La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Pazar, Ekim 28, 2007

CAPORETTO (undicesimo episodio)

Oggi vi sono stato!

Cumartesi, Ekim 27, 2007

CAPORETTO (decimo episodio)

Cuma, Ekim 26, 2007

CAPORETTO (nono episodio)
ancora problemi tecnici

Etiketler:

Perşembe, Ekim 25, 2007

CAPORETTO (ottavo episodio)
problemi tecnici

Çarşamba, Ekim 24, 2007

CAPORETTO (ottavo episodio)
problemi tecnici

Salı, Ekim 23, 2007

CAPORETTO (settimo episodio)

che ritarda ad andare in onda perché a differenza del 1917 oggi esistono i progetti di ricerca con le loro tiranniche scadenze e le relative costrizioni a redigere relazioni fino a tarda ora.

N.B. Vi è qui un riferimento alla vita reale. Pertanto, questo messaggio si autodistruggerà appena la Sublime Porta avrà tempo di riprendere il diario di Caporetto (e andranno allora in onda gli episodi 6 e 7).

Pazartesi, Ekim 22, 2007

CAPORETTO (sesto episodio)






















Nell'episidio di ieri andato perduto per coincidenza con il Gran Premio del Brasile di Formula 1, il colonnello Calcagno, inviato dal comando supremo. aveva passato tutta la giornata fra la conca di Plezzo e l'inizio della Bainsizza per verificare lo stato effettivo della fronte e raccogliere le richieste dell'ultim'ora dei singoli corpi d'armata (in particolare il IV del generale Alberto Cavaciocchi e il XXVII del generale Pietro Badoglio, che tenavano la prima linea dal Rombon a Tolmino ove era previsto l'attacco). Non avendo potuto seguirlo di persona, ripercorriamo almeno la linea del fronte da lui visitata, con l'ausilio di qualche citazione (a conferma peraltro di quanto detto ripetutamente anche da Costantinopoli), da
http://www.grandeguerrafvg.org/page/content/menu/3





















LE LINEE DIFENSIVE DELLA 2° ARMATA
Linea avanzata, di difesa ad oltranza, d'Armata
Nell’ottobre 1917 la struttura difensiva della 2^ Armata nel settore dell’alto Isonzo era costituita da una molteplicità di linee, generalmente tre (avanzata, di difesa ad oltranza, di Armata) e dalla presenza di altre posizioni di raddoppio.
Le tre linee presentavano le seguenti caratteristiche generali: - linea avanzata, coincideva con le posizioni conquistate dopo le prime operazioni del 1915. Era debole perché non seguiva criteri difensivi, ma rappresentava il margine raggiunto dopo le varie azioni offensive. Con il passare dei mesi aveva raggiunto una certa consistenza grazie a notevoli lavori campali ma risultava soggetta all’osservazione avversaria, molto spesso risultava esposta a tiri d’infilata, e, in alcuni punti, anche attaccabile alle spalle. Questa era la sola linea presidiata dai reparti, mentre quelle arretrate dovevano essere occupate solo in caso di necessità. Se la linea avanzata non avesse resistito il tempo sufficiente a consentire l’attivazione delle linee retrostanti, queste, nonostante la loro forza intrinseca, sarebbero risultate inutili. - linea di difesa ad oltranza, questa linea era più forte di quella avanzata perché comprendeva fin dalla sua progettazione posizioni di notevole valore difensivo (i cd. “capisaldi”), poteva contare inoltre sull’appoggio dell’artiglieria e permetteva azioni di fiancheggiamento. In alcuni tratti le prime due linee si potevano fondere in un unico sistema o per la mancanza di terreno utile (profondità) o per la capacità impeditiva della zona. - linea d’Armata, come la precedente si appoggiava ad elementi forti del terreno che potevano ostacolare i movimenti dell’avversario favorendo, nel contempo, la difesa cd. attiva. Era integrata da ulteriori tracciati che ne rafforzavano il disegno complessivo formando dei compartimenti dove bloccare eventuali penetrazioni nemiche

LINEE CONTRAPPOSTE FRA PLEZZO E TOLMINO
Dal giugno 1915, dopo l’occupazione del Monte Nero (Krn, m 2245), le linee contrapposte non subirono variazioni di rilievo per ventotto mesi estendendosi, con andamento Nord – Sud, le italiane dal Čukla alla piana di Volče e quelle austro – ungariche dal Rombon alla testa di ponte di Tolmino (Tolmin).
La linea avanzata italiana, coincidente con le posizioni raggiunte dopo le prime operazioni del 1915, rimontava dal vallone dello Slatenik alle trincee blindate della sella di quota 1270 e da là raggiungeva il Kal (Cocuzzolo Camperi, m 1698) posto all’estrema propaggine della dorsale del Vršič (m 1897), proseguendo poi lungo l’affilata cresta del Vrata – Krn fino a raggiungere l’acrocoro del Monte Rosso (Batognica, m 2164). Riprendeva poi più in basso attestandosi alle pendici occidentali dell’allineamento Sleme – Mrzli vrh – Vodil, raggiungendo la sinistra Isonzo nel fondo valle davanti all’abitato di Gabrje. Riprendeva solcando la piana acquitrinosa di Volče fino a Čiginj, inerpicandosi poi sulle ridotte dello Ješenjak e dello Ježa a fronteggiare le munite posizioni austro – ungariche di Santa Maria - Mengore e di Santa Lucia di Tolmino (Selski vrh). Alla 1^ linea seguiva la linea di difesa ad oltranza, che dalla stretta di Šaga si portava sulla catena del Polovnik e sul Krasji vrh per poi raggiungere più in basso la sella di quota 1270 andando a coincidere con la precedente linea avanzata fino alla cuspide del Monte Nero. Ridiventava un tracciato autonomo scendendo per il Kožljak e il Pleče all’Isonzo presso la località di Selišce. Oltre l’Isonzo risaliva sulla Costa Raunza per Foni e il Leisce vrh a raggiungere la ridotta di Cemponi da dove, fino al Grad si fondeva con la prima linea. Una terza linea, detta d’Armata, proteggeva le vie di comunicazione con la pianura friulana, sbarrando la Valle Uccea tra il Monte Guarda e la catena dei Musi e correndo lungo la dorsale dello Stol fino allo Starijski si portava davanti a Caporetto con il caposaldo del Volnik a sud di Drežnica, da dove ripassava sulla destra Isonzo per Idrsko inerpicandosi poi per Golobi fin sulla cima del Kuk di Livek da dove proseguiva sulla lunga gobba del Colovrat fino al Korada. Gli austro - ungarici occupavano invece tutte le dorsali che fronteggiavano le posizioni italiane mantenendo in gran parte posizioni sopraelevate o comunque tatticamente più favorevoli alla difesa, potendo anche sfruttare per le linee arretrate e i rifornimenti l’ampio acrocoro del Bogatin. Dal Rombon (m 2208), passando per le posizioni antistanti il Čukla, la prima linea scendeva nella conca di Plezzo attestandosi sulle alture del Ravelnik da dove per lo Javoršček e Sella Golobar raggiungeva lo sperone Nord Ovest del Vršič, mantenendosi a pochi metri dalla ridotta italiana del Kal (Cocuzzolo Camperi). Poggiando poi sulla bastionata formata da Lipnik (m 1867), Veliki Lemež (m 2043), Šmohor (m 1939) e Vrh nad Peski (m 2176), formava un arco di cerchio attorno alla rocciosa conca del Krnsko jezero (Lago Nero) agganciando le trincee italiane sul ciglione del Monte Rosso (Batognica) che poi abbandonava per sovrastarle dalla creste del Maselnik (m 1903), Stador (m 1903) e Rdeči Rob (m 1913). Passando per lo Sleme, il Mrzli e il Vodil raggiungeva la sinistra Isonzo nei pressi dell’abitato di Dolje a qualche centinaio di metri dalle linee avanzate italiane di Gabrje. Completavano le difese l’isolato cono del Grad che assieme alle alture di Mengore e Santa Lucia costituiva un formidabile sistema dominante il fondo valle Isonzo a protezione di Tolmino. (estratto da: “Da Tolmino a Caporetto lungo i percorsi della Grande Guerra tra Italia e Slovenia” di Marco Mantini)

LINEE ARRETRATE DELLA 2° ARMATA

Nel settore dell’alto Isonzo l’avanzata delle truppe italiane contro l’Austria - Ungheria portò, fin dall’inizio del conflitto, la linea del fuoco al di là del fiume, nell’area compresa tra Plezzo (Bovec) e Tolmino (Tolmin) con fulcro la conca di Caporetto (Kobarid) e l’arco montano dal Mrzli vrh alla catena del Monte Nero (Krn, m 2245).
Con lo stabilizzarsi del conflitto in una guerra di posizione, il Comando Supremo italiano dispose la costruzione nell’area di competenza della 2ª Armata di un imponente sistema difensivo che proteggesse alle spalle le sue grandi unità schierate sul Carso e sull’Isonzo in caso di sfondamento delle linee avanzate. La linea principale di difesa, tracciata nell’estate del 1915, partiva da monte Stol si sviluppava per circa 120 km, comprendendo la conca di Caporetto, le dorsali fra Judrio e Isonzo, per scendere lungo l’allineamento Collio – Korada e proseguire attraverso la pianura isontino fino al mare. Questa linea, detta d’Armata, proteggeva le vie di comunicazione con la pianura friulana, sbarrando la Valle Uccea tra il Monte Guarda e la catena dei Musi. Correva lungo la dorsale dello Stol fino allo Starijski vrh portandosi davanti a Caporetto con il caposaldo del Volnik a sud di Drežnica a formare testa di ponte, da dove ripassava sulla destra Isonzo per Idrsko inerpicandosi poi per Golobi al Kuk di Livek e proseguire lungo la dorsale Colovrat – Ježa – Globočak - Korada – e per i capisaldi di Planina, Verhovac, San Floriano, Mossa fino al monte Fortin. Altre linee, più arretrate, ne completavano la sistemazione raddoppiandola alla testata della valle del Rieca e a cavallo della valle dello Judrio e in alcuni tratti anche triplicandola come nella zona del fiume Torre dove si collegava con le ulteriori opere di difesa poste alle spalle della 3^ Armata impegnata sul fronte carsico. Il loro tracciato si sviluppava su tre ulteriori linee: - la linea ad ovest di Caporetto, Starijski vrh – Robič (Molida) – Jelovac (Ilovec) - Golobi, che sbarrava la Valle del Natisone (il tratto Jelovac – Golobi non era ancora completato); - la linea contraddistinta dalle posizioni: Mrzli del Matajur – valle Rieca – Monte San Martino – Trusgne – valle Judrio – Pušno, che sbarrava le valli dei torrenti Rieca e Judrio e di conseguenza gli sbocchi alla piana di Cividale; - la linea sulla destra dello Judrio, che da Passo Zagradan seguiva il tracciato: Clabuzzaro – Monte Cum (Hum) – Monte San Giovanni – Špik - Castelmonte – Monte Planjava, Monte Brischis – Monte San Biagio. Quest’ultima raddoppiava quella d’Armata nel tratto Ježa – Globočak - Korada e aveva ancora un’appendice sui monti Mladesiena, dei Bovi e Purgessimo alle porte di Cividale. Sul suo stato di efficienza un documento del Comando Genio della 2^ Armata datato 22 ottobre 1917, due giorni prima dell’avvio della battaglia di sfondamento, parla di “Trincee continue con reticolati fissi, su due ordini di trincee di vecchio tipo che si stanno in parte modificando. In tale linea costruita con i criteri in uso nei primi tempi della guerra il lavoro delle trincee è assolutamente sproporzionato rispetto al numero di ricoveri e quello degli appostamenti di mitragliatrici ricavati in caverna o blindati alla prova. Tale osservazione può ripetersi per tutta la linea fino al Globočak e per quella che dal Globočak per Lig - Korada – Planina si riattacca alla linea dei capisaldi al Verhovac per discendere quindi a Mossa. Le linee arretrate non vengono descritte giacché da lungo tempo non furono ad esse apportate nessuna modificazione ”. Le difese realizzate nell’area di competenza della 2^ Armata vennero attuate senza celerità e con metodologie antiquate non aderenti alle nuove tecniche di combattimento che prevedevano, fra l’altro, l’uso massiccio dell’artiglieria di grosso calibro e l’impiego diffuso di gas asfissianti anche in profondità. Di fronte a questi metodi si sarebbe reso necessario il potenziamento dei ricoveri per la fanteria e per le armi di supporto e copertura, pezzi d’artiglieria e mitragliatrici oltre all’utilizzo di nuove tipologie di trinceramenti. La conferma di questo stato si ebbe tragicamente nell’ottobre 1917, quando investita dalle forze tedesche provenienti dalla testa di ponte di Tolmino, la linea cedette aprendo la strada all’invasione della pianura friulana.

L'ORGANIZZAZIONE DEI LAVORI DIFENSIVI

L'asprezza dei luoghi, le difficoltà nei rifornimenti e le dure condizioni climatiche imposte da un fronte alpino costrinsero i due avversari a un’imponente opera di rafforzamento e sistemazione delle posizioni e la creazione a tergo di un complesso sistema di comunicazioni necessario a raggiungere in ogni modo luoghi prima sconosciuti o zone considerate inaccessibili all’uomo. Tale fu la mole dei lavori che montagne e vallate subirono profonde trasformazioni e ancora oggi se ne conservano le vestigia lungo tutto il fronte isontino.
Dal 1916 il genio d’Armata organizzò i lavori dall’Adriatico al Rombon ripartendoli in otto zone, le prime quattro comprendevano il Carso e il basso Isonzo (3ª Armata), le rimanenti includevano il medio e l’alto Isonzo, territorio affidato alla 2ª Armata. Al 24 ottobre 1917 questa rappresentava la più grande struttura operativa dell’esercito italiano contando una forza di oltre 660.000 uomini dispiegati su quasi 80 km di fronte. In particolare la quinta zona eseguiva le opere tra Gorizia, Cormons e il Collio, la sesta dalle alture a nord di Gorizia alla dorsale dello Judrio, mentre la settima e l’ottava zona gestivano i cantieri rispettivamente in Val Rieca e nell’alto Isonzo. Lo sviluppo assunto dalle opere campali, dalla costruzione di strade, mulattiere, trincee, baraccamenti, piazzole per l’artiglieria dimostrò in breve l’insufficienza dei reparti normalmente impiegati. Non solo in due anni il genio militare moltiplicò i reparti, ma a questi si aggiunse l’impiego delle centurie, unità costituite da militari delle classi anziane o da quelli “meno atti alle fatiche di guerra” ma comunque capaci sterratori e cavatori, oltre al ricorso ai reparti di civili militarizzati, i cd. “operai borghesi” nell’ordine di diverse migliaia per Armata reclutati tra gli abitanti dei luoghi prossimi alle zone di operazione e dall’interno del paese. (tratto da: “Da Tolmino a Caporetto lungo i percorsi della Grande Guerra tra Italia e Slovenia” di Marco Mantini) Comando del Genio della 2a Armata Direzione Lavori 6a Zona Castelmonte Liga (Lig) Cambresco (Kambreško) Prepotto Senico (Senik) Tribil Planina San Iacob Val Cosbana Vercoglia (Vrhovlje) Direzione Lavori 7a Zona Bucova Jeza (Bukova Ježa) Clabuzzaro Dugo Cambresco (Kambreško) Liga (Lig) Passo Zagradan Peternel Prapotnizza Tribil Jeza (Ježa) (tra parentesi il nome attuale)
C'è bisogno di dire che, nonostante tutte le deficienza difensive di cui abbiamo discorso nei precedenti episodi, tanto il generale Cavaciocchi quanto il generale Badoglio dichiararono di essere ben pronti e preparati a rintuzzare l'attacco nemico e addirittura di attenderlo con fiducia, di non avere bisogno di nulla che non fosse loro già stato concesso dal comando e che, come gran parte degli altri ufficiali superiori in quel momento, facevano a gara in ottimismo?

Eppure tutto questo non basta. Vi è ancora altro da sapere sul 22 Ottobre 1917.


22 OTTOBRE 1917 PAGINA MANCANTE
















Fino dal 1929 lo storico A. Lumbroso disse di aver saputo, alcuni anni prima, dal colonnello Adriano Alberti, capo dell' ufficio storico, che mancavano alcuni documenti allegati al Diario del XXVII corpo, relativi ai giorni 22 e 23 ottobre. Il colonnello Oreste Cantatore, allora maggiore, ricorda molto bene le vicende iniziali di quel diario, poichè lo compilò personalmente. Il 4 dicembre 1917 fu convocato ad Abano dal generale Badoglio, allora sotto capo di S. M. dell' Esercito, affinchè gli portasse il Diario da firmare. Dopo aver apposto le firme, Badoglio gli disse di recarsi a Padova e di consegnare il fascicolo al generale Della Noce, che era stato incaricato di iniziare accertamenti sulle cause della disfatta. Il Cantatore eseguì l' ordine e assicura che il Diario consegnato la sera stessa era completo di tutti gli allegati, ma fra quelli non vi era il documento del 22 ottobre. Su quel documento si sarebbero potute leggere due cose. La prima riguarda il mancato utilizzo dell'artiglieria del XXVII Corpo d'Armata (di cui abbiamo discusso nel terzo episodio), la seconda il dispiegamento della brigata Napoli (inviata a rinforzo dal comando della 2° armata).

Quanto al primo punto, avenone io già parlato, lascio parlare altre fonti:
http://www.centroricerchearcheo.org/03gm1/battaglie/caporetto_bat1.htm

l 10 ottobre Cadorna ordinò alla II^ Armata:
"durante il bombardamento nemico... si svolga una violentissima contropreparazione nostra. Si concentri il fuoco dei grossi e medi calibri sulle zone di probabile irruzione delle fanterie, le quali... dovranno essere schiacciate sulle linee di partenza. Occorre, in una parola, disorganizzare e annientare l' attacco nemico prima ancora che si sferri".
Il giorno dopo, il comando della II^ Armata diede analoghi ordini ai comandi di corpo d' armata. Invece, il 24 ottobre le artiglierie del XXVII corpo non aprirono il fuoco contro le masse nemiche concentrate nella conca di Tolmino. Il mistero di questo silenzio delle artiglierie, che sorprese gli stessi nemici, per il grandissimo vantaggio che ne trassero, è ormai chiaro. Le artiglierie che avrebbero dovuto "schiacciare" le fanterie nemiche dove sostavano prima di muovere all' attacco erano quelle di grosso e medio calibro, che contavano oltre 400 cannoni nel settore del XXVII corpo d' armata. Badoglio volle riservare a se stesso l' impiego e, per evitare interferenze del comandante dell' artiglieria, ottenne la sostituzione del generale Scuti, che era un valente artigliere, con il colonnello Cannonniere, il quale, per il più modesto grado gli dava maggiori garanzie di obbedienza. Badoglio disse per telefono al generale Capello di non volere dei "professori" perchè gli bastava avere un "esecutore di ordini". Presente a questo colloquio telefonico era l' allora maggiore Oreste Cantatore, uno dei tre ufficiali in servizio di stato maggiore al Comando del corpo d' armata. La sua preziosa testimonianza spiega il fatto che Badoglio non sentì il bisogno di diramare ordini scritti per l' impiego delle artiglierie di medio e di grosso calibro; gli bastò ripetere a Cannoniere ciò che aveva detto a Capello: che avrebbe disposto personalmente per il loro impiego. Cannoniere, convinto di non poter agire di sua iniziativa, nella notte dal 23 al 24 ottobre chiese a Badoglio di essere autorizzato a far aprire il fuoco; l' autorizzazione gli fu negata e le artiglierie non spararono. Fu pubblicato il testo di un ordine che Badoglio avrebbe diramato il 22 ottobre, nel quale si legge questa frase: "all' inizio del tiro di distruzione le nostre batterie di grosso e medio calibro dovranno intervenire battendo le trincee e i luoghi di raccolta del nemico". Il generale Badoglio avrebbe dunque eseguito, sia pure con un ritardo di dieci giorni, l' ordine del Comando della II^ Armata dell' 11 ottobre? Possiamo rispondere di no, perchè quel documento è apocrifo, sebbene rechi il numero di protocollo di uno dei Documenti spariti dal diario del XXVII corpo.

Quanto al secondo punto, vale la pena dilungarsi, dato anche che riguarda la data di oggi (22 Ottobre)

Fin dal 1916 il IV Corpo d'Armata aveva giurisdizione dal Rombon al Doblar, affluente dell'Isonzo a sud di Tolmino, quindi anche davanti alla testa di ponte austriaca. Sull'ala destra del fronte tenuto dal corpo d'Armata, davanti alla testa di ponte austriaca di Tolmino era schierata la 19° divisione (Generale Villani), la quale con i suoi 21 battaglioni occupava le linea avanzate che dalla sinistra dell'Isonzo davanti all'abitato di Gabrje, passando a destra del fiume, e solcando la piana acquitrinosa di Volče fino a Čiginj, per inerpicarsi poi sulle ridotte dello Ješenjak e dello Ježa ove fronteggiava le munite posizioni austro – ungariche di Santa Maria - Mengore e di Santa Lucia di Tolmino (Selski vrh) fino di nuovo all'Isonzo più a sud, all'altezza Doblar, si congiungeva, alla sinistra del fiume, con il XXVII Corpo d'Armata. Durante il settembre del 1917, però, per sostenere l'ultimo assalto alla Bainsizza, il comando della 2°armata assegnò la 19° divisione al XXVII Corpo di Badoglio, e così il IV dovette attingere dalla propria riserva il 2° e il 9° reggimento Bersaglieri per presidiare la linea dall'Isonzo al monte Plezia, e altri reparti (non certo consistenti come una divisione) per il tratto dal Monte Plezia di nuovo all'Isonzo. Nell'imminenza dell'attacco, accorgendosi della debolezza della difesa di quelle posizioni davanti alla invece fortissi,a testa di ponte austriaca di Tolmino, , il comando della 2° Armata, tenuto in quei giorni dal generale Montuori (Capello si era recato a Padova per farsi curare all'ospedale), volle rischierarvi l'intera 19° divisione e, per fare questo mantenendo l'attribuzione della divisione al XXVII Corpo d'Armata, cambiò (fatto genarante confusione in tempi tranquilli, sciagure in tempi critici) i confini fra questi e il IV Corpo. Alle 14.30 di oggi, 22 Ottobre, il comando della 2° Armata telegrafa l'ordine n°6155:
"Speciale stop Brigata Napoli passa a disposizione del XXVII Corpo d'Armata stop XXVII corpo prende lavori e presidio della linea Plezia-Foni-Isonzo stop Resta con ciò stabilito che la fronte del XXVII Corpo d'Armata in quel tratto giunge fino sull'Isonzo stop La difesa del fiume è affidata al IV corpo stop I pezzi da 70 someggiati che sono sulla fronte Plezia-Isonzo passano a disposizione del XXVII corpo stop Accusare ricevuta stop generale Montuori"
Giusta era l'idea di rafforzare il fronte davanti a Tolmino (sfruttando la cui ferrovia e le cui munitissime postazioni con tanto di gallerie sotterranee gli austriaci avrebbero potuto facilmente sostenere rifornimenti e comunicazioni per un attacco in profondità).
Giusta era l'intenzione che il IV Corpo avrebbe dovuto impiegare il 2° e il 9° bersaglieri (da considerarsi quasi truppe d'elite, nell'economia di quella guerra, per esperienza e valore) per altri compiti, ma assai maldestro il modo scelto.
Scrive infatti il Faldella
Il comando della 2° Armata prese una decisione che non è giustificabile. In linea di massima era già illogico, e dal punto di vista tecnico condannabile, modificare i limiti di contatto fra grandi unità, quando si sapeva imminente l'offensiva nemica. Nel caso specifico, poi, il pendio boscoso, e perché insidioso, che da Monte Plezia e Costa Ruanza digradava verso l'Isonzo costituiva un settore delicatissimo, perché fianco destro di un fondovalle di facilissima percorribilità. Il comando del XXVII corpo non aveva mai avuto occasione di occupersene, mentre il comando del IV l'aveva avuto da oltre un anno incluso nel proprio settore e ne aveva valutato la vulnerabilità; il 20 ottobre il generale Cavaciocchi richiamò l'attenzione dei comandi dipendenti sulla possibilità che il nemico approfittasse della fittissima nebbia per tentare azioni di sopresa "particolarmente in direzione della linea di congiunzione fra il IV ed il XXVII Corpo d'Armata".
Non basta: il IV corpo aveva organizzato con le sue artiglierie lo sbarramento di quel settore, mentre il XXVII corpo non disponeva di artiglierie di piccolo calibro che avessero azione su di esso. Inoltre il IV corpo aveva sul pendio di destra dell'Isonzo, divallante verso il fiume, e in fondovalle ben otto batterie di medio calibro e alcune di piccolo calibro che partecipavano allo sbarramentoi dinanzi alle linee del Mrzli e del Vodhil.
Non sarebbe stato più semplice riattribuire la 19° divisione al IV Corpo (con cui peraltro era stata fino a un mese prima) senza modificare i confini giurisdizionali fra corpi d'armata?
Ecco a cosa portò invece questo cambiamento

Il 2° e il 9° bersaglierei, a meno di quarantottore dell'attacco, conformemente agli ordini che limitavano la giurisdizione del IV Corpo all'Isonzo davanti a Gabrje (compreso il letto del fiume), sgomberarono (sicuri di essere rimpiazzati da più numerose truppe) la linea difensiva Plezia-Foni Isonzo (sulla riva destra) su cui avevano opportunamente predisposto trinceramenti, nidi di mitragliatrice, postazioni di artiglieria di piccolo calibro, filo spinato e soprattutto uno sbarramento del fondovalle Isonzo (per impedire che il nemico, da Tolmino, si dirigesse a nord, per la strada che sulla destra del fiume risale il fondovalle fino a Caporetto). Quella linea, che dal Monte Pleca scende alla strada del fondovalle, per un dislivello di 700 metri lungo un pendio ripido e boscoso, pieno di potenziali insidie per chi deve difendere, era di vitale in portanza per la solidità del sistema difensivo italiano, giacché se il nemico fosse riuscito a oltrepassarla, avrebbe potuto risalire l'Isonzo alle spalle non solo delle linee avanzate, ma anche di quelle di resistenza del IV Corpo d'Armata (che da Plezzo, prima per la dorsale del Polovnik, poi, in coincidenza con la linea di avanzata, per le vette del Monte Rosso, del Monte Nero, del Vrata e del Vrsic e infine, di nuovo di posizione arretrata, per la dorsale Kozliak-Pleca-Spika-Vrsno, correvano, comunque alla sinistra dell'Isonzo), e ricongiungersi, a Caporetto, con le truppe provenienti dalla conca di Plezzo. In tale evenienza il IV Corpo d'Armata si sarebbe trovato accerchiato pressoché per intero, provocando una falla incolmabile sul fronte giulio (poiché, come ricordato nel terzo episodio, dietro ad esso non vi erano né una linea d'armata solida e completa, né una presenza di riserve in grado di giungere entro 30-50Km di marcia a Caporetto o alla conca di Drezenca). Poiché poi il IV Corpo, costituendo l'estremità sinistra della Seconda Armata, aveva alla propria sinistra soltanto il XII Raggruppamento Alpini deputato a difendere la cresta carnica, e alla destra i buoni due terzi dell'esercito italiano (che erano schierati sull'Isonzo) un suo cedimento avrebbe comportato in primis l'aggiramento a nord della 2° Armata e in secundis la rottura del fronte isontino, dato che a quel punto anche la 3° Armata più a sud avrebbe dovuto ritirarsi per sfuggire all'accerchiamento: a quel punto non solo il XII Raggruppamento Alpini Carnia, ma anche la 4° Armata in Cadore avrebbero dovuto ripiegare verso sud, sparendo, con il crollo della fronte giulia, la loro protezione a tergo.
Non è dunque esagerato affermare che dalla tenuta della linea Plezia-Foni-Isonzo avrebbe potuto dipendere quella dell'intera fronte sull'Isonzo.
Avrebbe dovuto, nelle intenzioni giuste ma ingenue e maldestre del generale Montuori, essere presidiata dall'intera brigata Napoli, che era stata appena assegnata come rinforzo alla 19° divisione, la quale aveva le rimamenti brigate (Taro e Spezia), più il battaglione alpino Val D'Adige, per tenere il resto del suo nuovo fronte da Monte Pleca, lungo il Kolowrat, fino di nuovo all'Isonzo all'altezza di Doblar (ove dall'altra parte del fiume, a sinistra, si collegava alle altre divisioni del XXVII corpo). Purtroppo Pietro Badoglio era di avviso diverso riguardo all'impiego della Brigata Napoli.
Egli pensava che si potessero presidiare due chilometri e mezzo di pendio ripido, boscoso e perciò insidioso, per 700 metri di dislivello, con un battaglioncino di soli 400 uomini e concentrare tutti i restanti cinque battaglioni sul Kolowrat e sul suo rovescio. Ciò avrebbe avuto un minimo significato se almeno questi cinque battaglioni fossero stati disclocati in punti dai quali avrebbero potuto facilmente correre a difesa della linea in caso di attacco. Invece ecco, dal resoconto puntuale di Emilio Faldella, dove Badoglio li volle disposti
Il generale Badoglio dichiarò di aver precisato nell'ordine alla 19° divisione (n°3.268 delle ore 17.30 del 22 ottobre) che la brigata Napoli era messa alle sue dipendenze "col compito di occupare la linea Plezia-Foni-Isonzo e con l'avvertenza di impegnarla il meno possibile, costituendosi una riserva presso la linea".
Si dovrebbe arguire che alla 19° divisione fosse stata lasciata libertà di distribuire i battaglioni della brigata fra prima linea e riserva, riserva che per essere "presso la linea" avrebbe dovuto essere a ridosso di Monte Plezia e dietro lo sbarramento del fondovalle, a distanza tale da poter intervenire prontamente. Della dislocazione difettosa della brigata sarebbe dunque responsabile il comandante della 19° divisione e cioé il generale Villani.
Badoglio non fu sincero. Il suo ordine fu assai più preciso e vincolante, come risulta dalla relazione della 19° divisione:
a) Con le forze strettamente indispensabili occupare Monte Plezia e sorvegliare la stretta Isonzo a nord di Foni
b) Occupare il Monte Piatto ed il Podklabuc per assicurare il possesso del passo Zagradan
c) Tenere il maggior numero di battaglioni riuniti in un nucleo di manovra più prossime che possibile a Casoni Solarie.
corpo. Altro che sorvegliare la stretta! Prima di tutto non c'era una "stretta"Quel "sorvegliare la stretta" è la prova lampante del disorientamente del comando del XXVII ma un fondovalle percorribile con un'ottima strada; in secondo luogo non si trattava di "sorvegliare" ma di "difendere" e "difendere molto bene"!
Ambedue i compiti b) e c) imponevano alla 19° divisione di tenere la maggior parte dei battaglioni della brigata Napoli sull'alto della dorsale e sul suo rovescio.
Per eseguire l'ordine ricevuto il comando della 19° divisione dislocò (compito a) il III/76° fra Monte Plezia e Foni; il I e II/76° fra Monte Piatto e Podklabuc (compito b) e tutto il 75° fanteria col comando di brigata e due compagnie mitragliatrici a Case Ardielh (compito c).
Vi furono scambi di vedute fra il generale Villani e il generale Badoglio e questi confermò che la massa doveva gravitare in alto per manovrare e mantenere il possesso di passo Zagradan; in basso bisognava tenere lo stretto indispensabile.
Ma per "manovrare", esercitando un'azione efficace là dove essa poteva rendersi necessaria, la riserva avrebbe dovuto essere collocata ad una giusta distanza e non certo nei pressi di Casoni-Solarie, come prescrisse Badoglio. Per giungere da Casoni Solarie al fondovalle Isonzo, il 65° fanteria avrebbe dovuto superare cinquanta metri di dislivello in salita e ottocento metri di dislivello in discesa su territorio ripido e malagevole, per cui sarebbe stato costretto a marciare per uno o per due su una mulattiera.
Tra incolonnamento, marcia e schieramento avrebbe impiegato circa tre ore. Siccome, in realtà, fu dislocato a Case Ardielh, alquanto più in basso, avrebbe dovuto superare altri duecenticinquantametri di dislivello in salita e perciò non sarebbe giunto in fondovalle Isonzo in condizioni di combattere in meno di tre ore e mezzo/quattro ore.
Non si può certamente asserire che la riserva fosse, come dichiarò Badoglio "presso la linea Plezia-Isonzo"!
Il generale Villani chiese conferma di tale insensato ordine, sperando di poter dispiegare più di 400 uomini in quel punto tanto cruciale, e di schierare i rimanenti in posizioni più appropriate, ma l'ordine venne confermato di persona da Badoglio. Ora, è vero che gli ordini di Cadorna dicevano che la linea avanzata dovesse essere alleggerita, ma, lasciando perdere il non trascurabile controsenso che su tutto il resto della fronte del IV Corpo ciò pur non fu fatto, questo non può oscurare un'evidenza tattica assoluta e far pensare possibile abbandonare un punto così vitale per la difesa, sfondato il quale il nemico può infilarsi dietro addirittura la linea di resistenza minacciando d'accerchiamento un intero corpo d'armata! Alleggerire la linea avanzata significa togliere truppe da essa per spostarle su quella di resistenza (come invece, secondo quanto discusso nelle puntate precedenti, non fu fatto nella zona del IV Corpo) per il preciso scopo che questa, forte già per natura, possa resistere a oltranza, ma non certo creare falle nel sistema difensivo tali da permettere al nemico di giungere, in un altro punto, alle spalle della linea di resistenza stessa, solo per poter dire di aver sgomberato un tratto di linea avanzata!
In una fronte montuosa, quando le linee non corrono su dorsali o fiumi, ma su fondovalli, assicurarsi lo sbarramento di questi è cruciale, altrimenti tutto il resto della linea perde di significato difensivo. Quando si devono immaginare i due reggimenti di Bersaglieri del IV Corpo che abbandonano le posizioni dal Monte Pleca all'Isonzo a quarantottore dall'attacco, lasciando magari incustoditi i cavalli di frisia, le mine e il filo spinato dello sbarramento sulla valle d'Isonzo, rassicurati a parole di essere sostituiti da un'intera brigata ma in cuor loro certamente preoccupati (magari irrazionalmente: "mah, la nuova brigata verrà? e se non venisse? e se tutto rimanesse così abbandonato? e se la porta rimanesse aperta?") e poi si vedono nella mente i soli 400 uomini (anziché l'intera brigata come nelle intenzioni dell'armata) che li sostituiscono lasciare davvero, come nei peggiori timori dei bersaglieri, abbandonati e incustoditi i nidi di mitragliatrici, i cavalli di frisia, il filo spinato e lo sbarramento di fondovalle, non perché inadempienti o scellerati, ma semplicemente perché sono troppo pochi per tenere tutta la linea, si pensa a quanto opportuno sia stato per la fama di Badoglio stralciare le pagine relativa al 22 Ottobre.
Peccato per lui che da altri fonti sia possibile leggere testualmente.
"il generale Badoglio ordinò di schierare un solo battaglione (che contava circa 400 uomini) fra Monte Pleca e l' Isonzo, su un fronte di circa 2 km, su un pendio ripido e boscoso, e di tenere gli altri cinque battaglioni in alto, sulla dorsale del Kolovrat e dietro ad essa. Ne risultò che nel fondovalle, indifeso, la XXVI divisione tedesca potè avanzare senza colpo ferire, giungendo fino a Caporetto e oltre. "
No comment.

SALUTI DALLA SUBLIME PORTA

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Pazar, Ekim 21, 2007

SIGNORINA BUONASERA













"Si informano i gentili telespettatori, che, per via del contemporaneo Gran Premio ultima prova del Mondiale Formula Uno, il quinto episodio della seria "Caporetto" in programma oggi non andrà in onda.
[...segue trasmissione gara...] In compenso, fra i due litiganti, il due volte campione del mondo e l'inglese, ha vinto a sorpresa il terzo."

Potrebbe anche essere un comunicato del 1986, se la signorina avesse i riccioli e sedesse composta e in cabina di commento ci fossero Zermiani e Poltronieri.

Allora fra le due velocissime Williams-Honda di Nelson Piquet (già campione nel 1981 e 1983) e Nigel Mansel, inglese, in testa per tutto il mondiale, prevalse alla fine il Professore Alain Prost con la McLaren-Porsche.
Oggi, fra le due frecce d'argento McLaren-Mercedes di Fernando Alonso (già campione nel 2005 e nel 2006) e Lewis Hamilton, inglese, in testa per tutto il mondiale, ha prevalso finalmente la Ferrari dell'uomo di ghiaccio Kimi Raikkonen.

Una sola cosa è uguale da allora ad oggi: lo sponsor della vettura vincitrice del Mondiale Piloti.
Se fossi un fumatore, me ne godrei un pacchetto intero! E alla salute e benedizione eterna di Giambattista Vico e dei suoi CORSI E RICORSI storici.

SALUTI FUMOSI DALLA SUBLIME PORTA (sponsorizzata Marlboro per oggi)

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Cumartesi, Ekim 20, 2007

CAPORETTO (quarto episodio)
















Poiché, come ben illustrato ieri, Cadorna valutava l'importanza dell'offensiva nemica sull'Isonzo sulla base dei preparativi per la (per lui necessaria) offensiva contemporanea in Trentino, fino al 19 ottobre aveva voluto essere presente sul fronte della Prima Armata a controllare di persona la disposizione delle truppe italiane e l'attività di quelle nemiche. Non voleva trovarsi impreparato nel prevedere un'offensiva contemporanea sui due fronti che avrebbe potuto essere decisiva e non voleva che, come avvenuto nella primavera del 1916 con il generale Brusati, il comandante della Prima Armata tralasciasse di eseguire diligentemente gli ordini del comando supremo con conseguenze pesanti per la difesa. Il tralasciare l'eventualità di un'attacco decisivo austriaco e tedesco sferrato solo dall'Isonzo senza il concorso delle truppe austriache sul trentino si rivelò nefasto, poiché, mentre controllava che la Prima Armata fosse pronta a reggere e mentre teneva d'occhio il nemico su quel fronte, non si era potuto accorgere che la Seconda Armata, come spiegato nei precedenti episodi, aveva quasi del tutto trascurato fino a quel tempo le sue indicazioni sulla disposizione delle truppe, lo schieramento delle artiglierie ed il grado di urgenza dei lavori, e che sull'ala sinistra di essa il nemico era ormai pronto (a giorni) ad attaccare con un'armata forte di 15 divisioni contro le sole 3 del IV Corpo d'Armata e la sola del XXVII che fosse alla destra dell'Isonzo. Tornato da Vicenza al comando di Udine proprio ieri, 19 ottobre, chiamò subito il generale Capello, chiarendogli esplicitamente come nessuna grande contro-offensiva generale d'armata fosse ormai possibile e vantaggiosa contro uno schieramento nemico ormai fortissimo, e come tutto dovesse concentrarsi sulla difesa, sia pure, per essere efficiente, una difesa "attiva". I termini erano precisi e, sia pure con tono di cortesia e rispetto per la figura di Capello, stringenti e perentori:
"Il disegno di V. E. di contrapporre all'attacco nemico una controffensiva di grandissimo stile è reso inattuabile dalla presente situazione della forza presso le unità di fanteria e dalla gravissima penuria di complementi. V. E. conosce l'una e l'altra e sa che per questo appunto ho dovuto, con grande rammarico, rinunciare alla seconda fase della nostra offensiva (quella fermata alla Bainsizza), fase che si delineava promettente di fecondi risultati. Ciò posto è necessario di ricondurre lo sviluppo del principio controffensivo, base di ogni difesa efficace, entro i reali confini che le forze disponibili ci consentono. Il progetto della grande offensiva di armata ad obiettivi lontani deve essere abbandonato; esso ci condurrebbe in sostanza a sviluppare una grande offensiva di riflesso non meno costosa di quella seconda fase alla quale già abbiamo rinunciato.
Troveranno posto, invece, nel quadro d'una tenace difesa attiva, risoluti contrattacchi, condotti da truppe appositamente preparate ed ispirati a quel concetto dell'attanagliamento ben delineato dell'E. V., ma con carattere locale, contenuti, cioè, entro il raggio tattico, per mantenere la difesa nei limiti dell'indispensabile economia.
Per tutte le esigenze di una siffatta difesa i 338 battaglioni di cui l'Armata dispone debbono largamente bastare. Quanto alle artiglierie [...] i 2.500 pezzi di piccolo, medio e grosso calibro e le 1.134 bombarde di cui dispone l'Armata debbono essere sufficienti per provvedere in modo completo a tutte le esigenze di un solidissimo schieramento di difesa ad oltranza.
Ai suesposti concetti V.E. vorrà pertanto informare le nuove direttive da impartire ai comandi di Corpo d'Armata dipendenti e le varianti alle direttive precedentemente emanate, e di tali nuove disposizioni gradirò avere conoscenza al più presto".
In verità Capello non emise poi alcuna modifica e alcuna circolare per correggere o smentire gli ordini precedenti, proprio perché, come visto, ieri, non aveva preparato nulla né per una contro-offensiva immediata né per una più ampia e generale da sferrare in un secondo momento. Quanto al resto, ossia alla debolezza dell'ala sinistra dell'armata, cercò di correre parzialmente ai ripari attribuendo, come anticipato ieri, al IV Corpo di Cavaciocchi i rinforzi richiesti, e schierando il VII Corpo d'Armata in posizione arretrata, dietro alla destra del IV ed alla sinistra XXVII, con il compito specifico di impedire al nemico di sboccare da Tolmino verso Cividale e la pianura, difendendo a oltranza la linea d'armata del Kolowrat. Ciò avrebbe funzionato supponendo che il IV e il XXVII tenessero le loro posizioni sulle lineeavanzate e di resistenza per gran parte del fronte loro assegnato, e in tal caso sarebbe servito a impedire che il nemico si infiltrasse (come spesso accade) nella congiunzione fra i due corpi sfruttando la congenita debolezza degli estremi e delle giunture fra grandi unità diverse. Nel caso però le linee di resistenza fossero state infrante, non vi era, alla data di oggi (20 ottonbre) nessuna riserva in grado di proteggere la linea d'armata alle spalle del IV Corpo, e in particolare divisioni o brigate in grado di raggiungere prontamente la Valle Uccea e la conca di Bergogna, per cui, nota sempre Faldelle "rimanevano scoperte le comunicazioni che dalla stretta di Saga e da Bergogna conducono a Tarcento e Nimis. A questa gravissima deficienza aveva in parte ovviato il Comando Supremo dislocando la 53° divisione con la brigata Potenza a Faedis e la brigata Vicenza a Cividale". Vale a dire che la Seconda Armata, la più forte dell'intero scheramento Italiano, non aveva allocato nessuna delle sue riserve a difendere la linea d'armata nel settore Plezzo-Tolmino (eccettuato come appena detto il tratto del Kolowrat) e di fatto non aveva truppe dietro il IV Corpo d'Armata in grado di intervenire celermente in caso di cedimento di questo.
Si è detto a tal proposito che Cadorna era rimasto senza riserve e senza truppe da dare a Capello. Ciò è falso già per il fatto che, in zona operazioni, vi erano ben cinque corpo d'armata di riserva, tre nel settore della seconda armata e due in quello della terza armata (di cui uno a disposizione dell'armata e uno del comando supremo), tutti al massimo della preparazione e degli armamenti, almeno nel limite entro cui potevano esserlo divisioni di fanteria con undici battaglie sulle spalle. Capello quindi aveva sì le riserve, ed anche ben nutrite e pronte a combattere, nella sua zona operazioni, ma le aveva dislocate molto male. Nessuna di queste, infatti, era sufficientemente a nord per raggiungere entro 30 chilometri di marcia Caporetto o entro cinquanta la (vitale per la sicurezza da nord dello schieramento italiano) stretta di Saga.Quanto alle riserve fuori dalla zona operazioni e a disposizione del Comando Supremo, queste ammontavano a ben sette corpi d'armata che avrebbero potuto già costituire una vera e propria armata di riserva. L'unica critica possibile dunque nei confronti di Cadorna non è quella di non avere sufficienti riserve per fronteggiare in nemico in caso di sfondamento, ma di non averle organizzate in un'armata. Anche questa critica però si mostra in fondo priva di senso. In primis, nessuno poteva prevedere alla data del 20 ottobre quanto non era accaduto mai in tre anni di guerra né sul fronte italiano né su quello francese, ossia la rottura del fronte (cosa avvenuta soltanto sul fronte orientale, in uno scenario totalmente diverso nel quale la vastità dei territiori e lunghezza delle frontiere erano talmente elevati da non potersi, come invence in Francia, Belgio e Italia, linee continue totalmente "ripiene" di truppe), e questa sarebbe stata l'unica occasione in cui sarebbe risultata utile un'armata di riserva.
In secondo luogo, era invece prevedibile, nella più pessimistica ipotesi, che il nemico avrebbe sfondato la linea avanzata e seriamente intaccato quella di resistenza. In tale caso la prudenza faceva suggerire tenere pronte le riserve per inviarle a protezione, più indietro, della linea di armata, nel caso il nemico avesse sfondato le altre, nonché di assegnarle ai settori del fronte che, durante lo svolgimento dell'attacco nemico, sarebbero via via apparsi più a rischio di cedimento. Questo era lo scenario pessimistico più plausibile, e pensiamo a quali sarebbero state le critiche al Cadorna se questi avesse costituito un'armata autonoma con le riserve nella piana friulana e non avesse avuto poi truppe con cui rafforzare la linea arretrata della seconda armata o da inviare a sostegno delle zone del fronte che ne avessero fatto richiesta o che ne avessero mostrato bisogno: sarebbe stato accusato di aver deliberatamente lasciato sfondare il nemico per affrontarlo in una battaglia campale di stampo napoleonico, rinunciando così al vantaggio naturale della difesa in una guerra di posizione.
Bene ha fatto Cadorna a tenere sette corpi d'armata in riserva e a non assegnarne altri (dopo il VII richieto da Capello il 17 ottobre) alla seconda armata, che con i suoi sei corpi d'armata schierati in linea (IV, XXVII, XXIV, II, VI e XVIII), e i suoi tre della riserva (VII, XIV, XXVIII), per un totale di venticinque divisioni, 353 battaglioni, 6198 cannoni, 725 bombarde, era di gran lunga l'unità più numerose e già così troppo "affollata" e macchinosa (aggiungere ulteriori corpi avrebbe rischiato davvero di rendere la seconda armata qualcosa di ingovernabile per la sua enormità) e aveva di per sé tutte le risorse per costituire riserve per proprio conto traendole dal proprio organico, e bene ha fatto a lasciarle libere di essere assegnate dove la necessità lo avrebbe richiesto, senza legarle assieme in una nuova armata. Qualcuno ha obiettato che si sarebbero potute radunare in un'armata ed inviare compatte nella zona dell'ala destra della 2° armata. Tale obiezione proviene da chi non ha idea di cosa fosse un'armata della grande guerra. Le armate di quel periodo, in tutti gli eserciti, non erano solo grandi insiemi di soldati, ma grandi dispiegamenti di soldati e servizi, dotati di strutture in grado di provvedere autonomamente a tutte le esigenze di sì grande unità e per questo bisognose di uno spazio proprio in cui stanziarsi. Non si potevano infilare in una zona già occupata da un'altra armata di linea senza far nascere un inestricabile groviglio di soldati, carriaggi, cannoni e comandi e una confusione deleteria, specie per un esercito schierato di fronte al nemico. E' vero che sul fronte occidentale, nelle Fiandre, si riuscì una volta ad inserire in linea un'intera armata, ma ciò avvenne solo perché la 5° inglese,che prima occupava la zona, era stata totalmente distrutta e perché il territorio circostante e retrosatante era una pianura dotata di una fitta ed efficiente rete di vie di comunicazione. La situazione era ben diversa sulle Alpi Giulie, ove prima il 20 ottobre la seconda armata era non solo intatta ma anche notevole in dimensione e armamenti e le uniche vie di comunicazione erano strette gole, rotabili o mulattiere. I tedeschi alla data di quel 20 ottobre erano sì riusciti a schierare sulla destra dell'Isonzo Armee di Boroevic (e a sinistra della Edelweiss da montagna che teneva la Carnia), la loro neocostituita 14° armata, ma intanto ci misero una quarantina di giorni abbondanti, e poi non dovevano dispiegarsi sul territorio per predisporre una difesa, ma dovevano solamente ammassarsi dietro le linee austriache già costituite e ben difese per prepararsi ad avanzare in colonna nel fondovalle. Il compito, pur gravoso, di incastrarsi così nello schieramento austriaco (fatto che comunque, in effetti, nonostante il successo travolgente iniziale dell'offensiva, provocherà poi non trascurabili problemi di caos e rifornimento, tanto che qualcuno attribuisce a ciò più che alla resistenza italiana sul Tagliamento e sul Piave la mancata vittoria decisiva degli austro-tedeschi nei primi di novembre) era comunque ben più agevole di quanto avrebbe dovuto fare una nuova armata italiana deputata alla difesa di fronte a loro.

Quanto di più si poteva fare con le riserve poteva invece essere fatto da Capello (come detto poco sopra) il quale mancò di costituire per tempo una linea d'armata completa e ben difesa (tentò di imbastirla ad avanzata incominciata, facendo affluire le riserve che aveva colpevolmente lasciato troppo a sud, ma con questo riuscì solo ad accrescere il bottino di prigionieri del nemico, poiché una cosa sono divisioni poste a difesa delle posizioni in tempo utile per riposarsi dal non banale lungo viaggio a piedi di spostamento, conoscere il territorio, allestire le fortificazioni, predisporre i tiri delle artiglierie e imbastire sicure vie di rifornimento con le retrovie e di comunicazione con gli altri reparti, altra cosa sono divisioni giunte in fretta e furia magari di notte e senza equipaggiamento, senza tempo per riposarsi, trincerarsi, prendere possesso di fortificazioni esistenti o anche solo capire "a vista" il territorio da difendere).
Quanto invece si poteva fare con le truppe già schierate avrebbe potuto essere fatto tanto da Capello quanto dai comandanti di corpo d'armata Cavaciocchi e Badoglio, come discusso ieri riguardo il mancato rafforzamento della linea di resistenza e l'errore di tenere troppi battaglioni in linea avanzata.
Quanto infine si poteva fare con le artiglierie per compensare con un intenso fuoco di contropreparazione prima e di sbarramento poi quanto veniva a mancare per la sbagliata disposizione delle truppe, e ottenere comunque, nell'ambito di una guerra di montagna, una difesa adeguata poteva e doveva invece essere fatto solo dai comandanti di corpo d'armata Cavaciocchi e Badoglio.
Quanto alla discussa vicenda delle artiglierie, la colpa degli ordini contraddittori di Capello va circoscritta al mancato spostato di gran parte dei grossi calibri dalla Bainsizza alla destra dell'Isonzo (fatto di per sé già grave, in quanto non ha permesso di rafforzare la debole artiglieria del IV Corpo e ha reso impossibile mettere al sicuro anche dal successo nemico il grosso delle numerose artiglierie dell'armata), e non si estende certo alla irrazionale per la difesa disposizione delle artiglierie già assegnate ai singoli corpo d'armata.
Come nota giustamente Emilio Faldella, a conferma di quanto si diceva ieri
"Anche se il generale Capello intedeva seriamente effettuare una controffensiva dalla Bainsizza, la fronte del IV corpo e della 19° divisione del XVII doveva pur sempre soltanto resistere, e resistere a oltranza, per dar tempo alla massa controffensiva di entrare in azione altrove e far sentire gli effetti del proprio intervento. Quindi le artiglierie del IV corpo e della 19° divisione (XXVII corpo) potevano e dovevano essere arretrate qunto possibile, compatibilmente con gli obiettivi da battere, ai fini esclusivamente della difesa a oltranza e in ogni modo dietro la linea di resistenza, specialmente dove la zona fra linea avanzata e linea di resistenza aveva scarsa profondità. Ritraendo tutti i cannoni di medio calibro dietro alla dorsale Monte Cucco-Kolowrat-Monte Xum, sarebbe sempre stato possibile battere le posizioni nemiche e i loro rovesci dallo Sleme alla testa di ponte di Tolmino. Rimasero invece in posizione avanzate ben venticinque batterie di cannoni di medio calibro che andarono tutte perdute il 24 ottobre. Sarebbe pure stato possibile arretrare le batterire di obici in posizione sulla sinistra dell'Isonzo dinanzi alla linea di resistenza ad oltranza Pleca-Selisce, quelle sulle pendici di Costa Ruanza sull'Ostri Kras e alla testata di Val Doblar, e cioé diciotto batterie, pur avendole in condizioni di effettuare la contropreparazione. Anche queste andarono perdute il 24 ottobre. L'arretramento delle batterie in posizione nella conca di Drezenca era invece meno opportuno, perché la dorsale dello Stol era troppo arretrata e quindi avrebbero dovuto ammassarsi nel fondovalle Isonzo per colpire obiettivi situati a millesettecento/milleottocento metri di dislivello. Inoltre la linea di resistenza, per la sua solidità, proteggeva efficacemente le artiglierie. Infatti non fu superata in alcun punto nella giornata del 24 ottobre.
In complesso il IV corpo fece arretrare otto batterie e il XXVII quattordici, ma il 24 ne andarono perdute ben quarantatre di cannoni e obici di medio calibro. Un preciso ordine del generale Cadorna fu dunque eseguito soltanto parzialmente [...] Insomma, gli ordini del Generale Cadorna del 18 settembre e del 10 ottobre non vennero presi sul serio [...] Benché sapessero che l'attacco sarebbe scattato entro l'ultima decade del mese (il 10 ottobre il generale Badoglio disse di attenderlo per il 18-19 ottobre) tutti si comportarono come se dovessero trascorrere ancora parecchie settimane."
Resosi conto di ciò, Cadorna inviò immediatamente il colonnello Calcagno a ispezionare il fronte conferendo con i comandanti di Corpo d'Armata. Domani ci permetteremo di accompagnarlo, per vedere più da vicino il dispositivo difensivo italiano nell'imminenza dell'attacco e per conoscere meglio i comandanti, gustando anche qualche interessante retroscena.

SALUTI DALLA SUBLIME PORTA

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Cuma, Ekim 19, 2007

CAPORETTO (terzo episodio)



















Come promesso ieri, oggi mi occuperò di spiegare meglio quali furono i punti nei quali il comandante della 2° Armata e quelli del IV° e del XXVII° Corpo d'Armata, che avrebbero dovuto, fin dalla lettera di Cadorna del 18 settembre,
preparare la difesa dei loro settori (obiettivi principali dell'imminente attacco nemico secondo fonti via via più numerose e precise), mancarono di eseguire compiutamente gli ordini e perché il Comandante Supremo non li richiamò esplicitamente all'ordine prima del 19 ottobre.

L'IMPREPARAZIONE DEL GENERALE CAPELLO (II ARMATA)

Una prima ipotesi sulla mancata esecuzione da parte del generale Capello delle tre chiarissime (anche se giocoforza generiche, trattandosi di direttive del comando supremo ai comandanti d'armata, ai quali spetta il compito di prendere le decisioni operative sul campo) disposizioni di Cadorna evidenziate ieri riguardo alla preparazine per la difesa (disposizione delle truppe, schieramneto delle artiglierie, grado di urgenza dei lavori) avrebbe potuto individuarsi nel non essere stato sufficientemente informato e allarmato riguardo la consistenza e l'imminenza dell'attacco nemico. Una cosa è infatti predisporre la difesa per un attacco in forze imminente, altra cosa è farlo per un attacco in là da venire o per un attacco imminente ma localizzato e limitato ad annullare le conquiste italiane dell'ultima battaglia. In questo secondo caso sarebbe in effetti risultato troppo prudente e troppo poco degno del genio di Capello cambiare lo schieramento da offensivo a difensivo, rinunciando all'ultimo attacco in preparazione che avrebbe scardinato definitivamente il sistema difensivo austriaco, e quindi di fatto far raggiungere agli austriaci il loro vero obiettivo (ovvero rinsaldare la loro difesa) ancora prima di combattere, solo per dar retta a vaghe e generiche preoccupazioni del comando supremo (fondate magari più su congetture che su fatti).
Riporto dunque (dal libro di Emilio Faldella "La Grande Guerra da Caporetto al Piave 1917-1918", Nordpress Edizioni) di seguito i comunicati che nel mese che intercorso dalla lettera di Cadorna ad oggi (19 ottobre) il comando della II Armata emise verso i comandi di corpo d'armata (e questi ai comandi di divisione) in base alle informazioni ricevute riguardo all'attività nemica.
Il 30 settembre il generale Capello avvertì i Corpi d'Armata IV e XXVII della "possibilità di un'offensiva austriaca partente dalla testa di ponte di Tolmino, offensiva che potrebbe tendere ad impadronirsi della testata di Valle Judrio o risalire l'Isonzo".
L'8 ottobre accennò ad "azioni offensive eventualmente partenti dalla testa di ponte di Tolmino". Il 9 ottobre ordinò al generale Badoglio (XXVII Corpo d'Armata) di "studiare i provvedimenti migliori per arginare l'offensiva partente dalla testa di ponte di Tolmino verso la testata dello Judrio" e contemporaneamente telegrafò a Cadorna che le notizie di preparativi per un'offensiva in forze erano confermate e che la presenza di truppe germaniche era accertata (e dal contesto del telegramma si capisce quanto Capello fosse allarmato). Lo stesso giorno il generale Cavaciocchi (IV Corpo d'Armata) scrisse ai comandanti di divisione che sembrava "ormai certo il proposito nemico di offensiva dalla testa di ponte di Tolmino" e prescrisse di avere la massima cura per il collegamento fra la 46° e la 19° divisione (cioé proprio là dove il 24 ottobre si verificherà lo sfondamento sulle due rive dell'Isonzo) e costituì a cavallo del fiume una riserva di due reggimenti bersaglieri (2° e 9°).
Il 10 ottobre il generale Badoglio disse di prevedere il massimo sforzo del nemico contro la 19° divisione per impadronirsi del Monte Jeza e del Krad Vhr e infatti il 24 ottobre il nemico eserciterà il massimo sfrozo in quella direzione. L'undici ottobre ordinò che il 5° gruppo alpini (battaglioni Belluno, Val Chisone, e Monte Albergian) assegnatogli dal comando della 2° Armata si schierasse sul Krad Vrh e assegnò le dieci compagnie mitragliatrici che l'Armata aveva messo a sua disposizione, cinque alle divisione di sinistra Isonzo e cinque alla 19° divisione alla quale diede per di più trentadue mitragliatrici austriache.
Il 13 ottobre il generale Capello chiese al Comando Supremo e ottenne il 2° gruppo alpini (quattro battaglioni) da assegnare alla 50° divisione in conca di Plezzo, e ordinò alla I brigata bersaglieri di trasferirsi in valle Judrio, per parare minacce provenienti dalla conca di Tolmino.
Il 14 ottobre il generale Cavaciocchi tenne una conferenza e anninziò che l'offensiva era imminente, che la massa nemica raccolta del vallone di Chiapovano poteva sboccare da Tolmino e tendere allo Jeza e al Kolowrat sul rovescio deo IV Corpo. Previde anche l'avanzata nemica in fondovalle Isonzo e l'attacco principale sul Mrzli.
Il 16 ottobre il comando della 2° Armata ordinò che il comando del V raggruppamento alpini e il 5° gruppo alpini, già assegnato al XXVII corpo, si trasferissero al IV e che la brigata Firenze si dislocasse nella zona di Perternel, a ridosso del Kolowrat.
il 17 ottobre il generale Capello, nella conferenza tenuta con i comandanti di corpo d'armata per spiegare i suddetti ordini di rafforzamento dell'ala sinistra dell'armata, afferma che era "prevedibile il massimo sforzo da Tolmino e probabilmente esteso fino a Plezzo". Lo stesso giorno il generale Cavaciocchi richiamò l'attenzione delle divisioni sull'imminente offensiva, scrisse che non era escluso anche un attacco sul fronte della 5° divisione (conca di Plezzo) e assegnò il 2° gruppo alpini (quattro battaglioni) alla 50° divisione e il 5° gruppo alpini (tre battaglioni) alla 43° divisione (conca di Drezenca).
Il 18 ottobre il comando della 2° Armata informò il Comando Supremo che il nemico accresceva i suoi mezzi sulla fronte del IV e sulla sinistra del XXVII corpo "probabilmente con l'intenzione di attaccare dalla testa di ponte di Selisce e Drezenca"
Le previsioni erano esatte e il Comando della 2° Armata chiese un rinforzo di tre divisioni (sei brigate).
Il 19 ottobre, proprio perché gli era chiaro sia come l'attacco previsto fosse poderoso e imminente, sia come questo sarebbe stato sferrato nel settore da Plezzo a Tolmino, Capello dispose un deciso rafforzamento dell'ala sinistra dell'armata che avrebbe dovuto fermarlo (e furono fra l'altro questi gli unici suoi veri e concreti preparativi per la difesa): oltre ad un certo numero di batterie, assegnò al IV corpo sette battaglioni alpini e dislocò dietro il Kolowrat, sulla linea d'armata (in posizione intermedia fra il IV e il XXVII Corpo che occupavano più avanti, rispettivamente a sinistra e a destra, le linee avanzate e di resistenza e sui quali ci siamo dilungati ieri e ci dilungheremo in seguito), il VII Corpo d'Armata (generale Bongiovanni) e in valle Judrio la I brigata bersaglieri, oltre alla V che già vi si trovava.

Si evince da tutto questo come l'ipotesi di una non perfetta consapevolezza dell'imminenza, della forza e della zona dell'attacco nemico debba essere decisamente scartata.

Altra ipotesi sulla quale molto si è discusso è quella riguardante i cosiddetto "dissidio Cadorna-Capello". Il fondamento risiede negli ordini che Capello impartiì ai suoi comandanti di corpo d'Armata appena dopo aver ricevuto quelli di Cadorna. Nel ritrasmettere questi, infatti, li interpretò, dicendo che "se il concetto difensivo ci deve guidare, subito ad esso deve seguire quello contro-offensivo" e delindeando un possibile contrattacco il quale, partendo dalla Bainsizza (su cui gravava la maggiro parte delle forze dell'armata) e dirigendosi a nord, dietro Tolmino, avrebbe potuto colpire le forze nemiche attaccanti sul fianco sinistro travolgendole e accerchiandole. Non precisò però (e mai lo fece in seguito) se tale manovra contro-offensiva avrebbe dovuto svolgersi pressoché contemporanemante all'attacco del nemico da Tolmino e da Plezzo, impedendo sul nascere, con l'aggredire il sui fianco sinistro,che questo potesse svilupparsi, oppure se avrebbe dovuto scattare solo in un secondo momento, una volta che il nemico, lanciato all'attacco e superate le linee avanzate più a nord, si fosse infranto contro le linee di resistenza, per prederlo alle spalle e accerchiarlo, facendo cadere per manovra la testa di ponte di Tolmino e parte delle difese austriache a nord, verso il Mrzli e il Vodhil. La questione non è di poco conto, proprio è in ballo proprio la disposizione delle truppe e delle artiglierie e la predisposizione della difesa nell'intera zona del IV Corpo d'Armata e di quella parte del XXVII a destra dell'Isonzo (19° divisione), ossia proprio dove si verificherà lo sfondamento. Se la contro-offensiva di Capello avesse dovuto svolgersi contemporaneamente all'attacco nemico, ne seguiva che lo schieramento non avrebbe dovuto mutare granché, poiché avrebbero comunque dovuto rimanere (come poi in effetti rimasero) sulla Bainsizza gran parte dei soldati e dei cannoni da scagliare subito contro il fianco sinistro dell'attaccante, mentre sul fronte del IV corpo e della 19° divisione, investiti frontalmente dall'attacco, una forte difesa di profondità non sarebbe stata necessaria, poiché fin dall'inizio, sulla linea avanzata, sarebbero giunti attacchi nemici già comunque minacciati e indeboliti dalla manovra sul loro fianco. Se invece la contro-offensiva delineata avesso devuto essere sferrata in un secondo momento, una volta inchiodato frontalmente l'attacco nemico sulla linea di resistenza del IV corpo e della 19° divisione, per prendere alle spalle gli austrotedeschi, e accerchiarli oppure costringerli anche a nord a retrocedere oltre quella linea già raggiunta a settembre più a sud, sulla Bainsizza (obiettivo peraltro più ambizioso e più degno di Capello), segue necessariamente che il IV corpo e la 19° divisione (ossia il fronte da Plezzo a Tolmino) avrebbero dovuto essere capaci di resistere piuttosto a lungo e ad attacchi massicci: non si può battere efficacemente il martello contro qualcuno se l'incudine cede. In questo secondo caso, dunque, si sarebbero dovuti predisporre subito, fin dal 18 settembre, i lavori di allestimento per una linea di resistenza ad oltranza (come peraltro sarebbe stato in linea con gli ordini di Cadorna). Si sarebbero, ad esempio, dovute spostare le truppe di fanteria del IV Corpo d'Armata dalle linea avanzata (infidendibile, come discusso ieri) a quella di resistenza (specie nel tratto Mzrli-Vodhil dove le posizioni austriache erano dominanti), in modo da non perderle subito all'inizio dell'attacco ed averle per difendersi poi (fortemente e a lungo) su posizioni più forti per natura, si sarebbero dovute spostare le artiglierie di grosso calibro a destra dell'Isonzo per proteggere efficacemente il fronte da Tolmino a Plezzo (che, quando non era a destra dell'Isonzo, era comunque poco più in là sulla sinistra e raggiungibile dalle altura a destra molto meglio che dalla bainsizza o , e per non rischiare di perderle, si sarebbe dovuto spostare il grosso del XXVII Corpo d'Armata sulla riva destra dell'Isonzo, per difendere il settore davanti a Tolmino (quello in cui più mancava profondità, quello da cui, superata la dorsale, gli austrici avrebbero avuto aperta la valle dello Iudro e la via per la pianura, quello da cui era più facile per i nemici attaccare poiché, partendo da una testa di ponte ben fortificata e protetta, e per giunta servita da una ferrovia e da gallerie riparate, non dovevano attraversare l'Isonzo o essere esposti al fuoco italiano all'inizio del loro attacco). Si sarebbero insomma dovuti adempiere, relativamente alla difesa sul fronte da Plezzo a Tolmino, quei tre punti (disposizione delle truppe, schieramento delle artiglierie, grado di urgenza dei lavori) indicati da Cadorna e di cui ieri ho discusso.
Solo l'ipotesi di una controffensiva da sferrare immediatamente, in contemporanea all'attacco nemico, avrebbe giustificato il non-adempimento di quei tre punti. Ed anche in questo, infatti, il Generale Capello tentò di giustificarsi sostenendo di non aver mutato schieramento proprio in vista di una controffensiva da sferrare immediatamente dopo l'attacco austriaco approvata dallo stesso Cadorna con una direttiva del 10 ottobre. Orbene, anche questo è falso. E' vero infatti che Cadorna approvò "di massima" le disposizioni di Capello ai comandanti d'armata dell'8 ottobre in cui si parlava della contro-offensiva, ma è altrettatno vero che in quelle disposizioni, al contrario di quelle precedenti, si distingueva chiaramente fra il primo momento dell'attacco nemico da arrestare sulla linea di resistenza del fronte da Tolmino a Plezzo (momento in cui l'azione difensiva sarebbe stata, come ovvio per la necessità di reagire ad eventualità e contingenze non prevedibili in generale a priori ed evidenti solo hic et nunc nel momento dell'attacco, coordinata dei singoli comandi di corpo d'armata) e il secondo momento della controoffensiva generale coordinata dal comando d'armata se e quando si fosse presentata l'occasione propizia per cogliere un risultato concreto e decisivo. Questa eventualità di una controffensiva da sferrare a partire dalla Bainsizza e in un secondo momento rispetto all'attacco nemico, implicando necessariametne una salda difesa del fronte da Tolmino a Plezzo, è stata giustamente approvata da Cadorna, il quale vedeva così confermati i propri ordini e attivo il comando d'Armata nell'applicarli sul campo in maniera costruttiva. Non sarebbe infatti compito del Comando Supremo andare oltre l'imporre la difesa o l'attacco ad ogni armata e, dopo aver ordinato un atteggiamento difensivo, prevaricare i comandi d'Armata imponendo per filo e per segno come concretamente impostare difese e contrattacchi sui loro settori: non esisterebbero i comandanti d'Armata altrimenti e tutto farebbe il capo supremo dell'esercito, come ai tempi di Napoleone. Se anche vi fosse stato un dissidio fra Cadorna e Capello, con il primo determinato alla difesa ad oltranza e il secondo deciso a predisporre una controffensiva, tale dissidio si sarebbe dovuto tradurre in una mancata esecuzione degli ordini del primo solo nel caso di progetto per un'offensiva immediatamente susseguente l'attacco nemico. In tale caso, il generale Capello, che non era uno sprovveduto, avrebbe dovuto preparare per tempo i piani di tanto grande e poderosa controffensiva (che, nelle sue stesse dichiarazioni, avrebbe dovuto superare le ultime difese nemiche sull'orlo della Bainsizza, ovvero le stesse che avevano resistito ad un mese di attacchi potenti e ben preparati nell'undicesima battaglia sull'Isonzo). Poiché l'attacco nemico era previsto per l'ultima decade di ottobre, se avesse davvero voluto contrattaccare in contemporanea ad esso, non avrebbe dovuto trovarsi il 10 ancora a farsi approvare "di massima" il puro e astratto concetto di controffensiva: a quella data avrebbe dovuto avere già diramato i piani dettagliati ai comandi di corpo d'armata e di divisione, avrebbe dovuto già ottenere i rinforzi di artiglieria necessari (che invece, come visto, chiese solo giorni dopo) ed avrebbe dovuto già ammassare le riserve (anche quelle richieste e concesse . Nulla di tutto questo vi fu prima del 10 ottobre né dopo. L'unica spiegazione possibile, volendo credere al dissidio con Cadorna, è che Capello, a dispetto degli ordini del 18 settembre sulla preparazione della difesa ad oltranza, abbia vagheggiato una controffensiva immediata (non necessitante la difesa ad oltranza sul fronte del IV corpo e della 19° divisione) fino all'8 ottobre, senza però mai diramare ordini precisi e coerenti su di essa, e poi, temendo di venire sconfessato dal Comando Supremo avendo per tale progetto disobbedito agli ordini, abbia cambiato idea, pensando ad una controffensiva da sferrare in un secondo momento (e quindi comprendente la difesa ad oltranza che era stata ordinata), facendosela approvare da Cadorna, ma non avendo poi più il tempo di prepararla (ivi compreso di preparare la difesa del fronte da Tolmino a Plezzo). Ciò apparirebbe più degno di un generale da videogioco alle prime armi che non del genio militare che seppe conquistare Gorizia e ottenere successi impossibili per tutti gli altri comandanti italiani.
Anche l'ipotesi del dissidio va dunque rigettata.
Una terza ipotesi è avanzata da molte correnti di sedicenti "scopritori di complotti", i quali accusano Capello, in quanto massone, di aver cospirato con non meglio precisati ambienti "internazionali" per la disfatta dell'esercito o di aver voluto una sconfitta italiana per sperare di prendere il posto di Cadorna. Ora, da un lato è difficile capire quale vantaggio la massoneria in generale e Capello in particolare avrebbero tratto da un crollo dell'Italia (fra l'altro schierata con Francia e Inghilterra e quindi dalla parte tradizionalmente culla degli interessi "liberal-massonici"), dall'altro è arduo far collimare lo spirito fortemente orgoglioso e nazionalista del generale Capello (fra gli alti comendi era il meno "ingessatamente monarchico" e il più "accesamente ideologizzato", tanto che nel dopoguarra sarà fra i primi sostenitori del fascismo, salvo staccarsene poi venendo anche arrestato per cospirazione contro Mussolini) con la ricerca di una sconfitta propria e della propria armata.
Se la prima ipotesi è plausibile ma falsa, e la seconda a prima vista fondata, la terza risulta del tutto campata in aria.

La verità è, come spesso accade, molto più semplice delle congettura. Il generale Capello non predispose né la difesa né l'attacco semplicemente perché non era in grado di predisporre efficacemente nulla, essendo caduto in non leggera malattia ma non volendo per questo lasciare il comando dell'armata, sapendo di essere il sopo a riuscire a gestire un gruppo di forze così numeroso e complesso. Fu un atto di amore per l'esercito e di dedizione al dovere, che però ebbe gravi risultati. Non sappiamo però se, agendo diversamente, avrebbe migliorato le sorti. La seconda armata era cresciuta con lui, si era conformata secondo la particolare mentalità strategica sua propria e nessuno pareva in grado di prendere decisioni importanti senza il suo parere o il suo ordine. Non ne fu in grado, ad esempio, il generale Montuori, quando lo sostituì nel momento in cui l'aggravarsi della malattia lo costrinse a recarsi all'ospedale per curarsi, né ne furono in grado i comandanti di corpo d'Armata quando fu il effettivamente momento di dare attuazione nel loro particolare settore alle direttive generiche sulla difesa. L'unica speranza di predisporre una difesa efficiente per la seconda armata era data dalla lucidità di Capello, che in tanti altri momenti della guerra aveva risolto brillantemente situazioni difficili, ma che in quel momento, a causa della malattia, veniva a mancare. Ciò in sé non toglie nulla alla virtù militare di Capello: in grave malattia, anche il Duca Valentino tanto citato ad esempio di virtù e di abilità politica da Machiavelli finì per non avere più una visione chiara delle situazioni, prendere le decisioni sbagliate, travisare gli avvenimenti e le loro valenze e cadere nella trappola di Giulio II. Si può capire come allora Capello, non più lucido perché malato, non fosse in grado di prendere i provvedimenti energici e risolutivi richiesti dalla situazione, e nemmeno di eseguire gli ordini di Cadorna, ma non si può accettare che, per scusare Capello e non riconoscere i suoi errori, la Commissione d'Inchiesta abbia addossato la colpa ai soldati, sostenendo che "eventuali errori tattici furono irrilevanti rispetto alla situazione morale delle truppe". Come abbiamo cercato di dimostrare, almeno sul fronte in cui vi fu poi lo sfondamento iniziale, il mancato arretramento di fanteria e artiglieria sulla linea di resistenza, la mancata disposizione dell'artiglieria pesante (e del grosso del XXVII corpo) sulla riva destra dell'Isonzo, nonché la mancata urgenza con la quale poi si presero i provvedimenti difensivi furono elementi non trascurabili. Nessuno può affermare con certezza assoluta che, se tutto questo fosse stato fatto, lo sfondamento non sarebbe avvenuto, ma, pensando ad esempio all'errore più grave evidenziato ieri, una cosa è (o, meglio, sarebbe stato), difendere una dorsale forte per natura come quella Kozliak-Pleca-Spika-Vrsno con 18 battaglioni appoggiati da una numerosa artiglieria (avendo lasciato solo un paio di battaglioni senza artiglieria in linea avanzata), altra cosa è reggere una linea di resistenza con soli 5 battaglioni e senza artiglieria, dopo che 7 battaglioni con tutta l'artiglieria sono stati annientati, ancora prima dell'attacco, su quella avanzata dal martellamento nemico proveniente settecento metri sopra dal Masnik e dal Rudecirob, e che gli altri otto sono stati uno ad uno spazzati via dall'avanzata fra le due linee.

Concludendo, giusta era l'intuizione di Capello di contromanovrare dalla Bainsizza per minacciare di avvolgimento da sud l'armata nemica attaccante, ed era infatti ciò di cui il Boroevic (come spiegato ieri) era massimamente preoccupato, ma sarebbe stata una mossa vincente solo se fosse stata davvero applicata con coerenza. Al contrario, non solo non vennero mai determinati in maniera univoca i modi e i tempi di questa, ma non venne proprio concretamente predisposto nulla: né una contro-offensiva immediata per alleggerire subito la pressione sul fronte Tolmino-Plezzo (cosa che non avrebbe reso necessario cambiare schieramento per rafforzare il fronte in quel punto), perché altrimenti al 10 ottobre, meno di due settimane prima dell'attacco, vi sarebbero già stati i piani dettagliati, né una contro-offensiva da attuarsi in un secondo momento (cosa che invece avrebbe richiesto il rafforzamento del fronte Tolmino-Plezzo)perché in tal caso i tre punti voluti da Cadorna per la difesa (disposizone delle truppe sulla linea di resistenza ad oltranza, schieramento delle artiglierie sulla destra Isonzo e urgenza nei lavori) sarebbero stati prontamente soddisfatti sul fronte Plezzo-Tolmino.


L'IMPREPARAZIONE DEL GENERALE CAVACIOCCHI (IV CORPO D'ARMATA)

Se la mancata disposizione di adeguate riserve da prelevare dalla Bainsizza e da disporre sulla linea d'armata dietro al fronte del IV Corpo (fatta parziale eccezione per il tratto del Kolowrat presidiato dal VII, comunque schierato, come detto, solo il 19 ottobre) è un errore strategico ascrivibile esclusivamente a Capello, il mancato arretramento delle truppe di questo corpo sulla linea di resistenza consiste in un errore tattico da condividere con il comando di Corpo d'Armata. Anche ammettendo che il Comando d'Armata non avesse trasmesso le disposizioni di Cadorna sulla difesa ad oltranza da effettuarsi sulla linea di resistenza, era evidente anche ad un inesperto come la linea avanazata fra i pendii del Mrzli e del Vodhil fosse assurda, come quella sul vallone dello Slatenik non fosse affatto difendibile e come le posizioni in conca di Plezzo fossero troppo esposte e quindi da alleggerire, così come quelle oltre Plezzo verso le pendici del Canin e del Rombon. In effetti lo stesso Cavaciocchi, da tempo comandante del IV Corpo d'Armata, aveva espresso aperta preoccupazione per la tenuta della linea sotto il Mrzli e il Vodhil ( su cui aveva lasciato quei quindici battaglioni e quelle 44 batterie di piccolo e medio calibro di cui ho tanto parlato), ma si diceva fiducioso nelle possibilità di difesa date dalla ben nutrita artiglieria pesante a disposizione del corpo d'Armata. Questo punto merita di essere investigato.
L'ordine di Cadorna del 10 ottobre riguardo alla disposizione e all'uso delle artiglierie indicava chiaramente come fosse necessario, immediatamente dopo l'inizio del bombardamento nemico, concentrare il fuoco di contropreparazione sui possibili luoghi di raccolta delle truppe, sui punti di rifornimento e sulle zone di irruzione delle fanterie, in modo da schiacciare l'attacco sul nascere, e, una volta scattato il nemico all'attacco, iniziare il fuoco di sbarramento. Per chi non conosca di cose militari è pronta la spiegazione della differenza. Il fuoco di contropreparazione viene effettuato dai grossi calibri, prima dell'attacco nemico, in genere proprio durante il di lui fuoco di preparazione, per opporsi, come dice la definizione stessa, alla preparazione dell'attacco da parte del nemico. Le batterie di grosso calibro entrano in questa fase in azione, appoggiate alla bisogna dai medi calibri, per colpire le zone (in genere un po' indietro rispetto alle prime linee) in cui le truppe nemiche si stanno ammassando prima di passare all'azione, quelle da cui i primi reparti di fanteria faranno poi irruzione verso le nostre linee, i punti in cui si trovano i depositi, avanzati per l'attacco imminente, le principali vie di comunicazione sfruttate dal nemico per rifornire e rafforzare le truppe che dovranno avanzare e in genere tutti gli obiettivi di cui nemico ha bisogno per predisporsi ad attaccare. Per eseguire efficacemente il fuoco di contropreparazione è dunque necessario che gli osservatori delle batterie di grosso calibro conoscano preventivamente, almeno in linea di massima, il posizionamento degli obiettivi principali.
Il fuoco di sbarramento, invece, viene effettuati dai piccoli calibri e a volte anche da quelli medi (specie mortai), in posizione abbastanza avanzata, per creare una vera e propria cortina di fuoco e di proiettili che, come dice la definizione, "sbarri" al nemico la strada verso le nostre linee. Per avere un senso e una efficacia, tale fuoco deve essere dunque aperto solo al momento dello scatto delle fanterie nemiche (altrimenti risulta un mero spreco di munizioni) e deve partire da bocche da fuoco non troppo distanti, in modo che la precisione dei tiri permetta di costituire sulla linea desiderata (di sbarramento) una cortina di proiettili abbastanza fitta e una concentrazione di fuoco densa da parere "un muro" (in caso contrario l'effetto sarà evanescente, in quanto il nemico riuscirà tranquillamente ad infiltrarsi fra grandinate casuali di proiettili distribuite disordinatamente su uno spazio ampio), e proprio per questo si usano i piccoli e i medi calibri più mobili.

Si tratta di due momenti ben determinati e distinti nel ruolo dell'artiglieria, altrettanto importanti e tali da non dover essere mai trascurati da un comandante di Corpo d'Armata, anche in mancanza di un ordine esplicito in tal senso del comando supremo (ed il fatto che Cadorna abbia dovuto esplicitare denota solo come questi sia stato sorpreso dalla precedente omissione di ordini riguardanti la contropreparazione e lo sbarramento da parte dei suoi sottoposti). Nessuno di questi momenti è stato curato dal generale Cavaciocchi. Quanto al fuoco di contropreparazione, egli diramò ai comandanti di divisione solo ordini generici indicanti la necessità di "studiare le zone di raccolta delle truppe nemiche, di rifornimento, i nodi di comunicazione onde schiacciare il nemico nelle sue posizioni", quando nell'imminenza di un attacco sarebbe stato necessario, per chi volesse affidarsi all'efficacia dell'arma dell'artiglieria, avere già a disposizione tali informazioni, ed anche in maniera piuttosto dettagliata.
Quanto al fuoco di sbarramento, è vero che il lasciare 27 batterie di piccolo calibro e 17 di medio sulla linea avanzata poteva essere giustificato dalla volontà di creare lì davanti uno sbarramento intenso e preciso, ma è altrettanto vero che se la linea avanzata subisce il martellamento di batterie pesanti nemiche da posizioni dominanti, si può intuire come al momento poi dell'attacco quelle batteria poste così avanti possano già essere state poste fuori combattimento. Piu sensato sarebbe stato, ancora una volta, arretrare le batterie sulla linea di resistenza della dorsale Kozliak-Pleca-Spika-Vrsno, posizione comunque ottima (proprio per il fatto di essere una dorsale e quindi dominante) da cui aprire il fuoco di sbarramento verso le prime linee nemiche.
Il comportamento di Cavaciocchi (comprese le sue lamentele al comando d'armata) sarebbe stato dunque adeguato solo se vi fosse stato ancora molto tempo per spostare le truppe e riposizionare le artiglierie prima di un vero attacco.

L'IMPREPARAZIONE DEL GENERALE BADOGLIO (XXVII CORPO D'ARMATA)

Se la mancata disposizione del grosso delle divisioni del XXVII corpo d'armata sulla riva destra dell'Isonzo riguarda più il generale Capello, che avrebbe dovuto eseguire (o far eseguire) l'ordine di Cadorna indipendentemente dai suoi progetti contro-offensivi, che non Badoglio, la mancata predisposizone delle artiglierie del Corpo al fuoco di contropreparazione e di sbarramento ricade invece per intero su quest'ultimo. Egli nominò come comandante della propria artiglieria, la quale, potendo disporre di 700 e passa cannoni era forse la più potente di tutto il Regio Esercito, il colonnello Cannoniere (non si rida sul cognome), un personaggio di secondo piano, mero esecutore di ordini, evitando di scegliere un vero ufficiali di artiglieria. Il motivo è presto detto: egli, avendo ottenuto promozioni e onori per la presa di Gorizia, propiziata dal proprio operato come comandante dell'artiglieria, non voleva che altri usurpassero quanto riteneva il proprio ruolo (anche ora che era generale di corpo d'armata). Scelse dunque come comandante dell'artiglieria un uomo che sapeva non avrebbe mai potuto prendere (anche volendolo) una decisione autonoma e che avrebbe ripetuto in tutto e per tutto i suoi ordini senza alcuna inventiva e senza alcuna iniziativa. Così sarebbe rimasto lui, Badoglio, il vero artefice del successo dell'artiglieria. Peccato che quell'ottobre del 17 non fosse il momento per mettersi in mostra, ma quello di resistere all'attacco. Impegnato in tutti gli altri non banali preparativi alla difesa del fronte di un corpo d'armata, il generale Badoglio non ebbe tempo ed energie per occuparsi personalmente (come avrebbe voluto) della preparazione dell'artiglieria e dei suoi obiettivi, lasciando il Cannoniere ad emettere ordini del tipo:
1) Non eseguire tiro di controbatteria 2) Non appena il nemico accennava ad avanzare, tiro di sbarraemento, in modo da impedire l'attacco. 3) Non appena il nemico avesse iniziato la rottura dei varchi dei nostri reticolati, nelle nostre trincee, facendo così comprendere dove voleva lanciare le sue masse, battere i tratti di trincee nemiche dai quali essi doveva sbucare, tratti ce dovevano rilevarsi per gli indispensabili preparativi che su di essi il nemico doveva fare. 4) Nel caso che qualche nostro tratto di trincea fosse caduto, eseguire subito un violento tiro di repressione [...]
ordini assurdi, ed evidenzianti l'ingenuità ed il candore (nel migliore dei casi) di chi li scrive, poiché distinguere il momento in cui il nemico taglia i reticolati nel fragore della battaglia è pura utopia. La mancanza di qualsiasi valida preparazione degli obiettivi dell'artiglieria (e in particolare del fuoco di contropreparazione) assolutamente necessaria invece in quei frangenti (fermare un attacco nemico previsto e localizzato) è testimoniata da ordini basati non su dati di puntamento e indicazioni oggettive, ma sulle "impressioni" che si sarebbero dovute cogliere a vista e sul momento, come nella direttiva appena citata, da cui dunque pare, incredibilmente, che se vi fosse stata la nebbia o se fosse stato ancora buio non si sarebbe dovuto aprire il fuoco.
Scrive il Faldella:
"Si disse che Badoglio avrebbe prescritto che le artiglierie aprissero il fuoco soltanto quando lo avesse ordinato lui stesso. C'è chi si aspetta di vedere uscire il testo dell'ordine dalla famosa cassaforte, contenente i documenti relativi alla battaglia, che esiste, ormai aperta, presso l'Ufficio Storico, e c'è chi ritiene che questo documento sia stato distrutto, insieme ad altri, dopo la prima guerra mondiale. Vana è l'attesa e infondata la supposizione: il documento non è mai esistito, per la semplice ragione che il generale Badoglio non aveva bisogno di emanare un ordine scritto per confermare l'avocazione a sé della facoltà di far aprire il fuoco, perché gli si era riservato a priori l'impiego dell'artiglieria."
Il fatto che poi Badoglio abbia scelto di porre il comando di corpo d'armata lontano dall'Ostri Kras (su cui vi era il comando dell'artiglieria occupato da Cannoniere che non si azzardava nemmeno ad aprire il fuoco dell'accendisigari senza l'ordine di Badoglio) e quindi si sia auto-impossibilitato, nel caso (ritenuto molto probabile, dato che nelle riunioni di settembre si parlava di istiuire un sistema di trasmissione degli ordini basato su piccioni viaggiatori) di interruzione delle comunicazioni, ad intervenire per dare gli opportuni ordini alle batterie pare davvero eccessivamente grave per essere anche solo concepito. Avere poi per tutti questi motivi settecento e passa cannoni, molti di grosso calibro e ben riforniti di munizioni, che stanno muti mentre il nemico per ore e ore effettua la sua preparazione, e che poi, durante l'avanzata, rinunciano a martellare le colonne austro-tedesche le quali marciano indisturbate nel fondovalle aggirando e circondando con poca fatica le posizioni italiane (senza subire quelle forti perdite che chiunque in quelle condizioni subirebbe in una guerra di montagna dalle artiglierie del difensore) è qualcosa di non certo irrilevante per l'esito di una battaglia.

IL NON INTERVENTO DIRETTO DI CADORNA FINO AL 19 OTTOBRE

Ci si può chiedere ora perché il generale Cadorna, vedendo che né il comandante d'armata né quelli di corpo d'armata stavano validamente eseguendo i suoi ordini, abbia lasciato correre almeno fino ad oggi, 19 ottobre.

Una prima valida spiegazione risiede nell'assoluto rispetto che un uomo della vecchia scuola sabauda come lui nutriva sia verso i sottoposti, sia soprattutto verso il loro ruolo. Così come il suo carattere (non certo facile) non tollerava ingerenze di altri nelle prerogative del comando supremo, con altrettanta chiarezza ed onestà rispettava la libertà di decisione e di azione dei suoi sottoposti in quegli ambiti che la gerarchia dell'esercito assegnava al loro ruolo. Una volta che aveva deciso di predisporre la difesa, non riteneva né suo dovere né suo diritto invadere la sfera dei comandi di armata dettagliando le istruzioni da seguire sui loro fronti e i piani da attuare sui loro campi d'azione. Fino a ché le scelte dei comandi d'armata non avessero palesemente contraddetto gli ordini superiori della linea generale di difesa, sarebbe per lui stato un insulto ai suoi sottoposti intervenire. Va detto questo, a difesa del tanto bistrattato modo del generale Cadorna di trattare gli altri generali.
Quando un generale non era ritenuto da lui più meritevole di fiducia, questi veniva silurato senza pietà, ma fino a quando egli stabiliva dovesse restare al suo posto, perché meritava fiducia, tale fiducia veniva concessa, con senso etico-cavalleresco forse proprio di secoli ben più antichi e nobili, in maniera illimitata, lealissima e senza quegli ossessivi controlli, buoni tutt'al più per un tenentino al primo comando più che non per un generale d'armata, che caratterizzavano invece molti comandanti in capo contemporanei di mentalità più "piccolo-borghese" (mi si passi il termine per chi si comporta con collaboratori e dipendenti come un bottegaio che non si fida del garzone, o come un direttore che non si fida del Fantozzi di turno).
Cadorna, nonostante eventuali dissidi passati, stimava il generale Capello e almeno fino a che avesse deciso di tenerlo a capo della Seconda Armata, aveva tutta l' intenzione di lasciare al suo genio e soprattutto alla sua dignità di comandante tutte quelle libertà di azione proprie di chi è chiamato a comandare un'intera armata. Per questo non sospettò neppure per un attimo che Capello potesse non eseguire gli ordini emanati il 18 settembre o che la sua progetta contro-offensiva fosse in contrasto con essi (e per questo, come visto, la approvò interpretandola come successiva all'arresto del nemico sulla difesa ad oltranza precedentemente ordinata).
Questo spiega la mancanza di inverventi per correggere la condotta di Capello. Quanto invece a quella dei comandanti di Corpo d'Armata, Cadorna, come detto prima, intervenne per chiarire la necessità di disporre le loro artiglierie al fuoco di contropreparazione e di sbarramento, e Montuori, che sostituiva provvisoriamente Capello, parafrasò i suoi ordini trasmettendoli ai comandi di corpo d'armata
"Le più probabili zone di partenza delle truppe nemiche [...] debbono essere già note, almeno approssimativamente, ai comandi di Corpo d'Armata. Essi dovranno disporre che tali zone siano battute violentemente fin dall'inizio del bombardamento nemico per soffocare fin dalla sua preparazione lo scatto delle fanterie avversarie, schiacciandole nelle loro stesse trincee di partenza prima ancora che il loro attacco riesca ad essere sferrato. I comandi di Corpo d'Armata di prima linea vorranno comunicare a questo comando, entro il 13 corrente, quali sono le probabili zone di irruzione nemica, affinché si possa disporre che anche altre batterie ed altresì di grosso calibro concorranno a questi tiri di contropreparazione allo scatto delle fanterie nemiche".
Il comando della 2° armata concluse chiedendo speciale assicurazione su questo argomento. Sarebbe interessante, nota sempre l'ottimo Faldella, sapere quali "speciali assicurazioni" diedero i comandi del IV e del XXVII Corpo.
Insomma, gli ordini in proposito furono dati da Cadorna e ritrasmessi dal comando della 2° armata: se poi Cavaciocchi e Badoglio non hanno saputo dare concretamente seguito a tali ordini la colpa ricade su loro soltanto, poiché mai si è visto un comandante in capo dell'esercito girare fra gli osservatori dell'artiglieria o fra gli uffici informazioni a cercare di stabilire gli obiettivi nemici da colpire e a disporre le singole batterie a tale scopo.
Che poi questi, per discolparsi, abbiano raccontato (sapendo di mentire) che nel 1917 l'artiglieria italiana non conosceva ancora il fuoco di contropreparazione è tutto un altro discorso, che non riguarda certo Cadorna.

Altra spiegazione invece per il comportamento del comando supremo fino al 19 ottobre, può essere il suo pensiero riguardo alla consistenza dell'attacco austro-tedesco. Come visto, il servizio informazioni del comando supremo aveva allertato per tempo Cadorna, ma successivamente le conclusioni che si traevano dai dispacci si fecero sempre più volte a minimizzare l'importanza dell'attacco e la partecipazione dei tedeschi
30 settembre: pare che il nemico abbia abbandonato per il momento l'idea di un'offensiva.
2 ottobre: un ufficiale polacco catturato riferisce di una probabile azione in grande stile e accenna a un attacco dalla testa di ponte di Tolmino. E' segnalata la presenza nelle retrovie di Tolmino di una divisione austriaca e di due battaglioni tedeschi. Conclusione: un'offensiva nemica avrebbe soltanto carattere di operazione locale.
8 ottobre: segnalati attivo movimento ferroviario, presenza di truppe germaniche fra Lubiana e Tolmino, prossimo arrivo della divisione slesiana, arrivo di artiglieria germanica, conclusione: probabile offensiva per riprendere l'altipiano della Bainsizza, con concorso germanico molto limitato.
9 ottobre: intensa affluenza di segnalazioni di arrivo di truppe germaniche. Conclusione: il nemico ha serie intenzioni di offensiva; voci indicano zona di attacco da Kal a Tolmino e la data: ultima decade di ottobre.
13 ottobre: un'offensiva nemica è molto probabile e prossima nel settore da Tolmino al Monte Santo.
17 ottobre: segnalazione di addensamento di truppe nemiche da Tolmino verso nord, numerose bombarde e artiglierie fra Tolmino e Monte Nero, truppe salde e ben provate in conca di Plezzo.
Solo a una settimana dall'attacco per la prima volta l'attenzione era rivolta al settore Plezzo-Tolmino, e per di più la conclusione era sconcertante: "non sembra fuori luogo attribuire al nemico l'intenzione di contrastare un'eventuale nostra avanzata con un'azione controffensiva".

Si sostiene che tali conclusioni fossero tratte apposta per non dispiacere a Cadorna, per lisciare e compiacere quella che si riteneva essere la sua personale opinione. Così anziché essere il servizio informazioni del comando supremo ad ad informare il comandante supremo era questo a ordientare le informazioni. Tutto molto tautologico. L'opinione di Cadorna non era però affatto infondata. Egli aveva il pregio di ragionare onestamente riguardo al nemico, ossia di attribuire come intenzioni a questi non già quello che avrebbe voluto come comandante italiano, ma quello che, al suo posto, avrebbe fatto egli stesso da comandante austriaco per nuocere massimamente all'esercito italiano. Poiché secondo Cadorna conveniva ai Tedeschi, dopo l'uscita di scena della Russia ad est, mettere fuori gioco l'Italia in maniera definitiva per poi concentrarsi a chiudere la partita con la francia a ovest (cosa che davvero era nelle intenzioni degli austro-tedeschi), ne conseguiva che avrebbero attaccato l'Italia in maniera tale da poter ottenere un successo decisivo. Le precedenti esperienze di battaglia sia difensive sia offensive sul fronte italiano avevano convinto Cadorna che data la natura del territorio (ostile all'offensiva) un successo davvero decisivo si sarebbe potuto ottenere soltanto attaccando contemporaneamente dal Trentino e dall'Isonzo, in modo da impedire all'esercito italiano di spostare truppe da un fronte all'altro secondo il bisogno e da provocarne così l'accerchiamento di quasi tutte le sue forze e il collasso totale. Costituisce più di una coincidenza il fatto che questo parere fosse anche quello del Feldmaresciallo Conrad Von Hotzendorf, il quale, infatti, premette a più riprese sull'alto comando austroungarico per ottenere rinforzi ai fini di un'offensiva dal trentino in contemporanea di quella sull'Isonzo. I tedeschi però non vollero distogliere forze dalla loro operazione, e venne accordato a Conrad di disporre di alcune divisioni (per la sua sospirata offensiva trentina) solo dopo che queste avessero contribuito a sfondare il fronte isontino (e dunque fossero già per così dire "meno impegnate" dovendo poi compiere solo un inseguimento ad un'armata sconfitta e non già uno sfondamento su un'armata intatta come all'inizio). Ne conseguiva che, poiché i preparativi sul Trentino (nonostante i tentetivi austriaci di simulare il contrario) non lasciavano presagire nell'imminenza grandi offensive, anche l'offensiva (ormai certa e imminente) sull'Isonzo non poteva essere nulla più che un tentativo di annullare i progressi italiani dall'inizio della guerra in modo da consolidare il fronte in attesa della vera offensiva più avanti o addirittura nell'anno venturo. Non si concepiva infatti un'offensiva su larga scala operata in maniera da non poter essere decisiva (poiché operata su un solo fronte, su quello che agli Italiani era costato tanto tempo e tanta fatica spostare ogni volta di pochi chilometri nelle precedenti undici battaglie). Il ragionamento di Cadorna sarebbe stato perfetto se avesse dovuto fronteggiare i soli austriaci con cui si era sempre misurato (e che infatti avevano le stesse opinioni), mentre rispetto ai tedeschi dimostrava una ciecità di fondo (giustificata dal fatto di non avere assistito alla battaglia di Riga del settembre scorso). Le nuove tecniche della fanteria tedesca (spiegate ieri) permettevano lo sfondamento del fronte laddove i metodi tradizionali avrebbero permesso solo sue limitate modificazioni a favore dell'attaccante. Con tali tecniche non era assurdo pensare ad un'azione di totale rottura del sistema difensivo italiano anche attaccando dal solo fronte Isontino (e non contemporaneamente su due fronti come sarebbe stato necessario altrimenti).

Domani esaminerò invece il comportamento del generalissimo Cadorna dopo il 19 ottobre (a meno di quattro giorni dall'attacco austro-tedesco).

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