vogliono "vendicare" per torto, capriccio o semplice falsità.
In ogni caso, a scanso di equivoci sui numeri cui qualcuno e qualcuna potrebbero pensare, bisogna rilevare come la violenza degli uomini sulle donne, essendo spesso una violenza fisica, è oggettivamente riconoscibile ed immediatamente rilevabile, mentre quella delle donne sugli uomini, trattandosi sovente di una violenza psicologica, non può essere né oggettivamente né immediatamente riconosciuta e risulta difficile da identificare, rilevare e censire: mentre la prima è diretta, chiara, esplicita e soggetta ad esser posta (se si vuole) alla luce del sole, la seconda spesso è sottile, implicita, e indiretta, e mai immediatamente identificabile, in quanto magari sotterranea, dissumulata, sfuggente (o addirittura mascherata da vittimismo o comunque difesa o giustificata da "privilegi di galanteria" o dal considrarsi da parte della donna "cosa rara e preziosa, gemma da difendere"): non è quasi mai rilevabile da dati oggettivi e proprio per questo non è chiaramente riconosciuta nemmeno dalla vittima, la quale la sente a volte soltanto per i danni manifesti alla lunga. E' da credere che se si potessero, per ipotesi, avere i dati completi su ENTRAMBE le violenze, ascoltate con le MEDESIME attenzioni e valutate con la STESSA misura (non aliena da ciò che soggettivamente a ciascuno dei sessi risulta ferimento) non vi sarebbero grandi disparità.

2) Suppongono che le donne siano per natura più inclini alla pace ed al compromesso. Sarebbe bello leggessero le satire di Giovenale, che, smentendo ampiamente e con gran copia di exempla tale luogo comune, dimostra invece le donne essere propense per natura al litigio (del resto certe femmine virtuali che qui non voglio nemmanco nominare dimostrano assieme ad altre esemplari di attaccabrighe mediatiche d'esser tutt'altro che concilianti e mediatrici).
Magari nel reale è diverso nella donna il modo di essere prevaricatrice e guerrafondaia: forse sostituisce all'insulto la provocazione, alla prepotenza aperte la sottile malvagità, allo slancio impetuoso, violento ma leale l'intrigo nascosto, la trama raffinata e sottile (ma non meno cattiva), l'inganno perfido.
Nella lotta di potere, quello che in noi è forza e splendore o ostilità aperta in loro è inganno, raggiro e guerra sotterranea, quello che a noi è in aggressività leale in loro è sottile malignità e abile crudeltà dissimulata, tanto che Schopenhauer le paragonò alle seppie, per l'abitudine a nuotare nel torbido e nell'inganno e a difendersi con esso (in mancanza di forza fisica). Forse, anzi, sicuramente, egli esagerava nell'attribuire alla donna una natura di per sé più menzognera e malvagia (essendo tali doti prerogativa di tutto il genere umano, non solo di quello femminile), ma non errava nella questione di fondo, ossia di come, in caso di necessità o volontà, ognuno è portato senza remora morale alcuna ad usare fino alle ultime conseguenza le armi che la natura ha conferito. Per alcuni sono la forza, per altri/e l'intelligenza, per altre ancora l'inganno o lo sfruttamento erotico-sentimentale.
Il fatto che la donna non sia affatto portata per natura alla mediazione ed alla conciliazione, bensì al litigo, alla tirannia e al trarre le estreme conseguenze dai propri privilegi è data dal loro orinario comportamento laddove godono di privilegio per natura e ordine sociale: il CORTEGGIAMENTO.
Basti pensare a come sfruttano quel fior fiore della stupidità cristiano-germanica chiamata galanteria per permettersi verso il prossimo qualsiasi derisione profonda, qualsiasi umiliazione pubblica o privata, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi irrisione nel desiderio, qualsiasi
arroganza, qualsivoglia crudeltà o perfidia (mascherata da nobile alterigia) senza dover temere nulla, dato che, se un uomo reagisce corrispondentemente, come sarebbe giusto, viene appellato da tutti molesto, violento, bruto, irrispettoso delle donne o comunque "anti-cavalleresco" e disprezzato.
Basti pensare a come struttano il nostro desiderio di natura per farci recitare da giullare o da seduttore, a seconda che vogliano divertirsi o che bramino compiacere la propria vanagloria, o, come avviene spesso con quelle che si ritengono dame corteggiate, per spingerci a far da "cavalier servente" disposto a priori ad affrontare rischi e sacrifici degni, come diceva Ovidio nell'ars amandi, delle campagne militari, a sopportare, insomma, rinunce e privazioni, per non ricevere in cambio nulla se non la sola speranza.
E mi fermo qui per non esplodere in un profluvio di parole già eloquentemente pronunziate in tanti post precedenti. Basta provare ad immaginare cosa sarebbero capaci se avessero lo stesso privilegio altrove per convincersi della fallacità di questa visione pacifista della donna.

3) Suppongono vera la sciocca teoria femminista secondo la quale le donne sarebbero deboli, rare e preziose (e dunque da proteggere e privilegiare) o comunque da sempre vittime dell'uomo, ed il femminismo stesso, anche nei suoi estremi, sarebbe la reazione (forse autodifensiva ma comunque "giusta) delle donne alla prepotenza maschile e all'oppressione basata unicamente sulla forza fisica. Basta qui un'analisi disincantata del mondo della natura (ove il genere femminile è quasi sempre preminente) e della preistoria per comprendere chiaramente come sarebbero le donne, tutt'altro che deboli, a risultare dominanti e tiranniche, almeno allo stato naturale o selvaggio (come è infatti fra molte speci), come le società matriarcali abbiano preceduto quelle patriarcali e dunque la presunta "oppressione delle donne" non risalga alla notte dei tempi e non sia distrutta soltanto ora, nelle società evolute, dalla presunta emancipazione, come il dominio maschile non si sia fondato affatto sulla brutalità e sulla forza fisica (dato che questa ovviamente esisteva anche nella preistoria in cui erano comunque le donne a dominare), ma piuttosto sulle leggi dello spirito. Su questa civilizzazione virile dello spirito pare concordare anche Bachofen.
Lascio dunque al lettore il compito di provare a capire perché, a differenza degli sciocchi contemporanei, i filosofi di ogni epoca (al contrario dei poeti abbacinati dalla grazie femminili) i filosofi veri, quelli appartenenti ad un mondo capace di grandezza etico spirituale e di opere immortali, non abbiano espresso opinioni lusinghiere sulle donne in genere. Avendo sempre amato più i poeti che i filosofi sono sempre pronto a mitigare il giudizio di questi sulle donne e a seguire una linea di comprensione e apprezzamento (quando non idealizzazione e sublimazione) del mondo femminile, ma non posso certo farlo davanti alle accuse antimaschili di commenti e di supposizioni del genere.

Tutto il resto che segue secondo queste tre fallacissime supposizioni sarebbe vero se lo stupro esistesse in natura. Visto che invece di esso (come ammette la stessa autrice dei commenti) non esiste nemmanco l'idea nel mondo naturale, mentre (lo dico io e dubito che si possa negare) esistono realmente in atto ed in idea tutti i modi e le intenzioni dello sfruttamento a fini utilitaristici del desiderio maschile (dalla mantide che divora per far compiere nello spasimo movimenti utili alla specie fino all'elefantessa che fa vivere nella frustrazione e in quella che, se l'elefante fosse umano, sarebbe sofferenza indicibile da sessuale ad esistenziale ed ossessione, a solo fine selettivo, riproduttivo e per il bene della discendenza) si deve dedurre che, una volta giunti gli umani all'autocoscienza, sia stato quest'ultimo "sfruttamento naturale" a tramutarsi nelle donne in tirannia naturale, prepotenza e, in altre parole, stronzaggine. Quindi tutto ciò che si odia (voi odiate) nell'uomo (dalle blandizie alla violenza, della forza dello spirito al potere delle armi) non è altro che una reazione di bilanciamento a quella che altrimenti sarebbe una tirannia naturale senza freni (resa insopportabile dall'autocoscienza). Magari potete dire che talvolta tale reazione è eccessiva e rischia di sbilanciare il mondo altrettanto ingiustamente in senso inverso. Ve lo concedo. Non vi concedo invece di negare la sua natura di reazione e la fondamentale giustezza tutta umana (in quanto basata su ricerca di equità sociale, tramite appunto meccanismi di contrappesi e bilanciamenti, e di felicità individuale, concetti assenti in natura) che ne sta intimamente alla base. Molti esagerano e con ciò giustificano anche le empietà e le oppressioni (all'individuo donna). Io cerco modestamente di non esagerare, ma conservo ferocemente e altrettanto nobilmente la purezza della motivazione "reattiva" e ne rivendico il diritto (indispensabile per la felicità dei singoli), contro chiunque cerchi di impedirmi di "naturalmente compensare la natura" (tutti i sistemi evolvono all'equilibrio, altrimenti esplodono), almeno finché non violo direttamente la libertà individuale tanto di donne quanto di uomini.


Sul finire di questo brutto sogno mi pareva che la giustificazione del doppiopesismo morale e sentimentale risiedesse in una sorte di etica naturale, la quale tollererebbe le malvagità e le perfidie delle donne e condannerebbe invece quelle corrispondenti degli uomini soltanto perché le prime sono preposte dalla natura stessa a propagare la specie e risulterebbero intrisecamente "migliori" nelle loro scelte ed anche nelle loro crudeltà. Nella realtà tale argomentazione, per un leopardiano come me, fungerebbe piuttosto da giustificazione di una certa misoginia (o, meglio, se non di odio per le donne, di distacco da esse), non già del privilegio femmineo.

La natura per la sua crudeltà e la sua insensibilità alla sofferenza dei singoli è all'uomo non madre, ma matrigna. La natura è crudele perché "nasce l'uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento", dà la vita ma non ne dà il senso vero, dà l'esistenza mondana, con le sue gioie transeunti e le sue banalità quotidiane ma non dà le cose "necessarie universali perpetue", dà le idee e i pensieri ma non dà nel mondo che crudeltà e spietatezza (perché la natura, oltre che bella e grande, è terribile e crudela, aliena da ogni slancio emotivo di pietà umana e da ogni profondo moto di umanissima compassione), dà il cibo e il riparo ma non dà le vere sicurezze e la vera soddisfazione, e le stesse creature belle e vitali oggi saranno deperite e mortifere domani e gli stessi casi che oggi ci hanno consentito di sopravvivere o di gioire domani potranno portarci a perire o a patire.
La stessa rosa che sboccia oggi domani appassirà, ma anche la stessa bellezza naturale è sovente apportatrice e nasconditrice di morte, crudeltà e sofferenza, perché "a me la vita è male". La natura è ciclica e spietata cancellazione della vita individuale quando l'uomo è pietà e rimembranza e desiderio di continuare a vivere ed eternarsi. La natura è prosecuzione della vita nel continuo alternarsi di creazione e distruzione di individui, di piacere e sofferenza, quando l'uomo amerebbe la prosecuzione di sé, la custodia dei propri valori, e il tramandarsi della propria individualità. La natura dà il piacere ma mai discolto dalla sofferenza e dalla privazione e dalla paura del dolore ("piacer figlio d'affanno, gioia vana ch'è frutto del passato timore"), dà l'infinito dal desiderio ma non ne dà mai una completa ed esaustiva soddisfazione, dato che ogni appagamento terreno è finito (nel tempo, nello spazio, nell'intensità e nella profondità sull'essere), dà la bellezza ma non dà l'immortalità, dà la giovinezza e gli altri doni ma non il calice per non lasciarla scorrere via come da un vaso senza fondo, dà il divenire ma non dà l'essere.
Le donne, nel loro istinto e nel loro essere profondo, e finanche nell'esaltata capacità di procreare, hanno in sé la medesima crudeltà della natura. Non è vero che la donna sia sempre "madre". Lo è solo per i propri figli e solo fino a che li accudisce (come tutti i mammiferi in natura e al contrario del padre, il cui amore, come spiega sempre Schopenhauer, è spirituale e più duraturo). Per tutti gli altri è matrigna, esattamente come la natura, gli stessi fini della quale persegue usando sovente i medesimi mezzi (il genio della specie, i desideri suscitati ad arte e gli istinti profondi da sfruttare per far compiere agli individui la sua volontà).

Per questo l'uomo veramente saggio, nel suo percorso materiale e ideale di emancipazione dalla natura, deve combattere (almeno negli ambiti in cui sono in gioco la libertà di pensiero e di azione, e la giustificazione ideale dell'esistenza) contro la natura ed anche contro le donne.

Ecco la Società delle donne: una civiltà di formichine terragne prive di spirito, protese a perpetrare (e il verbo non è scelto a caso) la vita senz’altro scopo, incapaci di quella giustificazione ideale dell’esistenza la quale può essere data solo in senso estetico dall’arte e dalle altre opere dello spirito.
E’ l’uomo d’animo nobile a possedere il dovere e il diritto di dare senso all’esistenza e di attribuire valori e significati a sé e al mondo circostante.

Oltre a quanto esaltato dalle donne (la stabilità, l'armonia, la nascita ecc.), la natura presenta anche altri aspetti, ad esempio il distruggere il debole, non riconoscendo in quella che potrebbe essere invece una ricchezza (si pensi ai poeti e ai musici, la cui quasi esasperata sensibilità alla vita e al mondo genera il sublime), emarginare o normalizzare il pazzo, inteso come colui che non è funzionale alla società ( "Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri." ), lasciar perire il malato (non mirando in esso una possibile grandezza proprio in ciò per cui è sotto la prospettiva della natura "debole" e inutile), e soprattutto i perpetrare e conservare la vita senza altro scopo, spesso infliggendo crudeltà e sofferenza ai danni degli individui, incurante delle loro esigenze e, negli animali più evoluti, dei loro pensieri e del loro intimo sentire.
Nessuna civiltà, per quanto barbara può eguagliare tali crudeltà naturali.

Certo nei commenti non si parlava di civiltà, bensì di violenza sulle donne, ma pareva che si facesse derivare questa da una cultura guerresca o comunque patriarcale e non pacifista. A parte il fatto che per me è vero l'esatto contrario (ossia è proprio la mancanza dell'autorità del padre e della concezione spirituale e paterna dell'esistenza, dissolta in favore di quella materiale e materna, a produrre uomini scatenati, e senza legge, dati alla violenza anarchica ed alla sopraffazione del più debole come nella giungla, dato che non vi è una valida motivazione ideale per sforzarsi di volgere i propri impulsi a qualcosa di più nobile), questo è inaccettabile, anche perché testimonia una piramidale ignoranza del valore spirituale del mondo guerriero, greco, romano e cristiano, dalla cui grandezza (cantata da Omero, da Virgilio, da Dante, da Tasso e realmente esistita nelle gesta dei Leonida, degli Alessandro, degli Scipione, dei Giulio Cesare, dei Cacciaguida, dei Goffredo di Buglione) discende quasi tutto ciò che oggi è bello, nobile e soprattutto eterno. Per questo, a costo di farmi odiare dal mondo moderno, devo fugare il campo da ogni dubbio in proposito del mio pensiero.

Una delle accuse delle donne, la quale serve poi (nessun pensiero femmineo è conoscenza pura, ma tutti devono avere utilità pratica) da giustificazione ad ogni loro nefandezza e prepotenza ai danni del maschile, è quella che, mentre le donne creano la vita (terrena) gli uomini la distruggerebbero. Dovrebbe questo funzionare da accusa? Dovremmo accettare questa concezione materna e materiale dell'esistenza? Dovremmo vergognarci di ciò? Non sanno loro che distruggere (o, comunque, limitare) le espressioni e le concezioni mondane dell'esistenza è indispensabile per costruire o comuque per affermare come assolute quelle dello spirito (altrimenti i valori spirituali sarebbero meri gioielli immateriali da indossare a capriccio)?
Certo, distruggiamo il loro mondo, fatto di valori meramente terreni e incapace di elevarsi all'eterno ed all'eroico, un universo di vaghezze mondane, particolari e accidentali e di tutto quanto ha il germe della caducità e della brevità, per creare (o tentare di creare) un mondo ad immagini e somiglianza dei nostri sogni e dei nostri ideali, un universo ideale e imperituro, le cui opere, come le cose divine, sono fatte per l'eternità, non sono soggette al ciclo di nascita e distruzione, ma si propagano nel tempo rimanendo uguale a se stesse (fra queste, vi sono anche le immagini eteree delle donne fatte dee dal canto dei poeti) perché hanno in sé il soffio dello spirito immortale; distruggiamo (o tentiamo di distruggere) i loro piani, che coincidono con quelli della natura in quanto prevedono di perpetuare la vita senz'altro scopo, senza curarsi, come direbbe Leopardi, che sia felice (o che possa esistere l'illusione di felicità), per ideare invece un mondo in cui la felicità possa esistere "in positivo" e non solo "in negativo" come assenza di affanno.
Questo mondo è costituito da tutto quanto è creato dall'uomo quale consolazione soave per la sua stessa esistenza terrena, generata dalla donna ed indissolubilmente legata alla caducità ed al dolore, attraverso la bellezza, l'opera di genio, l'ebbrezza musicale, l'estasi visiva, la beatitudine per la conoscenza pura e l'astrazione dal trac trac quotidiano.
Questo mondo è la Poesia, questo mondo è la Letteratura in genere, sono la Pittura, la Scultura, le Arti figurative, questo mondo è la Musica. Questo mondo è il Sogno in cui dolce e caro diventa il vivere. In esso il desiderio si sublima alla sfera intellettiva e l'oggetto di esso diviene rima, verso, suono, melodia, e, come tutte le cose divine, risplende di una bellezza destinata a propagarsi sempre uguale a se stessa, non più a prezzo della distruzione individuale nel ciclo di natura, non più soggetta alla corruzione del tempo e della morte. Le donne danno la vita del corpo, ma è l'uomo che rende questa sopportabile all'anima.

L'amore è l'inganno che la natura ha dato agli uomini per propagarne la specie. Le donne lo affinano col loro intelletto e lo sfruttano per i fini della natura ed anche per i propri (attraverso la profonda influenza che esercitano sull'uomo per mezzo di tutto ciò che in lui è irrazionale, vitale, genuino e istintuale). L'uomo deve emanciparsi facendone mero atto scenico in cui paga il biglietto per godere dell'estasi della natura senza che il relativo tormento sconvolga la sua vita fuori dal palcoscenico e, soprattutto, affinché i propri interessi individuali (distinti da quelli della natura e quindi della donna) non vengano danneggiati.

Non credo però che Madonna Chiara, la quale mi aveva sempre apprezzato, e la quale è dotata di cultura e amore per la classicità, vorrebbe mai intendere quanto mi è capitato in sorte di sognare.
Vedrò di non fare MAI più certi sogni.
In Sha' Allah.

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