La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Pazartesi, Nisan 25, 2011

LA DIFFERENZA FRA STALKING E PROVARCI?

Desidero rispondere a Giulia Blasi

http://blog.donnamoderna.com/worldwidewomen/2009/03/23/la-differenza-fra-stalking-e-provarci/#comments

Ah, a piangere saremmo noi? Dopo che sui vostri pianti avete riscritto la "storia ufficiale" fra i sessi (femminismo demagogico), fondato il mito letterario della "sensibilità femminile" ("chi fa piangere una donna è insensibile e incivile") e tuttora pretendete di fondare leggi e sentenze ("basta la parola - ovvero il pianto credibile - della presunta vittima per provare gravità e realtà del presunto reato) Bello!
Quando qualcosa ferisce la vostra soggettiva sensibilità (dalla mano morta ad un corteggiamento a voi non gradito) deve essere reato, e quando qualcosa ferisce la nostra diversa e non già inesistente o meno importante soggettività (ad esempio la stronzaggine, come poi definirò) deve essere "normalità da sopportare"! Bella parità!
Quando sono le donne a manifestare sofferenze psicologiche parlate di argomento importante per una civiltà, di colpe degli uomini, di società maschilista, mentre quando il disagio da sessuale ad esistenziale è espresso dagli uomini viene negato o ridotto a "piagnisteo di bambini"? Bella empatia la vostra!
Quando le donne si sentono psicologicamente ferite tramite la sfera sessuale dagli uomini, sono gli uomini ad essere violenti, mentre quando gli uomini percepiscono nella stessa sfera una violenza psicosessuale, non sono le donne ad essere violente ma gli uomini ad essere troppo sensibili e troppo bambini. Ma che bella sensibilità!
Chissà come reagireste se, simmetricamente al vostro "dovete crescere" io rispondessi ad una donna "violentata" con la frase di Claudia Cardinale in C'era una volta il West ("basterà una tinozza d'acqua bollente e sarò la stessa di prima, solo con un piccolo schifoso ricordo in più"), dicendo che deve imparare a sopportare certe cose?
Quando una donna piange perchè sente come "violenza" un approccio o un rapporto a posteriori non gradito (ma magari a priori non chiaramente negato) può gridare allo stupro, alla molestia e alle pene esemplari, mentre quando un uomo si sente psicologicamente violentato dalle donne non può neanche denunciarlo in maniera informale su un forum! Belle persone che siete!
STRONZE, ecco in una parola cosa siete diventate.
Non dico che lo siate tutte, ma che la maggioranza di voi sostiene il "diritto" ad esserlo!

Si, certo, i tempi cambiano e danno attualmente ragione a voi, ma ciò non significa che non siate contro ogni ragione, ogni diritto ed ogni morale! In sette capitoli vi confuto.

CAPITOLO I. - due di picche
Al contrario di quanto vuoi far credere, noi non ci lamentiamo del fatto che nessuna si senta in dovere di concedersi al primo di noi che la miri e la desii, ma perchè
a) ad onta della sbandierata parità, pretendono che siamo sempre noi ad assumerci rischi e fatiche della cosiddetta "conquista" e quindi inevitabilmente a trovarci nella condizione di chi, dovendosi far avanti alla cieca, finisce quasi sempre per essere respinto (se fossimo in un mondo di eguali toccherebbe una volta per uno rischiare i due di picche)
b) per capriccio, vanità, interesse economico-sentimentale, gratuito sfoggio di preminenza, moda o sadico diletto, attraggono intenzionalmente, scelgono fra tanti e invitano all'approccio chi vogliono poi trattare come uno qualunque, un uomo senza qualità, un banale scocciatore, chi poi vogliono far sentire un puro nulla davanti a sè e agli altri, chi vogliono poi chiamare "molesto" quando, in maniera magari maldestra, comunque sincera, cerca di carpire i favori, fingono di apprezzare chi vogliono solo disprezzare, illudono chi vogliono poi deludere, attirano chi vogliono poi respingere e sfruttano l'occasione del respingimento per ferire, irridere, umiliare.
QUANTO AL PUNTO a)
Sono perfide perchè non solo pretendono di mantenere, in un'epoca in cui blaterano di uguaglianza e di moderni diritti, l'antico privilegio di quella maschiera di servitù (imposta a tutti gli uomini verso tutte le donne) chiamata galanteria, retaggio del medievo e indegna di un uomo libero (di cui tutto l'oriente ride come ne avrebbero riso i greci), ma soprattutto perchè anche quando mi vorrebbero non respingere ma attrarre
pongono dei dinieghi, della ambiguità e delle difficoltà a mo' di prova per testare l'interesse, accrescere il disio prolungare il momento di preminenza psicosessuale (in cui esse sono accettate per quello che sono -belle- mentre io sono costretto a fare qualcosa per sperare di essere considerato degno di accettazione, in cui esse possono già rilassarsi, abbandonarsi se vogliono alla voluttà o al sentimento, e divertirsi - a scelta con me o su di me - mentre io sono sottoposto alla tensione di un esame o comunque costretto a rimanere in me per mostrare di me quanto penso che per esse possa essere "il mio meglio") valutare con calma la presenza o eccellenza in me delle doti da loro volute per un rapporto, iniziarsele a godere se presenti o a sbeffeggiarle se assenti. E se sbaglio in un senso (prendendo per inviti a riprovare, insistere e resistere dei no veri) rischio il codice penale, se sbaglio nell'altro (prendendo per no veri i dinieghi appositamente escogitati per mettermi alla prova ed attrarmi ulteriormente) sono sicuro di ricevere l'eterno disprezzo per i "pavidi nel corteggiamento". Non è una situazione sostenibile!
QUANTO AL PUNTO b)
E' già psicologicamente difficile per non dire doloroso il fatto di dover fare il primo passo senza sapere se il tentativo sarà gradito.
Non si tratta di un semplice due di picche, ma di una situazione esistenziale insostenibile in cui si deve (per la legge dei grandi numeri, a pena delal certezza dell'infelicità e dell'inappagamento) ad ogni contatto con l'altro sesso tentare n volte con n donne diverse sperando che la n+1 esima sia quella giusta, e sperimentando ogni volta l'illusione (senza autoconvincersi di avere innanzi il proprio sogno estetico e sentimentale non risulterebbe possibile superare le remore di timidezza naturale e calcolo razionale sull'inopportunità del farsi avanti) e la delusione (non si può pretendere che proprio la prima donna dalle cui grazie siamo colpiti cerchi per un rapporto proprio quelle doti di sentimento ed intelletto da noi eventualmente possedute e che, anche se così fosse, si possa avere l'occasione di incontro solus ad solam in cui renderle evidenti con calma e sincerità). Non bisogna infierire su chi si trova in tale condizione di debolezza psicosessuale: chi lo fa mostra non solo perfidia, ma violenza psicologica paragonabile a quella del bullo che sfrutta la forza fisica per umiliare, tiranneggiare, sbeffeggiare il ragazzo più piccolo. E' un crimine non meno grave di quelli per cui gli uomini vengono puniti per aver violato il corpo o la psiche femminile nella sfera sessuale, provocando danni magari non visibili ma non certo trascurabili.

CAPITOLO 2. - differenza fra provarci e stalking
C’è una differenza fra corteggiamento e molestia, fra perseveranza amorosa o anche solo amichevol e stalking? Tu dici? Forse, ma l’uomo non può vedere, prima di provare, la differenza, perchè essa sussiste solo nel soggettivo gusto della donna inconoscibile a priori, non già in qualcosa di oggettivo e chiaro subito per tutti. Non è forse disprezzato chi, come me, se ne andrebbe al primo dubbio?
Chi, come te, o Giulia, nega questa evidenza dell'ambiguità femminile o è un’eccezione o è una falsa. Specie davanti da un lato alle lamentele contro gli uomini "che non corteggiano più" e dall'altro a sentenze che considerano stalking due sms o due telefonate di troppo (ma di troppo rispetto a cosa, di grazia?).
Esiste (in tali casi) almeno 1/2 di possibilità che i no della donna significhino non già inviti a desistere e ad andarsene, bensì a restare, riprovare, sorprendere con nuovi diversi tentativi, poichè da tale capacità di resistere ai dinieghi la donna misura il reale grado d’interesse dell’uomo (e quindi la propria avvenenza, appagando la vanità), accresce il di lui desio (e quindi il proprio potere), prende tempo per valutare con calma e senza impegno l’eventuale presenza o eccellenza in lui delle doti di sentimento e intelletto volute per un rapporto, per goderne già la presenza o dileggiarne l’assenza e per indugiare in quella situazione di preminenza erotica e di vantaggio psicologico data dall’essere sul piedistallo in quanto mirata e disiata di per sè per la bellezza innanzi a chi, messo alla prova con la tensione di un esame, deve offrire e soffrire di tutto per mostrarsi alla sua altezza (chi sostiene le donne non si comportino così quando sono davvero interessate ad un uomo mente per la gola): in tal caso l’uomo pu benissimo aver agito in buona fede (tanto più che chi interpreta quei no per dei veri no subisce il disprezzo a vita dalle donne quale pavido nel corteggiamento e finisce costretto a cercare la propria amante col telescopio fra l’intatta luna e le scintillanti stelle).
Qui si sta difendendo l’ipocrisia delle donne.
Non siamo noi a farci castelli in aria. Non sono gli uomini (o addirittura i padri) ad avere piacere a insistere, riprovare e resistere ai dinieghi.
Le donne per prime pretendono che un uomo sia “insistente” e bollano come pavido chi (come me) non lo è (non lo vuole essere perchè non ama sentirsi disiante prima che disiato).
Le donne per prime non concedono sì espliciti ma usano i no come prova per chi a loro interessa di più!
Esisterà sicuramente il vero molesto e il vero violento disinteressato al consenso della donna e desideroso solo di costringerla, ma esiste anche il corteggiatore inesperto che, in tutta buona fede, non pu sapere se la donna si sta negando perchè non interessata o…proprio perchè interessata. Solo andando avanti e scoprendo le carte potrà saperlo (e cercare di intuire se e come insistere o ritirarsi).
E chi agisce in buona fede (e senza fare nulla di oggettivamente violento o minaccioso) non può essere considerato colpevole di un reato solo perchè non possiede quelle doti seduttive e quelle abilità diviniatorio-corteggiatorie pretese da quella singola donna!
Chi corteggia deve giocoforza agire per primo. Non si può sapere in anticipo in una sfera tanto soggettiva se il tentativo avrà successo (ovvero se sarà gradito). E se i primi tentativi (la cassazione ha sostenuto che per considerarea “reiterate” le molestie bastano due sole volte) sono già potenzialmente reato, nessuno proverà più. Già così, per come se la tirano le occidentali si era fino a ieri al limite della sopportabilità.
Ora alla naturale timidezza, alla razionale considerazione di non convenienza (nel dare tutto in pensieri, parole e opere per ricevere come funzione di variabile aleatoria), all’emotiva ritrosia a doversi sentire “sotto esame”, al rifiuto psicologico a trovarsi nella condizione del cavalier servente pronto a tutto per un sorriso e potenzialmente vittima d’ogni tirannia, umiliazione e inganno, si aggiunge pure il pericolo del carcere.
La natura falsa di certe donne moderne come te non finisce mai di stupire.
Natura ipocrita al massimo grado, perchè ti lamenti di chi insiste per tramutare in sì i tuoi no quando chi non insiste e sbaglia nell’altro senso (ovvero interpretando per un no vero un negarsi soltanto apparente e in realtà volto solo ad accrescere disio, a testare interesse e a guadagnare tempo per valutare e godersi le eventuali doti che si costringe l’uomo a mostrare) viene punito con l’eterno disprezzo delle donne per gli uomini “pavidi” nel corteggiamento e, quindi, con la castità a vita, puttane escluse , perchè ti lamenti di chi non ti lascia tranquilla quando chi lascia “tranquille” le ragazze, è definito “pauroso” e “non uomo”, perché dici di essere tranquilla quando il tuo agire consiste nell’indurre l’altro all’azione alla cieca (e poi giudicare se questa non ti piace).

Io per primo sono favorevole a che i no siano no e i sì sì espliciti. Purtroppo sono le donne che amano usare un altro linguaggio (quello, appunto del forse). Non si è mai visto nessuno avere successo con donne che non siano prostitute dichiarate semplicemente chiedendo in maniera esplicita all’oggetto del suo disio di poter godere delle sue grazie corporali. Chi facesse così potrebbe suscitare solo o ilarità o sdegno, se non altro per il fatto di voler imporre un meccanicismo da stato burocratico nell’atto più naturale della vita. Obbligare (con la minaccia di pesanti pene detentive) un uomo a richiedere sì espliciti dalle donne significa dunque nella realtà dei fatti imporgli la castità a vita (puttane a parte).
Chi ha avuto successo con le donne ha insistito e ha avuto la fortuna che la dama di turno ha interpretato l’insistenza come prova di interesse e non come molestia. Ma questo è soggettivo e soprattutto inconoscibile a priori! Chi aspetta dei sì espliciti finisce come me a cercare l’amata con il telescopio fra le vaghe stelle dell’Orsa e, come il Leopardi, a confidare i teneri sensi e i tristi e cari moti del cor alla luna ed alle stelle.
Certo, se una non mi risponde ai messaggi io lascio perdere. Ma io, per costituzione “effemminata”, amo essere disiato più che disiare, quindi lascio perdere non solo se la risposta manca o è negativa, ma anche solo se, pur essendo positiva, non è corredata da manifestazioni di gioia evidenti. Ma io non sono un “uomo vero”. Per le donne sono trasparente. Io detesto insistere e corteggiare. Magari non verrò denunziato per stalking, ma sicuramente finirò come il Leopardi.

Ripeto: se esiste davvero una differenza (nel caso concreto) non possiamo saperlo, perchè siete voi a deciderlo. E noi non siamo nella vostra psiche, nè abbiamo la sfera di cristallo (non potreste sapere nemmeno voi, nel vostro suscitare disio, il confine fra quanto noi sentiamo come ferente la nostra soggettiva sensibilità e quanto possiamo prendere come divertente, provocante, gradito, se fosse consentita anche a noi una tale valutazione soggettiva a posteriori e priva di riferimenti oggettivi).
Le donne per prime in genere pretendono che sia l’uomo a sopportare i rischi e le fatiche della cosiddetta conquista (ad agire o inscenare e indovinare quanto a loro gradito), e poichè in una sfera tanto soggettiva come quella amorosa quanto piace all’una dispiace all’altra (e prima di conoscerlo per esperienza non lo si può indovinare per speculazione) bisogna sempre tentare senza sapere a priori se il tentativo avrà successo (ovvero sarà gradito), poichè una preventiva dichiarazione, una richiesta esplitica, o comunque un rigido schematismo comportamentale fugherebbero ogni effetto sorpresa, ogni atmosfera erotica ed ogni spontaneità necessaria alla riuscita dell’amor naturale, non si possono dichiarare tutte le intenzioni, richiedere tutte le autorizzazioni, o domandare ove la controparte gradisca “l’attacco” (come non lo si potrebbe fare con il “nemico”), ma si deve procedere per tentativi regolandosi poi su come procedere o ritirarsi in base alle reazioni (a come si vienea accettati o respinti), tentando di indovinare dalle parole dette e da quelle non dette quali siano le reali intenzioni della donna, e poichè la donna pretende di sentirsi conquistata non è accettato arrendersi ai primi dinieghi, ma bisogna (come nelle battaglie) insistere, resistere e contiunuare nel rischio e nello sforzo, e se già il primo tentativo pu essere considerato a posteriori molestia e la riuscita in quella schermaglia amorosa pretesa dalle donne per sentirsi “conquistate” (e nella quale all’uomo spetta di inseguire chi, fuggendo, vuol essere seguita e di vincere le resistenze di chi, lottando, vuole essere vinta) addirittura stupro, allora si dice a tutte le “normali” grazie e arrivederci e ci si rivolge solo e soltanto alle prostitute, le cui modalità sono chiare ed esplicite, le cui pretese sono soltanto economiche e con le quali sono dunque possibili accordi razionali, consensuali e noti a tutti a priori su cosa fare e non fare, senza inganni, ferimenti o fraintendimenti.

CAPITOLO 3) - la vostra stronzaggine
Se gli uomini devono imparare a gestire le frustrazioni da esseri umani, perchè da esseri umani non devono imparare le donne ad evitare di generare frustrazioni per capriccio, vanità, interesse economico sentimentale o gratuito sfoggio di preminenza erotica?
Prima le donne instillano la follia nell’animo altrui, poi si lamentano se le reazioni di chi hanno reso folle vanno al di là della ragione! Bella concezione del rispetto dell'altro!
Se siamo dei “segaioli repressi” è perchè molte di voi sono delle stronze patentate e perchè la società occidentale vi dà i mezzi per esercitare la stronzaggine come un “diritto”. QUESTO DEVE FINIRE.
Ma voglio tranquillizzarti. Non dico che esista il diritto a stuprare la stronza (come non esiste d’altronde il diritto a castrare un violentatore), ma che non possa esistere il diritto a fare la stronza e la stronzaggine debba in sè essere considerata una forma di violenza sessuale (la quale ovviamente in uno stato civile non può giustificare lo stupro o comunque un’altra violenza).

Più in generale, il “fare le stronze” (ormai divenuto costume nei luoghi di divertimento come in quelli di lavoro, negli incontri brevi e occasionali per via o in discoteca come in quelli più lunghi e sentimentali), ovvero trattare con sufficienza o aperto disprezzo chiunque tenti un qualsiasi avvicinamento erotico-sentimentale, mostrare pubblicamente, per capriccio, vanità , aumento del proprio valore economico sentimentale o gratuito sfoggio di preminenza, le proprie grazie solo per attirare, illudere e sollevare nel sogno chi poi si vuole far cadere con il massimo del fragore, della sofferenza e del ridicolo, diffondere disio agli astanti e attrarre a sè (o addirittura indurre ad arte a farsi avanti e a tentare un approccio) sconosciuti che non si è interessate a conoscere ma solo a ingannare, far sentire nullità e frustrare sessualmente, dilettarsi a suscitare ad arte disio per compiacersi della sua negazione e di come questa, resa massimamente beffarda, umiliante e dolorosa per il corpo e la psiche da una raffinata, intenzionale e premeditata perfidia, possa far patire le pene infernali della negazione a chi è stato dapprima illuso dal paradiso della concessione, attirare e respingere con l’intenzione di infliggere continuamente tensione psicologica, ferimento intimo, senso di nullità , irrisione al disio, umiliazione pubblica e privata, inappagamento fisico e mentale degenerante se ripetuto in ossessione e disagio scivolante da sessuale ad esistenziale (con rischio di non riuscire più a sorridere nel sesso e di avvicinarsi ad una donna senza vedervi motivo di patimento, tirannia e perdita di ogni residuo interesse per la vita), usare insomma sugli l’arma della bellezza in maniera per certi versi ancora più malvagia di quanto certi bruti usino sulle donne quella fisica) non è un diritto, è una vera e impunita forma di violenza sessuale psicologica ai nostri danni, perchè i danni (piaccia o no al femminismo) esistono (e vanno dalla cosiddetta “anoressia sessuale” al suicidio, dal precoce bisogno di prostitute ad un disagio psichico ora celato con l’ironia ed ora pronto ad esplodere in eccessi di aggressività: che per millenaria consuetudine “cavalleresca” o per moderno appiattimento sul femminismo, gli uomini tendano a negare spesso anche a loro stessi le proprie sofferenze, non toglie che essi in tali casi siano davvero vittime).

Proprio in tale suscitare disio solo per compiacersi della sua negazione (e di come essa, resa massimamente beffarda, umiliante e dolorosa possibile per il corpo e la psiche del malcapitato, possa suscitare le pene della negazione dopo il paradiso della concessione) dovrebbe integrarsi il reato di violenza psicosessuale femminile. Perchè? Perlo stesso identico motivo per cui si considera reato sessuale tutto quanto viola la psiche della donna nella sfera sessuale (anche se magari all'uomo non darebbe fastidio)! Perchè ferisce, irride, umilia nella sfera sessuale la psiche del soggetto (secondo i parametri propri del sesso cui appartiene, ovviamente).
Tu dici “per fortuna ciò non è reato” perchè evidentemente sei una stronza patentata. E vuoi affermare il diritto delle donne a fare le stronze contemporaneamente al dovere dell'uomo di non fare “il molesto”. Vuoi che il danno subito dall'uomo (sentirsi “oltraggiati”, ma io direi piuttosto “feriti, irrisi, umiliati, annullati nella psiche “dal fatto che la presunta avance non dia poi quel che sembra promettere prima”, ma io direi “dall'intenzione della donna di usare la debolezza erotico-sentimentale maschile per ferire, irridere, umiliare, far sentire nullità l'uomo attratto e disprezzato, al solo scopo di testare la propria avvenenza, compiacersi del proprio potere o addirittura godersi la sofferenza di corpo e psiche altrui) per via di una “libertà sessual-comportamentale femminile” (attirare tutti per poi selezionare chi eccelle nelle doti volute è inscritto nell'istinto femmineo, anche quando la parlantina o la coscienza lo nascondono o lo ignorano, e per questo viene presentato come “diritto della donna”, “liberta' di essere noi stesse , di esprimerci e vestirci come ci pare” o “bello dell'essere donna” o “gioco della seduzione limitata ai sensi e non estesa al sesso”) non sia penalmente rilevante, mentre lo sia quello subito da una donna (sentirsi “molestata” da “advances maschili troppo insistenti”, ma io direi, poiché nessuno puo' sapere a priori se il tentativo sara' alla fine gradito e se la singola donna pretenda o meno una dimostrazione di tenacia e costanza dal corteggiatore anche a fronte di apparenti e apposite manifestazioni di non gradimento da parte di lei, “oggetto delle attenzioni naturalmente proprie al gioco della parti in cui il maschio fa la prima mossa, insiste, resiste ai dinieghi, insegue chi fugge per farsi seguire e vince nella lotta amorosa chi lotta per essere vinta”) per via di una “libertà sessual-comportamentale” maschile (mirare, disiare e cercare di ottenere la bellezza è parimenti inscritto nell'istinto maschile e quindi parimenti spacciabile per “diritto d'espressione dell'uomo”). Bella parità.
Per non considerare poi come generalmente nel primo caso il danno a lungo termine per la psiche del soggetto sia non irrilevante (dall'anoressia sessuale al suicidio), mentre nel secondo sia risibile (non conosco donne suicidatesi per le troppe advances degli uomini, anche se tutte strillano per una mano morta o un complimento ose'). Quanto ferisce voi ma generalmente non noi dev'essere reato, quanto ferisce noi ma generalmente non voi no (per motivi ben comprensibili dalla biologia) no. Una legge paritaria dovrebbe o condannare o assolvere entrambi i comportamenti (ritenendoli “non rilevanti perchè afferenti una materia troppo privata e soggettivo” o viceversa “rilevanti perchè producenti nelle vittime tensione emotiva, sofferenza psicologica, potenziale disagio da sessuale ad esistenziale) e non DISCRIMINARE fra essi (come tu fai dicendo “per fortuna per la legge è così).
La tua affermazione ha lo stesso valore di chi dicesse “grazie a dio in certi paesi costringere una moglie al rapporto non è reato”. Fai del tuo giudizio arbitrario la base secondo cui dire “questo deve essere reato e questo no”. Ma è proprio del fatto che anche il sentire maschile dovrebbe essere ascoltato dal legislatore e non solo quello femminile che si sta parlando!
Non si sta ovviamente dicendo che debba esistere un obbligo di concedersi per tutte quelle che lo lasciano credere, ma un obbligo a non lasciarlo credere intenzionalmente se non lo vogliono: non è la stessa cosa! Come dire: “io non sono obbligato a trasferire un bene a tuo favore, ma se te lo prometto, magari in cambio di qualcosa – e nel caso dell'allumese il qualcosa possono essere fatiche, attenzioni, complimenti, regali, concessioni materiali o morali, sudditanze psicologiche, tensioni emotive, esposizioni sentimentali ecc. – e poi non lo attuo perché così, per vanità, disonestà, interesse in denaro o autostima, o sadico diletto, ho pianificato fin dall'inizio, allora commetto reato, esattamente come lo commette chi non mantiene quanto promette in qualunque ambito di scambio -e anche la sfera erotico-sentimentale ha un'economia (con l'aggravente che le sua monete sono la nostra vita, la nostra felicità, la nostra psiche).
Il fatto che, fino a quando l'inganno non sia scoperto, la vittima maschile non si mostri (in genere) contraria agli atti seduttivi femminili non elimina affatto la gravità della stronzaggine, ma anzi, come su detto, la circostanzia. Anche la vittima di truffa prima di sapere della natura delle promesse altrui sembra contenta di accettare il "rapporto di scambio". Questo non impedisce l'integrazione del reato di truffa (aggravata). Nel mio caso non perdo soldi, ma qualcosa di ancora più prezioso (specie se la stronzaggine è reiterata): la possibilità per il resto della vita di sorridere nel sesso o guardare con naturalità a una donna e alla di lei bellezza, o comunque di approcciarmi alle ragazze senza vedervi una potenziale fonti di tirannie, inganni e perfidie, senza essere arrestato dal provare senso di nullità o di irrisione al disio davanti alla prima donna che mi mostri le grazie guardandomi poi con sufficienza o con aperto disprezzo (per non dire con ostilità minacciosa di denuncia) proprio mentre la miro e proprio perchè la miro (considerando con ciò colpa o difetto la parte più profonda, vera, delicata e sincera di me e della mia natura).
Inoltre, il fatto che la natura mi spinga a disiare qualcosa non significa affatto che la mia mente e la mia psiche siano contente di essere sottoposte (senza che me lo sia stato chiesto) a tale disio (sia che secondo natura indugi nel mirare ed attendere, sia che, contro-natura, mi sforzi di guardare e pensare ad altro: ma perchè devo essere costretto ad uno sforzo contro natura per sopravvivere o evitare guai giudiziari o psicologici?). Sostenere il principio contrario porterebbe ad affermare l'assurdo secondo cui una donna la quale avesse un'orgasmo durante una violenza dovrebbe essere considerata consenziente.

Lo so che tutti i casi da te immaginabili sono per la legge attuale eventualmente solo violenza/molestia (se vi è una reazione maschile) e non stronzaggine, ma solo e soltanto perchè la legge attuale, parto di stupidità maschilistico-cavalleresca (nemmeno prima del femminismo è mai esistito il reato di "stronzaggine") e demagogia femminista, considera tutto quanto urta la particolare sensibilità femminile (atti, detti, sguardi o toccate) come oggettivamente offensivo e quindi punibile dalla legge e quanto invece ferisce (in maniera spesso assai più grave, come si può oggettivamente rilevare dal numero di suicidi cagionati da una donna o, senza arrivare agli estremi, dalla diffusione fra i maschi di problemi come l'anoressia sessuale o il precoce bisogno di prostitute,certamente più sviluppati dei fantomatici problemi di chi deve “respingere troppe advances”) l'altrettanto particolare (e non già inesistente) sensibilità maschile (ad esempio il comportamento intriso di stronzaggine, divenuto regola nelle femmine moderne, anche quando non usano le mani, e spesso motivato da prepotenza, vanagloria, necessità di autostima o sadismo o comunque volontà di provocare sofferenza emotiva) sia trascurabile, appartenente alla normalità, alla tollerabilità o comunque al "diritto della donna" (addirittura alla “gioiosa comunicazione”) e non provocante oggettivamente in sé offesa o umiliazione (anche se è quanto l'uomo prova, di fronte a sé o agli altri, quanto sente come intima ferita nella sessualità e può provocargli traumi, blocchi psicologico e metterlo a disagio emotivo, momentaneo e poi esistenziale), potenziale fonte di disagio solo in seguito a “condizioni soggettive non causate dalla donna” e quindi penalmente “non punibile”. Pura demagogia femminil-femminista!

Non è accettabile venga stabilito un diritto per le donne a fare le stronze, poichè per gli uomini (che non valgono umanamente certo di meno e non sono affatto meno sensibili nonostante le apparenze contrarie cui sono stati costretti ed educati nel corso dei secoli dalla società "cavalleresca" e dalle donne) l'essere ridotti a freddo specchio su cui provare l'avvenenza, a pezzi di legno innanzi a cui permettersi di tutto, a burattini da manovrare e poi gettare dopo averlo irriso, il sentirsi insignificanti innanzi a colei che tutti vogliono e tutto può, l'essere attirati solo per esser fatti apparire innanzi a sè e agli altri puro nulla, l'esser trattati come molesti, noiosi o privi di qualità dopo essere stati attratti ad arte, l'esser additati come banali scocciatori dopo essere stati indotti a tentare un approccio, il subire sofferenze fisiche o mentali come conseguenza dell'ingenuo trasporto verso la bellezza, o addirittura il venire scelti fra tanti solo per patire l'inganno più forte, l'illusione più dolorosa, l'umiliazione più profonda, l'esser sollevati per un attimo dalla turba dei disianti, l'essere ingannati da una promessa di paradiso e poi venire sadicamente dichiarati indegni, stupidi e dannati, gettati nell'abisso più profondo della frustrazione sempiterda d'ogni disio, nell'inferno dei patimenti fisici e mentali, nel girone dei senza speranza delle cui pene ridere, e, se l'inganno va anche oltre, l'essere oggetto di perfidie sessuali, tirannie erotiche e sbranamenti economico-sentimentali, provoca almeno alla lunga nella psiche danni paragonabili a quelli subito da chi per un trauma sessuale non può più vivere quella sfera serenamente e felicemente.

Anche volendo sorvolare su come certi "comporatmenti da animali" e certe "violenze senza scuse" possano interpretarsi come brutali ma legittime reazioni umane alla stronzaggine femminile**, le donne moderne si mostrano come incoerenti quando allargano la definizione di violenza per porsi fra le "vittime innocenti". Prima affermano come diritto un costume consistente nell'andare per via, per discoteche o per uffici, mostrando liberamente le proprie grazie e suscitando sempre, comunque ed ovunque, negli astanti, un disio che non possono, almeno in quei frangenti, appagare e quindi sono causa di frustrazione (e di potenziale degenerazione in ferimento intimo, irrisione al disio, senso di nullità, umiliazione pubblica e privata, se la dama di turno si diletta ad usare tutte le sue arti per attirare chi vuole respingere, per suscitare in lui, attraverso quanto mostrato agli occhi della vista e a quelli dell'immaginazione, attraverso gli sguardi eloquenti, le parole dette e non dette, le movenze del corpo, gli ammiccamenti del viso e tutte le possibili ambiguità sensuali, il disio nel profondo solo per potersi appagare della sua negazione davanti a sè e al mondo, in inappagamento fisico e mentale degenerante in ossessione, se ciò viene troppo spesso reiterato, in sofferenza fisica e mentale, se una raffinata e studiata perfidia si compiace di prolungare e rendere massimamente beffarda, umiliante e dolorosa possibile la pena dell'inferno della negazione dopo il paradiso della concessione, o addirittura, se anche il veleno sentimentale entra nel gioco, in disagio da sessuale ad esistenziale, con conseguenze variabili dall'anoressia sessuale alla perdita di ogni altro interesse per la vita e di ogni residua speranza di felicità, fino al possibile suicidio, passando per l'incapacità futura di sorridere ancora alla vita e al sesso o di poter approcciare una donna senza sentirla come potenziale fonte di ferimenti, inganni, tirannie e perfidia d'ogni sorta: ecco perchè sin da principio non si dovrebbe transigere su certi comportamenti "emancipati" e "disinibiti", altro che moralismo o "caccia alle streghe") e poi si lamentano se qualcuno in maniera più o meno implicita o esplicita, più o meno maldestra o poetica, più o meno coinvolgente le mani o l'intelletto, più o meno volgare o raffinata, tende verso di loro con ingenuo trasporto per la bellezza e cerca di carpirne i favori. Inaccettabile!

Le leggi rilevano sistematicamente e puniscono duramente lo stupro (a volte anche senza o anche prima che l'effettiva gravià e l'effettiva realtà della presunta violenza sia chiaramente dimostrata ed oggettivamente rilevata nei fatti), ma con altrettante sistematicità e durezza non è invece punita la denuncia falsa o esagerata ad arte (sebbene il crimine sia parimenti mostruoso: il subire l'accusa ingiusta, la pubblica gogna, le violenze fisiche e psicologiche del carcere, il sentire da innocenti il mondo intero, spesso amici e conocenti compresi, come nemico implacabile pronto solo a distruggere senza sentire ragioni, il non riuscire ad essere ascolati e il venir bollati a priori degni del riso o del disprezzo, il non avere nessuno al di fuori forse dei famigliari disposto a credere alla verità vissuta e il subire un lungo processo o una lunga detenzione costituscono uno stupro psicologico non certo meno grave di quello fisico e capace di infliggere alla vita, alla mente, all'animo e alla residua speranza di felicità e tranquillità nella sfera quotidiana e in quella sessuale danni paragonabili a quelli subiti dalle donne realmente violentate) .

Come detto, per una pacca sul sedere si prendono ormai anni di carcere, mentre per quelle toccate che con mezzi diversi dalle mani e capaci di violare e molestare la sessualità in maniera molto più profonda, le ragazze si permettono sui coetanei (provocando ferimenti molto più gravi alla psiche,
facendo le stronze *** (infliggendo irrisione al disio, ferimento intimo, umiliazione pubblica e privata, sofferenze infernali del corpo e della psiche, inappagamento fisico e mentale degenerante se continuato in ossessione, o comunque in problemi a lungo termine, dall'anoressia sessuale all'incapacità di approcciarsi alle ragazze o anche solo di sorridere alla vita e al sesso o addirittura disagio da sessuale ad esistenziale, conducente a volte persino al suicidio) non vi è alcuna figura di reato.

Se comunemente la si meno grave della violenza inversa è solo perchè :
1) il pensiero virile detesta introdurre strumenti legislativo su quanto non risulta oggettivamente dimostrabile e chiaro a tutti a priori (ma questa obiezione cade nel momento in cui dall'altra parte la legge viene piegato alla soggettiva sensibilità della presunta vittima e alla "empatia" femminile, permettendo di definire confini fra lecito e illecito a posteriori e secondo parametri personali)
2) siamo per costume antico (ed eroico) abituati a nascondere e negare la realtà di tutto quanto possa far patire un uomo (sentimenti e parole compresi, di qui le apparenti laconicità e insensibilità maschili, in realtà spia dei loro contrari nascosti nel giardino concluso dell'animo) e a misurare il valore di questi proprio da quanto sa sopportare sorridendo persino da una donna (ma anche qui, essendo la morale moderna fondata su compassione e vittimismo e non più su durezza, eroismo e stoicismo, non ha più senso)
3) il pactum sceleris fra due millenni di stupidità cavalleresca e due decenni di demagogia femminista (fa ritenere massimamente grave tutto quanto anche solo lontanamente urta in maniera potenziale e presunta la soggettività femminea, anche il semplice non dare a questa la precedenza in ogni occasione materiale e verbale o il non anticipare/interpretare i suoi desideri/capricci sentimentali, e normale, divertente o appartenente al diritto della donna quanto in pensieri, atti o toccate psicologiche provoca nella vita e nella psiche dell'uomo ferite e danni ben più gravi e spesso anche più tangibili e) consente alle donne di permettersi di tutto davanti all'uomo senza dover temere le reazioni poichè protette dal loro statusi di dame intoccabili al pari della arroganti scimmie sacre del templio di benhares.
(e qui c'è poco da fare se non distruggere quel tempio dell'idolatria estetico filosofica della figura femminile che sono la cultura ufficiale politicamente corretta e lo stile pubblciitario)

Quando ero giovane tentavo anche di vedere le donne sempre come gemme rare e preziose da difendere e proteggere ad ogni costo e sognavo di poter essere il loro cavaliere e il loro poeta-cantore d’immortalità.
Poi, dopo essere stato trattato con sufficienza se non con aperto disprezzo non da miss italia, ma da donne di bellezza men che mediocre, dopo aver sperimentato quanto illusorie siano le credenze sull’anima gemella con cui dialogare come il poeta alla luce della luna confidando i teneri sensi, i tristi e cari moti del cor, la ricordanza acerba, dopo aver toccato con mano l’esistenza di donne il unico scopo esistenziale pare quello di suscitare ad arte il desiderio per poi compiacersi della sua negazione e infliggere così tensioni psicologiche, ferimenti intimi, sofferenze emotive, irrisioni al disio, umiliazioni pubbliche o private, dolori d’ogni sorta nel corpo e nella psiche, inappagamenti fisici e mentali fino all’ossessione e disagio da sessuale ad esistenziale, al solo fine della propria vanagloria, del proprio patologico bisogno d’autostima, del proprio sadico diletto, del proprio interesse economico-sentimentale o del proprio gratuito sfoggio di preminenza erotica, dopo averle viste trattare l’uomo come uno specchio su cui testare la propria avvenenza, un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto, un giullare da far impazzire e illudere per crudele scherno e poi deludere, un burattino da manovrare per divertimento e poi gettare a piacere dopo averlo irriso, e averle addirittura sentito affermare esplicitamente il loro ruolo essere quello di usare l’illusione della bellezza come arma per far patire gli uomini fisicamente e mentalmente, per tenerli ad arte nell’inappagamento corporale e psicologico, per farli sentire un nulla innanzi a loro, per tiranneggiarli in ogni ambito, per rendere la loro vita un susseguirsi di irrisioni d’ogni sorta, di umiliazioni private e pubbliche e di frustrazioni sempiterne d’ogni disio, per gettarli in un abisso di pene da inferno dopo aver promesso il paradiso, per rendere loro impossibile vivere la sessualità in maniera tranquilla e appagante, e far dimenticare il sorriso e la libertà dei giorni in cui ancora non si amava, per togliere ad essi ogni altro interesse per la vita ed ogni residua speranza di gioia, e il ruolo dell’uomo dover essere quello di accettare sorridendo senza fiatare tutto questo e tutto faticare, tutto offrire, tutto soffrire per loro nella vana speranza, dopo aver visto coetanei indotti non solo alla depressione, ma persino al suicidio dalle donne dalla cui bellezza e dal cui veleno sentimentale sono stati intenzionalmente illusi e morsi, ho lasciato perdere ogni prospettiva cavalleresca, ho cambiato idea, ed ora credo nella necessità di avere sempre delle armi per pareggiare in desiderabilità e potere la bellezza femminile, non perchè le donne siano tutte malvagie e perfide, ma perchè non è nè moralmente nè razionalmente accettabile che un uomo possa trovarsi senz’armi alla mercè di quel sottoinsieme di tiranne vanagloriose e di stronze prive di limiti, regole e pietà che potrebbe incontrare abbandonandosi ingenuamente all’arte del corteggiar pulzelle (prima del contatto non si può sapere se una fanciulla sia stronza e già dopo il primo contatto o si è già stati feriti nel corpo o nella psiche o è troppo tardi per poter sfuggire alla trappola, alla tirannia, all’inganno o alla perfidia che la stronza di turno ha preparato senza farcene accorgere). Come non sarebbe accettabile che una fanciulla innocente possa trovarsi senza difesa alla mercè di un sottoinsieme di uomini violenti e privi di scrupoli.
Detto per inciso, per difendere le fanciulle dai bruti vi sono gli organi di polizia e le leggi, ma per difendere i fanciulli dalle stronze non sono nè state istituite leggi nè tantomeno si sono instaurati costumi (stupdità cavalleresca e demagogia femminista incentivano al contrario lo stronzeggiare senza limiti nè remore nè regole, dato che permettono alla donna letteralmente di tutto davanti all’uomo senza dover temere le reazioni per via del suo status di intoccabile che la rende arrogante peggio delle scimmie sacre del templio di benhares).

Comunque su una cosa hai ragione: non è tanto una questione di istinto, quanto di ragione.
Cara la mia avvocata difensore di donne, non è ammissibile (per la stessa ragione prima ancora che per l’istinto) che al vostro diritto a suscitare disio corrisponda il nostro dovere a reprimerlo, che al vostro mostrarvi debba corrispondere il nostro non guardare (troppo), che al vostro esprimere liberamente il naturale istinto di sentirsi belle e disiate debba corrispondere il nostro non poter mirare (disianti), seguire (con lo sguardo e l’azione) e cercare di ottenere (come sarebbe in natura) la bellezza, esprimendone il disio in maniera gioiosa, spontanea e per nulla ostile o violenta, che al vostro esagerare a piacere nel diffondere disio, nell’illudere e persino nell’irridere, nell’umiliare e nel far patire nel corpo e nella psiche debba corrispondere il nostro obbligo assoluto a non uscire di un millimetro da limiti stabiliti peraltro non in maniera chiara ed oggettiva a propri, ma, a posteriori, in maniera vaga, soggettiva e dipendente dal vostro solo capriccio, che quanto provoca il minimo e presunto ferimento alla loro soggettiva sensibilità sia punito da leggi e costumi nella maniera più vasta e dolorosa possibile mentre quanto in maniera ben più profonda ferisce la nostra diversa e non già inesistente psiche sia considerato inesistente o irrilevante come gravità, normalità da sopportare da parte nostra, diritto della donna o addirittura bello di essere donna!

E non mi venire a dire che sono medievale!
Non c’entra il medioevo (delle cui presunte “oppressioni” vi lamentante femministicamente ma dei cui reali privilegi cavallereschi pretendente il mantenimento), stronza!
C’entrano le corrispondenze logiche, cretina!
Mi rifiuto di continuare a discutere con chi disconosce la verita’ evidente e naturale che PRIMA esiste il farsi disiare e guardare della donna POI il disio e lo sguardo dell’uomo, e MAI (il che sarebbe illogico) VICEVERSA (prima vi e’ chi si fa seguire, poi chi segue, prima vi è quanto attrae l’attenzione e poi chi segue con lo sguardo, prima vi è la fonte di desiderio, poi chi desidera, così come prima vi è un campo gravitazionale e solo dopo l’attrazione di un grave). E cio’ non e’ “colpa” ne’ degli uomini ne’ delle donne, ma della natura. Guardate I corteggiamenti degli animali! Gli impulsi maschili e femminili sono complementari ed è menzognero dire che i nostri (disiare e seguire) sono “immorali e violenti” e i vostri “esser disiate e farsi seguire” sono puri e pacifici.
E non mi venire a dire che solo con questo “giustifico lo stupro”.
Non mi venire a parlare di stupri per questi casi. Si tratta di qualcosa di naturale come guardare quanto per istinto attira l’attenzione. Lo stupro invece non e’ natura! Nessun animale stupra. E’ una deviazione del desiderio naturale. Non nasce affatto dallo sguardo, nasce da deformazioni mentali indotte dalla societa’ o dal perverso sviluppo della psiche individuale (magari da eccessiva repressione da un lato o eccessiva malvagita’ intenzionale dall’altro), non certo dal disio naturale in se’ (solo una femminista antimaschile puo’ sostenere cio’).

Medievale è il discorso che impone agli uomini l’obbligo di trattenersi mentre dà alla donna la libertà di “esprimere se stessa”, che crea con ciò disparità, privilegi, e quindi ingiustizie, arbitrii, frustrazioni e corvèe amorose (di cui il corteggiamento è l’espressione classica e le leggi sulla cosiddetta molestia quella moderna), che concede alla donna di potersi permettere letteralmente di tutto senza prendersi la responsabilità delle proprie azioni (poichè protetta dal vittimismo femminista), senza dover temere le reazioni (poichè protetto dallo status di dama intangibile), senza dover pensare a quanto (in questo caso in termini di inganno, irrisione, ferimento e disagio da sessuale ad esistenziale) il suo agire “libero” provoca sulle emotività altre da sè.
Il mio è un discorso fondato sulla natura, sulla ragione e sulle logiche corrispondenze. Che poi gli istinti, la razionalità e le implicazioni logice, morali e naturali siano “maschiliste” quando le donne vogliono affermare la propria prepotenza sessuale al di là di ogni etica, di ogni ragione e di ogni logica è un altro discorso.

Ma che cavolo di discorso è il tuo? Tu puoi mostrare e io non guardare? Tu puoi sfoggiare liberamente (per vanità, capriccio, moda, autostima, accrescimento di valore economico-sentimentale, o gratuito sfoggio di preminenza erotica) le tue grazie, nel modo che vuoi e per il tempo che vuoi ed io non posso altrettanto liberamente guardare quanto (da te) mostrato (secondo natura)? Tu puoi “tenere le cosce di fuori” passando sulla pubblica via ed io non posso, nel medesimo luogo, rivolgere ad esse lo sguardo e il disio (da te per prima oggettivamente suscitato con il fatto stesso di mostrare pubblicamente quelle fattezze che, in conseguenza non della mia volontà, ma delle disparità di desideri volute dalla natura, hanno valenza sessuale)?
E perchè il tuo mostrare è raffinato e il mio guardare porco?
Sono entrambi desideri di natura! E’ solo ipocrisia il fatto che tu presenti il “mostrare le belle gambe depilate” non come istinto (qual è) ma come “cultura” ( mentre al contrario chiami “fare il porco” il guardare secondo natura le stesse forme da te mostrate).
Come si fa a negare che nel diritto a “vestirsi come ci pare” si nasconda il legittimo e naturalissimo disio femminile (magari inconscio) di farsi guardare (anche quando la mente cosciente non ha intenzione di incontrare o conoscere uomo alcuno, perchè l’istinto non può saperlo)? Mi considerate stupido? Sappiate che odio la vostra ipocrisia! Vestitevi e agite come vi pare! Posso accettare cio’, ed evitare il burqua e l’altre cose e restrizioni talebane, se ovviamente si riconsoce il corrispondente diritto a guardare cio’ che la donna per sua decisione autonoma ha deciso di mostrare. Altrimenti si tratta di uno squilibrio inaccettabile. Se io devo “trattenermi” dal guardare (e non si capisce perche’) la donna si deve “trattenere” dal mostrarsi (secondo me non e’ giusto neanche questo in un mondo non talebano, ma segue coerentemente dal primo divieto), come avviene presso gli Arabi. Io speravo in un occidente emancipato in cui le donne potessero farsi guardare senza essere violentate e gli uomini guardare senza essere accusati.
Non ho motivo per ritenere che essere oggetto di disio sessuale sia piu’ offensive per una donna di quanto non lo sia per un uomo essere considerato un freddo specchio su cui provare la propria avvenenza (e questo sta dietro la pretesa di vestirsi e svestirsi o addirittura provocare come vogliono), o, peggio, un pezzo di legno davanti a cui permettersi letteralmente di tutto sapendo che non puo’ e non deve reagire (come invece magari farebbe nelle corrispondenti situazioni con un altro uomo). Perche’ questo attualmente succede in occidente! Questo e’ quanto succede per le strade, nelle discoteche e persino a volte nei luoghi di lavoro! E diro’ di piu’: mentre il comportamento dell’uomo e’ spesso soltanto naturale, quello della donna ha in piu’ la stronzaggine premeditata.

CAPITOLO 4. - presunte molestie
La premessa delle mie "lamentele" risiede proprio nell’introdurre fra le fattispecie di reato anche quanto non lascia tracce oggettivamente riscontrabili, anche quanto non ha oggettivamente nulla né di violento né di molesto ma ha la sola colpa di esprimere (in maniera più o meno poeticamente vaga o popolarmente schietta, nobilmente raffinata o banalmente triviale) disio naturale per il corpo della donna e di non essere a posteriori da questa gradito (dopo che per lo ha implicitamente indotto e socialmente preteso!), anche quanto non include nulla più del classico gioco delle parti fra maschio e femmina (voluto dalle donne e dalla natura, nel quale il primo fa la prima mossa, insiste, resiste ai no, ritenta e reinventa nuove strategie e la seconda fugge, si nega e lotta come chi vuol essere vinta, non per allontanare ma per accrescere disio, testare interesse, prendere tempo per decidere con calma, per verificare la presenza o l’eccellenza delle doti volute, per godersele se presenti o divertirsi comunque della situazione di potere psicosessuale se assenti), anche quanto viene commesso senza la benché minima violenza nel senso classicamente inteso con tale termine dal diritto e dalla ragione.

Per natura (e volontà della donna) prima ancora che per cultura (e volontà propria, chè spesso ne faremmo a meno) l’uomo è costretto (a volte contro il proprio disagi psichico a doversi far avanti alla cieca) alla fatica della conquista, per cui non può né aspettare che la donna si faccia avanti per prima né chiedere a priori ed esplicitamente un permesso formale e scritto per questo o quello come fosse in un ufficio burocratico - giacché tal meccanicismo burocratico rovinerebbe qualsiasi naturalità dell’amore- ma deve tentare, deve agire per primo senza sapere se il suo gesto, la sua parola, il suo tentativo di contatto, saranno graditi: deve di volta in volta fare il primo passo - con il gesto, la parola e il tatto - e vedere le reazioni. E queste non sono quasi mai esplicite e dichiarate o verbali (le parole in certi momenti sono di troppo), ma quasi sempre implicite, nascoste in sguardi, sorrisi, gesti, movimenti di tacita accettazione, respingimenti finti o finte lotte di chi non vuol vincere, o addirittura, come fra gli animali, fughe di chi vuol essere seguita e “parole” e suoni che sembrano di diniego e invece invitano a insistere e vincere le resistenze. Come chiunque in guerra sia costretto a dare battaglia, l’uomo deve agire senza sapere se la propria azione avrà successo, non pu l’uomo chiedere al “nemico” quale attacco gradisca, ma deve provare, rischiare, sorprendere, insistere e resistere, per scoprirlo, regolandosi poi in base alle reazioni. Solo l’esito della prova può dirgli se procedere nell’attacco o ritirarsi. Prima del contatto (sia esso con la parola, lo sguardo, il gesto o il tocco), infatti, neppure la donna pu sapere se volere o non volere, giacché certe cose si valutano per esperienza, non per speculazione: non esiste donna, che non sia dichiaratamente "escort", pronta a concedersi a prescindere da tutte quelle sfumature di luci, parole, sospiri, sguardi, carezze, labbra sfiorate, frasi non dette e pensieri non mai immaginati che solo la situazione ambientale crea e nessun ragionamento aprioristico pu far realmente provare. E prima di poter valutare la reazione della donna nemmeno l’uomo pu essere sicuro di essere stato accettato o meno. E se lo stesso primo tentativo vale come molestia e addirittura l’errore nell’interpretare la reazione della donna come stupro, allora tutti gli uomini andranno giustamente a puttane.
Non è una risposta valida la tua (dar per scontato o lasciare alla soggettività dei singoli, il confine), perchè persone diverse, con mogli diverse (o senza moglie) potrebbero giudicare diversamente il confine fra complimento ardito e fastidio inaccettabile.
E siamo d'accapo. D'altronde anche un complimento mirante all'inizio della "corte" o, nel caso estremo, una dichiarazione amorosa, non sarebbero fatti in presenza della moglie/fidanzata, eppure non può essere in sè molesta (se l'altra parte non ha prima detto di non voler avere più niente a che fare con noi). Se lo fossero, non vi sarebbe più alcun possibile avvicinamento fra i sessi.

Se proseguirà questa deriva (che voi sospingete) di leggi e costumi circa la cosiddetta “molestia sessuale” nessun uomo dabbene mai più corteggerà. Come si fa infatti a sapere a priori se un complimento, un atto, uno sguardo sarà considerato molesto o meno? Nel dubbio un uomo savio non farà assolutamente nulla. Non ci si lamenti allora se gli uomini non vogliono più corteggiare: ora alla naturale timidezza, alla razionale considerazione di non convenienza (nel dare tutto in pensieri, parole e opere per ricevere come funzione di variabile aletaoria), all'emotiva ritrosia a doversi sentire "sotto esame", al rifiuto psicologico a trovarsi nella condizione del cavalier servente pronto a tutto per un sorriso e potenzialmente vittima d'ogni tirannia, umiliazione e inganno, si aggiunge pure il pericolo del carcere.
Come si può pretendere che un uomo addirittura corteggi quando anche solo la prima naturale espressione (più o meno raffinata, più o meno poetica, più o meno esplicita a seconda delle inclinazioni, degli stili e delle conoscenze di ciascuno) del suo desiderio per le grazie femminili può essere ad esclusivo arbitrio della presunta vittima reputata un reato da accostare addirittura agli stupri (è nella stessa legge!)?
Questo porterà ad una uccisione sul nascere della spontaneità di ogni uomo (soprattutto se giovane) in ogni rapporto con le donne e un conseguente progressivo allontanamento di ogni uomo dotato d'intelletto dal genere femminile.
Sarà anche vero che la maggioranza delle donne non denuncerà un ammiratore per un complimento osè, e si limiterà a segnalare i casi davvero molesti, ma se si supponessero tutte le persone buone e giuste non servirebbe neppure la legge.
Quanto rende questa legge abominevole è il fatto di permettere a quel sottoinsieme di donne false e perfide di denunciare chicchessia per capriccio, vendetta arbitraria, ricatto, interesse o gratuito sfoggio di preminenza erotico-sociale (nel poter far finire nei guai un uomo con l'arma dell'attrazione sessuale e nell'esser creduta a priori mentre l'altra parte è tenuta a tacere e se parla reputata indegna d'ascolto e degna solo o del riso o del disprezzo)
Non sto dicendo che le donne siano tutte perfide e sadiche, sto solo esprimendo il mio sdegno per una giurisprudenza tale da permettere a chi lo sia di infierire massimamente sul primo uomo incontrato per strada. Sarebbe come una giurisprudenza che permettesse agli stupratori di infierire sulle vittime (le donne se ne lamenterebbero anche senza considerare tutti gli uomini stupratori).

Se la definizione del confine fra lecito e illecito è lasciata alla arbitraria interpretazione e alla irriproducibile (e spesso inconoscibile) sensibilità della presunta vittima, come sarà possibile anche per chi non ha fatto nulla di male dichiararsi innocente? Se una donna dichiarerà di essersi sentita molestata, come farà l'uomo accusato a sostenere il contrario, non essendo nelle sue facoltà entrare nella psiche della controparte e mostrare che non vi è stata sensazione di molestia? Che la donna menta o meno, l'uomo potrà soltanto dire di non aver avuto intenzione di molestare e di non aver compiuto nulla di oggettivamente molesto.
Se però l'oggettività del diritto è sostituita dalla soggettività femminile la condanna risulterà sistematica (poichè il reato verrà definito a posteriori e a capriccio della presunta vittima).
Bella prospettiva per uno stato di diritto.
Chiunque cammini per strada e incontri una donna rischia due anni di carcere anche senza aver intenzione di farle nulla, anche senza compiere alcuna molestia.
Avendo infatti voluto definire con tale parola anche quanto non lascia alcun segno oggettivamente riscontrabile , sarà sovente impossibile dimostrare l'esistenza o meno della molestia. E se si prosegue quanto si sta affermando in termini di violenza sessuale, si finirà per credere a priori alla donna (considerata de facto unica fonte di verità e sensibilità umane da difendere e proteggere ad ogni costo, anche a quello dello stato di diritto) pur senza testimonianze di terzi o riscontri oggettivi, e fidandosi soltanto del suo racconto "credibile" (qualcuno ha forse confermato o provato il presunto sguardo molesto costato 10 giorni di carcere ad un povero malcapitato viaggiatore?).
Ciò che davvero è molesto (così come pure ciò che davvero è violento) erano puniti anche prima. Qui si sta solo allargando la definizione ad esclusivo capriccio delle presunte future vittime. Peccato il contrario non valga per gli uomini. La stronzaggine non solo non è reato, ma è pura vantate dalle donne come "diritto".

Volete rendere potenzialmente reato anche il primo complimento? Perchè "non richiesto"? Ma se si deve aspettare che la controparte chieda un apprezzamento si passa la vita muti.
Un apprezzamento può avere effetto se è spontaneo (oltre che ovviamente non offensivo). E se si deve pensare prima se può essere considerato molesto o no, si finisce per far svanire il momento dell'ispirazione. E allora non lamentatevi che gli uomini non vogliano più corteggiare (ogni corteggiamento nasce da un complimento).

Non fraintendetemi apposta con menzogna ideologica femminista: non sto affatto sostenendo sia in qualche misura “accettabile” che una donna, vestita come le pare, sia fatta oggetto di molestie o addirittura violenze (o comunque intimidazioni), bensì che non posso accettare consideriate “molestia” un semplice complimento (almeno fino a quando non contiene elementi di offesa o minaccia chiaramente voluti). Posso capire che non tutti gli apprezzamenti possano risultare graditi quando vengono dal primo che passa, ma voi dovete capire che nessuno può sapere cosa davvero voi vi aspettiate da uno sconosciuto ammiratore (e tutti coloro che prim vi mirano sono giocoforza all'inizio sconosciuti) per concedergli l'opportunità di mostrare in un incontro solus ad solam l'eventuale eccellenza nelle doti da voi ritenute importanti per un eventuale rapporto. Se non è manifesta l'intenzione offensiva e prepotente non avete alcun diritto a lanciare virtualmente sventagliate di mitra e a comportarvi realmente da stronze e avete invece a mio avviso il dovere di ringraziare comunque, declinando. E non potete pretendere che l'uomo, prima di aprire bocca o spalancare lo sguardo, si metta a “pensare” cosa possa essere considerato gradito e cosa molesto. Non solo perchè impossibile, ma anche e soprattutto ucciderebbe la spontaneità. Un complimento, un invito, un guardo, un verso o un'espressione qualunque, implicita o esplicita, poeticamente vaga o banalmente diretta che sia, di desio, valgono (come possibile inizio di un rapporto eventualmente amoroso) solo quando sorgono spontaneamente, dal profondo del proprio essere, senza mediazione razionale. In caso contrario rappresentano solo o affettata galanteria o perfido calcolo di seduttore (o addirittura pedante educazione) e giammai possibilità di instaurare un primo rapporto empatico eventualmente sfociante in desiderio reciproco di conoscenza amorosa. Rendere manifesto quel disio che sorge con la rapidità del fulmine e l'intensità del tuono pone l'uomo in una condizione di debolezza, o comunque di potenziale disagio emotivo, perchè ammette ella è immediatamente mirata, disiata e accettata per quello che è (bella), mentre lui è costretto a “fare qualcosa” per mostrarsi alla di lei altezza, o comunque a restare sotto esame mentre lei può valutare con calma e scegliere se divertirsi con lui o su di lui. Se un uomo pensa, pensa anche a ciò e allora non rivolge più alcun complimento. E voi, innanzi a chi comunque si fa avanti per cercare di carpire i vostri favori (ponendovi di fatto con ciò su un piedistallo checché ne dicano le menzogne femministe pronte a confondere donna-oggetto con persona oggetto di desiderio), ponete le immagini proposte da questo videogioco? Non ho più parole. Ho fatto bene a lasciarvi perdere. Io stesso, prima di essere psicologicamente violentato dalla propaganda mediatica femminista, ero ancora tanto ingenuo da lasciarmi andare ogni tanto a complimenti rimati, anche nei confronti delle sconosciute (ricevendo per la verità sempre atteggiamenti, anche da parte di coloro cui non interessavo affatto, assai più gentili di quelli sostenuti come giusti in questo forum). Ora che nel mio inconscio si è iscritto il vostro “vendichiamoci di chi ci approccia con complimenti a sfondo sessuale” (anche il canzoniere di Petrarca è a “sfondo sessuale”), la mia reazione è stata quella di tramutare i “o soave fanciulla, o dolce viso di mete e circonfusa alba lunar” e i “cortese damigella il prego mio accettate, dican le dolci labbra come vi chiamate” in “vanagloriosa tiranna che attiri chi vuoi respingere, infierisci su chi ti mira e tratti con malcelata sufficienza quando non con aperto disprezzo chiunque tenti un approccio verbale o visivo, non meriti la benchè minima attenzione da me, meglio le puttane dichiarate” e in “stronza occidentale, che con con tale sprezzo dell'uomo fai uso della tua libertà, meriteresti di vivere in Afghanistan” . Forse le donne reali sono migliori di quelle virtuali, o forse no. In ogni caso, a tutte voi del sito, ADDIO.

Non è logicamente, eticamente e naturalmente ammissibile che il mondo femminile presenti sotto le spoglie di “bontà” e “purezza” il proprio comportamento naturale (e quindi di origine chiaramente animale come quello dell’uomo) consistente nel mostrarsi in ogni modo tempo e luogo belle a disiabile (inconsciamente, per attirare più maschi possibile e selezionare fra essi chi eccelle nelle doti volute, consciamente per pura vanità, supina accettazione di mode e costumi, patologico bisogno d’autostima o gratuito sfoggio di preminenza erotica) e pretenda al contempo di far apparire “più animale” o comunque “impuro” e “malvagio” e addirittura “vergognoso e colpevole” il corrispondente comportamento naturale maschile consistente nel mirare, disiare (con la rapidità del fulmine e l’intensità del tuono) e cercare di ottenere la bellezza nella varietà multiforme delle creature femminine, poichè entrambi le tendenze (tanto il suscitare disio, il rifuggire e il negarsi per attirare tutti e selezionare solo chi mostra eccellenza nelle doti qualificanti la specie, quanto l’esprimere subitaneo disio e voler godere della bellezza di tutte) concorrono al fine naturale di propagazione e selezione della vita, entrambi, in quanto natura, sono di là dal bene e dal male (almeno fino a che la cattiva coscienza di chi agisce per capriccio, vanità, interesse economico sentimentale o gratuito sadismo non introduca un’intenzionale perfidia e un scientifico inganno) e nessuno dei due potrebbe esistere senza l’altro.
E cercare di dipingere come pure e giusto il proprio comportamento naturale (in questo caso monogamo, non concedersi facilmente, apparire belle e disiabili per attrarre quanti più contendenti e selezionare fra tutti chi eccelle nelle doti volute, rimanendovi poi fedele) bollando al contempo come impuro e malvagio il suo opposto complementare (in questo caso poligamo, mirare, disiare e seguire con l’intensità del tuono e la rapidità del fulmine la bellezza e cercare di ottenerla nella varietà delle forme viventi), che non solo parimenti è naturale (e quindi di là dal bene e dal male), ma che è anche assolutamente necessario, perchè senza di esso lo stesso comportamento decantato come buono non potrebbe essere agito, è la forma più grave di immoralità.
Essere (con la rapidità del fulmine e l’intensità del tuono) mossi da disio per la bellezza non appena questa si mostra ai sensi è del tutto naturale (e a volte persino poietico) e non ha nulla “da curare con lo psicologo” (il che significherebbe solo “de-naturarsi”).
E’ l’essere sottoposti allo sfoggio sfacciato e insistente delle grazie corporali (attraverso vestimenti e svestimenti) e alla costante, volontaria o involontaria, esplicita o implicita, provocazione di disio in modi e tempi ben superiori alle intensità e alle frequenze naturali a provocare potenzialmente qualcosa di patologico.
E’ il dover continuamente trattenere, nascondere, frustrare (e addirittura, secondo quanto vorresti tu, condannare moralmente come “violenza”) tale disio suscitato a generare sofferenze nel corpo e nella psiche.
Il tuo dire: “non è colpa mia/non mi interessa che la tua natura sia repressa/sofferente e il tuo corpo e la tua psiche si sentano feriti e alla lunga danneggiati, perchè io mi vesto, mi muovo e mi comporto con gli altri come mi pare” è simmetrico nella sua prepotenza individualistica e sessista ad un discorso maschile del genere: “non è colpa nostra se vi dà fastidio quando vi tocchiamo o se state male quando siete costrette ad un rapporto non voluto!”. [b]Se la libertà delle proprie azioni ha un limite in quanto esse generano nel corpo e nella psiche del prossimo, ciò deve valere anche per il vostro “vestirvi come vi pare” (e non solo per il nostro “non toccare”).
Non è accettabile che la donna possa passeggiarmi innanzi (per via o, peggio, sul lavoro) mostrando liberamente le sue fattezze e suscitando consapevolmente o meno disio ed io non possa altretanto liberamente mirare, seguire e disiare e cercare di ottenere come sarebbe in natura, o (se da umani non si ha alcuna voglia di corteggiare), semplicemente esprimere con lo sguardo, la parola e il gesto il proprio naturale apprezzamento o commentare quanto il disio fa venire alla mente.
Quanto non accetto è che quando si parla di comportamenti in un modo o l’altro legati alla sessualità alla sua illimicata licenza nell’esprimere la propria natura (nel poter suscitar disio, attirare e mostrarsi) debba corrispondere il mio obbligo (nel disiare, seguire e mirare), a reprimere, limitare, nascondere la mia natura corrispondente. Perchè poi deve valere solo la sensibilità della donna?
Anche per la mia corrispondente e non già inesistente sensibilità maschile potrebbero risultare molesti certi atteggiamenti definiti “diritto della donna” o “bel gioco dell’essere donna” da demagogia femminista e stupidità cavalleresca.[/b]
Si sente offesa nella dignità di donna ad essere vista come oggetto di disio (il che è natura)? E allora io perchè non dovrei sentirmi ancora più offeso nella mia dignità di uomo ad essere trattato come un freddo specchio innanzi a cui le donne testano la loro avvenenza, come un pezzo di legno innanzi a cui si possono permettere di tutto (qualsiasi provocazione più o meno sessuata, qualsiasi tensione psicologica, qualsiasi derisione al più profondo disio) o addirittura un pupazzo da attirare e respingere, da sollevare solo per farlo poi cadere con il massimo del dolore e del disprezzo?
Certi comportamenti suscitano disagio? Quanto suscita disagio è soggettivo.
Io mi sento a disagio anche solo quando la donna appare nel mio campo visivo ponendomi innanzi (senza io lo chieda) le proprie grazie corporali, poiché suscita un disio che non potendo essere almeno in quel caso appagato genera frustrazione.
E tale rimane il mio sentimento sia che secondo natura continui a guardare (giacché la situazione mi fa sentire un puro nulla innanzi a colei che tutto può poiché da tutti è disiata) sia che costringendomi contro natura guardi dall’altra parte (poiché comunque il disio è già stato suscitato e anche la semplice consapevolezza di esser vicini a quanto non si può raggiungere fa permanere lo stato di frustrazione).
E se la donna di turno, per capriccio, vanità , autostima o diletto sadico, sfrutta la situazione per infliggere ferimento intimo suscitando ad arte il disio compiacendosi poi della sua negazione, per provocarmi intenzionalmente sofferenza emotiva, irrisione al disio, frustrazione nel profondo, umiliazione pubblica o privata, inappagamento fisico e mentale, per rendermi ridicolo davanti a me stesso o agli altri qualora tenti un qualsiasi approccio, per causarmi dolore fisico o psicologico nell’attirarmi e nel respingermi, per trattarmi come uno qualunque, un banale scocciatore, dopo avermi scelto fra tanti e illuso solo per farmi patire l’inferno dopo la speranza di paradiso, per appellarmi molesto dopo avermi appositamente attratto e indotto implicitamente a farmi avanti in maniera da lei considerata magari maldestra, se insomma usa l’arma erotico sentimentale per infierire su chi psicologicamente si trova in svantaggio nei primi momenti di incontro (occasionale e breve come sentimentale e lungo) con l’altro sesso, allora mi suscita un disagio da sessuale ad esistenziale.

CAPITOLO 5). presunte persecuzioni
Nel cosiddetto “stalking”, come in tutto ciò che non ha una realtà in sè ma è pura parola importata d’oltreatlantico, è d’uopo distiguere il reale dall’immaginario, i fatti dalle parole. Bisogna dunque chiarire sempre se i fatti contestati sono oggettivamente violenti e minacciosi (come tentativi insistenti di aggressione o lettere minatorie) o se vengono definiti tali solo dalla soggettiva (suggestiva o intenzionale che sia) interpretazione della presunta vittima e in realtà, lungi dal contenere violenza o minaccia, non si distinguono da normali atti quotidiani (come telefonare ad una persona conosciuta o aspettare un’amica sotto casa) altrimenti non costituenti reato (e che sono resi penalmente rilevanti solo, per via della follia giuridica importata in Italia dalla Carfagna, a posteriori e a discrezione della denunciante).
Nel primo caso, si tratta di fatti comunque puniti anche prima dell’invenzione carfagnesca (mai è stato ammesso in uno stato di diritto minacciare o usare violenza verso un altro cittadino). Il fatto che molte volte “la polizia non facesse nulla” poteva solo significare che: a) non si trattava di fatti gravi, ovvero producenti danni oggettivi, rilevanti e riscontrabili; b) conformemente al lassismo giuridico di una nazione in cui le madri assassine non vedono manco il carcere e i delinquenti abituali non vengono manco inseguiti e condannati, non si calcava la mano più di tanto nè nella rapidità d’indagine e d’azione dell’autorità di ps nè nell’entità delle pene comminate. Anche nel caso di fatti gravi (che venivano puniti comunque, come l’omicidio), essi non dimostrano affatto una maggiore violenza del genere maschile, ma semplicemente la sua condizione di disagio e costrizione cui non resta altra via d’uscita dalla ribellione violenta.
Lungi da me dare sempre ragione agli uomini o giustificare tutti gli omicidi.
Senza entrare nei motivi per cui “vendicarsi” di un ex-partener (di ambo i sessi) possa essere giusto o sbagliato, noto solo quanto è sotto gli occhi di tutti.
Quando una donna (a torto o a ragione) vuole vendicarsi di un uomo, ha dalla natura a disposizione tutte le armi (la perfidia sessuale, l’inganno sentimentale, il veleno amoroso, la tirannia erotica, la capacità d’intrigo, l’uso strumentale delle persone o delle leggi, la violenza indiretta, la violenza psicologica, la violenza della debolezza, il vittimismo) per ucciderlo o indurlo al suicidio, per sbranarlo in senso economico-sentimentale, per distruggere la sua vita e la sua psiche senza commettere formalmente reato o anche facendo sì che altri commettano il reato per lei (Salomè madrina delle mandanti) e (anche qualora per strano caso priva di tali doti naturali di seduttrice o manipolatrice) ha dalla cultura tutti i modi per rendere la condizione esistenziale del proprio ex simile a quella dell’esule ottocentesco, privato di famiglia, casa, roba, depredato di ogni avere, allontanato dai figli e dagli affetti materiali e morali, derubato di ogni possibilità materiale e morale di rifarsi una vita e di ogni residua speranza di felicità (quando non della stessa libertà e della stessa salute con le ormai solite false o strumentali accuse cui seguono carcerazioni preventive, spese insostenibili e cazzi e mazzi vari), non infrangendo la legge, ma anzi sfruttandola.
Quando un uomo (a torto o a ragione) vuole vendicarsi della propria ex, non ha invece altro modo che inveire contro di lei per strada e minacciarla con le uniche armi che possa agitare di persona (una volta che quelle delle legge sono oramai schierate a senso unico “in protezione della donna”), specie dopo che un giudice lo ha privato di tutto.
Nel secondo caso, quando nulla di violento è commesso, ma solo tentativi (magari patetici o goffamente poetici) di riallacciare il rapporto sono manifestatamente espressi e reiterati, si tratta della dimostrazione di quanto detto da Nietzsche: “le donne sembrano sentimentali, gli uomini invece lo sono. Gli uomini sembrano crudeli, le donne invece lo sono”.
Se davvero spesso gli uomini non possono rassegnarsi alla perdita dell’amata (come non vi si sono rassegnati i poeti da Tibullo a Petrarca) è solo e soltanto perchè quanto per le donne, alla fine, è solo un mezzo per ottenere apprezzamenti, appagamenti di vanità, sicurezza per la prole, bella vita per sè, regali, mantenimenti o anche solo momenti psicologicamente piacevoli, per gli uomini è davvero, parafrasando il Tasso, “vita de la loro vita”, un’essenza e un senso vitale senza i quali la vita stessa perde significato e al di là dei quali resta solo la possibilità di uccidere o essere uccisi. Se solo gli omicidi commessi per mano maschile fossero maggiori di quelli compiuti da donne, allora si potrebbe (volendo rimanere ciechi alle motivazioni di chi di fatto viene in occidente dalle donne vampirizzato con beneficio di legge) ancora ammettere per ipotesi la tesi della “violenza maschile”. Poichè invece, parallelamente, anche i suicidi amorosi sono maggiori da parte degli uomini, allora si deve concludere in favore della mia tesi.
E far passare per maggiore malvagità quanto è invece maggiore e più profonda sentimentalità significa avere nel cuore non il chiaro di luna, bensì il NERO DI SEPPIA.

Suffragherò queste mie considerazioni con i fatti.
Quando la legge dello stalking fu approvata, il primo a finire in carcere fu un ragazzo sentimentalmente fragile (la madre lo aveva abbandonato, segnando così la sua psiche e i suoi rapporti con le donne) “colpevole” di aver tentato più volte di avvicinare (senza alcuna intenzione minacciosa o violenta oggettivamente dimostrabile, altrimenti sarebbe stato condannati ben prima per violenza privata o minacce) la ex-fidanzata che lo aveva lasciato dopo quasi una decina d’anni di rapporto intimo. I giudici ebbero il coraggio di metterlo addirittura in carcere prima del processo e l’avvocata disse che l’esperienza, per quanto dura, era servita a “farlo crescere”. Ora io non so quale cuore possa sentire giusto condannare chi già soffre per amore, considerare vittima la donna che ha provocato tale sofferenza solo perchè riceve qualche telefonata o qualche tentativo d’approccio di troppo e carnefice l’uomo che soffre e non trova altro modo per esprimere la volontàò di ritrovare l’amore perduto, ma so che nessun cervello sano può considerare “formativo”, specie per una persona giovane, immatura, non tendenzialmente delinquente, anzi psicologicamente fragile, un ambiente di violenza, inganno e sopraffazione quale il carcere.
La vicenda mi colpì. Scissi questo, ma non lo pubblicai.
[quote] Che cercare di avvicinare persone con le quali si sono intrattenuti rapporti sentimentali comporti il rischio del carcere (e per la solita vaghissima definizione omnicomprensiva del reato voluta dalla demagogia delle propugnatrici e la presunzione di colpevolezza de facto, come tipico dell’inquisizione femminista, rischia lo stalking anche chi non fa nulla di oggettivamente nè violento nè molesto, nè tantomeno minaccia o danneggia) è qualcosa di talmente crudele, perverso, eccessivo e iniquo da potere essere considerato giustizia soltanto dalla perfidia femminil-femminista. Chi agisce preda della follia amorosa dovrebbe semmai avere riconosciute (qualora compia qualcosa di oggettivamente sbagliato) delle attenuanti, non delle aggravanti (o addirittura delle definizioni di reato per cose banali come telefonate, regali, sms o tentativi di incontro per strada che altrimenti reato non sono). Due parole sui maschi. I maschi sono, almeno nelle cose afferenti l’amor naturale, assai più ingenui delle femmine, amano credere davvero alle favole, quasi in ogni caso (al contrario delle donne, che al principe azzurro credono solo quando vedono lo splendore di ori, castelli e regali) e quindi sono più soggetti, già per debolezza propria (conseguente il naturale trasporto per la bellezza, o, meglio, per la sua illusione, poi facile a profondarsi in complicazioni sentimentali e spesso cosmiche) a cadere in quella trappola erotico-sentimentale (e a volte anche economico-sentimentale) che il volgo vile chiama “amore” (e nella quale vi è tutta la crudeltà dalla natura anche quando la donna in oggetto non ha nulla di intenzionalmente malvagio). Una legge davvero giusta (ovvero protesa, in ogni campo, a difendere i più meno difesi per natura) dovrebbe semmai punire quelle femmine che, per vanità, capriccio, sadico diletto, interesse (materiale o morale d’autostima) o gratuito sfoggio di preminenza o qualsiasi altro strampalato o sensato motivo sfruttano per i loro fini la predetta debolezza e usino le armi erotico-sentimentali a loro disposizione per natura provocando consapevolmente danni alla psiche di chi nella vita le incontra (più o meno occasionalmente). Qua invece si infierisce su chi già soffre a causa dell’amore per una donna (a volte senza la volontà di quest’ultima, a volte invece per sua precisa volontà). Non dico che tutte le vittime di stalking siano delle stronze, ma sono pronto a scommettere sull’esistenza, fra di esse, di un certo numero di perfide e di mentitrici, cui la legge serve da strumento di arbitraria vendetta o da ulteriore arma per infierire su chi già hanno sbranato sentimentalmente, economicamente o psicologicamente. Penso che chi ha sostenuto questa legge meriti di incontrare almeno qualche volta nella vita un insieme di uomini in grado di far loro provare lo stesso dolore fisico e mentale e di produrre la medesima devastazione psicologica e la stessa umiliazione sessuale. Avete già capito cosa intendo e non faccio eccezioni nemmeno alle amiche. [/quote]

Pochi giorni fa un altro ragazzo, la cui unica colpa è stata quella di litigare con la fidanzata, è stato finalmente assolto dopo mesi e mesi di custodia cautelare in carcere causata solo dal fatto di essersi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato dopo la denunzia della cognata (egli non poteva ancora sapere di essere stato denunciato per stalking e diffidato dall’avvicinarsi da quella casa, e soprattutto non aveva fatto nulla nè di male nè di simile allo stalking pur secondo le femministe).

http://falseaccuse.blogspot.com/2010/09/unaltra-vittima-di-false-denunce-sei.html

Questo succede quando, per via di un abominio giuridico importato da oltreatlantico ed inserito a forza nel nostro ordinamento, fatti altrimenti non costituenti reato possono divenire penalmente rilevanti sulla sola parola della presunta vittima (cui sono di fatto concessi i poteri sia di definire il reato in abstracto sia di stabilire la sua sussistenza nel caso concreto).

Commentano le giornaliste “si moltiplicano le denuncie, sono ormai 4000 le donne che usufruiscono di questa legge” (come se la denunzia sola equivalesse ad una dimostrazione di effettiva gravità e soprattutto realtà dei fatti contestati).

Sfido che le denunzie aumentano! Anche senza avere fantasia e limitandosi a constatare la tendenza al litigio e all’esagerazione (da ambo i sessi) del popoli italico, appaiono evidenti le possibili (e, come mostrato dai fatti citati, reali) applicazioni della legge (ben diverse dalle esigenze di “pubblica sicurezza” nel cui minestrone sono state approvate) e il loro rischio di “sistematicità”. Se la definizione del confine fra lecito e illecito si basa sulla soggettiva sensibilità della presunta vittima senza alcun obbligo di raffronto oggettivo con il reale (lo “stato di ansia” di cui parla la legge non è scientificamente definito e, poichè la decisione del giudice si può basare sulla sola parola dell’accusa in assenza di riscontri oggettivi, è come decidesse la donna stessa la sussistenza del reato nel caso concreto) allora chiunque, per qualunque motivo (dal ricatto premeditato al capriccio di giornata, dalla vendetta arbitraria al gratuito sfoggio di preminenza sociale nell’esser presa a priori quale unica fonte di sensibilità e verità umane mentre l’altra campana è tenuta a tacere e se parla considerata solo degna o del riso o del disprezzo), può, in qualunque momenti, accusare qualunque uomo per il più normale degli atti (dicendo che le ha “messo ansia”), se i provvedimenti restrittivi della libertà possono essere emessi anche prima e anche senza riscontri oggettivi e testimonianze terze delle presunte violenze o minacce, allora le ex-mogli troveranno comodo, come prima mossa, usare lo stalking come arma per rendere inefficace l’affido condiviso dei figli o per trattare da una posizione di forza la causa di divorzio. Ecco da dove saltano fuori i “grandi numeri dello stalking contro le donne”!

Ecco perchè dico che il motivo della legge sullo stalking non sono le fantomatiche e presunte molestie ma la demagogia femminista che vuole dare alle stronze in occidente un’arma in più per infierire sugli uomini alla bisogna.
Può sinceramente essere considerata positiva una legge che produce i fatti sopra indicati (e non mi si dica che la sua assenza produrrebbe uxoricidi: essi esistono come esistono gli omicidi e possono e debbono essere perseguiti allo stesso modo, senza fare prima il processo alle intenzioni, rendendo reato un atto non ancora violento solo perchè nella testa della presunta vittima anticiperebbe una futura più grave violenza: altrimenti secondo tale principio tutti i cittadini di tutti i sessi dovrebbero essere messi ai domiciliari per prevenire tutti i reati)?
E come debbono essere considerate le donne che l’hanno sostenuta?

S...come te e assassine dello stato di diritto!

La questione non è tanto se Anna Oxa sia o meno sincere o abbia bisogno o meno di pubblicità, ma se qualunque donna ha il diritto di mandare in galera qualunque uomo non solo con la sua sola parola (contro la presunzione di innocenza), ma addirittura definendo a posteriori (e in maniera soggettiva e inconoscibile a priori) il confine fra lecito e illecito (non vi è alcuna definiziona tassativa su cosa per legge “generi ansia, induca a cambiare abitudini o giustifichi una paura per la propria incolumità: quindi decide il giudice sulla base del solo soggettivo sentire della donna, privando così l’uomo pure della possibilità di autodifesa: di un gesto oggettivamente violento e molesto si può provare che non esista, ma del fatto che una persona si senta in un modo o nell’altro non si può dire nulla), e se qualche telefonata di troppo debba giustificare l’internamento del “colpevole” (se si va con questo metro, chi accusa falsametne di stupro dovrebbe essere condannata a vent’anni di manicomio almeno, perchè l’ansia e il trauma psichico del carcere da innocenti o comunque del sentirsi messi alla gogna mediatica e sociale, con la prospettiva di una vita distrutta sotto ogni punto di vista sociale e morale sono infinitamente superiori).

Tornando all’argomento, e concludendo, è imbecille chi osa lodare la Carfagna per il suo fantomatico “buon lavoro” soprattutto in riferimento alla legge sullo Stalking (contraria solo al buon senso, mentre quella sulla carcerazione preventiva, contraria alla presunzione di innocenza, è stata santamente fermata dalla Consulta).
Proprio quello dimostra invece il pessimo lavoro (assieme alle porcherie dette e fatte approvare sulla presunta necessità di mandare trattare dei cittadini come stupratori prima ancora che la presunta violenza sia dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio in un regolare processo, possibilmente con riscontri oggettivi e testimonianze terze rispetto all’accusa: la gravità di un’accusa non può fungere da presunzione di colpa).
E’ stato un atto di conformismo ideologico (alla pari di tante altre riprese di modi e pensieri filo-occidentali voluti dalle solite lobbies) alla demogogia femminista d’origine oltreatlantica per consentire anche in Italia, nel migliore dei casi, alle puttane legalizzate d’occidente (ovvero le donne sposate) di continuare a permettersi (grazie a privilegi di natura non più contrastati anzi favoriti dalla cultura e a quelli affermati dalle leggi a senso unico su divorzio, aborto e violenza sessuale) verso gli ex qualsiasi qualsiasi riduzione ad esule ottocentesco (privato di casa, famiglia, roba) e qualsiasi sbranamento economico-sentimentale senza dover temere le comprensibili reazioni, nel peggiore, a tutte le femmine di far finire in galera, per capriccio, ricatto, vendetta arbitraria, interesse economico-sentimentale (come non far scoprire il tradimento al partner ufficiale o guadagnare i soldi di un eventuale accordo extragiudiziale) gratuito sfoggio di preminenza sociale (nell’esser creduta a priori mentre la controparte è tenuta a tacere e se parla viene fatta oggetti di irrisione o sdegno a priori) o addirittura sadico diletto (nel mostrare a sè e alle amiche di poter rovinare, come per scommessa, la vita a chiunque, semplicemente parlando e facendo la vittima, secondo il proprio umore di giornata) qualsiasi uomo con a sola parola, anche prima e anche senza riscontri oggettivi dei fatti contestati (peraltro di fumosa definizione).
Da un punto di vista giuridico, è inaccettabile che, secondo l’esclusiva valutazione soggettiva e a posteriori della presunta vittima (decide il giudice, ma potendosi basare la sua decisione sulla semplice parola accusatoria, presa ad unica fonte di verità e sensibità umane, a unico discrimine fra atti non costituenti reato e “comportamento volto a generare ansia e a mutare abitudini”, è come se giudicasse la donna stessa, non essendo manco definite ansie e abitudini in senso scientifico o comunque oggettivo possano divenire penalmente rilevanti fatti (come aspettare un’amica sottocasa o il rivolgerle complimenti, regali e corteggiamenti) di norma non costituenti reato (il confine fra lecito e illecito dovrebbe essere stabilito in maniera chiara a tutti e a priori: si chiama tassatività del diritto).
Da un punto di vista morale, si tratta di una chiara inversione dell’equità e della giustizia: chi agisce sotto l’influsso della “follia amorosa” (specie se questa, per capriccio, vanità, interesse economico sentimentale, gratuito sfoggio di preminenza erotica o addirittura sadico diletto nel provocare il paradiso dell’illusione seguito dall’inferno della negazione, è stata intenzionalmente suscitata dalla controparte) dovrebbe, semmai, godere di attenuanti nel caso compisse atti in sè reato (dall’omicidio passionale alla minaccia d’ira), in quanto non pienamente in grado momentaneamente di intendere e di volere, e non già finire in galera, con pene maggiori a quelle spettanti agli autori di rapine, furti e violenze private, in seguito a fatti di norma non penalmente rilevanti (come telefonare ad un’amica, aspettarla sotto casa, regalarle dei fiori o tentare di riallacciare un rapporto).
Da un punto di vista teorico, è pure possibile che per un “normale” corteggiamento, se “non autorizzato”, si prendano da sei mesi a sei anni: ma come fa un corteggiamento ad essere a priori autorizzato se l’atto del corteggiare consiste proprio nel propriziare (con una sconosciuta) incontri solus ad solam al fine di mostrare alla donna eventuali doti di sentimento o intelletto da lei apprezzabili con le quali ottenere l’autorizzazione ad accedere alla sua intimità? Nemmeno la donna può sapere fin dall’inizio se vorrà concedere o meno l’autorizzazione (prima del minimo contatto necessario a fornire occasione di conoscenza non banale, prima di vivere di persona l’eventuale coinvolgimento emotivo, estetico o intellettuale).
E se il solo tentativo di ottenere tale autorizzazione può costituire, anche quando non violento nè offensivo nè minaccioso, un reato, allora nessuno più mai corteggerà (dato che, per volontà della natura e della donna, spetta purtroppo all’uomo l’onere di compiere la prima mossa, di farsi avanti senza sapere se il tentativo avrà successo ovvero sarà gradito, di non arrenders ai primi dinieghi, poiché questi potrebbero anche essere non inviti ad andarsene, bensì modi per accrescere il disio, testare il reale interesse dell’uomo e guadagnare tempo per verificare la presenza nell’uomo delle doti materiali, ideali o sentimentali volute e nel frattempo o goderne la presenza o dileggiarne l’assenza, ma di ritentare, insistere e resistere ai rifiuti, regolandosi, solo in base alle reazione della donna, se e come proseguire nell’attacco o battere in ritirata, esaminando ogni atto, sguardo e sospiro come si farebbe in guerra, in assenza di messaggi espliciti, banditi qui “per gioco”, con le intercettazioni criptate).

CAPITOLO 6. La falsa parità
Adesso basta, rispondo io per tutto quanto sopra. Tu non hai mostrato alcuno flop del tuo contraddittore maschile. Hai semplicemente ignorato i fatti e le sentenze che avrebbero confermato la sua tesi e hai riportato solo quanto, in abstracto nelle leggi (formalmente paritarie per definizione), sembra all'apparenza sostenere la tua. Una vera e tipica perfidia femminea. Hai semplicemente continuato a supporre “giusto a priori” (e quindi codificabile dalla legge) che tutto quanto urta la particolare sensibilità femminile (atti, detti, sguardi o toccate) debba essere considerato oggettivamente offensivo e quindi punito dalla legge e quanto invece ferisce (in maniera spesso assai più grave, come si può oggettivamente rilevare dal numero di suicidi cagionati da una donna o, senza arrivare agli estremi, dalla diffusione fra i maschi di problemi come l'anoressia sessuale o il precoce bisogno di prostitute,certamente più sviluppati dei fantomatici problemi di chi deve “respingere troppe advances”) l'altrettanto particolare (e non già inesistente) sensibilità maschile (ad esempio il comportamento intriso di stronzaggine, divenuto regola nelle femmine moderne, anche quando non usano le mani, e spesso motivato da prepotenza, vanagloria, necessità di autostima o sadismo o comunque volontà di provocare sofferenza emotiva) sia trascurabile, appartenente alla normalità, alla tollerabilità o comunque al "diritto della donna" (addirittura alla “gioiosa comunicazione”) e non provocante oggettivamente in sé offesa o umiliazione (anche se è quanto l'uomo prova, di fronte a sé o agli altri, quanto sente come intima ferita nella sessualità e può provocargli traumi, blocchi psicologico e metterlo a disagio emotivo, momentaneo e poi esistenziale), potenziale fonte di disagio solo in seguito a “condizioni soggettive non causate dall'allumese” e quindi penalmente “non punibile”. Pura demagogia femminista! Stai svolgendo un ragionamento circolare nel momento in cui accusi di ciò gli uomini (ovvero: “il comportamento dell'allumese non deve essere molestia/violenza perchè per le donne non lo sarebbe, il comportamento del corteggiatore petulante o dell'uomo dalle mani lunghe deve essere molestia/violenza perchè per le donne lo è”).
Io voglio invece che anche il sentire maschile (e non solo quello femminile) venga valutato nel formulare le leggi e nello stabilire cosa è molesto e cosa violento nella particolare sfera sessuale, che anche quanto mette sessualmente a disagio gli uomini, ferisce la loro emotività e genera tensione nella loro psiche (anche qualora ciò non sia vero a parti invertite) venga considerato penalmente rilevante alla pari di quanto produce disagio, ferimento ed ansia alle donne (che è penalmente rilevante anche quando non produrrebbe quasi nulla a parti invertite). Ecco cosa voglio dall'ordinamento e dai giudici! Voglio che anche la condizione psicologica “media” degli uomini sia limite civile alla libertà di comportamento e vestimento delle donne così come limite alla libertà di comportamento e vestimento degli uomini è la sensibilità psicologica “media” femminile. Altrimenti significa che ci considerate tutti insensibili!

Le tue argomentazioni sono risibili e insussistenti (e dimostrano il contrario delle tesi che vorrebbero sostenere).
Negare che la legislazione attuale sia intrisecamente antimaschile appellandosi alla formulazione "asessuata" del codice penale significa o ritenere tutti gli uomini tanto imbecilli da fermarsi all'apparenza o essere tanto perfide da considerare legittimo l'inganno della falsa uguaglianza.
Una legge paritaria dovrebbe tenere conto nella sostanza della diversa sensibilità di uomini e donne e tenere presenti entrambe nel definire lecito e illecito (tutelandole da quanto di diverso può ferire le loro diverse nature).
Poichè l'istinto maschile è mirare, disiare, seguire e cercare di ottenere la bellezza (appena questa si fa sensibile alla vista nelle lunghe chiome, nel claro viso, nelle membra scolpite, nella figura slanciata, nelle gambe lunghe e modellate, nella pelle liscia ed indorata, nelle rotondità del petto, nella piattezza del ventre perfetto e nell'altre grazie che, come direbbe Dante, è bello tacere, ma che la donna occidentale ritene diritto mostrare), mentre l'istinto femminile è mostrarsi in ogni dove belle e disiate per attirare (consciamente o meno) quanti più maschi possibili (fra cui eventualmente scegliere chi eccelle nelle doti volute), avere pene solo per chi sbaglia, esagera o male interpreta
nell'esprimere disio, nel farsi avanti, nell'insistere nei tentativi e nel resistere ai dinieghi, e non per chi suscita ad arte il disio, induce a farsi avanti e (spesso) pretende tentativi reitarati, soluzione di ambiguità ed enigmi, superamenti di prove, è chiara discriminazione indiretta contro il vissuto, l'emotività, la psicologia maschile.

La risibilità diventa addirittura offensiva quando per negare la natura antimaschile della legge sulle molestie si precisa che questa non punirebbe l'espressione in sè del disio o il tentativo in sè del corteggiamento, ma solo l'insistenza a seguito di segnali di mancato gradimento della controparte.
Come se questa dicesse sempre chiaramente e subito cosa vuole e non vuole!
Come se, quando questa dice di non volere, l’uomo potesse escludere fra le ipostesi quella di una tecnica femminile volta a verificare il suo reale interesse!
Come se questa (quando è femminile) non vivesse e si beasse dell'ambiguità!
Come se questa non pretendesse che l'uomo faccia sempre la prima mossa, agisca senza sapere in anticipo se il tentativo avrà successo (ovvero se sarà gradito), senza poter chiedere nulla esplicitamente e a priori (come non si chiederebbe nulla ad un avversario militare), ma dovendo tutto verificare a posteriori per prova, si muova come chi non può chiedere alla parte nemica ove gradirà l'attacco ma sia costretto a tentare la sorpresa, non fugga alle prime difficoltà e ai primi respingimenti, ma, come in guerra, continui la sua azione ad onta delle difficoltà e delle resistenze, regolandosi di volta in volta (se avanzare o ritirarsi, se insistere o lasciar perdere) in base alle reazioni (tutte da decifrare, o comunque da valutare di là dalle apparenze, esattamente come le intenzioni del nemico), non si arrenda ai primi rifiuti ma insista, resista e ritenti, decifri le parole non dette (spesso in contrasto con quelle proferite dalla voce), i segnali del corpo, i sorrisi, gli sguardi, le movenze, il fare e il non fare con la stessa attenzione (e la stessa incertezza) con cui si decifrerebbero i messaggi captati al nemico, insegua chi si fa seguire e vinca nella lotta amorosa chi lotta per essere vinta!
Come se un apparente diniego non significasse spesso in realtà un invito non ad andarsene o a rinunciare (fatto che porterebbe la donna a disprezzare l'uomo) ma a riprovare, tentare, insistere e resistere, perchè dalla capacità di un uomo di sopportare ciò molte verificano la loro avvenenza!
Per saperlo si può soltanto provare, non si può nè indovinarlo a priori nè chiedere dichiaratamente.
Quello si fa solo con le puttane. Con le altre rovinerebbe la naturalezza del rapporto.

Un rapporto naturale prevede un graduale scivolamento fra le onde della voluttà, in cui chi fa il primo passo non può mai sapere se sarò gradito, ma deve tentare alla cieca e poi proseguire gradatamente di volta in volta verificando le reazioni di accettazione/diniego (le quali non sono quasi mai esplicite e verbali, ma quasi sempre implicite e non verbali, come sguardi, sospiri, parole non dette, carezze trattenute, respingimenti deboli, abbandoni forti) ed agendo di conseguenza. E se il solo tentativo è stupro allora tanto vale andare solo con le puttane, almeno fintantoché le "donne oneste" non accetteranno di concedersi ovunque in maniera esplicita anche senza l'atmosfera che ora pretendono (e la quale si dissolve con l'obbligo di richieste chiare in carta bollata come quelle pretese di fatto dalla legge per non cadere nell'accusa di stupro).
Con le puttane si può chiedere esplicitamente e a priori cosa si può e cosa non si può fare, accordandosi sul contraccambio. Con le donne normali si deve invece seguire la natura: vi deve essere uno spontaneo scivolamento dal mondo razionale degli individui a quello dionisiaco della voluttà , senza forzature.
Per natura prima ancora che per cultura l'uomo è costretto alla fatica della conquista, per cui non può né aspettare che la donna si faccia avanti per prima né chiedere a priori ed esplicitamente un permesso formale e scritto per questo o quello come fosse in un ufficio burocratico (giacché tal meccanicismo burocratico rovinerebbe qualsiasi naturalità dell'amore), ma deve tentare, deve agire per primo senza sapere se il suo gesto, la sua parola, il suo tentativo di contatto, saranno graditi: deve di volta in volta fare il primo passo (con il gesto, la parola e il tatto) e vedere le reazioni. E queste non sono quasi mai esplicite e dichiarate o verbali (le parole in certi momenti sono di troppo), ma quasi sempre implicite, nascoste in sguardi, sorrisi, gesti, movimenti di tacita accettazione, respingimenti finti o finte lotte di chi non vuol vincere, o addirittura, come fra gli animali, fughe di chi vuol essere seguita e "parole" e suoni che sembrano di diniego e invece invitano a insistere e vincere le resistenze. Come chiunque in guerra sia costretto a dare battaglia, l'uomo deve agire senza sapere se la propria azione avrà successo, non può l'uomo chiedere al "nemico" quale attacco gradisca, ma deve provare, rischiare, sorprendere, insistere e resistere, per scoprirlo, regolandosi poi in base alle reazioni.
Solo l'esito della prova può dirgli se procedere nell'attacco o ritirarsi. Prima del contatto (sia esso con la parola, lo sguardo, il gesto o il tocco), infatti, neppure la donna può sapere se volere o non volere, giacché certe cose si valutano per esperienza, non per speculazione: non esiste donna che non sia puttana pronta a concedersi a prescindere da tutte quelle sfumature di luci, parole, sospiri, sguardi, carezze, labbra sfiorate, frasi non dette e pensieri non mai immaginati che solo la situazione ambientale crea e nessun ragionamento aprioristico può far realmente provare. E prima di poter valutare la reazione della donna nemmeno l'uomo può essere sicuro di essere stato accettato o meno. E se lo stesso primo tentativo vale come molestia e addirittura l'errore nell'interpretare la reazione della donna come stupro, allora tutti gli uomini andranno giustamente a puttane.

Non si è mai visto nessuno avere successo con donne che non siano prostitute dichiarate semplicemente chiedendo in maniera esplicita all’oggetto del suo disio di poter godere delle sue grazie corporali. Chi facesse così potrebbe suscitare solo o ilarità o sdegno, se non altro per il fatto di voler imporre un meccanicismo da stato burocratico nell’atto più naturale della vita. Obbligare (con la minaccia di pesanti pene detentive) un uomo a richiedere sì espliciti dalle donne significa dunque nella realtà dei fatti imporgli la castità a vita (puttane a parte).

Tu usi dunque un’argomentazione ovvia (ovvero largamente accettata dal mondo civile) per sostenere una tesi tipicamente femminista angloamericana (la necessità di dimostrare un sì esplicito per non essere accusti di stupro, contraria non solo ad ogni natura e ad ogni buon senso, ma anche con la presunzione di innocenza e la rilevanza penale di un'insistenza nel corteggiare, contraria alla necessità naturale di "indagare" le vere intenzioni della femmina) che tanto ovvia non è.
Le regole da te presentate con finta ingenuità come “naturali” sono invero quanto di più innaturale esista e quindi sono applicabili solo fra sconosciuti, o fra cliente e prostituta (che sempre sconosciuti sono), non certo fra amanti o fra chi si frequenta o comunque cerca di avvicinarsi alla conoscenza erotico-sentimentale dell'altro (per il quale l'avvicinamento deve avvenire naturalmente, gradatamente, in maniera implicita nelle parole, nei fatti, nelle percezioni dei momenti passati insieme, e non a colpi di improvvise richieste esplicite come si facesse domanda di ammissione ad un esame).

Dire che non esistano comportamenti ambigui da parte vostra è contro l'evidenza.
E' tanto contro l'evidenza che chiunque prenda per vere le tue parole (aspettando inviti o sì espliciti) passa le serate a discorrere con la lune e le stelle sui teneri sensi e i tristi e cari moti del cor (a meno che non vada a puttane).
Gli altri passano mesi e decifrare nella maniera giusta i no detti per significare sì e viceversa.

Questa tua bugia (o, se vogliamo, perfido nascondimento di una verità naturalmente evidente) mi autorizza a supporre il tuo discorso non limitarsi affatto (come sembrerebbe ad un lettore superficiale) al sacrosanto diritto all'autodeterminazione sessuale, ma appartenere ad un’ampia strategia (in atto ormai da un decennio nell’ambito della propagande mediatica neofemminista) volta a mostrare come impura, deprecabile e barbarica qualsiasi espressione del desiderio naturale maschile (ma su questo ritornerò a proposito del “moralismo” sotto le mentite spoglie della “modernità”) e a criminalizzare de facto qualsiasi tentativo realistico di un uomo normale per ottenere le grazie femminili.

Quanto però rende intollerabile l'irrisione, la falsità, la perfidia e la svalutazione della natura maschile insite nelle tua pseudo-argomentazioni è la sistematica negazione della condizione di "castrati" psicosessuali imposta da leggi e costumi attuali a tutti gli uomini preoccupati della propria fedina penale (o anche solo della propria rispettabilità sociale).
Tale condizione potrebbe essere liquidata come soggettiva (come fai tu) se fosse presente solo in alcuni uomini per via di particolari condizioni della loro vita o della loro psiche, ma poichè (come ti potresti accorgere guardandoti intorno nella vita reale e virtuale) è ormai diffusa su quasi tutti gli individui (specie i giovani) di sesso maschile (come del resto dimostra la diffusione di problematica psicosessuali quali la cosiddetta "anoressia sessuale", il suicidio per motivi amorosi, il precoce bisogno di prostitute ed un disagio psichico ora celato con l'ironia ed ora pronto ad esplodere in eccessi di aggressività) non può non essere considerata almeno intersoggettiva (se solo pochi, ricchi famosi e fortunati possono sentirsi liberi e felici nella sfera sessuale significa che il sentirsi psicosessualmente castrati non è l'eccezione, ma riguarda tutto il genere salvo semmai eccezioni).
E che la condizione sia pure oggettiva (ovvero imposa a prescindere dai soggetti) è dimostrato dalla sussistenza dalle leggi, dei conseguenti fatti e dei conseguenti nuovi costumi, puntualmente citati dal tuo interlocutore e da te colpevolmente ignorati, che generano una situazione oggettivamente asimmetrica fra i sessi.

Se al diritto della donna di mostrare liberamente, nel modo che vuole e per il tempo che vuole le proprie grazie in pubblico non corrisponde, secondo ragione, il diritto dell'uomo di guardare altrettanto liberamente, nel modo che vuole e per il tempo che vuole, quanto da lei pubblicamente mostrato, bensì l'obbligo di non spogliare troppo con gli occhi o comunque di distogliere lo sguardo entro un certo tempo, pena la denuncia;
se al diritto della donna a suscitare disio (perchè questo istinto vi è dietro le mode occidentali di svestirsi, il mito del piacere a se stesse e il diritto "a vestirci come ci pare") non corrisponde, secondo ragione, il diritto dell'uomo ad esprimere naturalmente (nonchè pacificamente e senz'armi) il disio suscitato, ma il dovere di reprimersi persino col pensiero e lo sguardo (pena essere incolpati anche quando il disio suscitato non è stato dall'uomo nè chiesto nè voluto)M
se al diritto della donna di sfogare, consciamento o meno il proprio naturale istinto di sentirsi in ogni dove bella e disiabile non corrisponde, secondo ragione, il diritto dell'uomo ad esprimere con lo sguardo, la parola e il gesto il proprio naturale apprezzamento o commentare quanto il disio fa venire alla mente, ma il dovere di tacere, guardare dall'altra parte e non muovere le mani (anche una toccata involontaria può costare 18 mesi di carcere!);
se al diritto della donna di passeggiarmi innanzi (per via o, peggio, sul lavoro) mostrando liberamente le sue fattezze e suscitando consapevolmente o meno disio non corrisponde, secondo ragione, il mio diritto ad altretanto liberamente mirare, seguire e disiare e cercare di ottenere come sarebbe in natura (ovvero gioiosamente e senza intenzioni ostili), ma il dovere a pensarci due volte se e come farmi avanti, per non rischiare l'accusa di molestia;
se all'illimitate licenza vostra nell'esprimere la vostra natura (nel poter suscitar disio, attirare e mostrarsi) dovrebbe corrispondere il mio obbligo (nel disiare, seguire e mirare), a reprimere, limitare, nascondere la mia natura corrispondente;
allora la libertà e la libertà nel sesso esistono soltanto a senso unico (femminil-femminista) e l'uomo non può non sentirsi oggettivamente castrato da leggi e costumi.

Nonostante, partendo da presupposti di uguaglianza e libertà, la ragione porterebbe a considerare uguali diritti e doveri nelle libertà sessuali, e comunque a non infierire su chi si "prende qualche libertà di troppo" con l'altro sesso (almeno fino a quando non diviene oggettivamente violento, minaccioso o ostile) secondo voi si dovrebbe imporre questa visione della sessualità politicamente corretta in senso puritano-femminista. Nonostante, partendo da presupposti uguale dignità umana, la ragione porterebbe a considerare ugualmente degni i diversi comportamenti naturali femminili e maschili, bisogna per voi ragionare come negli usa ove qualsiasi espressione della sessualità viene vista come segno di libertà, bellezza e progresso quando è femminile e oppressione, volgarità, crimine quando è maschile, ove qualsiasi comportamento sessuale femminile viene considerato segno di emancipazione, di moda da proporre, di naturalità da esaltare, di costumi evoluti e raffinati, mentre i corrispettivi comportamenti maschili vengono condannati addirittura come reati.

Quello che dici in seguito ne è la prova.

Tu sostieni (chiamandoci bambini e invitandoci a non piangerci addosso) che il ferimenti intimo, la truffa sessuale, il sentimento di irrisione al disio, umiliazione pubblica e privata, inappagamento fisico e mentale e disagio da sessuale ad esistenziale, conseguenti la "stronzaggine" femminile sussistano solo dal punto di vista maschile e a causa della specifica psicologia maschile (fatto tutto da dimostrare su cui tornerò in seguito).
A parte che, in ogni caso, una armonica convivenza fra i sessi basata sul riconoscimento reciproco e su una reciproca gentilezza di cor dovrebbe indurre ciascuno ad evitare, per quanto possibile, atti e comportamenti tali da provocare nella soggettività psicologica dell'altro sofferenza fisica o mentale, ferimento emotivo o disagio di qualsiasi natura (ossia che, come dice l'unica donna degna di dialogo in questa discussione, le donne considerino la prospettiva maschile almeno quanto gli uomini considerino quella femminile), le tue parole implicano l'esistenza di due sole alternative (e non 5 o più) per l'uomo: o sforzarsi di reprimere la propria natura (per la quale il disio dei sensi vuole il loro appagamento nel rapporto amoroso) e di assumere un sentire femminile (per il quale, a tuo dire, il sensuale non implica il sessuale) o continuare a percepire l'attrazione e la repulsione, l'illusione e la delusione, la promessa implicita di paradiso seguita dall'inferno della negazione nei modi descritti come una sofferenza.

E cos'altro è la castrazione psicosessuale se non l'impossibilità di sfuggire a tale dualismo, se non l'obbligo, quindi, per sfuggire al dolore, di privarsi della propria natura sessuata per abbracciare quella opposta?

Anche le argomentazioni correlate sono insussistenti.

Dire che se un uomo (per le proprie naturali debolezze psicosessuali) non è in grado di reagire in autodifesa dalla seduttrice merita da questa di essere distrutto materialmente e moralmente (o comunque di lasciarsi ferire nella sfera psicosessuale) è come dire che se un adonna non è in grado di difendersi dalla violenza allora non è colpa dell'uomo se questa viene violentata.

CAPITOLO 7) i vostri "diritti"
In primis non l'arbitrio maschile, ma la natura stabilisce la corrispondenza tra i sensi e il rapporto sessuale, giacchè, quando la primavera fiorisce e zefiro dispiega il suo soffio fecondo, il disio dei primi è ciò con cui i maschi vengono chiamati a ricercare il secondo, per riprodurre la vita specie per specie. Se dunque le femmine umane intendono, per motivi afferenti la loro particolara vanagloria, spezzare questa amorosa e naturale corrispondenza devono comunicarlo ogni volta preventivamente ed in maniera chiara.

In secundis, se anche tale corrispondenza fosse propria alla sola soggettività maschile, se anche il fatto di sentirsi sessualmente truffati, molestati, ingannati e irrisi, ovvero illusi e delusi, da una donna che susciti ad arte il disio solo per compiacersi della sua negazione fosse correlato ad una situazione psicologica specifica dell'uomo, avremmo comunque il diritto a vedere vietato da leggi e costumi quanto ci fa sentire irrisi nel disio, feriti nell'intimo, sofferenti nell'emotività e violanti nella psiche esattamente come leggi e costumi vietano quanto offende, ferisce o urta la soggettività femminile.
Per noi magari non costituirebbe una molestia sentirci toccati e non sarebbe un trauma così grave essere forzati ad un rapporto sessuale (secondo natura), ma poichè tali fatti possono far sentire una donna offesa, ferita o urtata nell'intimo (molestie sessuali) e addirittura violata nella psiche (stupro) , le molestie sessuali e lo stupro vengono da noi considerati reati da punire proporzionalmente al danno procurato alla vittima, nell'interesse della tutela della donna. Allo stesso modo si dovrebbero tutelare gli uomini dalle molestie (visive, verbali, gestuali, emotive) delle stronzette e dalle violenze sessuali psicologiche (e a volte pure materiali, morali e giudiziarie) delle stronze. Dire che la colpa del mio male è della mia eccessiva o sbagliata sensibilità, della mia incapacità ad accettare di essere sessualmente irriso e frustrato e a subire continuamente illusione e delusione, attrazione e repulsione, invito e disprezzo da chi mi ha invitato a disiare, è come dire che la colpa delle sofferenze di chi è vittima di violenza sia non del violentatore, ma dell'eccessiva e "sbagliata" sensibilità femminile incapace di sopportare rapporti forzati senza sentirsi traumatizzata. Chissà che putiferio se in un blog di uomini io rispondessi ad una donna "violentata" che "deve crescere" e superare certi ferimenti dovuti ad eccessiva sensibilità con una bella tinozza d'acqua bollente, come Claudia Cardinale in C'era una volta il West!
Lo schema (aberrante) di ragionamento è lo stesso, cambia solo la gravità del trauma (se ci riferiamo a quanto ogni mondo civile ha da sempre riconosciuto e punito come stupro, altrimenti, se allarghiamo la definizione al concetto omnicomprensivo attuale di "violenza sessuale" troviamo anche fatti che lasciano sulle vittime femminili ben meno traumi psichici di quelli causati dalla reiterata stronzaggine femminile sui giovani maschi, vittime oggi sempre più incontestabilmente di danni variabili dalla cosiddetta "anoressia sessuale" al suicidio, dal precoce bisogno di prostitute ad un disagio psichico ora celato con l'ironia ed ora pronto ad esplodere in eccessi di aggressività: che per millenaria consuetudine "cavalleresca" o per moderno appiattimento sul femminismo, gli uomini tendano a negare spesso anche a loro stessi le proprie sofferenze, non toglie che essi in tali casi siano davvero vittime). O vuoi forse dire che solo la sensibilità femminile possa farsi legge mentre quella maschile debba essere negletta dalle leggi e calpestata dai costumi? Che quanto urta la particolare sensibilità femminile (atti, detti, sguardi o toccate) debba essere considerato offensivo, punito dalla legge e giustificante la vendetta più ampia, crudele, dolorosa e soggettiva da parte della donna e quanto invece ferisce (in maniera spesso assai più grave, come si può oggettivamente rilevare dal numero di suicidi cagionati da una donna o, senza arrivare agli estremi, dalla diffusione fra i maschi di problemi come l'anoressia sessuale o il precoce bisogno di prostitute) l'altrettanto particolare (e non già inesistente) sensibilità maschile (ad esempio il comportamento intriso di stronzaggine, divenuto regola nelle femmine moderne, anche quando non usano le mani, e spesso motivato da prepotenza, vanagloria, necessità di autostima o sadismo o comunque volontà di provocare sofferenza emotiva) sia trascurabile, non penalmente rilevante, appartenente alla normalità, alla tollerabilità o comunque al "diritto della donna" e non provocante in sé offesa o umiliazione (anche se è quanto l'uomo prova, di fronte a sé o agli altri, quanto sente come intima ferita nella sessualità e può provocargli traumi, blocchi psicologico e metterlo a disagio emotivo, momentaneo e poi esistenziale)?

In tertiis, basterebbe un argomento puramente logico a concludere la discussione. Chi suscita ad arte il disio dei sensi innanzi ALL'UOMO non può oggettivamente non essere considerata responsabile di inganno, ferimento e frustrazione qualora sappia fin da principio di non voler appagare ciò che NELL'UOMO (ovvero nello specifico della emotività maschile) ha suscitato, a prescindere dall'importanza e dal significato filosoficamente attribuiti ai sensi e al sesso.
L'unica eccezione potrebbe essere fatta per chi non sappia di suscitare un tale disio con un certo comportamento, ma questa incosapevolezza può essere considerata credibile per ben poche "innocenti" creature femminili...
Negli altri casi vi è il dolo. La donna sa che il suo comportamento suscita un disio che per il fatto stesso di non poter essere appagato (almeno non in quella situazione) genera nell'uomo un senso di frustrazione, irrisione, umiliazione e nullità. Vi è dunque il dolo: la donna sa che per me sensi=sesso e ne approfitta per ferirmi, umiliarmi, irridermi o tiranniegggiarmi (e anche se valesse l'eguazione "sensi=solo sensi" sarebbe comunque un ingannatrice, non concedendo di solito agli ammiratori di toccarla coi sensi).
Nella maggioranza dei casi non si può dunque considerare la stronza innocente con la spiegazione secondo cui per lei, in quanto donna, non varrebbe l'equazione maschile "sensi=sesso". Con lo stesso tuo ragionamento si potrebbe per assurdo dire: lo stupratore non sa che per la donna rapporto forzato= trauma, quindi lo stupratore è innocente.

IN FINE
Alla luce di quanto ho cercato di esporre, non risulta esatta (o perlomeno completa) l'affermazione secondo cui la stronza si limiterebbe a "provare piacere" (nel sentirsi disiata). Avendo già distinto fra il naturale istinto femminile d'esser universalmente belle e disiate ed il patologico bisogno d'autostima dell'attrarre a sè (o addirittura indurre ad arte a farsi avanti e a tentare un approccio) sconosciuti che non si è interessate a conoscere ma solo a ingannare, far sentire nullità e frustrare sessualmente, posso a ragione sostenere che nel secondo caso la motivazione non è affatto semplicemente "provare piacere", ma, esattamente come nel caso degli stupratori psicologici (don giovanni), provare piacere nel sedurre una psiche per poi distruggerla, provare piacere negando quanto si è promesso, provare piacere sulla sofferenza, l'umiliazione e la frustrazione altrui.
La stronza prende godimento non dal semplice fatto di sentirsi bella e disiata (come le donne normali) ma dalla possibilità di sfruttare tale fatto per far sentire l'altro una nullità (uno fra i tanti, un banale scocciatore), per renderlo ridicolo innanzi a sè e agli altri (dopo averlo indotto a farsi avanti), per fargli provare (nel corpo come nella psiche) le pene infernali della negazione dopo la promessa del paradiso della concessione,
per infliggere continuamente alla controparte maschile tensione psicologica, ferimento intimo, senso di nullità , irrisione al disio, umiliazione pubblica e privata, inappagamento fisico e mentale degenerante se ripetuto in ossessione e disagio scivolante da sessuale ad esistenziale
per esercitare, a vario livello e in ogni occasione (dalla più occasionale e fugace in disco o per via alla più lunga e sentimentale in un rapporto), perfidie sessuali, tirannie erotiche o avvelenamenti sentimentali d'ogni sorta.
Ecco dove sta la perversione. Ecco perchè la stronzaggine non è liquidabile come "atto comune a chiunque voglia piacere agli altri o comunicare".

La liceità di un comportamento dovrebbe misurarsi non poi solo su quanto esso ci appaghi (fisicamente o psicologicamente), ma anche su quanto provochi nel corpo e nella psiche altrui.
Altrimenti che dialoghiamo a fare? A che pro cerchiamo di immaginare la situazione emotiva dell'altro?
Giustificare la stronzaggine con il "fa sentire bene le donne con loro stesse" equivale, come schema concettuale, a giustificare i bruti con il "li fa sentire forti e sani". Quindi il tuo è femminismo parimenti degenere quanto un certo maschilismo, in quanto allo stesso modo legittima atti unilaterali (peraltro agiti sfruttando situazioni di debolezza psicofisica nella sfera sessuale) che, se appagano una certa componente naturale in un sesso, feriscono la controparte.

Che diritto ha ella di generarmi frustrazione?

Perchè tale rimane il mio sentimento sia che secondo natura continui a guardare (giacché la situazione mi fa sentire un puro nulla innanzi a colei che tutto può poiché da tutti è disiata) sia che costringendomi contro natura guardi dall'altra parte (poiché comunque il disio è già stato suscitato e anche la semplice consapevolezza di esser vicini a quanto non si può raggiungere fa permanere lo stato di frustrazione)!

Che diritto ha la donna, per capriccio, vanità, autostima o diletto sadico, di sfruttare la situazione per infliggermi ferimento intimo suscitando ad arte il disio compiacendosi poi della sua negazione (e di come questa, resa da una scientifica e pianitifaca perfidia massimamente beffarda per il disio, umiliante per l'animo e dolorosa per il corpo e la psiche dei malcapitati, possa provocare le pene dell'inferno della privazione dopo le promesse del paradiso della concessione)?

Che diritto ha di provocarmi intenzionalmente sofferenza emotiva, irrisione al disio, frustrazione nel profondo, umiliazione pubblica o privata, inappagamento fisico e mentale, disagio degenerante da sessuale ad esistenziale
(con conseguenze variabili dall'anoressia sessuale alla perdita di ogni altro interesse per la vita e di ogni residua speranza di felicità, fino al possibile suicidio, passando per l'incapacità futura di sorridere ancora alla vita e al sesso o di poter approcciare una donna senza sentirla come potenziale fonte di ferimenti, inganni, tirannie e perfidia d'ogni sorta)?

Che diritto ha la donna a trattare con sufficienza o aperto disprezzo chiunque tenti un qualsiasi avvicinamento erotico-sentimentale, mostrare pubblicamente, per capriccio, vanità, aumento del proprio valore economico sentimentale o gratuito sfoggio di preminenza, le proprie grazie solo per attirare, illudere e sollevare nel sogno chi poi si vuole far cadere con il massimo del fragore, della sofferenza e del ridicolo?

Che diritto ha di rendermi ridicolo davanti a me stesso o agli altri qualora tenti un qualsiasi approccio,

Che diritto ha di causarmi dolore fisico o psicologico nell'attirarmi e nel respingermi?
Che diritto ha di trattarmi come uno qualunque, un banale scocciatore, dopo avermi scelto fra tanti e illuso solo per farmi patire l'inferno dopo la speranza di paradiso?

Che diritto ha di appellarmi molesto dopo avermi appositamente attratto e indotto implicitamente a farmi avanti in maniera da lei considerata magari maldestra?

Che diritto ha insomma di usare l'arma erotico sentimentale per infierire su chi psicologicamente si trova in svantaggio nei primi momenti di incontro (occasionale e breve come sentimentale e lungo) con l'altro sesso?

Che diritto ha a trattare con sufficienza o aperto disprezzo chiunque tenti un qualsiasi avvicinamento erotico-sentimentale, mostrare pubblicamente, per capriccio, vanità, aumento del proprio valore economico sentimentale o gratuito sfoggio di preminenza, le proprie grazie solo per attirare, illudere e sollevare nel sogno chi poi si vuole far cadere con il massimo del fragore, della sofferenza e del ridicolo?

Che diritto ha a diffondere disio agli astanti e attrarre a sè (o addirittura indurre ad arte a farsi avanti e a tentare un approccio) sconosciuti che non si è interessate a conoscere ma solo a ingannare, far sentire nullità e frustrare sessualmente, dilettarsi a suscitare ad arte disio per compiacersi della sua negazione e di come questa, resa massimamente beffarda, umiliante e dolorosa per il corpo e la psiche da una raffinata, intenzionale e premeditata perfidia, possa far patire le pene infernali della negazione a chi è stato dapprima illuso dal paradiso della concessione?

Che diritto ha ad attirare e respingere con l'intenzione di infliggere continuamente tensione psicologica, ferimento intimo, senso di nullità, irrisione al disio, umiliazione pubblica e privata, inappagamento fisico e mentale degenerante se ripetuto in ossessione e disagio scivolante da sessuale ad esistenziale (con rischio per il giovane maschio di non riuscire più a sorridere nel sesso e di avvicinarsi ad una donna senza vedervi motivo di patimento, tirannia e perdita di ogni residuo interesse per la vita), ad usare insomma sugli uomini l'arma della bellezza in maniera ancora più malvagia di quanto i bruti usino sulle donne quella fisica.

Una donne intellettualmente onesta dovrebbe riconoscere come il fare la stronza, ovvero l'approfittare di una situazione di debolezza (in questo caso psico-sessuale) della controparte per infierire su di essa, ingannarla, ferirla, umiliarla per qualsiasi motivo (dal capriccio, alla vanità, all'interesse economico-sentimentale, al gratuito sfoggio di preminenza al gusto sadico o alla vendetta arbitraria verso un intero genere) è un atto di prevaricazione non qualitativamente dissimile da quello compiuto dal bullo più grosso nei confronti dello studentello più piccolo, e
non trincerarsi dietro all'ovvio diritto (ed io non lo metto in discussione) a dire di no (specie se i no non sono dei "no grazie", ma dei "forse" pronunciato con il massimo dell'ambiguità e della perfidia sessuali).

Non metto dunque in dubbio il diritto a "dire di no" senza essere minacciate o violentate, ma non riconosco il "diritto" a definire a posteriori e secondo i priopri soggettivi, indomostrabili, impredicibili (a priori) e inconoscibili (dall'esterno) parametri il confine fra lecito e illecito (il quale deve essere secondo il diritto oggettivamente definito, dimostrabile e chiaro a tutti a priori: la mancanza di consenso deve essere tangibilmente provata), e soprattutto mi rifiuto di considerare penalmente rilevante qualunque atto, gesto, detto, toccata e persino sguardo (pur non avendo nulla di oggettivamente violento o molesto, ma la sola colpa di esprimere disio naturale per il corpo della donna e di non essere da questa a posteriori e soggettivamente gradito) produca (secondo la dichiarazione sempre a posteriori di quella stessa donna che magari prima o altrove lo ha implicitamente indotto o addirittura socialmente preteso) il minimo o presunto danno alla soggettività femminile nella sfera sessuale, mentre quanto ferisce in maniera assai più evidente (dalle conseguenze: dall'anoressia sessuale al suicidio, dall'incapacità a sorridere ancora alla vita e al sesso all'impossibilità di approcciarsi normalmente ad una donna senza vedervi una potenziale fonti di tirannie, inganni e perfidie) e profonda (l'abbiamo vissuto tutti) la nostra diversa (e non già inesistente) sensibilità nella stessa sfera è ancora considerato "normalità", "gioco" "invenzione maschile in realtà inesistente", o comunque qualcosa di "trascurabile", "divertente", "sopportabile" o addirittura "dovere di cavaliere da sopportare", "diritto della donna a infliggere" e "bello dell'essere donna".

P.S.
La minore frequenza dello stalking della donna sull'uomo è dovuta al fatto che spetta a noi corteggiare e non a voi (solo chi deve fare può sbagliare). E al fatto che noi sembriamo crudeli, voi lo siete, voi sembrate sentimentali, noi lo siamo.

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