La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Cuma, Temmuz 15, 2011

MARIANGELA MELATO: VECCHIA CARIATIDE SPOCCHIOSA E MORALISTA Ieri a "Fratelli d'Italia" Nel Trecento, un tal Cecco d'Ascoli, ritenendo Dante Alighieri qualcosa di simile ad un "pallone gonfiato" (per la colpa di sostenere una dottrina non conforme con quanto riteneva essere "politicamente corretto" nei criteri di quel secolo) compose versi per dargli dell'asino. Cinque secoli dopo Giosuè Carducci, trovando per caso quel componimento in una biblioteca mentre era in cerca di inediti classici, utilizzò le stesse rime per dare dell'asino a Cecco d'Ascoli, traendolo dall'oscurità dei tempi solo per svergognarlo davanti all'eternità. Chissà se qualcuno nel duemilacinquecento (quando D'Annunzio sarà ancora oggetto di studio e di culto fra gli amanti delle belle lettere e gli storici dell'arte, della moda, dei costumi, della politica, mentre di Mariangela Melato più non si ragionerà) farà così con Mariangela Melato che iersera ha datto del "pallone gonfiato" a Gabriele D'Annunzio (reo come Dante di essere consapevole della propria potenza poetica e di usarla per affermare una visione del mondo non conforme a quanto l'oggi chiama politicamente corretto, in senso femminista, liberale e pacifista)? Cecco d'Ascoli almeno è stato in grado di scrivere. Mariangela Melato sa solo parlare parole scritte da altri (e quando discorre per conto proprio non sa uscire dagli schemi di ragionamento della pseudocultura di sinistra in cui le verità divengono dogmi solo perchè all'interno di quell'autoreferenzialità sono poste a fondamento di ogni giudizio morale e all'esterno chiunque le critichi viene chiamato "incivile" e "incolto"). La sua è l'invidia delle foglie per l'albero: le attrici, leggere al vento delle passioni, spuntano e appassiscono con il fluire delle stagioni, mentre gli autori, avendo radice nella terra feconda del genio, restano negli anni. Le prime, prive (come giustamente sapevano i padri della chiesa) di anima propria, volteggiano nell'aria cercando di interpretare quella dei personaggi, i quali soli restano, interpretati di volta in volta da attrici diverse. E' così che l'autore vive in eterno, come una pianta che ad ogni stagione appare sempre fiorente perchè coperta di foglie diverse ogni volta destinate a perire. Tutto ciò deve far sragionare la presunzione di ogni "femmina intellettuale", la quale, nel caso della M., arriva al punto da disconoscere il valore culturale, poetico e politico del Vate. Si può essere in disaccordo con le di lui opinioni politiche (del resto egli stesso era in disaccordo spesso con sè, se all'improvviso in parlamento passò, come è vero, dall'estrema destra all'estrema sinistra), ma risulta difficile pensare a come un personaggio capace per mezzo secolo di segnare stili letterari, vitali e politici, in Italia e nel Mondo, possa essere stato "soltanto un bluff". E' difficile come dare dell'asino a Dante solo perchè, magari, non se ne condividono le opinioni storiche, politiche e religiose. Come Dante, nel bene e nel male, ha fondato la lingua italiana, così D'Annunzio ne ha generato il rinnovamento, piacciano o meno i suoi frutti. Nel mondo moderno i giudizi sulla poetica divengono spesso soggettivi, ma non può non essere oggettivo il riconoscimento, nella lirica dannunziana, di un'abilità tecnica e di una raffinatezza lessicale sopraffini, evidenti già da "primo vere" (in cui il poeta ancora adolescente dimostra, sia pure ancora solo con esercizi di stile, di avere nelle corde della propria lira tutte le note della tradizione dallo stilnovo al romanticismo), di una musicalità di versi che non può non essere detta divina da chi l'ascolti (basti pensare alle liriche più celebri di Alcyone), di una capacità di generare immagini e suoni attraverso l'arte del dire senza confronti tanto nei versi quanto nei romanzi, di una abilità nel perdere la mente negli imperi dell'illusione e del sogno (si pensi alla raccolta "sogni di terre lontana"), nel generare con rime e racconti un'ebbrezza inesausta di sensi e di idee (si pensi a quella "falce di luna calante che brilli sull'acque deserte" o alla "pioggia nel pineto"), nel riprodurre con la voce interiore della lettura tutta la sensualità del vivere (si pensi al "notturno" o alla lirica "la passeggiata" o "le mani") tali da ammaliare lettori e lettrici di ogni estrazione sociale, età e sesso. Negare tutto questo suona come dire che le gambe di Alba Parietti non sono mai state belle, mossi da rivalsa per le di lei opinioni politiche. Si possono non condividere stili e pensieri Dannunziani, ma non si può nascondere la loro rilevanza innanzi all'arte, alla vita, alla storia: che il vate sia stato modello tanto per i fascisti quanto per certi antifascisti (fu a lui che Gramsci pensò per craere un fronte comune contro Mussolini), tanto per i suoi emuli poetici quanto per i suoi poetici detrattori (primo fra tutti Montale), tanto per la nuova letteratura quanto per le nuove mode non costituiscono fatti opinabili. E tutto questo anche senza trascurare come il giudizio positivo di Lenin nasca proprio dall'azione rivoluzionaria dello stile e del pensiero dannunziano nella politica: la reggenza del Quarnaro fu il primo stato non solo e non tanto a riconoscere i soviet, ma anche e soprattutto a provare di porre "l'immaginaziona al potere", ad affermare (via Alceste de Ambris) la proprietà privata non come diritto soggettivo inalienabile bensì come funzione sociale, a sostenere il valore fondante e creativo (e non già meramente strumentale o sfruttatore) del lavoro, ad attribuire alle donne parità di diritti e doveri eccetera eccetera. Se nella sua fase reazionaria il fascismo ha sentito bisogno di metterlo da parte un motivo ci sarà stato. Liquidare l'autore di tutto questo come pallone gonfiato risulta pari nell'ignoranza e nella malafede al ridurre una figura come Pier Paolo Pasolini al rango di "depravato" solo perchè l'odio per la di lui vita e i di lui pensieri cela alla mente la grandezza oggettiva della sua arte e la profondità indiscutibile della di lui cultura. E' qui che la sinistra non si dimostra affatto migliore non solo della destra, ma nemmeno dei nazisti che bruciavano i libri e deportavano gli autori. Voler togliere dalla letteratura ritenuta degna di studio le opere dannunziane (chiamandole "non sublimi") equivale a porle sul rogo (dato che quanto non è oggetto di studio scolastico è destinato oggi come oggi a perire), dare del pallone gonfiato all'autore (negandogli la qualità di poeta) equivale a metterlo in un gulag culturale (giacché lo studiarlo diverrebbe segno di "stupidità" e "incultura"). Io, per quanto anticomunista, non farei mai cose del genere con l'opera di Pasolini. L'accusa di superbia è del tutto fuoriluogo. Se è vero, come è vero, che "in principio era il verbo e il verbo era presso dio" ("Divina è la Parola, nella pura bellezza il ciel ripose ogni nostra letizia, e il verso è tutto", direbbe il poeta), allora chi è stato in grado di compore immortali inni, di pronunziare parole più eloquenti delle più eloquenti carezze, di far risuonare i versi di musiche degne del paradiso terrestre non può essere considerato e considerarsi come semplice mortale: ogni tributo preteso o concesso è mero riconoscimento del vero. Superbia è la pretesa femminea di modestia: contiene infatti l'immodestia dell'attribuire al semplice fatto biologico della vita materiale e conservativa data dalla madre ogni fondamento di valore (e quindi di diritto) e del condannare chiunque, per grandezza, potenza e durata, abbia saputo generare opere degne degli dèi e agire imprese, per forza, coraggio e splendore più che umani, capaci di andare oltre l'umano, nella vita spirituale e ascendente o semplicemente poetica. Ma tale superbia travestita da umiltà è solo la versione matriarcale del socialismo. Tornando a D'Annunzio, egli, come nel mito rivelato dal Foscolo nell'ode All'Amica Risanata, ha saputo trasformare in dee le donne amate, accostando alla bellezza corporale e mortale delle grazie femminili quella non corporale e non mortale della poesia, fino a rendere le loro grazie non più soggette all'imperfezione del mondo e alla corruzione del tempo e della morte, ma, nella chiusa perfezione dell'opera d'arte, in grado, come ogni divinità dell'olimpo, di fermare il tempo, di restare "per sempre così belle" (come le immagini sull'urne greche di John Keats), di vivere eternamente nel ricordo e nell'adorazione dei posteri e di splendere eternamente uguali a sè alla pari del sole e delle creature siderali. Inoltre egli non si limitava ad un apprezzamento meramente esteriore della donna, ma amava indagare ogni risvolto del suo mistero e della sua bellezza, fino a far conoscere ed amare al lettore gli animi senza fondo e senza lido di donne oscure e fatali come Elena come quelli puri e innocenti delle candide remissive come Maria, gli anfratti interiori di donne gravi e soavi come Ippolita come quelli al limite della follia delle due donne di "Forse che sì forse che no". Nella lirica dannunziana si narra la magia di "quelle mani, anima, quelle dita, che baciammo e che sfiorammo con le labbra una volta e nel sogno e ne la vita" e si fa sorgere il disio di avere da esse "tutto il bene e tutto il male". Nemmeno quando si parla di "colei che fu da tutti posseduta" vi è alcuna traccia del mercantilismo berlusconiano o della superficialità televisiva: sempre nel lettore delle rime e dei romanzi prorompe l'interesse per quello che la bellezza femminile è tanto nel corpo quanto nella sublimazione spirituale. Per Dannunzio la donna è "una scienza". Evidentemente si sbagliava. Innanzi a donne moderne che così mal trattano chi le ha studiate, apprezzate, divinizzate e fatte conoscere nella loro profondità sorge in me la certezza di come nulla di tutto quanto dannunzio nella vita e nei versi ha fatto per loro sia da loro meritato. Meritano solo i misogini come me e Schopenhauer, pronti a mostrare come la loro bellezza (tanto sensitiva quanto intellettiva) si risolva in una mera illusione del desiderio: basti guardare ai pavoni, ai leoni e ai tanti pesci per capire come solo nei maschi vi siano gli arcobaleni delle code, le criniere, i mille colori, restande le femmine bruttine e semplicemente utili alla specie. Sulle "Cazzullate" Il maschiopentito Cazzullo dimentica colpevolmente come la sovraesposizione della figura maschile nella storia, nell'arte e nella letteratura rispetto a quella femminile sia una conseguenza della preminenza naturale di quest'ultima nelle sfere più rilevanti davanti alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale, per compensare la quale gli uomini si sono da sempre dovuto ingegnare a costruire e usare la posizione sociale, la ricchezza, il prestigio, il denaro, la cultura, il potere nel tentativo di avere la medesima desiderabilità amorosa, la medesima universale ammirazione, la medesima accettazione sociale data alle donne dalla bellezza (o, meglio, l'illusione del desiderio) e la stessa possilibilità di scelta, la stessa forza contrattuale, la stessa capacità di influire realmente sul mondo (pubblico come privato) conferita alle donne dall'influsso da esse esercitato sugli uomini per mezzo di quanto in essi vi è di più profondo e irrazionale, notato già da Rousseau e ineliminabile anche nella più misogina delle società (perchè insita nei ruoli, dall'amante alla madre, propri alla donna per natura e comunque tale da rendere in ogni rapporto umano non banale la sua influenza sull'uomo molto superiore de facto a quella inversa). La donna, ovunque vada, riceve l’ammirazione dei presenti, il sorriso degli astanti, la corte (esplicita o, più spesso e più rilevantemente per l’autostima, implicita) dei disianti, per la sua semplice presenza, gode del privilegio di sentirsi universalmente mirata, amorosamente disiata e socialmente accettata di per sè, per la grazia, la leggiadria, bellezza (o, meglio la sua illusione), la pura essenza mondana, senza dover obbligatoriamente mostrare altre doti o compiere particolari imprese, come sono invece costretti i cavalieri, i quali senza esse sono puro nulla) e, fin dal primo contatto emotivo, in ogni incontro (dal più fugace e casuale per strada o in disco, al più lungo e sentimentale), in ogni eventuale rapporto vanta la forza contrattuale dell'avere oggettivamente valide ed evidenti al primo sguardo le doti per cui essere, con la rapidità dal fulmine e l'intensità del tuono, universalmente mirata, amorosamente disiata e socialmente accettata (mentre l'uomo, ammesso e non concesso di possedere proprio quelle particolari doti di sentimento o intelletto, d'apprezzamento soggettivo e arbitrario, volute proprio da quella donna per un rapporto, deve procurarsi un'occasione per rendere sensibile all'animo e alla mente di lei quanto non può essere evidente nè al primo sguardo nè nella banalità dei normali incontri, ma necessita del dialogo solus ad solam, dello scambio spontaneo di ricordi ed emozioni, di momenti non banali da passare insieme senza impegno e senza tensione, nell'abbandono alle onde se non della voluttà almeno del sentimento, della modulazione della voce, della scelta dei vocaboli, del fluire di immagini e suoni come nelle poesie, del tempo dato al corteggiamento), la preminenza psicologica dell'esser già apprezzata per quello che è (bella, e se manca la bellezza supplisce l'illusione del disio) mentre la controparte deve "fare qualcosa" per mostrarsi all'altezza di quel dono divino (del poter già abbandonarsi alle onde della voluttà o del sentimento, o comunque divertirsi e rilassarsi, mentre l'altro subisce la tensione di un esame o comunque è tenuto a restare concentrato per indovinare cos la donna voglia e apprezzi e per mostrare il meglio di sè o quanto ritene possa essere visto e sentito come tale, del poter decidere in ogni momento se e come divertirsi con lui o su di lui mentre egli può solo, come un mendicante alla corte dei miracoli d'amore in trepida incerta attesa della sportula, guardare dal basso verso l'alto colei dal cui gesto dipendono il suo paradiso e il suo inferno), nonchè il potere di orientare a proprio vantaggio pensieri e azioni degli uomini influendo su quanto in essi vi è di più forte, vitale, profondo e irrazionale, che da un occasionale appagamento della vanità o da un gratuito sfoggio di preminenza erotica può trasformarsi, a capriccio, anche in vera e propria prepotenza psichica, con tanto di tirannia erotica, perfida sessuale o sbranamento economico-sentimentale (quantitativamente, essendo il disio delle prime non circoscritto alla bellezza ma volto a qualità necessitanti spesso esperienza del mondo e comunque variegate, e quello dei secondi imprescindibile da un giovion corpo di dea, o almeno dalla sua illusione, in ogni fascia di età le donne desiderabili sono di un ordine di grandezza meno degli uomini disianti, qualitativamente, essendo i maschi attori della necessità di propagazione della vita e le femmine di quella di selezione, il bisogno di godere l'ebbrezza e il piacere, dei sensi e delle idee è, nei primi, infinitamente più prorompente, intenso, insistente e inestinguibile che nelle seconde, arrivando, per il corpo e soprattutto la psiche, ad avere l'ineluttabilità profonda, periodica e frequente del respiro, quindi non solo, almeno nella loro prima metà di vita, le donne, anche quando di bellezza mediocre, di intelletto banale, di simpatia scarsa e di sensibilità rozza, possono avere qualsiasi rapporto con qualsiasi uomo, o comunque più possibilità di ragazzi anche mediamente carini, intellettualmente non scontati, simpatici e delicatamente sensibili, non solo possono altezzosamente atteggiarsi a miss mondo anche quando di bellezza non mai alta, non solo possono essere circondate di schiere di amici/ammiratori pronti a tutto per un sorriso appena lontanamente assomigliano a qualcosa in grado di susciatare un sia pur minimo palpito di desiderio, ma possono anche, da tutti, ottenere tutto, in pensieri, parole e opere, giacchè a tutto è infine disposto chi non vede altra via per raggiungere quel bene necessario come l'acqua, ineludibile come il respiro, bello e inattingibile come la luna). L'uomo, per sperare di avere, con la stessa immediatezza e la stessa certezza, da tutti e tutte, al primo sguardo e a prescindere da tutto il resto (ivi compresi pensieri, sensibilità, gusti, culture, considerazioni e volontà coscienti dei singoli) la medesima ammirazione universale, la medesima desiderabilità amorosa, la medesima sociale accettazione, deve raggiungere una posizione di primato o prestigio sociali, o comunque mostrare eccellenza in doti oggettivamente valide ed immediatamente apprezzabili al pari della bellezza, con le quali venire ammirato da tutti, desiderato dall'altro sesso, accettato dalla società con la stessa rapidità e la stessa ineluttabilità con cui le belle donne lo sono per le loro forme, di cui la donna senta bisogno o brama di intensità, con immediatezza e ineluttabilità pari a quanto provato dagli uomini innanzi alle grazie corporali, grazie alle quali bilanciare in desiderabilità e potere un eventuale rapporto, o anche solo renderlo possibile, facendo desiderabile da parte della donna allo stesso modo in cui lo è fin dal primo sguardo da parte dell'uomo incantato dal claro viso, della lunghe chiome, dall'alta figura di dea, dal corpo statuario, dalla liscia pelle ed indorata come sabbia baciata dall'onde dalle membra modellate, dalle forme rotonde del petto, dal ventre piatto e levigato, dalle lunghissime gambe ed abbronzate, e dall'altre grazie ch'è bello tacere, un incontro solus ad solam in cui poi mostrare l'eventuale presenza o eccellenza delle qualità di sentimento o intelletto d'apprezzamento soggettivo e arbitrario (chè senza tale occasione, anche se possedute, rimarrebbero come una chiave giusta dimenticata appesa al muro). Non si tratta solo di "poter scopare", ma, più profondamente ed esistenzialmente, di "sentirsi apprezzati", di avere libertà di scelta in quanto (l'amante di una notte o di una vita, la procreazione, l'influenza inconscia sull'altro e sulla prole) davvero più conta innanzi alla natura, alla discendenza e alla felicità individuale. Si tratta di quanto davvero costituisce il fine esistenziale dell'essere umano e rispetto al quale tutto quanto l'uomo ha costruito (il lavoro, il denaro, la cultura, la stessa struttura sociale) è semplice sovrastruttura (a volte necessaria reperire mezzi per le necessità vitali, a volte, ottima per bilanciare con la "rappresentazione" certi privilegi naturali nel "mondo come volontà"). Non bisogna confondere mondo vero e mondo apparente. Il mondo vero è la realtà naturale, i bisogni amoroso, le pulsioni vitali, mentre il mondo apparente sono le posizioni sociali, le ricchezze, il potere semplicemente esteriore (economico, culturale, materiale). Costruire valori e rappresentazione sociali (tutto quanto chiamiamo "cultura", "intellettualità", "arte", "struttura sociale" ovvero, il mondo apparente) per bilanciare individualmente (con lo studio, il lavoro, la posizione sociale, il prestigio, la cultura, il potere, la fama, la ricchezza e tutto quanto consegue merito o fortuna individuali) e socialmente (con le mirabili strutture dell'arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come della società, concepite dai grandi uomini dei popol indoeuropei fondatori di città e civiltà per misurare i millenni e non essere raggiunte dai contemporanei nè superate dai posteri e distrutte dai moderni secguendo la demagogia femmineo-egalitaria) in desiderabilità e potere tutto quanto alle donne è dato per natura dalle disparità di desideri nell'amore sessuale e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri non è e non è mai stata discriminazione o oppressione ai danni delle donne, ma un equo, giusto, umano, necessario modo dell'uomo per avere la stessa libertà di scelta e la stessa forza contrattuale nelle sfere più rilevanti innanzi alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale (ovvero, il mondo vero). Siamo all'assurdo per cui non solo l'uomo manca della metà delle possibilità di compensazione (quelle sociali), ma addirittura, per l'altra metà, viene chiamata discriminazione la risultanza dello sforzo vitale e disperato del singolo uomo di usare il proprio studio, il proprio lavoro, il proprio merito, la propria fortuna per avere tutto quanto alle donne è dato per natura. Le donne, non contente di mantenere la naturale preminenza nel mondo vero, vogliono persino le quote nel mondo apparente. Le più stupide fra esse (le femministe) addirittura negano o disprezzano come "contropotere" il proprio potere naturale-reale (non contando che è proprio ciò che l'uomo vuole e deve raggiungere, per vivere libero e felice, con i mezzi del mondo apparente), invertendo causa ed effetto, mondo vero e mondo apparente. E' il colmo che il mondo apparente (tutto comprendendo, dalla ricchezza di carta della finanza q quella intellettuale della poesia) con cui l'uomo ha cercato di bilanciare la naturale preminenza femminile in quello vero sia divenuto tanto importante da far dimenticare (non si sa quanto sinceramente) a certe donne come si tratti, appunto, di apparenza. Si tratta di una stupidità, direbbe nietzsche, "tipicamente maschile". Essendo il potere delle donne fondato sulla natura e sugli istinti ad essa correlati, ed essendo quello degli uomini invece fondato sull'arte (intesa in senso lato come ciò che è opera delle mani dell'uomo) sulla parola, sulle costruzioni culturali, sociali e poetiche si deve concludere essere il secondo una limitazione del primo e non viceversa, giacché Costruzioni dell'intelletto umano sono successive allo stato di natura (Il desiderio sessuale e il suo sfruttamento a fini femminili sono preesistenti alla maggiore forza fisica del maschio umano rispetto alla femmina, tanto che in natura vi sono molte specie in cui è la femmina a divorare il maschio e mai viceversa. Inoltre il potere conferito dal suscitare desiderio sessuale è superiore a quello dato dalla forza fisica, poiché una volta che si ha il controllo della volontà che governa quella forza essa non può nuocere. Ciò è dimostrato anche dal fatto che presso gli umani le società matriarcali abbiano preceduto quelle patriarcali, ad onta del fatto che l’uomo fosse già fisicamente più forte della donna e a scorno delle tesi femministe su una perfidia suppositamente data dalla reazione alla prepotenza fisica. Quindi risulta assolutamente errato introdurre la presunta superiorità fisica del maschio per tentare di invertire l’ordine temporale di questi fatti: la realtà è questa, il maschilismo è reazione pacata alla prepotenza della femmina). Che poi le donne siano dietro non smentisce ma conferma il loro potere (rispetto a cui il "maschilismo" è umano, equo ed auspicabile tentativo di bilanciamento), giacchè è proprio stando dietro le quinte che è possibile esercitare un potere privo di limiti, critiche e controllo ed avere (anche su chi si crede il protagonista) un'influenza non possibile neppure combattendo personalmente sulla scena (senza nemmanco correre gli stessi rischi e fatiche). Non è un caso se i boss mafiosi restano sempre, appunto, dietro le quinte e non si pongano mai in primo piano per vanità. Forse a questo cazzone di Cazzullo, che non capisce come i cinque sesti degli uomini siano stati e continuino ad essere marionette, servirebbe visionare il teatrino dei pupi siciliani. Su D'Annunzio e la Duse Dire che costituisca una delusione d'uomo chi senza rancori nè falsità ammetta: "ella mi ha amato più di ogni altra donna" significa essere avvezze alla presunzione morale e alla menzogna sentimentale. D'Annunzio così dicendo della Duse è stato sempliemente sincero: una volta appurato come l'amore da lei riversato su lui sia stato maggiore di quello ricevuto dalle altre e forse anche di quello a lei tribuito non ha la pretesa (come l'avrebbero a parti invertite le donne) di ricoprire la parte di chi ha amato e sofferto di più, ma ammette candidamente di aver ricevuto un dono senza pari. Se fosse stato superbo e falso, avrebbe fatto come tutte le donne: si sarebbe inventato di averla amata più di tutte e di non aver ricevuto adeguata ricompensa. Osa parlare di egocentrismo per chi, non con vanitoso compiacimento, ma con amaro rammarico e dolce rimpianto, dichiara al mondo di essere stato oggetto del maggiore e più divino dei doni da una donna (anzichè, come avrebbe voluto lei, inventarsi di aver donato l'amore più grande). Ma senti chi sta parlando di egocentrismo. Le donne, che per concedere il minimo rapporto umano pretendono dal malcapitato il passaggio sotto le forche caudine del corteggiamento, durante le quali possono permettersi letteralmente di tutto (qualsiasi provocazione più o meno sessuata, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi irrisione al disio, qualsiasi inflizione di senso di nullità innanzi alla bellezza, di sofferenza al corpo e alla psiche, di inappagamento fisico e mentale fino all'ossessione, di disagio degenerante da sessuale ad esistenziale, con rischio, per il giovane maschio, di non riuscire più a sorridere nel sesso e di avvicinarsi ad una donna senza vedervi motivo di patimento, tirannia e perdita di ogni residuo interesse per la vita) o comunque anche solo prolungare all'indefinito quella condizione di preminenza psicologica con loro mirate, disiate, accettate per quello che sono - belle, chè ove manca la bellezza supplisce l'illusione del desiderio, e noi costretti a fare qualcosa per apparire degni di tal "dono divino", con loro possibilitate già a rilassarsi, dilettarsi, valutare con calma l'eventuale presenza o eccellenza delle doti volute, pregustarsele in un caso o irriderne l'assenza nell'altro, scegliere se divertirsi con noi o su di noi, e noi obbligati a sopportare la tensione di un esame, a restare concentrati per mostrare il meglio di noi, o quanto riteniamo possa apparire agli occhi femminei come tale, quando vorremmo abbandonarci alle onde della voluttà e del sentimento, a restare angustiati dal disio e a rimetterci ad una decisione altrui), che appagano la propria vanità e misurano la propria avvenenza su quanto ogni uomo attratto è disposto ad offrire e soffrire per loro, che mescolano biologia e filosofia morale per presentare sotto le spoglie di “bontà” e “purezza” il proprio comportamento naturale (e quindi di origine chiaramente animale come quello dell’uomo) consistente nel mostrarsi in ogni modo tempo e luogo belle a disiabile (inconsciamente, per attirare più maschi possibile e selezionare fra essi chi eccelle nelle doti volute, consciamente per pura vanità, supina accettazione di mode e costumi, patologico bisogno d’autostima o gratuito sfoggio di preminenza erotica) e pretendere al contempo di far apparire “più animale” o comunque “impuro” e “malvagio” e addirittura “vergognoso e colpevole” il corrispondente comportamento naturale maschile consistente nel mirare, disiare (con la rapidità del fulmine e l’intensità del tuono) e cercare di ottenere la bellezza nella varietà multiforme delle creature femminine, senza voler ammettere come entrambe le tendenze (tanto il suscitare disio, il rifuggire e il negarsi per attirare tutti e selezionare solo chi mostra eccellenza nelle doti qualificanti la specie, quanto l’esprimere subitaneo disio e voler godere della bellezza di tutte) concorrano al fine naturale di propagazione e selezione della vita, come entrambe, in quanto natura, siano di là dal bene e dal male (almeno fino a che la cattiva coscienza di chi agisce per capriccio, vanità, interesse economico sentimentale o gratuito sadismo non introduca un’intenzionale perfidia e un scientifico inganno) e come nessuno dei due potrebbe esistere senza l’altro, che quando, da amiche reali o virtuali come da amanti, si sentono non dico respinte, ma desiderate secondo modi e tempi non conformi all'intensità e all'immediatezza richiesti ne fanno una questione di stato! Conclusione: Daltronde queste donne moderne, che con l'inganno di una parità di facciata (laddove le condizioni, le preminenze e le esigenze di natura sono diverse) vorrebbero impedire all'uomo di bilanciare individualmente (con lo studio, il lavoro, la cultura, il successo, il potere, la fama, la ricchezza, il prestigio, la posizione sociale e quant'altro consegue la fortuna o il merito individuali, ingiustamente visto come effetto di discriminazione) e socialmente (con le mirabili strutture dell'arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come della società, ingiustamente chiamate oppressione) tutto quanto in desiderabilità immediata, profonda e ineludibile e influenza reale sul mondo è dato alle donne per natura dalle disparità di desideri nell'amore sessuale e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri, che vorrebbero mantenere la preminenza naturale in tutto quanto è più rilevante per l'autostima, il benessere psicofisico e il vero potere individuali nonchè per la riproduzione proprio mentre convincono la massa di imbecilli a smantellare quanto i saggi fondatori di città e civiltà avevano edificato per permettere all'uomo di avere pari forza contrattuale e pari possibilità di scelta in quanto davvero conta innanzi alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale, che vorrebbero mantenere assieme antichi privilegi (mantenimento, cavalleria, corteggiamento) assieme ai moderni diritti, che pretendono da un uomo le fatiche e i rischi della conquista senza concedergli i diritti del conquistatore, che si dichiarano empatiche ma non hanno remore a infierire fisicamente, psicologicamente o legalmente su chi si trova nella condizione psicologicamente difficile di fare la prima mossa senza poter sapere se il tentativo avrà successo (ovvero sarà gradito), che irridono le sofferenze di chi si trova dalla parte dell'umanità priva del diritto ad entrare gratis ovunque accompagnata dal sorriso degli astanti, dal beneplacito della cultura e dai sospiri dei corteggiatori, e quindi implicitamente considerata (spesso nel periodo più delicato della giovinezza, quando non si è ancor avuto tempo e modo di crearsi una posizione nella società e nella sessualità, di far proprie e mostrare armi con cui bilanciare la bellezza in un eventuale rapporto o anche solo rendere esso desiderabile o almeno non irrealistico agli occhi della donna, o di costruirsi una salda autostima) indegna di disio e serie b, e non contano come da grande chi vive questo userà giustamente tutti i mezzi (fra cui ricchezza e potere o ogni altra dote immediatamente evidente ed oggettivamente valida al pari della bellezza, con cui essere universalmente mirato, amorosamente disiato e socialmente accettato al primo sguardo, e a prescindere da tutto il resto, compresi pensieri e inclinazioni individuali, dall'universalità della controparte con la stessa rapidità, la stessa ineluttabilità, la stessa profondità con cui le belle donne lo sono per le loro grazie corporali, di cui le donne sentano bisogno e brama di intensità e immediatezza pari a quanto provato dall'uomo innanzi alla bellezza, grazie a cui potersi procurare in ogni momento e con qualunque creature rimirata incontri solus ad solam in cui poi poter mostrare senza disagio le eventuali doti di sentimento o intelletto volute da quella donna per un rapporto e non evidenti al primo sguardo o nei banali momenti della vita moderna) per essere la "serie A", che si dicono comprensive ma non comprendono come sia psicologicamente pesante il dover (in conseguenza delle loro pretese) tentare n volte con n donne diverse sperando la n+1 esima sia quella giusta sperimentando ogni volta l'illusione (giacchè non è possibile vincere timidezza e ragionevolezza senza autoconvincersi di essere innanzi al proprio sogno estetico-sentimentale) e la delusione (giacchè non è parimenti possibile pretendere di possedere proprio quelle doti volute proprio da quella donna per un eventuale rapporto o, anche possedendole, di avere l'occasione per renderle evidenti solus ad solam), che si dicono delicate ma non hanno delicatezza nel definire pigro, insicuro o addirittura porco chi preferisce andare a puttane piuttosto che passare per le forche caudine del corteggiamento, in cui la dama di tutto potrebbe permettersi qualsiasi perfidia sessuale, qualsiasi tirannia erotica, qualsiasi avvelenamento amoroso, qualsiasi sbranamento economico-sentimentale e in cui comunque si deve sostenere una situazione emotivamente impari (loro già universalmente mirate, amorosamente disiate e socialmente accettate per quello che sono -belle-, noi costretti a "fare qualcosa" per apparire all'altezza, per cogliere l'occasione, ammesso di possedere proprio le particolari qualità ricercate dalla particolare controparte, di rendere sensibile alla mente e all'animo quanto non evidente al primo sguardo e non rilevabile nei fugaci momenti degli incontri banali, ma da esse ricercato in un rapporto ed esprimibile solo nel dialogo solus ad solam, nello scambio di "colloqui, sogni e taciti pensieri", nella condivisione di ricordi ed emozioni, negli sguardi più eloquenti delle parole e nelle parole più taciute dei silenzi, nelle squisitezze intellettuali, nella scelta dei vocaboli, nella modulazione della voce, nel fluire di immagini e suoni come nella poesia, nel tempo dato al corteggiamento, loro nella condizione di potervi già abbandonare alle onde se non della voluttà almeno del diletto, rilassare e divertire, noi angustiati dal disio e sottoposti alla tensione psicologica di un esame, o comunque di un dover fare di tutto per indovinare quanto da voi preteso ma non esplicitamente rivelato, per mostrare il meglio di noi o almeno quanto crediamo possa essere più apprezzato, loro nella situazione di poter scegliere se divertirsi con noi o su di noi, di poter valutare con calma l'eventuale presenza/eccellenza in noi delle doti di sentimento o intelletto volute, pregustarne la presenza in un caso o irriderne l'assenza nell'altro, noi costretti come un mendicante alla corte dei miracoli a guardare dal basso verso l'alto nell'attesa speranzosa di una sportule, o comunque a tollerare i rischi e le fatiche della conquista senza poter fare obiezioni), che dicono di voler unire il sentimento al sesso, ma in esso sfruttano, senza limiti nè regole nè remore, le disparità di numeri e desideri chiaramente in loro favore per attuare un comportamento oligopolistico degno dell'opec e volto a rendere l'appagamento del naturale bisogno dell'uomo di godere della bellezza e del piacere dei sensi e delle idee quanto di più raro, difficile, duro, faticoso e costoso (sotto ogni punto di vista materiale e morale), per non dire irridente (quando si dovrebbe recitare da giullari del cui disio irridono o da seduttori per compiacere la loro vanagloria), doloroso per il corpo e la psiche (quando si dovrebbe fare da freddi specchi su cui testano l'avvenenza o da pezzi di legno innanzi a cui si permettono di tutto) e umiliante (quando si dovrebbe fare da amici/ammiratori disposti a dare tutto in pensieri parole ed opere per la sola speranza, da cavalieri serventi pronti a tutto per un sorriso, da mendicanti alla corte dei miracoli d'amore indotti nella trepida attesa della sportula a guardare dal basso verso l'alto colei dal cui gesto dipendono il paradiso o l'inferno) possa esistere all'universo mondo, che si dicono sensibili ma non fanno alcuna attenzione a non ferire, irridere e umiliare chi illudono e deludono, attraggono e respingono, inducono con arte a farsi avanti e poi chiamano molesto, che si dilettano a "fare le stronze" (come ormai divenuto costume in qualsiasi contatto, dal più fugace e occasionale per strada o in disco al più lungo e sentimentale), ovvero a trattare con sufficienza o aperto disprezzo chiunque tenti un qualsiasi avvicinamento erotico-sentimentale, mostrare pubblicamente, per capriccio, vanità , aumento del proprio valore economico sentimentale o gratuito sfoggio di preminenza, le proprie grazie solo per attirare, ingannare e sollevare nel sogno chi poi si vuole far cadere con il massimo del fragore, della sofferenza e del ridicolo, diffondere disio agli astanti e attrarre a sè - o addirittura indurre ad arte a farsi avanti e a tentare un approccio- sconosciuti che non si è interessate a conoscere ma solo a ingannare, far sentire nullità e frustrare sessualmente, dilettarsi, con (s)vestimenti, movenze, sguardi espliciti e atteggiamenti impliciti, silenzi eloquenti e parole ambigue, a suscitare ad arte disio per compiacersi della sua negazione - e di come questa, resa massimamente beffarda, umiliante e dolorosa per il corpo e la psiche da una raffinata, intenzionale e premeditata perfidia, possa far patire le pene infernali della negazione a chi è stato dapprima illuso dal paradiso della concessione-, attirare chi si vuole solo respingere, illudere chi si vuole solo deludere, fingere di apprezzare chi si vuole solo disprezzare, attrarre intenzionalmente, scegliere fra tanti e invitare all'approccio chi si vuole poi trattare come uno qualunque, un uomo senza qualità, un banale scocciatore, chi poi si vuole far sentire un puro nulla davanti a sè e agli altri, chi si vuole poi chiamare "molesto" quando, in maniera magari maldestra, comunque sincera, cerca di carpire i favori, attirare e respingere con l'intenzione di infliggere continuamente tensione psicologica, ferimento intimo, senso di nullità , irrisione al disio, umiliazione pubblica e privata, inappagamento fisico e mentale degenerante se ripetuto in ossessione e disagio scivolante da sessuale ad esistenziale (con rischio di non riuscire più a sorridere nel sesso e di avvicinarsi ad una donna senza vedervi motivo di patimento, tirannia e perdita di ogni residuo interesse per la vita), a usare insomma sugli l'arma della bellezza in maniera per certi versi ancora più malvagia di quanto certi bruti usino sulle donne quella fisica, che giocano perfidamente ad attirare chi vogliono respingere, a disprezzare chi le apprezza, a studiare di mostrarsi ad ogni costo belle e disiabili per poi insultare, irridere o ferire chi le mira, che chiamano "scocciatore o "molesto" chi tenta un qualsiasi approccio con loro ma poi, quando non hanno corteggiatori, si lamentano dei "maschi pavidi nel corteggiamento", che arrivano persino a disprezzare i loro cantori come D'Annunzio, non sono adatte ad alcun tipo di rapporto nè di trasporto sentimentale. Sono atte solo ad essere stuprate. Già l'usarle come divertimento puramente sessuale è troppo e va riservato a quando sono oneste e rispettabili (caso raro). Figuriamoci per il ruolo di muse poietiche o di figure sublimate del sentimento! P.S. Cosa, se non il moralismo, può spingere a dipinger qual vittime le "ragazze" di Berlusconi (che con le loro grazie ottengono più di quanto i loro coetanei possano con l'intelletto e lo studio)? Cosa, se non la spocchiosità, può farla sentire autorizzata a definire cultura il proprio teatro e incultura le televisione altrui, arte il proprio teatro e non poesia quello di D'annunzio? Cosa, se non la forma più grave di immoralità, può spingerla a cercare di dipingere come pure e giusto il comportamento naturale femminile (in questo caso monogamo, non concedersi facilmente, apparire belle e disiabili per attrarre quanti più contendenti e selezionare fra tutti chi eccelle nelle doti volute, rimanendovi poi fedele) bollando al contempo come impuro e malvagio il suo opposto complementare (in questo caso poligamo, mirare, disiare e seguire con l’intensità del tuono e la rapidità del fulmine la bellezza e cercare di ottenerla nella varietà delle forme viventi), che non solo parimenti è naturale (e quindi di là dal bene e dal male), ma che è anche assolutamente necessario, perchè senza di esso lo stesso comportamento decantato come buono non potrebbe essere agito?

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