La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Cuma, Ocak 28, 2011

Ma l'orrore sei tu.

Girando in rete (mania da cui mi sto affrancando piano piano) ho trovato una stronza femminista la quale, postando un video, segnala come vergogna nazionale e negazione delle soggettività della donna il semplice fatto che non tutti gli abitanti di un paesino in cui sarebbe avvenuto un presunto stupro siano favorevoli all'abolizione de facto della presunzione di innocenza nei casi di "stupro di gruppo".

Cara stronza, L'ORRORE SEI TU CHE PARLI DI STUPRO (E QUINDI DAI DEGLI STUPRATORI A DEI RAGAZZI SENZA DAR LORO LA POSSIBILITA' DI DIFESA chè tu e le tue amichette sinistrorse avete fatto un'interpellanza parlamentare per impedire ai ragazzi non abbienti di avere un avvocato decente) ANCHE PRIMA E ANCHE SENZA RISCONTRI OGGETTIVI E TESTIMONIANZE TERZE DELLE PRESUNTA VIOLENZA, VIOLENTANDO TU SI' IN MANIERA CERTA E OGGETTIVA SECOLARI PRINCIPI DEL DIRITTO.
Non vi è, in questo, caso alcuna prova oggettiva che la ragazza non fosse consenziente. Quindi il dire "si è divertita anche lei" non significa necessariamente "essere favorevoli agli stupri", ma semplicemente considerare l'ipotesi che il rapporto non sia stato forzato, ma sia stato denunciato a posteriori come tale magari per paura di rendere pubblico un atteggiamento giudicabile come troppo disinibito, per timore di essere mal giudicata, o per pentimento "del giorno dopo" per l'essersi "lasciata andare" (senza violenza alcuna) in preda ai fumi dell'alcool e della trasgressione.

Le tue opinioni sono pericolosamente simili a quelle di una cretina che si definisce "destra razionale" Sarà pure di destra, ma è tutto fuorchè razionale. Se possedesse la ragione capirebbe come la gravità di un'accusa non possa mai costituire un anticipo della colpevolezza (di un indagato). E allora anche tutto il resto del discorso cadrebbe.

Non potrebbe parlare in toni affermativi di "stupro" prima che la presunta violenza fosse dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio in un regolare processo (possibilmente con riscontri oggettivi e testimonianze terze rispetto all'accusa).
Capirebbe che un processo è regolare (e può arrivare a stabilira una verità) solo se vi è, davanti all'accusa, il diritto alla difesa (ad armi pari, processualmente parlando), se si possono mettere in dubbio tanto la parola dell'accusa quanto quella della difesa per trovare poi riscontri oggettivi o altri elementi atti ad avvalorare l'una o l'altra tesi e non lo è se una delle due tesi viene presa per vera a priori (si tratterebbe di una tautologia e non di una dimostrazione dei fatti).
Capirebbe che qualora tali riscontri non esistano, uno stato di diritto deve far valere la massima "in dubio pro reo" (perchè il caso di un innocente in carcere è infinitamente più grave di quello di un colpevole in libertà: un conto è che lo stato non riesca nonostante gli sforzi di polizia e tribunali a punire un crimine già commesso da un criminale, altro conto è che compia ex-novo in prima persona un crimine contro un cittadino innocente, ovvero il contrario di ciò per cui lo stato nasce, difendere i cittadini dall'arbitrio e dall'ingiustizia).
Capirebbe che non sarebbe regolare un processo in cui da una parte lo stato e l'opinione pubblica si schierassero aprioristicamente ed acriticamente dalla parte della presunta vittima (solo perchè donna e solo perchè denunciante un fatto grave) e dall'altra solo un dimesso avvocato d'ufficio tentasse di difendere gli imputati (nell'impossibilità di far notare come, oggettivamente, siano ragionevolmente ancora ipotizzabili versioni dei fatti in cui gli imputati siano innocenti, senza con ciò essere a sua volta accusato di "offendere le donne" per il semplice fatto di non voler credere sulla parola alla ragazza,
e nella difficoltà di pretendere dalla stessa di circostanziare le accuse, di fornire la possibilità di riscontri o smentite al di lei racconto, e di dimostrare, prima di essere creduta, al di là di ogni dubbio la credibilità soggettiva della di lei persona e quella oggettiva della di lei testimonianza, senza con ciò essere a sua volta accusato di "seconda violenza").

Se davvero i ragazzi avessero usato la violenza fisica e la brutalità del numero per costringere una loro coetanea non consenziente ad uno o più rapporti sessuali sarebbe stato un fatto grave.
Ma sarebbe altrettanto grave se la ragazza si fosse concessa senza violenza alcuna (magari perchè mossa dall'ebbrezza dell'alcool o della trasgressione, da lei scelte e a lei non imposte da nessuno) e poi avesse denunciato i coetenei (per non assumersi la responsabilità delle proprie scelte sessuali, per paura di essere giudicata male dalla famiglia, per volontà di tenere nascosto al pubblico un comportamento giudicabile come troppo disinibito, o per capriccio, vendetta arbitraria, patologico bisogno di sentirsi vittima, interesse "economico-sentimentale" nel mantenere la propria reputazione di "turris eburnea", ancora oggi vantaggiosa in termini di "immagine attrattiva" e di "alto potere contrattuale" nell'economia amorosa, nonostante si voglia far credere il contrario, interesse "economico-finanziario" nel mirare ad un risarcimento o gratuito sfoggio di preminenza sociale nel mostrare a sè e agli altri di poter rovinare la vita di qualcuno con la sua sola parola)

Nel dubbio non si può dare per certa nessuna delle due ipotesi e quindi non si può chiamare stronza mentitrice la ragazza nè maschi stupratori i ragazzi.

E comunque, anche se i ragazzi fossero colpevoli di qualcosa (fatto tutto da dimostrare)
bisogna pensarci due volte prima di segnare per sempre la vita di persone minorenni
le quali, se davvero hanno sbagliato, potrebbero averlo fatto non per pura malvagità o cosciente mancanza di rispetto della persona, ma perchè pregiudicate nella loro capacità di intendere e di volere da una particolare condizione di abbandono ai fumi dell'alcool o all'ebbrezza dei sensi (o, ancora una volta, della trasgressione), conseguenza certo anche di un loro comportamento leggero e irresponsabile (quale appunto ubriacarsi e iniziare un sorta di orgia con la prima ragazza che paresse in principio disponibile), ma, data l'età e l'inesperienza, comprensibile (anche se non certo giustificabile), o magari addirittura perchè indotti a sbagliarsi (sulle reale intenzioni della controparte femminile di concedersi o meno) da un'ambiguità (agita scientemente o inconsciamente dalla ragazza) che avrebbe rischiato di trarre in inganno anche adulti nient'affatto intenzionati a far violenza.

In ogni caso, in particolar modo trattandosi di minorenni, bisogna essere sicuri al di là di ogni dubbio dell'effettive gravità e soprattutto realtà dei fatti contestati. Ancora una volta, non èuò essere la gravità di un'accusa la prova della colpa.

P.S.
Quando provo a contrastare chi, sull'onda emotiva di quanto narrato dai giornali
(i quali, pur di suscitare scalpore fino alla psicosi, mescolano verità e menzogne, fatti gravi e accertati e fatti la cui effettiva gravità e la cui effettiva realtà sono tutte da dimostrare, episodi eclatanti e indubbi con statistiche stazionarie o in calo, o comunque concentra in determinati periodi la pubblicazione non solo di emergenze e fatti eclatanti, ma di tutto quanto in altri tempi passerebbe in secondo piano, in modo da creare a rotazione i periodi di "emergenza stupri", "emergenza rapine", "emergenza delitti coniugali", "emergenza ubriachi al volante", ecc. salvo poi abbandonare l'argomento quando non fa più audience),
inneggia de facto all'abolizione della presunzione di innocenza per chi venga accusato di violenza sessuale, mi si replica con risposte del genere:
"se fosse tua madre, o tua sorella o tua figlia ad essere violentata, metteresti da parte il tuo garantismo".
Se fossi parimenti scorretto nell'argomentare, replicherei (non senza ragione):
"e se fosse tuo figlio, o tuo fratello o tuo padre o il tuo fidanzato a finire da innocente alla gogna mediatica e sociale, con la vita oggettivamente rovinata per sempre sotto ogni punto di vista sentimentale, economico, morale e relazionare, nonchè con la psiche e a volte anche il corpo segnati indelebilmente dall'esperienza del carcere, con tutto quanto consegue secondo il codice barbarico dei carcerati per gli accusati di violenza sulle donne, ma anche secondo la mentalità politicamente corretta per cui mettere in dubbio la parola di una donna è già prova di colpa e "seconda violenza" e quindi la terribile sensazione di chi è accuasato sapendosi innocente è simile a quella di una vittima della santa inquisizione, metteresti da parte la tua cavalleria veteromaschilista o la tua demagogia femminista".



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Çarşamba, Ocak 19, 2011

CACCIA ALLE STREGHE

Per caso sono capitato su un sito di “streghe” dove si inneggia alla persecuzione dei miei simili (ovvero dei clienti di sacerdotesse di venere prostituta). E si arriva ad incitare la perfidia e l’illiberalità delle donne svedesi (che io non vedo l’ora di vedere invase e stuprate dall’armata rossa). Prima però di lasciarmi andare alla mia umanamente comprensibile ira, cerco di rispondere, secondo ragione, ai 4 punti principali.

CAPITOLO I.
QUANTO ALLA QUESTIONE DELLA LIBERTA’
Quello che dite avrebbe senso se e solo se le sacerdotesse di venere fossero tutte costrette ed i clienti fossero tutti consapevoli e contenti di tale fatto. In caso contrario (come nella maggioranza dei casi) mancano sia la vittima sia il dolo.
I nemici e le nemiche del Sacro Antichissimo Culto di Venere Prostituta sostengono (sbagliando) che nessuna donna esercitebbe mai il mestiere di meretrice se non costretta dalla violenza o dal bisogno. Da questo assunto errato ricavano che le prostitute sarebbero tutte costrette e che i loro clienti, quando non complici degli sfruttatori violenti, sarebbero sfruttatori essi stessi della povertà. Per naturale prolungamento, anche le belle e ricche cortigiane sono viste, in quest'ottica deformata, o come guidate nella scelta da situazioni personali e psicologiche "estreme" e bizzarre o come "fuorviate" dai "falsi valori" del consumismo, ingannate da un sogno di cui si dovranno immancabilmente pentire e comunque "asservite" a chi le paga. Tutto ciò, però, si basa sull'assunto (tacito e pregiudiziale) secondo cui vendere piacere col corpo
non sarebbe dignitoso. Non hanno però la prova empirica di ciò, poiché manca loro l'esperienza delle prostitute stesse (di quelle volontarie, ovviamente, le altre devono essere chiamate diversamente). Non possono nemmeno essere confutati, nello specifico, poiché un convincimento morale non può essere di per sè contraddetto (non è infatti una vera e propria idea).
Si può solo oggettivamente replicare quanto segue.
Quanto alla coercizione, i dati statistici rilevati con metodo scientifico da istituti seri come il Censis, il Parsec, l'Università di Trento ecc., dimostrano che la costrizione per violenza è una percentuale nettamente minoritaria. La maggior parte scegli il meretricio per volontà propria. Il primo punto così cade.
Quanto alla obiezione costrizione "per bisogno", essa viene a cadere nel momento in cui si osserva che esistono donne belle e intelligenti (chiamate escort) le quali si concedono per denaro non perché costrette dalla povertà o perché non avrebbero alternative valide, ma semplicemente perché desiderano vivere come cortigiane o principessa rinascimentali, [i]"fra cani, cavalli e belli arredi"[/i], ovverosia molto più agiatamente di quanto potrebbe fare con un lavoro "normale".
Ciò dimostra che non è assolutamente vero che nessuna donna si prostuirebbe se non costretta.
Vi sono donne, giovani e meno giovani, che, senza aver bisogno, dispensano a pagamento momenti di ebbrezza e piacere dei sensi a generosi ammiratori, perché il denaro e' come un mazzo di fiori, infatti molti lo chiamano rose. Ossia, escluso il sentimento, si concedono per calcolo anziché per sola vanagloria.
Le escort sono la dimostrazione.
Per escort intendiamo innanzitutto quelle ammalianti donne (dalla bellezza tanto "alta e nova" da poter essere, in condizioni ordinarie, soltanto vagheggiate di giorno, nel sogno ad occhi aperti di chi le mira gir per via, o castamente disiate di notte, come l'imminente luna e le stelle palpitanti, dall'anima sospesa di chi, nel silenzio e nello stupore, eleva a loro lo sguardo sospirando) le quali nella vita "ufficiale" fanno magari le modelle, e per avere un'esistenza molto agiata sono disposte ad arrotondare concedendosi per una notte a clienti, invaghiti dalle loro fattezze e dalla loro classe, disposti a pagarle cifre ben superiori allo stipendio medio di un impiegato.
Qui, se un minimo di onestà intellettuale è rimasto, non si può parlare di scelta non libera, dato che non vi sono né il bisogno, né lo sfruttamento, né, tanto meno, la mancanza di alternative di vita e di lavoro (le alternative sarebbero state, dal loro punto di vista la vita grigia di gran parte delle loro coetanee, e della gente "normale" in generale o sarebbero di fatto, anche una volta scelto di essere modelle, il vivere dignitosamente col loro comunque ben retribuito lavoro socialmente accettato). Non saranno la maggioranza dell'offerta sul mercato, ma comunque queste persone ci sono. Che siano modelle o meno (ma basta che abbiano il fisico) possono arrivare a guadagnare puliti, esclusi i regali, e le occasioni date da uomini straricchi da spolpare (che comunque capitano) 50.000 euro al mese. E' un dato oggettivo. Se ne valga la pena può essere stabilito solo da loro. Come gestire i loro denari una volta uscite per limiti di età o di stanchezza dal mecato, è anche quello nel loro arbitrio.
Poi vi sono quelle italiane "borghesi" che, essendo belle, pensano di guadagnare bene con qualche foto sul web ed entrano nel mercato (scottandosi e piangendo spesso, poiché fare la puttana, come ben sanno le cortigiane è un'arte, come l'attrice, e non è da tutte), vi sono coloro che, pur mantenendo il loro lavoro "ufficiale" (con cui le loro colleghe comunque vivono), si tolgono qualche soddisfazione materiale facendo le NP, vi sono le studentesse che arrotondano (anziché fare il dopo studio o in aggiunta ad esso), vi sono ballerine e intrattenitrici, regolarmente lavoratrici, che fanno qualche extra con certi clienti, a discrezione, vi sono le straniere da tempo in Italia, già regolari, che ricevono in casa per divenire benestanti ecc.
Anche per tutte costoro non si può di parlare di bisogno (anche se non sono al livello di cifre delle top-escort).
L'alternativa per loro non sarebbe certo la povertà, o il lavoro umile, bensì il rinunciare al rapido incremento di benessere, alle soddisfazioni economiche della facile ricchezza, al mondo di creme, vestiti e gioielli che, pur non guadagnando come le top, possono permettersi, l'accettare insomma i quotidiani sacrifici di tutte quelle persone (dicesi: piccolo-borghesi) che, pur non essendo ricche, conducono un'esistenza comunque dignitosa. Questa non è morale, è considerazione oggettiva. Lo dicono anche esse: “guadagnare più della media è un fatto, che ne valga la pena, e quale sia il valore da attribuire a questa pena, ricade nell'ambito dell'estremamente soggettivo”. E ciò chiude ogni discorso sulla scelta.
Osservato tutto questo, si deve concludere che il mestiere in sé non è infamante (dato che può essere scelto liberamente) e dunque nulla di male vi è anche nei casi in cui, in condizioni economiche inferiori, esso viene scelto dalla donna perché più remunerativo rispetto ad altri.
Quando una "giovan donna e bella" si trova in una condizione da molti chiamata "di bisogno", ma comunque equivalente al "bisogno" che tante altre persone (coetanei maschi, coetanee femmine non avvenenti, o donne come loro che non vogliono prostituirsi) risolvono svolgendo lavori diversi (forse più faticosi, arbitrariamente considerabili più o meno "facili", certamente meno remunerati), come ad esempio gli immigrati che lavorano in fonderia, le colf, le badanti, le infermiere extracomunitarie, i neolaureati da ottocento euro al mese, i divorziati che fanno straordinari incredibili e magari dormono in macchina per pagare gli alimenti e i debiti del matrimonio fallito, i genitori che fanno sacrifici (e ne fanno fare ai figli) pur di far quadrare il bilancio con il loro misero stipendio, o, ancora gli stranieri che si adattano a lavori faticosi che gli italiani non vogliono più fare ecc. ecc., non può essere definita "costretta" dalle circostanze, giacchè costretti, poverini, sfruttati non sono definiti gli altri che, trovandosi nella stessa situazione di partenza, hanno preso strade diverse (rispetto alle quali le prostitute hanno preferito, per motivi personali su cui nessuno ha diritto a discutere o giudicare, la strada dell'offrire piacere sessuale a pagamento).
Non si chiamano sfruttatori o approfittatori i datori di lavoro degli immigrati che trovano in loro manodopera difficile da trovare fra gli italiani, non si chiamano sfruttatori o approfittatori le famiglie che assumono regolarmente una colf o una badante, permettendole di vivere dignitosamente (o comunque al livello di tanti italiani), non si chiamano sfruttatori coloro i quali utilizzano gli straordinari di persone disposte a turni di lavoro massacranti per risolvere i loro problemi economici, non si chiamano sfruttatori o approfittatori i dirigenti delle multinazionali che assumono neolaureati pagandoli ottocento euro con contratti a termine. Non si capisce allora perchè i clienti delle prostitute (escludendo da questo termine quelle oggettivamente costretta dalla violenza o dalla minaccia) dovrebbero essere "un problema" o, come taluni implicitamente credono "sfruttatori di una situazione di bisogno". E' ravvisabile in tale considerazione un retaggio sessuofobo. Il mestiere di meretrice e quello che, di positivo e di negativo ne consegue, non è un "problema". E' la conseguenza di una scelta personale. Che la si condivida o meno, la scelta va rispettata (e non la si può chiamare "non scelta" solo perchè non coincide con la una certa arbitraria visione morale). Lo stesso dicasi per i clienti delle libere professioniste del sesso, dalle loft da "quota cento" fino alle top escort da "quota diecimila".
Cosa sia dignitoso, morale o giusto nella vita privata (e sessuale) delle persone può essere stabilito solo dai singoli individui, in base ai loro personalissimi paramentri. Ciò vale per tutti, senza distinzione, prostitute, clienti, donne e uomini in generele, ed ha ovviamente confine solo nella volontà, nel consenso e nell'altrui giudizio altrettanto privato sulla dignità altrui, ergo può essere applicato alla prostituzione fra adulti consenzienti.
Le prostitute sono coloro che, anziché vendere le proprie capacità, il proprio intelletto o le proprie braccia per cifre modeste, come gli altri, preferiscono vendere piacere, spesso a cifre più elevate rispetto alle retribuzione delle persone loro “coetanee”. Esiste quella che Padre Dante chiamava Volontà assoluta: l'ultima parola spetta sempre all'individuo.
Errato è dunque il considerare che la prostituta "venda" la propria "dignità" (e che per questo poi disprezzi i clienti, anche se le permettono una vita materialmente agiata, perchè le "tolgono la dignità"): se una persona sceglie una determinata strada, sia essa escort o lavoratore diciamo così ordinario, non può dirsi svilita nella dignità, se la scelta è stata adulta e consapevole (non vuol dire “non condizionata da situazioni oggettive”, poiché una libertà assoluta non esiste sulla terra). Quello che dicono, fanno, pensano gli altri, il volgo vile, coloro che non sanno e giudicano sul pregiudizio e secondo il facile ed ottuso senso comune, non ha alcuna importanza. La dignità è quella che nessuno ci può dare e nessuno ci può togliere.
Se abbiamo stabilito noi stessi la nostra strada, qualunque essa sia, è evidente che essa rispecchia di fatto la nostra visione del mondo, la nostra scala di valori, il nostro senso della dignità, tutto quello che di più intimo e personale abbiamo e su cui nessuno altro da noi può giudicare.
Evidentemente per le prostitute che esercitano per scelta, la loro attività non è umiliante in sé, altrimenti si rivolgerebbero ad altri mestieri accettando anche privazioni economiche, poiché nessuno, nemmeno le prostitute (non si capisce perchè dovrebbero essere meno dignitose delle altre persone) rinuncia alla propria dignità (così come le "non prostitute" si rifiutano di fare per denaro quello che non ritiene dignitoso per sè, anche una escort fa altrettanto). Certo, se capita qualche situazione spiacevole o qualche cliente maleducato, possono anche sentirsi umiliate, ma non per il loro mestiere, bensì per il comportamento arrogante, così come potrebbe capitare a qualuque altro professionista o lavoratore che si trovi a subire umiliazioni nell'ambito del proprio mestiere. La conferma che non sia il mestiere in sé ad essere umiliante è data dalla volontà stessa delle prostitute: evidentemente l'immigrata che esercita sentirà il proprio mestiere meno umiliante rispetto a quello delle sue connazionali che badano agli anziani e l’italiana percepirà il proprio mestiere meno umiliante di quello delle sue coetanee, laureate come lei, e assunte a tempo determinato per stipendi inferiori a quelli di lavori “meno nobili”. Si tratta di giudizi personali, non soggetti per definizione all'ambito di competenza di uno stato liberale, nè tanto meno a quello dei moralisti in servizio permanente effettivo.
Questo chiude anche il discorso sulla dignità.
In definitiva, che la prostituzione sia un mezzo per guadagnare molto in poco tempo e con meno condizioni che in altri mestieri è un fatto oggettivo, mentre decidere se sia più dignitoso degli altri mestieri, più umiliante di altre attività, più alienante di altre professioni è una cosa legata alla sensibilità individuale, un fatto soggettivo verso cui si dovrebbe avere solo rispetto per le scelte degli individui, e non paternalismo (o maternalismo) statale legiferante.
Nulla può essere definito deprecabile fra ciò che è scelto da adulti e che solo il corpo di adulti riguarda.
Poi si può anche andare oltre per demolire luoghi comuni tanto del maschilismo quanto del femminismo, a partire dal disprezzo che le prostitute avrebbero dei clienti in particolare e degli uomini in generale. Se il presunto disprezzo delle prostitute o delle donne dietro di esse fosse dovuto alle confutate considerazioni sopra citate, allora sì lo sdegno dei puttaniere sarebbe giustificato. In realtà, non lo è. Infatti la Sublime Porta di Costantinopoli crede che l'eventuale disprezzo da parte delle donne praticanti il meretricio nasca, verso taluni clienti (forse la maggior parte) dall'esatto contrario. In vero, esse non disprezzano il cliente perché, come direbbero certe femministe, sfrutterebbe una posizione "di dominio", bensì perché, al contrario, trovandosi in una posizione di "debolezza" (non osiamo dire di "dominato") non se ne rende conto, o non lo vuole ammettere. Alcuni proprio sono convinti di essere in una posizione di forza perché ingannati da un certo diffuso pensiero vetero-femminista che vede chi vende sesso sottomesso a chi lo compra, altri invece capiscono che ciò è un'illusione, ma, per maschilismo inconscio, si rifiutano di ammetterlo anche a loro stessi, divenendo per questo ancora più accesi nel dibattito con l'altrui pensiero. Ciò è proprio o degli stolti (in un caso), o dei cocciuti (nell'altro), e, se la prostituta non commenta su ciò, ma si limita ad approfittarne, la donna che vi è dietro
(a meno che non sia un'allocca anch'ella, ma allora il mestiere diverrebbe per lei inadatto e addirittura pericoloso) non può fare a meno di provare un certo disprezzo (o, come minimo, compassione, che però una leonessa non dovrebbe avere verso le gazzelle) per individui siffatti.
Come si può pretendere che la donna dietro non abbia almeno un moto di derisione verso chi paga decine di migliaia di euro solo per far credere a se stesso di aver ottenuto i favori della bella per le proprie virtù e non per il denaro?
Come può non provare disprezzo per chi, pagando, crede di essere l'anello forte, quando i fatti (vedi i rate, la possibilità della escort di rifiutare, la difficoltà di trovare altrimenti sesso facile ecc.) mostrano il contrario?
Come può non provare disgusto per i cafoni che pensano di dover essere considerati belli e intelligenti solo perché pagano?
Come può non ridere in cuor suo nel sentire certi maschietti che si sentono addirittura in colpa, dopo averla pagata per quello che lei stessa ha scelto di fare (e di cui gode gli indubbi vantaggi materiali), quasi come se avesse le fatto violenza?
Il disprezzo della donna dentro la prostituta non dice: "o oppressore che mi strappi la dignità!" (come pensano con sentire opposto certe femministe e certi maschilisti), ma (come pare da certa ironia escortistica): "o povero stolto, sei così allocco che non mi fiderei nemmeno a lasciarti accompagnare i bambini allo zoo!"
La posizione di preminenza della meretrice sui suoi clienti nasce da una considerazione molto semplice: ella può sempre, ammesso di volerlo, divenire "puttaniera", ossia togliersi lo sfizio di spendere una parte dei propri profitti per provare "l'ebbrezza" della situazione inversa pagando un gigolò, mentre altrettanto non si può dire di gran parte dei puttanieri, i quali, se spesso hanno "bisogno" di pagare (per vecchiaia, pigrizia, mancanza di fascino e di capacità, poca bravura nel recitare bene, inabilità a far vivere la donna nella "favola bella", assenza di cor gentile e di ammalianti virtù intellettive, inesperienza o inadeguatezza nei contatti con l'altro sesso, verie ed eventuali) difficilmente troverebbero una clientela pagante.
Se davvero fosse la meretrice la parte debole, allora tutte spenderebbero, per rifarsi, molti dei loro denari con gli "uomini oggetti": il fatto che esse non lo facciano, e che, al contrario,molti puttanieri vorrebbero mostrarsi come belli e affascinanti come gigolò, dimostra la verità delle tesi di Madonna Chiara di Notte su chi davvero è, al di là dei sogni, in una posizione di forza.
Molti, erroneamente, credono che il rapporto della escort sia di sudditanza nei contronti del cliente.
In realtà, il rapporto fra una prostituta indipendente e la sua clientela non ha nulla a che vedere con un rapporto di dipendenza datore di lavoro/segretaria nel quale si potrebbe configurare un abuso di potere a fini sessuali. Esso è invece simile proprio al rapporto professioniste/cliente, nel quale le due figure non sono dipendenti da sudditanza alcuna, sono legate solamente da un contratto di scambio di comune accordo e vedono il loro potere contrattuale variare a seconda delle situazioni del “mercato”. Piaccia o no, il sesso a pagamento ha un suo mercato, con limiti solo nella volontà delle singole persone, nel senso che una prostituta libera ha la possibilità di rifiutare pratiche non gradite o clienti non educati, mentre un cliente ha la possibilità di declinare un’offerta troppo “esosa”.
Le prostitute libere (quelle che hanno il controllo dei propri guadagni e del propri affari) sono spesso in una posizione di forza contrattuale (e quindi di potere) superiore a quella di molti clienti, e possono benissimo permettersi di mandare a quel paese un cliente arbitrariamente ritenuto sgradito, o chiunque sia maleducato o poco rispettoso di loro. Gli uomini che cercano sesso a pagamento non mancano di certo, e anche le loft (solitamente reputate "fascia bassa o debole"), le quali guadagnano in giorno, con un atto di natura, ciò che un impiegato medio fatica a portare a casa in un mese, non hanno certo bisogno dei soldi del primo venuto.
Tale considerazione situazione di forza contrattuale diviene quasi di dominio nel caso delle escort, per le quali le richieste di incontri da parte di facoltosi ammiratori o di persone "normali" disposte a pagare l'intero stipendio per il sogno di una sera superano le "caselle libere" dell'agenda degli appuntamenti. In questo caso è la escort a decidere per un sì o per un no, e non il cliente (il quale ha già fatto la sua scelta secondo il desiderio).
A differenza di altri "liberi professionisti", la escort può scegliere i suoi clienti, dato che, per quanti ne possa soddisfare, ne rimarranno altrettanti bramosi e insoddisfatti per non averla incontrata (parliano delle rare e preziose accompagnatrici in grado di interpretare davvero un sogno estetico, non le sedicenti escort che taroccano le foto), ed più simile quindi ad un'artista che a un venditore di enciclopedie (io, seguendo l'opinione di Papa Alessandro VI, direi che è una vera e propria "sacerdotessa", ma il discorso sarebbe lungo).
La differenza profonda, però, che sfugge a molti è la seguente: il sesso a pagamento è sì un bene voluttuario (come dice Madonna Chiara) ma non per questo meno necessario alla soggettività complessa del puttaniere rispetto ai beni vitali. Infatti chi, per essere felice (o aver l'illusione di esserlo) ha necessità di quell'elisir d'amore (che poi, come nell'opera di Donizetti, è semplice bordò, e quindi di valore "reale" molto inferiore al prezzo pagato), la "pozione a tempo" ha il valore di linfa vitale. Per un puttaniere l'elisir della escort ha il valore di un bicchiere d'acqua nel deserto, e su questo le escort costruiscono il proprio patrimonio.
Se da un lato, infatti, una puttana può decidere, quando vuole, di smettere di essere tale, per il puttaniere ciò è impossibile: egli cesserà di essere puttaniere solo quando cause estranee alla sua volontà (invecchiamento, mancanza di fondi, "scoperta" da parte della consorte, calo del desiderio) lo obbligheranno a smettere o quando (già meno probabile ma comunque possibilissimo) per "variatio", il suo naturale desiderio si evolverà imperscrutabilmente verso forme di sesso differenti da quello mercenario e la sua brama si rivolgerà a modelli di donna diversi dallo stereotipo della bella meretrice.
Questa è la vera dissimmetria.
Volendo una meretrice, sia pur accettando sacrifici o compiendo rinunce, può sempre, al contrario del cliente, smettere quando vuole
Se lo fa perché viene da una situazione economicamente debole e vuole raggiungere in fretta un certo benessere, allora essa potrà smettere tollerando di ritornare nella stessa situazione materiale di coetanee e connazionali svolgenti altri mestieri, le quali comunque non si dicono "oppresse".
Se lo fa perché viene da una situazione "normale" e vuole invece vivere nel lusso più sfrenato, allora essa potrà smettere semplicemente accettando il "tric trac" quotidiano della media borghesia, con gli annessi problemi da affrontare comunque non definiti "disagio".
I puttanieri, invece dipendono dall'elisir dell'amore a pagamento almeno quanto una comunità di beduini dipende dall'oasi nel deserto. L'acqua è gratuita, ma per chi ne ha il controllo e la vende a chi è assetato permette un guadagno immenso, ben superiore al costo di prenderla dal pozzo e al "disgusto" di versarla nelle borracce di chi paga per questo.
Quando questa condizione di privilegio delle escort nei confronti dei clienti viene esplicitata nei forum, curiosamente gli stessi puttanieri che, in altre discussioni, contestavano le prostitute essere "poverine", utilizzano gli stessi argomenti dei nemici del culto di Venere (vittimismo femminista, presunta vendita di dignità, pretesa debolezza di chi vende sesso rispetto a chi lo compra, supposta sudditanza psicologica di chi recita una parte a pagamento per desiderio altrui ecc.) per controbattere le tesi delle escort o ex-escort che sanno di non essere affatto nella posizione di "debolezza", ma in quella di forza.
Si tratta ovviamente di armi spuntate (un po' come le lance che presso gli antichi si scagliavano al nemico e, finite a terra, non potevano essere riutiliuzzate da esso perché la punta si era piegata), ma comunque significative.
[b]Evidentemente per molti uomini è preferibile tollerare qualche senso di colpa in più piuttosto che vedere ferito il proprio amor proprio.[/b]
E' sorprendente (ma non troppo per chi è attento) osservare come le argomentazioni di un certo femminismo retrogrado (quello che vede le prostitute come vittime da salvare) siano infine le stesse di quegli uomini che, spogliati delle parvenze politicamente corrette, rivelano in taluni luoghi un certo maschilismo "tradizionalista", o almeno, un retaggio culturale di quella visione che vuole l'uomo sempre in una posizione di forza e la donna in una di debolezza (e che non tollera il contrario, tanto da negarlo persino contro l'evidenza e, a volte anche contro il personale interesse).
La prostituzione sarà oppressiva per le donne che vi sono costrette d'altrui, ma per coloro le quali la intraprendono volontariamente come mestiere (o come saltuaria attività per "arrotondare") si deve parlare di libera sceltà. Qualunque siano i motivi che spingono una donna a questa scelta (materiali, come emanciparsi dalla povertà, o raggiungere in fretta il benessere, o evitare i "normali" problemi economici della vita delle classi medie, o potersi permettere capricci lussuosi e costosissimi, o vivere nella ricchezza e nello sfarzo come moderne principesse, oppure "spirituali" come sostenere l'autostima nel vedere molti uomini disposti a pagare pur di avere la loro compagnia e quindi nell'avere la conferma "oggettiva" di essere belle fra le belle, o sentire cosa si prova a mettere economicamente a frutto, di propria iniziativa, il desiderio di natura provocato altrimenti "gratis" negli uomini, o provare l'emozione di poter avere rapidi guadagni in modo da permettersi auto sportive, vestiti firmati, gioielli sontuosi, oggetti alla moda e vita di gran lusso, o appagare la vanità di sentirsi desiderate e valutate cifre degne di grandi artisti, e di vedere uomini ricchi che fanno follie per loro o uomini "medi" che sacrificano, per loro, interi stipendi, o ancora vivere in ambienti raffinati e costosi, o poter incontrare i "primi" fra gli uomini per ricchezza, cultura, gusto o livello sociale, o comunque uomini molto abbienti che, si suppone, abbiano raggiunto l'eccellenza in campo socio-economico d'eccellenza in virtù di doti personali e intellettuali, di carattere e di ingengno, apprezzabili nel mondo moderno, come la determinazione, la capacità di imporre il proprio valore nel mondo, la costanza, l'impegno, l'arguzia, la genialità ecc. in tutti i tempi apprezzate dalle donne nell'uomo più della bellezza) essi non possono essere chiamati costrizione o oppressione quando la scelta è stata autonoma e consapevole e chi la fa è persona adulta e consenziente.
Altrimenti significherebbe dire che le donne sono delle eterne minorenni incapaci di decidere per il proprio interesse e bisognose di una tutela politicamente corretta "statale" (che si sostituisce a quella vecchia del patriarcato ma non è meno oppressiva) tale da impedire loro scelte "sessualmente scorrette".
Detta come va detta, per alcune è peccato prostituirsi. Per altre è invece peccato il non farsi pagare, il concedersi "gratuitamente" (poiché nulla è gratis). Lo vedono come un spreco delle proprie doti di natura. Una svalutazione di sé. Un lasciar scorrer via la bellezza e al giovinezza come da un vaso senza fondo. Non concepiscono dunque il sesso "libero", ma sempre condizionato o all'innamoramento o all'ottenere il massimo vantaggio economico, materiale o spirituale possibile. Solo da questo deriva per loro il piacere, che è appunto condizionato.
Non sono tutte “poverette”: vi sono anche le laureate di buona famiglia (e non ridete), provenienti da fasce benestanti della società, le quali non già per bisogno ma per pura VANITA' scelgono di guadagnare ed avere successo con la propria bellezza, con la propria fisicità, col proprio fascino (carnale e spirituale). Per questo iniziano a lavorare come modelle, indossatrici, veline o aspiranti tali, attricette e ragazze immagine. Poi, per avere una carriera più rapida ed agevole nell'ascesa, o per semplice brama di una ricchezza di cui iniziano a sfiorare gli splendori e gli agi più scintillanti, scelgono le persone con cui accompagnarsi in base al loro interesse materiale. Quando si stancano di ciò scelgono, per essere totalmente indipendenti da tutto e da tutti, senza rinunciare agli agi principeschi, alla vita da signore del rinascimento fra "cani, cavalli e belli arredi", di divenire escort in maniera professionale.

A donne siffatte non ha mai imposto, non impone e non imporrà mai nulla nessuno. le une vogliono scorciatoie per il successo, privilegi nelle occasioni di carriera, conoscenze importanti, favori economici o lavorativi, vantaggi materiali, sociali o d'immagine nel percorso professionale o presunto tale,
gli altri vivere momenti di ebbrezza e piacere dei sensi e godere della bellezza così come s'incarna nel corpo di una donna, vedere da lei recitato il proprio sogno estetico completo e a volte anche bere dai calici della voluttà una sorta di moderno elisir d'amore.
Non è il motivo economico, bensì culturale (o psicologico).
Si tratta di appagare innanzitutto la propria vanagloria nel vedersi oggettivamente apprezzata, desiderata come un’ideale etereo e valutata cifre degne di grandi artisti. Questo ricerca nel farsi pagare per concedere la sua compagnia di una notte e far vivere alla fortunata clientela quella "favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude", ossia momenti di indicibile ebbrezza dei sensi e delle idee, in notti di lussuria e serate di eleganza all'insegna della bellezza e del piacere diffusi ad ogni aspetto della vita umana, fra cene principesche, lussi "rinascimentali", dialoghi e baci, squisitezze intellettuali ed estasi carnali.
Poiché il denaro è il metro di valutazione più intersoggettivamente valido attualmente esistente, il fatto che gli uomini siano disposti a pagare per godere della sua compagnia, della sua avvenenza, delle sue doti fisiche e intellettive, dà alla donna una conferma oggettiva del proprio fascino. Del resto, come diceva Ayrton Senna, “tanto più apprezzano e stimano, tanto più alla fine devono pagarti”. Quello che i clienti sono disposti a dare (in termini di denaro, ma anche di gentilezza, di modi, di tempo, di parole, di galanteria e di educazione e di tutto quanto fa parte della selezione della clientela) alla escort, pur di vivere con lei la rappresentazione scenica della voluttà più estrema e raffinata (di cui saranno contemporaneamente attori e spettatori), e soprattutto la facilità con cui accettano i modi, i tempi (e ovviamente le cifre) da lei autonomamente decisi e imposti (non vi è contrattazione alcuna) dà la misura del valore attribuito alla di lei capacità di interpretare il sogno estetico dell’anima contemporanea, così come avviene da sempre per i grandi artisti e le loro opere (per cui gli acquirenti, pur di essere accettati, sono disposti ad accettare tutto). Non vale per le escort la legge di mercato, ma quella che la prima fra loro ha definito “legge di Picasso” (ossia il valore dell’opera è stabilito dall’artista, il quale sceglie, fra i tanti richiedenti, a chi dare).
Sentirsi ricercate, desiderate e valutate cifre degne di grandi artisti, e vedere uomini ricchi far letteralmente follie per loro o uomini "normali" sacrificare interi stipendi, pur di poter trascorrere una notte con loro, appaga prima di tutto la loro vanità.
Quanto al sesso libero, bisogna sfatare un mito.
La donna perde valore se cede al sesso facile con chi le va. Non è una questione di libertà (sesso libero non coincide con libertà sessuale, che è invece possibilità di decidere in autonomia), bensì di autostima e opportunità. Concedendosi facilmente e sovente (ancorché in maniera casuale) la donna perde quella posizione di privilegio data dal desiderio che sa suscitare. Non ottiene nulla se non il piacere reciproco e decade dal suo stato di meta “ideale”, quasi irraggiungibile, che tanto potere e tanta attrattiva esercita sull’uomo (è la natura del desiderio)
Il presupposto perché il valore attribuito al “bene” che custodisce, ossia la sua bellezza, le sue grazie, la sua avvenenza, la sua capacità attrattiva (fisica e intellettuale), sia elevato è proprio che tale bene sia difficilmente reperibile. Se tutti coloro che, casualmente, non le dispiacciono possono ottenere subito le sue grazie, esse inevitabilmente sono svilite, in quanto, comportandosi tutte così, anche coloro i quali non sono graditi potranno trovare facilmente il medesimo bene. L’unico modo per rendere assolutamente nobile quel bene e degno di sacrificio èrestare, come donna bella e disiata, sommamente preziosa e difficile da cogliere. Per questo si concederà solo ai migliori, intesi come coloro i quali mostrano d’innanzi a lei, nelle prove cui si sottopongono, nelle parole, nei gusti, nelle azioni, nei comportamenti, nelle scelte, e anche d’innanzi alla vita e al mondo, di saper raggiungere l’eccellenza in quella dote che ella, nel suo personale e insindacabile giudizio, ritiene precipua (di solito può essere la bellezza, l’intelligenza, la ricchezza o la virilità), oppure anche ad altri, ma in cambio di qualcosa di indubbio valore. Questo qualcosa, nel mondo mercantile, non può che essere il denaro (tanto denaro), o comunque un’agiatezza di vita: i modi sono “sociali” ma il desiderio è “naturale” (da ambo le parti). Questa è la prostituzione in senso lato (che comprende ovviamente anche l’escorting) la quale nasce non dunque da un’inferiorità della donna ma da un suo naturale privilegio e dalla voglia di mantenerlo e farlo fruttare oggerrivamente. Forme più sfumate di prostituzione al di là del culto di venere e del matrimonio sono i corteggiamenti in cui per la donna si donano anche solo vaghezze materiali come gioielli da favola, vacanze in luoghi da sogno, vestiti firmati, auto sportive, oggetti di gran lusso. Tutto è vanità, ancor prima che interesse. Il denaro è, nella prostituzione non dettata dal bisogno (quindi dalle top escort alle fidanzate vip) una semplice unità di misura, ma è quella universale.
ANche in tutti gli altri mestieri vi sono implicazioni psicologiche, questione di autostima e di sessualità parallele: l’uomo cerca l’apprezzamento (anche economico perché oggettivo) in attività legate a quello per cui ritiene di essere ammirato dalle donne o ritiene essere l’archetipo di riferimento da perseguire e in cui identificarsi (l’intelletto, la forza, la cultura ecc.), la donna farà parallelamente la stessa cosa negli ambiti che ritiene più vicini alla sua essenza femminea (ossia la bellezza, il fascino, la seduttività) e in quello per cui sa di essere massimamente desiderata dagli uomini (la bellezza sensuale): di qui il concedersi per interesse non come necessità, ma come modo per stimare le proprie doti, per misurare il proprio valore, per avere una conferma oggettiva di sé (certo vi sarebbe il pubblico, ma le donne amanti dell’avventura e della sfida vogliono confrontarsi con ogni singolo per vedere con ciascuno fin dove si possono spingere, fino a che punto arriva il desiderio suscitato in loro: il denaro non è in questo caso un mezzo di sostentamento o anche solo di arricchimento, o, meglio, non solo di arricchimento, ma un metro di misura veritiero e inconfutabile, ché le fole e le parole degli umani volano e tutte possono avere promesse vane e stupidi regali, e l’uomo diviene lo specchio in cui mirare riverberate le proprie attrattive, corporali e intellettuali, e con esse l’immagine della propria vanità, ma è esattamente quello che fanno gli uomini negli altri mestieri) .
Ma prima di dare della disumana alla prostituzione, avete guardato agli altri rapporti? Ma voi vedere nei rapporti non mercenari odierni tutta quella poesia?
Mah (a me sono parsi molto più onesti e dignitosi, per entrambi, quelli a pagamento rispetto a ciò che si vede in giro)! (e ciò è confermato da tutte le recenti sentenze della Cassazione le quali respingono risolutamente le interpretazioni proibizioniste a voi care della Merlin, confermando appunto la prostituzione in sé un mero fatto privato fra cittadini nel quale lo stato non si riserva il diritto di intervenire, salvo vi siano violenza, costrizione, sfruttamento) e dubito molto che tale sentenza possa essere stata emessa in contrasto con "i diritti fondamentali dell'uomo" (con buona pace delle personali ed arbitrarie interpretazioni dei vostri non meglio identificati giureconsulti, che voi pretendete essere assolute, e invece non hanno nemmeno alcun valore di legge)
Tutte le considerazioni negative sulla prostituzione volontaria derivano dal presupposto secondo cui chi vende momenti di sesso attraverso il proprio corpo venda una parte di sé. Ciò è errato, in quanto esistono persone per le quali il sesso è un'attività umana come le altre (senza necessariamente avere coinvolgimenti sentimentali o implicazioni "terribili") e non ha nulla di "sacro e pericoloso" per cui le persone (adulte e consenzienti) non dovrebbero essere libere di farne ciò che vogliono (sentimento, coinvolgimento o, al contrario, recita e straniamento,
Chi o che cosa ha diritto ad entrare nella vita privata delle persone e indagare, quando non vi sono violenze e costrizioni, sui motivi per cui si accoppiano (concedersi per divertimento o passione, per amore, amicizia o, perché no, interesse e quindi soldi)? In base a quale principio (o a quale legittimità di interpretazione) si dovrebbero vietare ad esse determinati comportamenti attenenti la sfera privata e sessuale?
Dov'è il diritto divino?
Il sesso:
per voi sarà anche sacro,
per altri/e è divertimento
per altri/e sentimento
per altri/e ricerca di autostima e di conferme
per altri/e piacere puramente fisico
per altri/e piacere intellettuale
per altri/e vanità
(per altri/è il modo per fare gli stronzi/e, per ingannare e dilettarsi a deridere, sbeffeggiare, umiliare)
per altri/e è illusione e inganno
per altri/e è onestà
per altri/e è mezzo per ottenere vantaggi, spirituali o materiali,
per altri/e onesto guadagno.

L'importante è che sia considerato personale
e che nessuno si metta a imporre o vietare a persone adulte e consenzienti: è sempre un'attività umana, su cui i singoli decidono e valutano. (alcuni si fanno coinvolgere di più altri meno, alcuni lo vedono come una sublimazione, altri come un mezzo ecc. e tutto questo anche fuori della prostituzione) infischiandosene dei giudizi altrui, più o meno moralisti, più o meno pregiudizievoli.

P.S.
vi possono essere la recita e lo straneamento, anche fuori dalla prostituzione. Non è assoluto quello che dite sulle implicazioni psicologiche dei rapporti sessuali (o almeno, per certe persone, non vale per tutte le situazioni e può essere con arte escluso in certi casi, senza che ciò inibisca la capacità di sentire e di amare con le persone ritenute particolari). Anche il calciatore vede il proprio corpo come una macchina da mantenere in ordine, anche l'attore recita sentimenti non suoi, anche gli intellettuali vendono qualcosa di intimo (i propri pensieri), anche gran parte dei lavoratori "ordinari" sceglie in base al profitto.
Solo per le prostitute si dice che tutto questo è alienante e non dignitoso. Ditemi voi se non è un pregiudizio. Ma volete una buona volta lasciare decidere a loro, almeno sui loro pensieri?
Dice qualcosa il fatto che la civiltà giudaico-cristiana (ma soprattutto cristiana) è l'unica la quale considera infamante la prostituzione?
Se è vero che il sesso è qualcos di personale, lasciate almeno che i singoli individui (e dunque ANCHE le prostitute) decidano cosa debba essere per loro (e senza considerarle troppo deboli o troppo stupide per decidere bene e in autonomia).
D'onde derivate tanta sicurezza nel conoscere gli intimi sentimenti delle prostitute? Forse che non siano variegati e imperscrutabili come quelli di tutte le altre donne? Ognuna poi è diversa.
Mi viene un sospetto…..
Chiunque lavori nel mondo dei divertimenti (anche lontano anni luce dalla prostituzione e dal sesso in generale) agisce, ultimativamente, per soddisfare meri capricci altrui. Non vedo il motivo di fare dell’inutile moralismo su ciò. Forse perché qui c’entra il sesso? Ma allora è davvero sessuofobia! Proprio perché il sesso è qualcosa di assolutamente intimo e personale (e non giudicabile moralmente dall’esterno con criteri assoluti, almeno di non voler fare appunto del moralismo, o, peggio, del proibizionismo illiberale) lasciate che ciascuno decida cosa debba rappresentare per sé. Per talune persone (come forse voi, i preti e le suore, e tante laiche che se la tirano) sarà anche indissolubilmente legato ai sentimenti e alla propria essenza, un dono da concedere a pochi privilegiati senza nulla in cambio che non piacere e amore, per altri potrà essere, a volte, anche solo mero divertimento, o fatto scenico, per altre ancora mezzo per trarre profitto, per arricchirsi o per avere vantaggi, magari per sentirsi stimate ed apprezzate (il compenso che l’uomo è disposto a pagare, pur di godere della compagnia e della bellezza della donna, e soprattutto la facilità con cui accetta i modi e le condizioni da lei dettate fornisce una misura oggettiva del valore della di lei avvenenza, e ciò vale anche per le forme più sfumate di prostituzione, come il concedersi per una vita agiata e per regali o il matrimonio d’interesse).
Ovviamente il sesso deve essere libero nel senso che l’individuo deve poter scegliere con chi, che cosa e, secondo me, anche perché. Fra i perché vi è, di fatto, anche quello dell’interesse. Non vedo poi moralmente nulla di male nel fatto che una giovin donna e bella decida di recitare il sogno estetico completo di gentiluomini ricchi e pronti a fare follie per lei o normali e disposti a sacrificare interi stipendi pur di passare una notte con lei.
Non vende certo se stessa (come crederebbe San Paolo, il quale si ostina a vedere nel corpo il templio dello spirito santo), ma compie solo una recita.
Nella fattispecie, poi, chi “versa il compenso”, ad un certo livello, non brama dalla bella donna atti degradanti, perversioni indegne o "cose turche" nel letto, ma semplicemente aspira che colei la quale è ritenuta in grado di interpretare il suo "sogno estetico" divenga la sua amante, anche per una sola notte.
In mancanza di possibilità, da parte sua, di "conquista" (per motivi di vario genere su cui mi dilungherò in seguito), preferisce ottenere, a pagamento, una recita di questa scena, dietro compenso, come si farebbe con un'attrice. Non desidera né umiliare, né far sentire sottomessa la donna o avere una "serva" obbligata ad agire su suo ordine.
Non si tratta di vendersi a un capriccio, ma di raggiungere un accordo (professionale).

Non si deve mai pensare, pagando, di "fare quello che su vuole", come qualcuno qui nel forum, ma di giungere appunto ad un "accordo", perchè il fatto che nel rapporto (con escort o lap) manchi il coinvolgimento sentimentale non significhi che debba mancare il rispetto, né tanto meno, che debba mancare qualsiasi forma e parvenza di coinvolgimento emotivo.
Piaccia o no, il sesso a pagamento ha un suo mercato, con limiti solo nella volontà delle singole persone, nel senso che una prostituta libera ha la possibilità di rifiutare pratiche non gradite o clienti non educati, mentre un cliente ha la possibilità di declinare un’offerta troppo “esosa”.
Spesso le prostitute sono in una posizione di forza contrattuale superiore a quella di molti clienti, e non solo sono esse stessa a stabilire le pratiche accettabili per loro, ma anche possono benissimo permettersi di selezionare la clientela, mandando a quel paese chi ritengono sgradito al loro personalissimo gusto, o chiunque sia maleducato o poco rispettoso di loro.
Tale considerazione situazione di forza contrattuale diviene quasi di dominio nel caso delle escort, per le quali le richieste di incontri da parte di facoltosi ammiratori o di persone "normali" disposte a pagare l'intero stipendio per il sogno di una sera superano le "caselle libere" dell'agenda degli appuntamenti. In questo caso è la escort a decidere per un sì o per un no, e non il cliente (il quale ha già fatto la sua scelta secondo il desiderio).
L’etica è che le persone adulte e consenzienti possano fare ciò che credono meglio per loro, più o meno giusto, più o meno vantaggioso, più o meno dignitoso, più o meno morale.
Una donna può benissimo accettare (per denaro) di recitare la parte della bella cortigiana ispiratrice di sonetti e madrigali ("Qual rugiada qual pianto qual lagrime eran quelle che sparger vidi dal notturno manto e dal candido volto delle stelle") per assecondare, con la propria prorompente fisicità, con la propria parvenza ammaliatrice, con la propria incomparabile avvenenza (ma anche con la propria mai scontata intelligenza e con la propria cultura universitaria) i desideri di uomini ricchi (o di normali "borghesi" disposti a sacrificare interi stipendi per una notte di follia), concedendo momenti di indicibile ebbrezza dei sensi e delle idee, di estasi carnale e spirituale, di "paradisiaca perdizione" e di sensualità innalzata a sentimento (e quindi voluttà), in notti di lussuria e serate di eleganza all'insegna della bellezza e del piacere diffusi ad ogni aspetto della vita umana, fra cene principesche, lussi "rinascimentali", dialoghi e baci, squisitezze intellettuali ed estasi carnali.
E’ comunque sempre ella a decidere se, con chi, cosa e a quanto e fino a che punto recitare. L’uomo si limita a prendere atto delle condizioni da lei poste e ad acquistare il biglietto, se interessato.
In quel caso da parte di lei non vi è nulla di indegno, ma anzi molto della vanità di un’artista, nello stabilire l’alto compenso per far vivere al cliente "la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude", in una rappresentazione scenica nella quale egli è contemporaneamente attore e spettatore.
Nulla di male ovviamente nemmeno per l’esteta che ne gode (pagando, anziché recitando da giullare o da seduttore, come sarebbe preteso dalle donne "oneste" per dilettarsi o per compiacere la vanagloria). L’importante è che non vi sia costrizione o inganno da nessuna delle due parti.
L’intimità è solo fisica, il resto è illusione.


CAPITOLO II.
QUANTO ALLA QUESTIONE DELLA CONVENIENZA (efficacia della legge e benessere per le prostitute)
Qui siete ipocrite. E' soprattutto ipocrita nascondere che la "domanda" nasce non dalla malvagità o dalla perversione dell'uomo, ma dalla disparità di numeri e desideri, nella sfera dell'amore sessuale, voluta dalla natura per i suoi fini, favorevole grandemente alle donne e da queste sfruttata (materialmente o idealmente, economicamente o sentimentalmente, in termini di moneta o di autostima, di doni o di corteggiamenti) senza remora alcuna ed accresciuta sino alle estreme conseguenze, in ogni tempo, in ogni luogo ed in ogni modo.
La prostituzione non è che l'abbreviamento e la razionalizzazione di tutto ciò. E' uno dei tanti modi in cui, come in natura, la brama di bellezza e di piacere del maschio viene sfruttata dalla femmina (non è automatico come detto prima il significato negativo di tale termine) per fini di propria utilità.
E' prediletto dai maschi stessi ad altre forme di sfruttamento (tipiche delle donne oneste, con le quali si deve pagare con probabilità 1 e ricevere con funzione di variabile aleatoria, e spesso si rimane vittime di raggiri economico/sentimentali, leggi fidanzamenti e regali costosi e/o matrimoni, e sovente si deve pagare in sincerità, dignità suppliche, nel recitar da cavalier serventi miranti supplici e pronti a tutto per la sola speranza o da giullari per dilettarle magari lasciandole irridere al desiderio, o comunque sempre da seduttori per compiacere la loro vanagloria) perché non vi è quasi mai l'inganno ma quasi sempre il consenso bilaterale e soprattutto perché il prezzo, per quanto elevato (e comunque sempre stabilito dalla femmina) è noto a priori (dunque non ci si può poi lamentare).
E' ipocrita anche negare che, al di là di ogni barriera ideologica, di ogni retaggio culturale e religioso e di ogni moralismo, basterebbe regolamentare e controllare la prostituzione per eliminare lo sfruttamento del mercato del sesso da parte delle associazioni malavitose, le quali lucrano proprio sulla situazione di precarietà, di incertezza e di irregolarità in cui, per via delle leggi attuali, si trovano molte prostitute.
La perfezione non esiste, ma la piena legalizzazione del mercato del sesso è la condizione più vantaggiosa da un lato per chi si prostituisce liberamente (che non è disturbato dalla polizia, come in Italia e in Francia, ma è invece da essa tutelato), dall'altro per chi è davvero vittima della tratta e della prostituzione coatta, che con questo sistema di controllo e vigilanza può essere facilmente riconosciuto ed aiutato. I mercanti di schiave sono osteggiati, e non favoriti, da una legge regolamentatrice (come fu osteggiato, nelle sue attività, Al Capone con l'abolizione del proibizionismo).
Se l'atteggiamento verso il problema è serio, dovrebbe confermare come (ed è ciò che già è accaduto e accade per gli alcolici e la droga) sia la legalizzazione a combattere veramente (e non moralisticamente) il crimine e la tratta. Il proibizionismo incrementa, da sempre, gli affari delle mafie (oltre a non spegnere certo, anzi, ad aumentare per via del "fascino del proibito" la domanda, ammesso e non concesso che lo stato moderno abbia il diritto di "emendare i vizi e i costumi" delle genti come nell'alto medioevo).
C'è infatti qualcuno che vorrebbe abolire le leggi sul lavoro o addirittura vietare in principio (a tutti i cittadini e in tutte le condizioni) le occupazioni, gli offici e i commerci (agricoltura, manifattura, industria) in cui sono impiegati (fra gli altri) immigrati irregolari, pensando così di ridurre tratta e sfruttamento?
Quando ha prosperato di più la mafia in America, ora, o quando gli alcolici erano moralisticamente proibiti? La mafia guadagna, con le droghe leggere di più in Olanda, dove il commercio è legale, o in Inghilterra dove un proibizionismo moralista ne vieta il consumo?
Qualsiasi "commercium" cade in mani mafiose quando è vietato, o tenuto allo scuro, dalle proibizioni e dalle condanne di legge o di morale. E' successo così per gli alcolici e succederebbe così, ad esempio, anche per i "libri proibiti" se venisse reintrodotto l'INDEX LIBRORUM PROIBITORUM. Aboliamo per questo la lettura?
Non si capisce perché la prostituzione dovrebbe fare eccezione a tutto ciò. Se qualcuno eccepisce, rende palese che le sue argomentazioni si basano sulla condanna morale e sono solo nascoste, solo celate, solo sostenute in maniera posticcia e irrazionale dalle vicende della "tratta".
Che la soluzione migliore sia rappresentata dalla legalizzazione è dimostrato dal fatto che tutte le associazioni di libere prostitute, in tutti i tempi e ad ogni latitudine, vogliano fortemente la depenalizzazione e la liberalizzazione del settore.
Se così non fosse sarebbero masochiste!
Altrimenti sarebbe come dire "visto che gli immigrati vittima della tratta vengono sovente impiegati nell'edilizia, nell'agricoltura e nell'industria manifatturiera e sfruttati, noi proibiamo la vendita di case, di prodotti agricoli e di calzature. I cittadini dovranno provvedere da soli a costruire case, coltivare e fabbricare scarpe. Altrimenti dormano all'aperto, mangino ciò che gli altri sono disposti a dare loro e camminino scalzi. Non possono soddisfare i loro bisogni corporali sulla disgrazia e la costrizione e la disperazione e la miseria della povera gente e dei bambini"
Questo è quanto in sintesi dice chi vuole punire i clienti e proibire il meretricio, costringendo gli uomini al dovere del corteggiamento (sarebbe come appunto obbligare qualcuno a mangiare solo quanto la locandiera è disposta a offrirgli gratis, anziché pagare per un pasto).
Non è forse meglio attuare impianti legislativi in grado di tutelare, nel meretricio come altrove, la libertà dei singoli individui di scelta e di scambio da un lato, assieme alla sicurezza ed ai diritti di chi vi lavora, e l'altrettanto importante incolumità, sicurezza e dignità di chi invece vorrebbe compiere scelte diverse o comunque non essere obbligato?
Questo si può fare solo con leggi liberali!
Se l'obiezione è che si tratti di un mestiere immorale allora significa che la tratta è solo un pretesto e il motivo dell'opposizone alla legalizzazione è meramente moralistico (derivante dal pregiudizio paolino sul corpo, sul peccato di "impudicizia" e sul considerare esso non di proprietà del singolo individuo ma di uno "spirito" superiore, santo o statale che sia, altrimenti non si spiega il divieto di farne occasione di legittimo interesse personale, e quindi, perché no, anche modo di far denaro, e non solo divertimento, amore, amicizia, vanagloria, autostima, stronzaggine da corteggiamento e quant'altro).
Se ciò sia dignitoso o meno, lecito o no, tollerabile o no, se ne valga la pena e quale sia il prezzo di questa pena, PUO' ESSERE STABILITO SOLO DALLE SINGOLE PERSONA INTERESSATE. Quello che pensano gli altri, il volgo vile, il clero, i falsi sapienti, è irrilevante.
Nelle faccende private e soprattutto sessuali uno stato veramente liberale non dovrebbe entrare, se non per sancire che ognuno ha diritto a stabilire i propri valori e le proprie scelte e per impedire che taluni, con violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità, impongano la propria volontà su altri.
In ciò che riguarda esclusivamente due persone adulte e consenzienti (ivi compresa, fra le altre cose, la sfera sessuale) le regole (e i principi da cui debbano essere ispirate: cosa sia dignitoso, equo, accettabile, morale, cosa debba essere il sesso, ecc.) sono stabilite da loro e solo da loro.
L'importante è che nessuna delle due persone venga costretta mediante violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità, non già che la sua scelta sia motivata dal calcolo razionale e dell'interesse materiale piuttosto che dall'amore, dal piacere, dalla libidine, dalla vanagloria e da quant'altro, giacché si tratta di motivazioni assolutamente personali e ingiudicabili. LA LIBERTA' DI FARE VALE QUELLA DI NON FARE. LA LIBERTA' ANCHE DI UN SOLO INDIVIDUO (gaudente o meno, meretrice o meno) vale di più di tutto e tutti messi assieme, ma questo vale SEMPRE e per TUTTI.
Non si può mai, per nessun motivo, in nessun caso, vietare a taluni (liberi e consenzienti) di fare con la speranza di impedire così che ad altri (non liberi non consenzienti) sia imposto (a meno che non vi siano situazioni di chiara probabilità in un senso o nell'altro, ma in ogni caso bisogna distinguere le situazioni). E' un ragionamento IN_AC_CET_TA_BI_LE (e vi ho dimostrato dove porta, con l'esempio del braccialetto elettronico imposto a tutti con la giustificazione "vale di più il divertimento di un singolo o una vita, è più importante la libertà di spostamento e la tutela della privacy, o l'evitare possibili delitti contro persone innocenti"?).
Vietare a chi vuole (donne e uomini consenzienti, prostitute o meno, clienti o meno) è odioso, e da evitare così come imporre a chi non vuole. Se lo negate non potete dirvi libertaria. Non vi è giustificazione nobile alcuna per negare questo principio di libertà individuale.
Come dice il comitato diritti civili delle prostitute (prostitute, badate, non clienti), LA LIBERTA' SESSUALE NON E' CONTRATTABILE. IN NESSUN CASO. ("né la Chiesa né lo Stato possono decidere al nostro posto" dicono, così come sostengono che "criminalizzare i clienti pone le lavoratrici del sesso in grave difficoltà e favorisce l'illegalità e lo sfruttamento")
Non è vietando di fare a chi vuole (meretrici e clienti liberi) che si impedisce di costringere chi non vuole (schiave del sesso). Impedendo tutto a priori non solo si fa il gioco della malavita (proibizionismo) ma si somma limitazione di libertà a costrizione (non è accettabile limitare la libertà, sia pure di gaudenti, e non vale come scusa una nobile causa, tanto più che lo stesso risultato potrebbe essere raggiunto legalizzando e controllando).

P.S.
Svezia e Corea del Sud non hanno affatto "risolto il problema" della prostituzione, ma si trovano né più né meno, tanto per voler citar sempre la storia americana, nella situazione degli Usa proibizionisti: una legge moralista e proibizionista vieta un "vizio" cosicché tutti i proventi di esso (maggiorati dalla difficoltà delle persone di soddisfare legalmente il proprio bisogno e quindi dalla disponibilità a pagare di più e in nero) finiscono per finanziare la malavita (la quale prospera nel buio dell'illegalità, mentre ha più difficoltà a imporre i propri metodi nel business legale: infatti Al Capone fallì quando il proibizionismo venne abolito).

CAPITOLO III.
QUANTO ALLA QUESTIONE DELLA LUNGIMIRANZA
Ecco a cosa si riduce la vostra lungimiranza: la solita incoerenza femminil-femminista. Se riconoscete come una debolezza il bisogno maschile di godere della bellezza attraverso le grazie corporali delle donne come fate a non riconoscere la posizione di superiore (o comunque paritaria) forza contrattuale delle "sacerdotesse di Venere" (le quali, esattamente come loro, mettono scientemente a frutto il desiderio suscitato dai loro corpi per fini personali, ma, a differenza di loro, lo fanno all'interno di un rapporto di scambio dichiarato e consensuale, non nuocciono a nessuno e non hanno l'obiettivo, attraverso il sesso e di lì in tutto, di irridere, umiliare, tiranneggiare e far vivere infelice e inappagato un intero genere)?
Per le donne inneggiate alla libertà di sfogare in ogni modo, tempo e luogo, senza limiti nè remore nè regole, l'istinto naturale femminile ad apparire in ogni dove belle e disiabili (e a suscitare in ogni astante, per vanità, interesse o gratuito sfoggio di preminenza erotica, un disio che non hanno almeno in quel momento e comunque non per tutti, intenzione di appagare), mentre per gli uomini vorreste imporre l'obbligo costante a reprimere il corrispondente istinto a mirare, disiare, seguire e cercare di ottenere il godimento della bellezza (se necessario anche pagando). Per le donne reclamate tutti i diritti e per l'uomo tutti i doveri. Bella parità!
E poi avete il coraggio di parlare di "etica".
Con quale diritto e quale autorità potete definire (per tutti, e con valore di legge) "non etico" un rapporto consensuale fra adulti solo perchè motivato non da concessione amichevole, coronamento amoroso, capriccio, vanità, vendetta sentimentale, stronzaggine o quant'altro, come nei rapporti "normali", ma da interesse dichiarato (in questo caso economico), e implicante una visione dell'amore e del sesso (e della vita privata e lavorativa in genere) da voi non condivisa?
Vi è forse sotto una versione laicizzata del pregiudizio paolino sul corpo, per il quale esso, in quanto vaso destinato ad accogliere lo spirito santo, dovrebbe mantenersi "puro", essendo ogni peccato compiuto su esso paragonabile ad un sacrilegio pari all'usare il templio per il mercato?
Perchè altrimenti considerare accettabile vendere la propria preparazione, il proprio tempo, il proprio intelletto, le proprie abitudini di vita, le proprie braccia o le proprie capacità mentali e non momenti d'ebbrezza e piacere dei sensi attraverso il proprio corpo sessuato?
Perchè dovrebbe essere considerato indegno offrire al mercato quella parte di sè atta a concedere momenti d'ebbrezza e piacere dei sensi e non, invece, la propria forza fisica, le proprie abilità manuali o le proprie capacità intellettuali? Vendere un servizio attraverso il proprio corpo sessuato e non, invece, un servizio svolto attraverso le proprie braccia o il proprio intelletto? Perchè dovrebbe essere consderato "di valore infinito" (ovvero non commerciabile, non vendibile, non scambiabile alla pari con nulla pena perdita della "dignità") l'offerta delle proprie grazie, l'appagamento del disio di bellezza e piacere e non l'offerta di una prestazione lavorativa, di una fatica fisica (o mentale) importante, di una abilità sensitiva o intellettiva costata anni o decenni di studio, applicazione, sacrificio, immedesimazione?
Quanto può, volendo, essere svolto nel breve volgere di una notte (o di qualche ora) con assai poco coinvolgimento (se non quello recitato) e non quanto magari richiede la fatica di un mese e la preparazione di una vita? Quanto può essere (come il rapporto sessuale) agito "impersonalmente" (anche quando lo si offre con grazia unica e stile particolare, alla pari di un personaggio romanzesco), ponendolo sul palcoscenico senza tangere la sfera realmente personale o addirittura svolto in modo anonimo, indistinguibile da quanto ci accumuna per natura ai mammiferi, senza entrino in gioco sentimenti (e correlati rischi di ferimento intimo),
e non quanto (spesso, specie per i giovani) coinvolge il proprio studio, la propria preparazione, le proprie capacità qualificanti, le proprie esperienze e le proprie doti innate individuali, la propria individualità, le doti per cui crediamo di distinguerci dagli altri ed essere particolarmente apprezzati dal mondo, la parte più pura di sè, quello in cui si ha sperato, faticato, offerto (in tempo, fatica, impegno) e sofferto negli anni della giovinezza o comunque influenza lo stile di vita, il modo di pensiero, il rapporto con il prossimo, a volte la visione del mondo (perché se si deve entrare nel mondo del lavoro si deve scendere a compromessi, se non altro materialmente, su tutto ciò, e alla lunga si cambia anche l'ideale) e obbliga spesso a simulare doti non possedute (esattamente come si fa con i prodotti della reclame), falsificare la propria percezione della realtà (per adeguarla al racconto che fa marketing) e deformare il proprio curriculum (ingigantendo, della propria personalità, del proprio studio, del proprio vissuto, quanto può piacere al mercato e tacendo quanto ci qualificherebbe ma potrebbe non risultare "vendibile")?
Perchè dovrebbe essere non-commerciabile solo ciò che la donna può offrire attraverso le proprie grazie corporali e di cui l'uomo ha per natura bisogno come del cibo, dell'acqua e del sonno mentre resta tranquillamente vendibile, scambiabile, commerciabile senza alcun patema tutto quanto nell'arte come nella religione, nella politica come nella storia, nel pensiero come nella società, l'uomo ha comunitariamente costruito e individualmente continua a costruire (con il lavoro, lo studio, la posizione sociale) per compensare in desiderabilità e potere il privilegio naturale femminino?
Questo significa usare il pregiudizio paolino sul corpo (peccare con il corpo, vaso sacro destinato ad accoglire lo spirito santo dopo la resurrezione, farne mercato, quale peccato massimo, sacrilegio pari all'entrata dei mercanti nel templio) per conferire alla donna un vantaggio in desiderabilità e potere infinito e non più compensabile dall'uomo con l'offerta e lo scambio di quanto (denaro, posizione sociale, abilità pratiche, conoscenze e doti intellettuali) eqli può costruire con la cultura, la fatica, l'impegno e lo studio, con le proprie braccia o il proprio intelletto, e di cui la donna può sentire bisogno e brama di forza pari a quelle che muovono il disio maschile verso le di lei bellezze.
Tutte le considerazioni negative sulla prostituzione volontaria derivano difatti dal presupposto secondo cui chi vende momenti di sesso attraverso il proprio corpo venda una parte di sé. Ciò è errato, in quanto esistono persone per le quali il sesso è un'attività umana come le altre (senza necessariamente avere coinvolgimenti sentimentali o implicazioni "terribili") e non ha nulla di "sacro e pericoloso" per cui le persone (adulte e consenzienti) non dovrebbero essere libere di farne ciò che vogliono (sentimento, coinvolgimento o, al contrario, recita e straniamento). Chi o che cosa ha diritto ad entrare nella vita privata delle persone e indagare, quando non vi sono violenze e costrizioni, sui motivi per cui si accoppiano (eros "apollineo", legato all'innamoramento e all'affinità di coppia, o al contrario "dionisiaco", piacere puro, assoluto discinto da ogni legame sentimentale e da ogni dovere di corteggiamento, o ancora, per gli uomini, ricercare l'anima gemella oppure un'attrice che interpreti, a pagamento, il proprio sogno estetico, e, per le donne, concedersi per divertimento o passione, per amore, amicizia oppure, perché no, interesse e quindi soldi)? In base a quale principio (o a quale legittimità di interpretazione) si dovrebbero vietare ad esse determinati comportamenti attenenti la sfera privata e sessuale?
Dov'è il diritto divino?
Tralascerò di ricordare ai tutti come nessun cliente voglia "comperare una donna" (cosa, già in senso "extramorale", estremamente svantaggiosa, implicando costi di mantenimento anche in caso di vecchiaia e malattia), bensì semplicemente la sua recita completa (e a tempo) da amante.
Non si tratta di una vendita (la quale, implicando un'alienazione definitiva del bene, non sarebbe possibile nel caso del corpo non esistendo vita al di fuori di esso), ma di un'offerta di servizio attraverso il corpo (esattamente come nel caso dell'operaio che offre il lavoro delle proprie braccia o del giornalista che dovrebbe, ma non sempre è così, offrire il servizio del proprio intelletto), con la sola differenza che il servizio in questo caso è di tipo sessuale.
E' questo il problema?
Sarei tentato di citare Einstein e di sostenere (dopo tutto quanto evidenziato) che si tratta (se non altro per l'incoerenza di cui parlavo prima, ammessa implicitamente fin da principio dalle "femministe") dell'ennesima dimostrazione dell'infinità della stupidità umana.
Purtroppo però queste di femen sono tutt'altro che stupide: sono piuttosto (alla pari dei tanti "preti" che hanno, dalle origini all'inquisizione, sfruttato la religione e la morale per fini "umani e troppo umani") delle perfide calcolatrici.
A me sembra che dietro l'uso del termine "dignità" per vietare la prostituzione vi sia semplicemente il tentativo scientifico di rendere non "impossibile da stabilire", ma semplicemente "infinito a capriccio" il valore (in desiderabilità e potere) di ciò di cui si vuole vietare la vendita esplicita (e generalizzata): il corpo femminile o, meglio, il suo potere di suscitare disio, di attrarre tutti e di soddisfare un ineludibile bisogno di natura (l'inappagamento del quale provoca infelicità da sessuale ad esistenziale, con rischi di ossessione e conseguenze variabili dall'anoressia sessuale al suicidio). Si vuole insomma far divenire il rapporto sessuale quanto di più sacro e al contempo pericoloso esista, la fonte di ogni diritto (da cui le distorsioni del diritto nell'ambito delle definizioni e delle applicazioni giuridiche nei casi di violenza/molestia, con tanti saluti alla tassatività e all'oggettività della legge e alla presunzione di innocenza), il centro di ogni "sacralità inviolabile", intesa ben al di là dell'ovvio diritto all'autodeterminazione individuale nella sfera della sessualità (che infatti viene negata alle prostitute e ai clienti), ai confini con il "diritto a ferire, ingannare, irridere e tiranneggiare" gli uomini attraverso il bisogno erotico-sentimentale, o comunque con l'opportunità di portare alle estreme conseguenze una situazione di "monopolio sessuale" (a costo di eliminare in un modo o nell'altro le donne che, come appunto le prostitute, ree di permettere all'uomo di godere della bellezza senza passare per le forche caudine del corteggiamento, "rompono" tale monopolio).
La vostra non è emancipazione, è solo una forma di atteggiamento morale a metà fra il comportamento oligopolistico degli arabi dell'Opec, motivato in questo caso dall'intenzione di aumentare il proprio valore economico sentimentale, per permettersi un esercizio di vanità, tirannia e diletto sadico senza pari e volto quindi a rendere l'appagamento dei bisogni naturali di bellezza e piacere dei sensi quanto di più raro, difficile, duro, faticoso, costoso (da ogni punto di vista materiale e morale) e a volte pure ridicolo e umiliante (quando si pretenderebbe dall'uomo la recita da giullare cui irridere nel disio o da seduttore con cui compiacere la vanagloria o quando lo tratta da cavaliere servente pronto a dare tutto in pensieri, parole ed opere per un solo sorriso e una sola speranza o addirittura da mendicante alla corte dei miracoli "d'amore", costretto, mentre assieme agli altri attende la sportula, a guardare dal basso verso l'alto, pregando e aspettando colei da cui tutto può essere dato e tutto tolto) possa esistere sulla faccia della terra) e lo schema "cristiano" del vietare e condannare ciò che si vuol fare massimamente desiderare (per poi, con il bisogno di quello e il senso di colpa, avere in mano i corpi e le anime di tutti gli uomini).
Voi aspirate solo a diventare tiranne dell’uomo attraverso il suo bisogno di sesso, e chiamate la vostra tirannia “difesa della dignità della donna”.
Demagogico poi il riferimento alle "giovani immigrate". Quando vengono in occidente per fare le badanti, le colf o le infermiere sono ben accette e non sono dette sfruttate se guadagnano una piccola frazione dell'occidentale medio in mestieri che gli europei d'occidente non vogliono più fare, mentre se decidono di prostituirsi per guadagnare di più la cosa non va più bene perché immorale e, per vieterglielo senza incolpare delle donne (che sarebbe politicamente scorretto) sono dette "poverine" e "vittime". Ovviamente che le associazioni di prostitute libere rivendichino da decenni tanto la liceità quanto la libertà della loro scelta non ha alcun valore per questi politici. Infermiere sì e accompagnatrici no? Minigonna per le donne-manager e le studentesse sì e abiti succinti per le passeggiatrici notturne no? Ma saranno le donne, prostitute o meno, a dover decidere che fare del proprio corpo e della propria sessualità e della propria esistenza lavorativa o privata? O dovrebbe essere, secondo un principio neogiacobino o neostalinista, lo stato a dover accompagnare tutti dalla culla alla tomba ed imporre la propria "virtù" come in ogni totatlitarismo da Robespierre a Stalin?
L'auspicio di un'estensione al mondo della "legge svedese" è la conferma di tutto ciò. Non sarebbe necessario in questo forum ribadire cosa è ragionevole pensare di tale legge, ma, poichè si è parlato di sacralità e sesso, non mi pare fuori luogo affiancare alle litanie femministe una salutare ripetizione di principi liberali e libertari.
In primis la legge svedese è controproducente, giacché mai qualcosa afferente il desiderio o il vizio qual dir si voglia è stato cancellato dal mercato con la semplice proibizione. L'esempio più eclatante fu quello degli alcoolici, che, una volta proibiti, fecero la felicità della mafia più di quella degli astemi. L'esempio più vicino a noi è quello delle droghe: mai come ora (dopo anni di proibizionismo) esse sono capillarmente diffuse ed alla portata di tutti.
In secundis è illiberale, in quanto il potere statale si permette di sanzionare comportamenti afferenti la vita privata e sessuale di persone adulte e consenzienti le quali non danneggiano oggettivamente alcuno (come i clienti e le prostitute), di entrare nell'intimità dei cittadini per giudicare i motivi per cui essi possano o non possano accoppiarsi (amore, amicizia, capriccio, vanagloria, tirannia sessuale, vendetta sentimentale, stronzaggine erotica sì e interesse materiale no, o, meglio, no se esplicito e onostamente dichiarato: accompagnarsi con chi è disposta a concedersi per denaro, in maniera chiara e consensuale, è vietato, mentre le unioni amorose, i fidanzamenti o le relazioni più lunghe di una sera e magari propiziate o motivate da interesse materiale e dalla volontà della donna di ottenere regali, creme, gioielli, viaggi da sogno, auto costose, vestiti firmati, o fama, successo, ricchezza, carriera, visibilità mediatica, sono concesse, salvo l'assurdo di non poter distinguere mai con certezza ed obiettività quanto di una relazione più o meno breve, più o meno lunga, sia dovuto al sentimento e quanto all'interesse e quindi di non poter mai parlare separatamente di "unione amorosa" o di "prostituzione")?
In tertiis è ignorante, in quanto ignora il report dello stesso governo norvegese, il quale dimostra come politica regolamentatrici e liberali quali quella olandese migliorano la situazione sia per le prostitute sia per le vittime della tratta, mentre quelle proibizioniste come quella svedese peggiorano la condizione delle sex-workers e non riducono affatto il problema (aumentando invece il grado di insicurezza e criminalità in esso).
Il fine dunque della legge non è affatto proteggere le donne-prostitute (come dimostra questa interessante testimonianza di una escort svedese: cliccare qui per la traduzione italica), ma colpire la prostituzione in quanto tale, da un punto di vista puramente ideologico, e, con essa, tutti gli uomini i quali si rifiutano, ogni volta che sentono il naturale desiderio di congiungersi carnalmente alla bellezza, di passare per le forche caudine del corteggiametno nella quali le "Donne" (ch'aman scriversi con la maiuscola) potrebbero inflieggere di tutto (sia fisicamente, sia psicologicamente, sia economicamente, sia legalmente).
In fine la legge risulta arbitraria, poiché arbitrariamente definisce "non dignitosa" e "non libera" la prostituzione, quando ciò che risulta dignitoso nella vita privata e sessuale di adulti consenzienti è e deve restare estremamente soggettivo (per loro non sarà dignitosa la prostituzione, per me può non essere dignitoso il corteggiamento, visto come atto servile, troppo simile alla supplica, rapporto non paritario troppo simile al vassallaggio verso la Dama e retaggio del medioevo indegno di un uomo libero, per una prostituta può non essere dignitoso concedersi invece "per niente" come si pretende nel "sesso libero") e soprattutto perché
arbitrariamente identifica la prostituzione con la schiavità (come arbitrario sarebbe identificare il lavoro manifatturiero con la costrizione e vietare le scarpe solo perché vi sono effettivamente bambini costretti a lavorare in fabbriche di calzature).
Se poi il fine fosse davvero la lotta alla tratta si punirebbero solo e soltanto i clienti consapevoli di usufruire dei servigi di prostitute costrette dai trafficanti, come è stato fatto in Finlandia. Il fatto che invece si punista "tutta" la prostituzione in quanto tale è segnale di come il fine sia ideologico e antimaschile e non pragmatico né umanitario né tanto meno rispettoso delle donne.
Il rispetto VERO per le donne non coincide con l'idolatria femminista, ma con rispetto ANCHE di quelle donne che compiono (per motivi personali e ingiudicabili dallo stato liberale) scelte ritenute dal pensiero dominante "sessualmente scorrette" e con l'abolizione di ogni discriminazione (materiale e morale) ai danni delle persone prostitute (discriminazioni tenute in vita da un pactum sceleris fra vetero femministe protese ad incolpare gli uomini e maschilisti che vogliono vedere sempre la prostituta come vittima per sentirsi, rispetto a lei ed al contrario della realtà, più forti, magari anche a volte "salvatori, comunque "superiori" a chi pur pagano avendone bisogno, oppure in senso medievale come "strega".).
E piuttosto rispettate me evitando di dire che "ragiono con l'uccello". Se io ragionassi con le parti basse, farei come tutti coloro i quali, magari senza accorgersene, accettano il “gioco della seduzione” (nel quale, per le ben note disparità di natura, sfruttate in ogni modo, tempo e luogo dalle donne senza limiti, remore né regole, queste sono dalla parte del banco che vince sempre mentre a rischiare spenna menti, ferimenti e inganni è solo l’uomo). Proprio perché ragiono con la testa discuto di prostituzione.

CAPITOLO IV.
QUANTO ALLA QUESTIONE DELLA PARITA’
Non è la società ad essere sessista: la natura lo è. La società, se amante di quanto possiamo chiamare "equo vivere", può semplicemente tentare di compensare le disparità naturali, o, meglio, dare agli individui la libertà di compensarle.
E' quello che ha sempre fatto il mondo umano prima dell'avvento del femminismo.
Oggi come ieri la donna ha sempre privilegio di natura d'essere apprezzata, ammirata e desiderata in sé per la bellezza (e, quando non vi è, comunque per l'illusione data dal desiderio). Per naturale compensazione l’uomo ha sempre potuto proporre altre doti per essere simmetricamente apprezzato, a seconda del mondo. Il mondo eroico ed omerico aveva la virtù guerriera, il mondo cavalleresco e cristiano la cultura, il pensiero, le belle arti, la conoscenza, il cor gentile, il mondo capitalista ha il denaro. Forse un futuro (utopico) proporrà finalmente il puro spirito. Il mondo attuale, intanto, con tutti i suoi difetti, ha il denaro. Avrà tutti i difetti ma almeno permette all'uomo di compensare la disparità di desideri (non necessariamente sessuali) e inclinazioni sentimentali con la donna. Non è assurdo. E' invece assurdo un mondo che programmaticamente voglia eliminare le differenze.
E' ipocrita poi un mondo che chiama svantaggio il privilegio e chiama discriminazione una scelta (dettata da diversi desideri di natura).
Se vige la morale pseudo-cavalleresca, per cui sia per cultura sia per legge è sancito che l'uomo debba mantenere la donna (se questa non ha voglia di lavorare o di cercare un lavoro in grado di farle guadagnare quanto desidera), se anche per un semplice rapporto "free" l'uomo deve dare infinite cose in pensieri, parole, opere, fatiche, dignità (quando deve recitare da cavalier servente) e soprattutto doni e regali e inviti a cena, se una donna può ottenere (economicamente e sentimentalmente, oppure in moneta di vanagloria e autostima) tutto senza dare nulla più che un sorriso, se viene accettata, disiata o comunque socialmente apprezzata in ogni dove di per sè, in quanto "soave fanciulla", per la sua grazia, la sua leggiadria ed ogni altra dote attribuitale per natura e cultura (addirittura anche quando, come accade spesso, manca la vera bellezza) perché mai una donna dovrebbe faticare per arrivare a guadagnare tassativamente una certa cifra (come ha l'obbligo l'uomo per non essere un nulla) o raggiungere una certa posizione di prestigio socio-economico (quella indispensabile invece all'uomo per essere ammirato e potersi circondare delle donne che desidera) dato che già per natura piovono su di lei privilegi principeschi (in relazione all'uomo), complimenti, desiderabilità e ammirazione, o comunque accettazione, sociale e per natura le viene dato tutto?
Sarebbe molto stupida se non ne approfittasse, facendosi per quanto possibile mantenere o, se ama il lavoro, scegliendo una professione per puro gusto e non per soldi (ed è per questo e solo per questo che le donne svolgono mestieri meno remunerati ma non per questo meno appaganti in sé).
Se deve sempre essere l'uomo a "spendere" (sia materialmente, sia idealmente) per la sola speranza di conquista, deve esistere per lui ALMENO LA POSSIBILITA' di guadagnare di più, altrimenti dove trarrebbe le risorse per la "rincorsa"? O per voi è naturale che l'uomo viva perennemente infelice e inappagato?
La donna, per privilegio sia di natura sia di galanteria, ha la possibilità, nella sfera dell'AUTOSTIMA (erotica ed affettiva), di essere ammirata, disiata ed apprezzata al primo sguardo e, in quella del POTERE (personale e sociale) di influenzare l'agire e il pensare degli uomini (e quindi la storia), SENZA BISOGNO di faticare, compiere "imprese" o mostrare eccellenza in doti particolari (come i cavalieri che se non le dimostrano non sono né disiati né ammirati) o di raggiungere una posizione di preminenza sociale ed economica (come invece gli uomini che senza di essa non contano nulla).
E tutto questo vale per natura, poiché è il maschio ad essere indotto dalla natura ad onta di perigli e fatiche a seguire la femmina nel più fitto dei boschi e chissà dove, non viceversa.
Tale disparità DEVE essere compensata in un modo o nell'altro dall'ordine sociale. Il denaro è un mezzo (o il mezzo attuale).
Se le persone sono lasciate libere tale "riequilibrio" avviene senza discriminazioni, non per effetto di divieti o svantaggi alle donne, ma per conseguenza di libere scelte diverse dettate da bisogni diversi, inclinazioni diverse e doti naturali differenti. E' se si pretende di eliminare a posteriori tale riequilibrio che si compie azione ingiuste e discriminatoria in quanto un'uguaglianza imposta penalizzerebbe gli uomini DATO CHE il non avere il femminista 50 e 50 non deriva da discriminazione contro le donne ma dal fatto che esse (per privilegio naturale e culturale) hanno meno bisogno di certe posizioni e di certe carriere (per essere felici o anche solo socialmente accettate e amorosamente disiate) e quindi non vi spendono tanto tempo ed energia come sono invece obbligati a fare gli uomini: conseguentemente correggere a posteriori per avere il politicamente corretto 50 e 50 sarebbe come, per il puro gusto di "pareggiare", rallentare a metà di una competizione chi ha corso e faticato di più perché aveva più necessità di arrivare prima.
Se davvero si realizzassero i propositi del ministero delle pari opportunità la situazione sarebbe totalmente a svantaggio dell'uomo, e non certo pari o giusta.
Il desiderio è dispari.
La donna gode di un privilegio nella sfera, diciamo, erotico-sentimentale, che le deriva direttamente dalla natura. Tale posizione di privilegio (o, se vogliamo, di preminenza) diffonde i propri effetti, direttamente o indirettamente (e in maniera assolutamente indipendente dall'organizzazione sociale, la quale non può, anche volendo, vincere la natura in questo), in ogni aspetto della vita dato che, come mostra Freud, tutto ciò che desideriamo o vogliamo, consciamente o meno, deriva dal profondo degli impulsi sessuali. Di ciò non si può non tenere conto parlando di "parità", sempre che si abbia come fine una parità effettuale o, meglio, una uguale possibilità di ogni individuo di cercare la via per essere felice, o meno infelice possibile, secondo i propri personalissimi ed ingiudicabili parametri. In caso contrario significa o che si è troppo stupidi per capire la sostanza del problema oltrepassando l'apparenza o troppo perfide e false per ammettere di avere un vantaggio (molto più influente della superiore forza fisica maschile) il quale DEVE essere compensato da una società che voglia essere non dico giusta, ma almeno FUNZIONANTE (solo quanto è bilanciato, come lo è stato il mondo della tradizione, può funzionare a lungo). La terza via significa semplicemente ritenere accettabile la crudeltà della natura solo perché in questo caso va (o sembra andare) a vantaggio della donna, sottendere che l'uomo debba sempre essere tiranneggiato o reso profondamente degno del riso da questa e definire arbitrariamente la disparità naturale come "giustizia naturale" (ragionamento tipico delle ecofemministe: e sarebbe interessante la loro reazione a chi sostenesse giusto per l'uomo approfittare della brutalità fisica e delle forze naturali di coesione , ossia del branco, per schiavizzare le donne, perché è il discorso simmetrico a questo quello sostenuto da certe ecofemministe e da certe donne).
Rousseau credeva ingenuamente tale influenza delle donne (esercitata per mezzo di ciò che nell'uomo è di più profondo e di più irrazionale) un fatto positivo in quanto naturale, ma Leopardi e Schopenhauer hanno ampiamente dimostrato come alla natura poco importi dell'infelicità o della felicità dei singoli individui.
La felicità è un concetto speculativo e infinitamente soggettivo nelle sue possibilità (o, per i pessimisti, illusorio nella sua impossibilità), e non è raggiunto con il puro soddisfacimento del corpo, ma è oggettivamente riscontrabile che laddove non possono essere pienamente appagati i bisogni naturali (fra cui, per l'uomo, quelli di bellezza e di piacere, dei sensi come delle idee), l'essere vivente dotato di autocoscienza è inevitabilmente infelice.
Per questo è disumano non voler concedere all'uomo di poter compensare la situazione svantaggiata di partenza o lamentarsi delle conseguenze macroscopiche di ciò (vedi statistiche sui redditi), ovvero di come a volte l'uomo (non tutti sono imbecilli come sembra) vi riesca con le proprie forze (lavorando e guadagnando di più, sacrificandosi di più nella carriera perché non ha altra scelta).
Se una donna può avere la bellezza per essere apprezzata, ammirata, disiata al primo sguardo, un uomo deve poter acquisire altre doti parimenti oggettive e immediatamente apprezzabili per essere allo stesso modo ammirato e disiato e "pareggiare il rapporto" con la bella donna.
Se ella possiede la bellezza, di cui, sensitivamente e intellettivamente, l'uomo ha naturale ed intimo bisogno e verso cui è mosso da profondo e immortale disio, egli deve possedere e poter offrire a lei altre doti di cui la donna ha pari bisogno e brama e verso le quali è mossa a desiderio con ugual forza.
Ogni rapporto umano, fra uomo e uomo o fra uomo e donna, è fatto di dare ed avere (non necessariamente e banalmente in senso economico, ovviamente). Solo gli stolti possono credere il contrario e confidare nella gratuità (la quale non esiste neppure nel sentimento).
I rapporti fra uomo e donna nel regno dei cieli non mi interessano. Io parlo di quanto accade sulla terra. E' raro si incontrino San Francesco e Santa Chiara e poiché l'uomo deve poter godere realmente, di quando in quando, delle bellezze che abitano la terra, deve anche possedere quelle doti in grado di allettare e realisticamente disporre a concedersi le donne vere prima delle sante.
Se non possiede tali doti non ha nulla di concreto da offrire alla donna e da lei disiato e gradito, per cui non potrà sorgere alcun rapporto costruttivo con lei. E l'uomo con ogni probabilità sarà infelice e inappagato sia sensitivamente sia intellettivamente, oltre che mai apprezzato, con conseguenze sia distruttive sia autodistruttive.
Possibile che donne lauerate e intelligenti non capiscano queste semplici verità?
Sono gli spermatozoi che devono correre all'ovulo, non viceversa. Non possono essere "rallentati" per "parità". E sono gli animali maschi che devono lottare, inseguire e raggiungere e conquistare l'animale femmina che sta ferma e non ha obblighi. E per correre, inseguire, competere, serve la benzina, la forza, la fiducia. E la benzina, la forza, la fiducia, in un mondo capitalista, risiedono nelle possibilità economiche. Stupido negarlo. E negare dunque che la situazione attuale non sia frutto di una discriminazione, ma del tentativo disperato degli uomini di compensare il naturale privilegio delle donne significa essere ciniche e bare. Oltre che FALSE!

CAPITOLO V.
CONCLUSIONE
La Prostituzione deve essere regolamentata, tutelata, sostenuta e mantenuta efficiente poiché è necessaria per compensare l'enorme disparità di numeri e desideri voluta dalla natura nell'ambito dell'amore sessuale. In ogni tempo ed in ogni luogo le femmine desiderabili sono in numero di gran lunga inferiore agli uomini che le desiderano ed hanno bisogno (sempre per natura) di godere della loro beltade. L'uomo deve poter risolvere ciò, in un mondo civile, con il denaro (così come con il denaro risolve il problema della fame: non rischia di deperire andando in cerca di cibo, ma semplicemente entra in un ristorante).
Se non paga non potrà realisticamente soddisfare (se non in minima parte e in casi rarissimi e totalmente fortuiti) il proprio naturale desiderio di bellezza e di piacere e non potrà mai vivere realmente il proprio sogno estetico completo.
Chi non paga subito ed in moneta le meretrici dovrà pagare con probabilità uno (non solo sempre in denaro, ma anche in doni, fatiche da corteggiameno, sincerità, recite, o dignità, quando dovrebbe fare da cavalier servente) per ricevere solo come funzione di variabile aleatoria e a capriccio della donna, dovrà tollerare i rischi, i sacrifici, i costi (materiali e morali), i disagi (da sessuali ad esistenziali), i ferimenti (reali o psicologici), le umiliazioni (pubbliche o private), gli inappagamenti (carnali e mentali) e le relative sofferenze (fisiche ed emotive) che la dama avrà la compiacenza di infliggergli per motivi di autostima, stronzaggine, brama di sfoggiare una preminenza erotico sentimentale o puro divertimento e vanagloriosa prepotenza oppure, nel migliore dei casi, sarà costretto a recitare da seduttore per compiacere la vanagloria della donna o da giullare per farla divertire (magari lasciandosi irridere nel desiderio) e darle letteralmente tutto (in omaggi, pensieri, parole e opere) per avere in cambio la sola speranza (minima),
In caso contrario si troverà a confidare alle stelle i propri tristi e cari moti del cor, a sospirare di notte e a mirare nella luna l'immagine della donna disiata e, leopardianamente a fare all'amore col telescopio.
Oppure dovrà accontentarsi di una donna di bellezza mediocre ma di comportamento comunque altezzoso la quale pretenderà le stesse fatiche e gli stessi privilegi (materiali e morali) del corteggiamento come fosse miss mondo.
Non si giustifichi ciò con il fatto che sarebbe naturale, giacché in primis in natura non esiste la stronzaggine sviluppatissima invece nel raffinato intelletto femminile, in secundis quanto negli animali, come sofferenza e inappagamento, è normale, rischia di divenire intollerabile nell'uomo a causa del maggior grado di coscienza (capace di acuire i dolori ed estenderli alla sfera psicologica), in tertiis, naturale sarebbe anche morire di fame per chi non è sufficientemente abile e fortunato da cacciare le prede o morire di malattia (tanto per risponedere all'obiezione: "chi non riesce a scopare gratis si arrangi", la quale equivale al dire "chi si ammala peggio per lui" o "chi non trova cibo muoia di fame"). La Civiltà si distingue proprio per il fatto di permettere a tutti di sfamarsi senza sforzo, anche se non gratis (semplicemente pagando dopo aver lavorato e faticato altrove) e curare i malati, non lasciarli morire "per il bene della specie".
L'uomo, pur essendo distinto dall'autocoscienza, ha in comune con gli animali i bisogni naturali (il cibo, il sonno, il sesso), che devono ovviamente essere soddisfatti, a pena di infelicità profonda, frustrazione intima, disagio da sessuale ad esistenziale, ossessione.
Tutto ciò, in quanto natura, non ha alcuna valenza morale (né in positivo, né in negativo). E non ha pure nessuna relazione con l'intelligenza, con la cultura o con la sensibilità personale (quindi non venitemi a fare discorsi del genere “siamo nel 2010…dovete ragionare con la testa ecc.”, perché nessun ragionamento può far sparire i bisogni naturali e nessuna cultura può evitare di sentirsi infelici e inappagati se i desideri naturali vengono posti innanzi come di fatto irraggiungibili). Si tratta semplicemente di pure necessità di natura.
Se non si mangia si muore di fame, se non si dorme si deperisce fino a divenire fantasmi, se non si beve ci si disidrata come foglie morte. E se non si appaga di quando in quando il proprio naturale bisogno di bellezza e di piacere dei sensi, la vita si dimezza in altro modo: dapprima vi è una tristezza occasionale, una malinconia diffusa, una rassegnazione, poi una vera sofferenza che partendo dalla sfera sessuale, come ampiamente spiagato da Freud, influenza il rapporto con l'altro sesso in genere e la vita tutta (con chiaro rischio di autodistruzione), e con i meccanismi ben noti dalla psicoanalisi, è destinata a scoppiare prima o poi in qualche modo (contro sé o gli altri). In ogni caso (anche senza giungere a conseguenze estreme) alla lunga, si conosce l'infelicità sia sensitiva sia intellettiva, la frustrazione intima, e l'inappagamento da fisico diviene mentale e, se reiterato, degenera in disagio non più solo sessuale ma esistenziale, con anche il rischio di generare ossessione (nella quale non vi sono né libertà né possibilità di agire lucidamente in imprese grandi e belle).
Come potete pretendere che la gente sia con voi se non permettete ai vostri uomini di appagare i propri naturali e profondi bisogni?
In ogni caso, anche prescindendo da tutto ciò e concentrandosi sul diritto di autodeterminazione delle scelte di vita privata e sessuale di donne di uomini unanimamente riconosciuto (almeno dopo il 1870), come si permettono la chiesa (caso italiano) o lo stato (caso svedese e norvegese) di pretendere che uno stato liberale si senta in diritto di sanzionare comportamenti afferenti la vita privata e sessuale di persone adulte e consenzienti le quali non danneggiano oggettivamente alcuno (come i clienti e le prostitute), di entrare nell'intimità dei cittadini per giudicare i motivi per cui essi possano o non possano accoppiarsi (amore, amicizia, capriccio, vanagloria, tirannia sessuale, vendetta sentimentale, stronzaggine erotica sì e interesse materiale no, o, meglio, no se esplicito e onostamente dichiarato: accompagnarsi con chi è disposta a concedersi per denaro, in maniera chiara e consensuale, è vietato, mentre le unioni amorose, i fidanzamenti o le relazioni più lunghe di una sera e magari propiziate o motivate da interesse materiale e dalla volontà della donna di ottenere regali, creme, gioielli, viaggi da sogno, auto costose, vestiti firmati, o fama, successo, ricchezza, carriera, visibilità mediatica, sono concesse, salvo l'assurdo di non poter distinguere mai con certezza ed obiettività quanto di una relazione più o meno breve, più o meno lunga, sia dovuto al sentimento e quanto all'interesse e quindi di non poter mai parlare separatamente di "unione amorosa" o di "prostituzione")?
E questo non è più il parere di presuntu "maschilisti", ma delle donne-prostitute! Io ho firmato per loro e i loro diritti
"Al di là della tolleranza e della compassione: per il riconoscimento dei diritti civili delle persone prostitute." -Io firmo per l'oggettiva affermazione sia della liceità sia della libertà della scelta di prostituirsi. Concedersi per interesse non è vendersi o essere costretti: è scegliere (motivatamente) sulla propria vita privata e sessuale (che, se non siamo in un mondo totalitario, non riguarda lo stato). Nessuno, né lo stato, né la chiesa, né le femministe, né i filosofi ha oggettivamente diritto in questo ambito così personale a decidere al posto delle singole donne (o uomini) prostitute(i). E nessuno finché vi è stato consenso, ha diritto a sindacare sui motivi della scelta, come nessuno ha diritto ad entrare nella psiche degli individui per scoprire i motivi per cui possono decidere, fra adulti consenzienti, di accoppiarsi o meno. Se nello stato liberale la scelta del mestiere è libera, e non si dice costretta o indegna perché motivata spesso dal denaro, la prostituzione non può e non deve fare eccezione, se non vogliamo cadere nella sessuofobia e nel pregiudizio. Una volta gli attori non potevano testimoniare nei tribunali, poiché, per la loro abitudine a recitare, si ritenevano protesi a mentire sempre, e venivano sepolti fuori dai cimiteri, perché si diceva che non avessero anima propria, essendo sempre pronti ad interpretare una parte diversa. Dai tempi della rivoluzione francese non è più così e gli attori e le attrici sono non solo ammirati e desiderati, ma anche rispettati e riconosciuti come cittadini a pieno titolo (pur senza perdere la loro valenza estetica). La stessa "emancipazione culturale" non è avvenuta per le prostitute, le quali, tanto dalle vetero-femministe, quanto dai vetero-maschilisti (sebbene per motivi diametralmente opposti), sono viste come esseri sottomessi, corpi in vendita, donne di serie b, persone prive (o private) dei veri sentimenti e dei veri affetti, nel migliore dei casi vittime della società da salvare, nel peggiore streghe da tenere lontane dalle "donne oneste" e dai bambini, mai come persone a pieno titolo dotate della capacità e del diritto di decidere della propria vita privata e sessuale (e quindi anche di concedersi per interesse, se lo ritengono opportuno). Vendere piacere sessuale o recitare un sogno estetico completo non nè un danno né dannoso, né reato né svilimento di sé: è come fare gli attori o le attrici, in quanto, a pagamento, si sceglie di interpretare una parte (nel caso, quella dell'amante) nella maniera più realistica possibile (e nei modi più vari a seconda dell'estro proprio e dei gusti degli spettatori). Se avere rapporti sessuali fra adulti consenzienti non è reato, non si capisce perché dovrebbe suscitare scandalo o indignazione o addirittura criminalizzazione l'averli per legittimo interesse personale (da parte delle prostitute) e come fatto "scenico" (anche se completo) per cui pagare il biglietto (da parte dei clienti). L'unico motivo è il pregiudizio paolino sul corpo, in virtù del quale ancora in molti paesi si può vendere tutto di sé (cultura, istruzione, idee, forza fisica) ma non sesso, giacché vendere piacere attraverso il proprio corpo equivarrebbe a vendere se stessi (anche se poi si accetta che qualcun altro, maschile o femminile, venda le proprie idee, i propri ideali, la propria serietà, la propria coerenza). I pregiudizi religiosi non devono però infuenzare le leggi degli stati laici. Lo scandalo che in Italia oggi si ha di fronte a queste considerazioni è lo stesso che si ebbe quando i Francesi importarono l'usanza di far recitare donne vere nelle parti di donna a teatro (prima vi recitavano solo uomini travestiti). Anche tutti i pregiudizi sulle motivazioni e la moralità della scelta e sull'origine sociale e culturale (pretesa infima) delle persone che la prendono sono i medesimi oggi per le prostitute come allora per le attrici. Oggi qualunque parte un'attrice interpreti sulla scena, fuori di essa viene oggi rispettata come persona e nessuno dice che è "abbruttita" dal mestiere (forse stressata, ma non già rovinata). Allo stesso modo anche una prostituta, fuori dal lavoro, è una donna come le altre, piena di sentimenti e affetti e con il diritto ad essere rispettata ANCHE in quello che fa e non solo NONOSTANTE quello che fa. Nessuna attrice deve essere costretta a interpretare una parte non gradita, a lavorare con un regista non stimato o a recitare davanti ad un pubblico ritenuto indegno di lei. Allo stesos modo, per far sì che anche le prostitute meno altolocate possano autonomamente scegliere clienti e modi di lavoro, è necessario innanzitutto concedere loro il pieno riconoscimento (che non significa necessariamente regolamentazione o, peggio, tassazione) del loro diritto ad esistere. Di qui la mia decisione di firmare.
Il fatto che molte pulcelle siano disposte a concedersi per denaro non significa che siano sfruttate, ma al contrario che decidono di sfruttare (nel senso di mettere a frutto economico) un desiderio di natura. Inoltre dimostra che, nonostante la demagogia, le donne sono dotate (forse in genere anche più degli uomini a giudicare dal numero di "uomini politicamente corretti" che si adeguano al pensiero femminista) di cervello autonomo e non si sentono affatto sminuite nella dignità a prostituirsi.
Un minore non è in grado di intendere e di volere, per cui il suo eventuale consenso non ha pieno valore. Nel caso di disparità d'età, ha poi un valore nullo (ed il rapporto con lui è violenza). La donna adulta, invece, è capace al pari dell'uomo di intendere e di volere (solo i sauditi ritengono il contrario). Quindi non vi è disparità (e quindi neppure sfruttamento), se questa decide di concedersi, ad esempio, per interesse. Credere il contrario significa soltanto ritenere la donna una sorta di minorata mentale (o eterna minorenne) incapace di intendere pienamente e di volere con certezza e bisognosa di essere protetta dallo stato e dalle leggi per evitare la "corruzione" da parte dei maschi cattivi e seduttori (mi puzza tanto di ottocento). Chi vede la prostituta anche adulta e consenziete come una vittima ritiene implicitamente la donna un'eterna minorenne non in grado (o non in diritto) di prendere le scelte "migliori" per la propria vita privata e sessuale e per il proprio legittimo interesse. Le femministe, in questo, sono identiche al padre-padrone "siculo-pakistano" (per riprendere il dottor grossolano).
Anzi, dirò di più: nel rapporto d'interesse (come nella prostituzione) la donna è più libera sia dell'uomo sia della donna che si concede "per amore". La donna-prostituta, infatti, non è mossa, come invece il suo cliente (o come le donne innamorate), da libidine irrazionale, da debolezza erotico-sentimentale o da trasporto ingenuo per la bellezza sensitiva e intellettiva, ma da freddo calcolo razionale e si può dunque muovere ad un superiore grado di libertà, rispetto agli uomini ed alle donne mossi dal genio della specie dell'amore sessuale. Si può essere infatti schiavi delle passioni, non già della Ragione.
Tutte le considerazioni negative sulla prostituzione volontaria derivano dal presupposto secondo cui chi vende momenti di sesso attraverso il proprio corpo venda una parte di sé. Ciò è errato, in quanto esistono persone per le quali il sesso è un'attività umana come le altre (senza necessariamente avere coinvolgimenti sentimentali o implicazioni "terribili") e non ha nulla di "sacro e pericoloso" per cui le persone (adulte e consenzienti) non dovrebbero essere libere di farne ciò che vogliono (sentimento, coinvolgimento o, al contrario, recita e straniamento).
Chi o che cosa ha diritto ad entrare nella vita privata delle persone e indagare, quando non vi sono violenze e costrizioni, sui motivi per cui si accoppiano (eros "apollineo", legato all'innamoramento e all'affinità di coppia, o al contrario "dionisiaco", piacere puro, assoluto discinto da ogni legame sentimentale e da ogni dovere di corteggiamento, o ancora, per gli uomini, ricercare l'anima gemella oppure un'attrice che interpreti, a pagamento, il proprio sogno estetico, e, per le donne, concedersi per divertimento o passione, per amore, amicizia oppure, perché no, interesse e quindi soldi)? In base a quale principio (o a quale legittimità di interpretazione) si dovrebbero vietare ad esse determinati comportamenti attenenti la sfera privata e sessuale?
Dov'è il diritto divino?

AVVERTIMENTO FINALE
Non sono io ad avere una pessima idea del femminismo. E’ il femminismo ad essersi trasformato oggettivamente in una pessima idea (sfruttata all’occorrenza dalle stesse donne a prescindere dalle loro idee, per mantenere assieme moderni diritti ed antichi privilegi): pretendere uguaglianza, di fatto e di diritto, in tutto ciò che l'uomo ha costruito per compensare socialmente (quelle mirabili strutture della politica come della storia, del pensiero come del lavoro, dell'arte come della religione, concepite dai grandi popoli indoueropei fondatori di città e civiltà, ordinatori del chaos in kosmos, pensate per misurare i millennie e non essere raggiunte dai contemporanei nè superati dai posteri) o individualmente (con lo studio, il lavoro, la fatica, il successo, la fama, la cultura, la ricchezza, il potere, il prestigio, il merito o la fortuna del singolo) tutto quanto in desiderabilità e influenza sul mondo è dato alle donne dalle disparità di desideri nell'amore sessuale e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri e poi continuare come sempre, senza limiti, remore nè regole, a mantenere e mettere a frutto la naturale preminenza in tutto ciò che più conta innanzi alla natura, alla discendenza e alla felicità individuale (e in cui le effettive possibilità dell'uomo di avere pari libertà di scelta e forza contrattuale dipendevano strettamente da quei bilanciamenti propagandati ora come "disparità" e "oppressione" unilaterali e immotivate), aiutandosi in ciò con le leggi a senso unico su aborto, divorzio e "violenza sessuale".
La prostituzione è la mia linea del Piave. Se la superate non avrò più alcun riguardo ed alcuna pietà, e sarò il primo a darvi fuoco, o streghe! E allora non avrò paura né a uccidere né ad essere ucciso, perché una vita ridotta anche solo potenzialmente a sottomissione al capriccio sentimentale, alla perfidia sessuale, alla tirannia erotica o all’avvelenamento sentimentale femminei, all’emarginazione sessual-sociale (come conseguenza dell’impossibilità voluta dal femminismo di compensare in desiderabilità sull’altro sesso e influenza sul mondo quanto alle donne è dato dalla natura) e a frustrazione sempiterna d’ogni disio non è degna di essere vissuta (né di essere fatta vivere a chi è causa di ciò).
Cambiate idea o dovrete temermi quando mi incontrate per via. Visto che siete insensibili alle sofferenze psicofisiche (le quali possono giungere e spesso giungono sino al suicidio) di chi si rivolge alle prostitute per non essere ferito dalle altre, io sarò insensibile a voi se verrete violentate o uccise. Le vostre grida saranno la mia gioia.

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