La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Cumartesi, Temmuz 12, 2008

Finchè la barca va..........













I. RICONOSCERE LA SOVVERSIONE (titolo mio)

Tutti i mali del mondo moderno derivano dalla sovversione egalitaria, ovvero dalla assurda pretesa della maggioranza debole e mediocre di valere quanto la minoranza forte ed eccellente, dalla arroganza patetica della massa dei malriusciti dello spirito e degli incapaci di generare in grandezza, significato, grazia, forza e durata di essere uguale a chi sa creare opere esprimenti bellezza, maesta’, potenza e purezza, sa costruire mirabili, grandiose e durevoli architetture nella storia, nella politica, nell’arte e nel pensiero, sa essere cosi’ egoista da donare al mondo, attraverso l’espressione, l’accrescimento, il perfezionamento dall’interno e l’imposizione verso l’esterno della propria natura, un piu’ alto valore, un piu’ nobile sentire, una piu’ pura bellezza, dalla criminale credenza che la bruta forza del numero possa rendere chi non ha (a prescindere dalla sua erudizione e dal suo intelletto banalmente razionale) alcuna conoscenza dei significati superiori dell’esistenza (ne’ alcun sentore che tali significati siano necessari) del tutto equivalente in dignità, importanza e peso sociale a chi ha saputo, sa e sapra’ creare sempre nuovi valori, nuove bellezze, nuovi significati (non certo a capriccio e dal nulla, come pensano gli sciocchi male interpretando Nietzsche in senso individualista e nichilista, bensi’ conformamente ai principi della “vita ascendente” e a partire da quello sfondo cosmico, chiamato dagli indiani Rita, dai Greci Moira, daI Romani Ratio, daI Germani Orlog, dai persiani Ascia, da cui in ogni tempo si generano gli dei, ad opera di quegli uomini che non solo sanno fare cio’, ma soprattutto lo sentono come necessario, ovvero hanno “volonta’ di potenza”).
Su questo snodo fondamentale della storia (anzi, della meta-storia) concordano, partendo da vie diverse ed opposte ("dal basso" il primo, "dall'alto" il secondo), tanto il Friedrich Nietzsche della "Genealogia della Morale" e del "L'Anticristo" quanto lo Julius Evola di "Rivolta contro il mondo moderno" e di "Gli uomini e le rovine".
Che quell'insieme oltre-umano di significati, valori e bellezze la cui conoscenza (secondo Evola) o la cui creazione (secondo Nietzsche) definisce l'essenza dell'uomo aristocratico derivi dall'alto di un mondo uranico e imperituro dell'essere cui i migliori fra gli uomini si elevano tramite gli atti puri di guerra e ascesi, o dal basso delle pulsioni naturali più profonde e degli istinti vitali più forti, che la volontà di potenza degli uomini grandi sa coltivare, accrescere ed elevare fino al veritce dello spirito è assai secondario rispetto alla constatazione della sua esistenza nella storia e della sua necessità per una vita degna di tal nome.
Non ha senso rimarcare divisioni nel pensiero quando identico è il sentire. Per gli uomini che pensano davvero il pensiero non solo diverge da quello del proprio maestro, ma muta continuamente. Sono invece la forza, la direzione e la rettitudine del sentire a dover decidere sulle scelte di campo.
E, per quanto riguarda il modo di trattare con il campo avverso, non esistono dubbi. "Cosa è bene?" Si chiedeva Zarathustra. "Essere coraggiosi". " E cosa è bene nella guerra?" "Che santifica ogni causa", rispondeva poi, a significare, contro ogni politicamente corretta interpretazione ermeneutica (o relativista), che non esiste affatto un'uguaglianza aprioristica dei vari valori proposti dai vari popoli e dai vari uomini (da cui discenderebbero il "pensiero debole" e la giustificazione della pace e della fratellanza nel nome della mancanza di certezze assolute), ma che ciascun valore esprime invece la qualità intrinseca di chi lo propone: valori eroici e guerrieri, per cui i più forti e i più nobili fra gli uomini sono disposti a sacrificare il miglior sè, i compagni più cari, i figli, e tutti quanti la Moira necessiti, ad affrontare ogni colpa e ogni dolore e a rinunciare ad ogni altro bene della vita non possono essere comparati con valori collaborativi e pacifici, il cui unico significato è giustificare moralmente il desiderio dei plebei di conservarsi il più a lungo possibile in un benessere materiale da bestiame bovino.
Lo spirito guerresco è necessario se si vuole la vita ascendente, l'affermazione dei migliori, il dominio di chi ha la forza di creare nuova bellezza, nuovo valore, nuovi significato per quel continuo disperdersi di energie che è l'esistenza.
La guerra, per Nietzsche non è un fine in sè, o meglio non un fine ultimo, ma è "propedeutica" per chi non si accontenta del conservarsi senza altro scopo e brama il superamento della dimensione banalmente umana, lo slancio verso un grado di esistenza più ricco, profondo, complesso ed elevato, verso una maggior pienezza di significato, un superiore senso del vivere. La guerra contiene in sè la premessa di quella volontà di potenza creatrice: la guerra, come niente altro, dimostra la disposizione a conformare il mondo a immagine e somiglianza dei propri sogni e dei propri ideali, a costo della vita stessa. E' dunque la guerra e non la pace a generare i valori (valori per cui non si è disposti a mettere in gioco la vita non possono dare a questa una vera bellezza, un vero valore e un vero significato: possono al massimo fungere da trastullo intellettuale, per cui la vita ri-degenera in esistenza priva di scopo e di senso), e per questo, insegna Zarathustra, sarà solo la guerra a permettere il passaggio ad una fase oltre-umana della storia, in cui nuovi dèi vivranno e nuovo e più alto e vasto significato avrà la vita (in maniera del tutto analoga a quanto avvenne con la rivoluzione neolitica ad opera della stirpi Arie, come si deduce dal costante riferimento nietzscheano "all'Ellade che verrà"). Ne consegue chiaramente che nessun accordo è possibile con chi brama "la fine della storia", "la pace perpetua", il "lavorio costante e pacifico di un formicaio" e vede il tempo come una linea retta, o un segmento terminato da un verde pascolo. Consegue altresì che non serva alcuna "dimostrazione razionale" su cosa siano il bello, il nobile e l'eroico.
Come ebbi già a dire, il nobile, il bello e l'eroico possono spiegare tutto il mondo, ma nulla al mondo può spiegare il nobile, il bello e l'eroico. E' proprio ciò che fa sì alcuni li vedano come evidente ed altri li disconoscano, che alcuni uomini si infiammino, combattano e siano pronti a uccidere o essere uccisi per essi, mentre altri non li colgano, li denigrino, li neghino, li volgano in "crimine e pazzia" o li considerini roba da fiaba o pericoloso divertimento cui preferire un vile sopravvivere a stabilire il discrimine e il giudizio di valore (del valore innato, intrinseco e immutabile, non dipendente dalla cultura o dal caso) fra gli uomini. L'individuo benriuscito che è disposto ad affrontare rischi, fatiche, sacrifici, dolori e pene pur di generare oltre, di superare se stesso, di affermare i valori per cui la sua vita si ammanta di bellezza, pienezza e fascino non ha bisogno di dimostrare che "questo, e non altro, è vivere". Vive e basta.
E, ovviamente, combatte, come direbbe la miglior donna fra coloro che hanno capito Nietzsche (Anna K. Valerio) "perchè è di buon sangue, non perchè si sente sfruttato".
D'altra parte, "Non si scende a patti con la sovversione, mai", sentenziava un laconico Evola, criticando tutti quei re e quei nobili (già di per sè alquanto degenerati) i quali credevano di poter arrestare la rivoluzione giacobina alleandosi con essa contro un re o una nazione temporaneamente nemici per motivi di interesse contingente o tattico.
Questo è quanto mai attuale.
Dalla casta regale e sapienziale, in epoca arcaica, presso praticamente tutti i popoli indoeuropei, il potere passò alla casta guerriera, la quale, pur attraverso innumerevoli vicissitudini e decadenze (compresa la sovversione cristiana), lo mantenne fino al tempo dell'assolutismo illuminato, quando re fanfaroni ma assai poco avveduti (come Luigi XIV) pretesero di relegare al ruolo di privilegiati mantenuti i due pilastri di ogni potere anagogico: l'aristocrazia guerriera (esautorata dalle sue funzioni e imprigionata a Versailles nella gabbia dorata) e quella religiosa (esautorata anch'essa, con il Gallicanesimo, da ogni sua funzione realmente politica), con ciò preparando la propria caduta. Se le caste superiori dei guerrieri e dei sacerdoti, almeno finchè sono integre, vivono e agiscono secondo i criteri superi del sacro e dell'eterno, le caste inferiori dei mercanti e dei servi conoscono solo i criteri inferi dell'utile e del tempo.
E questo "cambio di paradigma" noto a tutti come "rivoluzione francese", appare agli stolti quale progresso (in cosa possa far progredire l'umanità il ghigliottinare Lavoiser a 30 anni non è chiaro) ed ai più avveduti quale "caduta verticale di ogni valore".
Assai sciocca è stata la pretesa della borghesia liberale, una volta sovvertito ogni ordine tradizionale e aristocratico, despiritualizzato il mondo ed imposto la materia quale unico valore, di fermare la stessa sovversione egalitaria che aveva fomentato. Per questo allo stato liberale succede sempre quello demo-liberale, a quello demo-liberale quello democratico, a quello democratico quello socialdemocratico e a quello socialdemocratico, quello socialista. Una volta propagandato che non esiste alcuna differenza innata fra uomini, che i valori superiori su cui le differenze passate si fondavano erano illusioni e che il fine dello stato non è anagogico (ovvero di tendere verso l'alto) ma eudemonico (ovvero di permettere la felicità), come si fa a giustificare innanzi ad un semplice cittadino "la bontà del sistema" in cui un suo simile possegga ricchezze paragonabili a interi stati, e possa vivere molto più felicemente e gaudentemente di lui, senza che tali abnormi differenze (maggiori persino a quelle che vi erano fra contadini e principi nel mondo tradizionale) abbiano una corrispondenza (come invece deve essere in ogni stato organico) nella differente dignità e nei differenti valori etico-spirirtuali di cui le persone, in base alla loro natura, e alla loro funzione all'interno dello stato, sono portatrici, e di cui le ricchezze esteriori sono semmai il simbolo sensibile? Come si fa inoltre a pretendere che egli faccia il minimo sacrificio personale per qualcosa che (come lo stato e i suoi fini), per esplicita ammissione, non ha, qualitativamente, valore superiore all'individuo?
Al momento attuale piccole pseudo-elites di mercanti (chiamo così anche i finanzieri e gli speculatori, perchè, antropologicamente, altro non sono che appartenenti alla terza casta) detengono il monopolio di tutte le ricchezze (perchè le ricchezze fisiche, fabbriche comprese, sono ormai secondarie rispetto al capitale finanziario che circola senza limiti e si autoriproduce senza con ciò contribuire nè in beni nè in ricchezze al benessere del "popolo") e con esse tiranneggiano il mondo intero, determinano i presidenti degli Stati Uniti (solo un cretinetto veltroniano può credere che Obama vinca "per il carisma" e non più prosaicamente per i miliardi di Soros), decidono guerre "umanitarie", e usano persone, intellettuali e politici quali pupazzi per una rappresentazione di cui esse tirano i fili, innanzi a cui la gente ingenua si scanna "ideologicamente" e alla fine della quale il risultato sostanziale è sempre il medesimo: primato dell'economia sulla politica e politica dettata dall'interesse plutocratico. Non sto inventando nulla: è quanto già Ezra Pound aveva visto nella storia dalla fine del Seicento alla Seconda Guerra Mondiale (che di tale sistema liberal-massonico fu l'apoteosi: infatti adesso su quei fatti si costruiscono religioni, leggi e inquisizioni). Quello che posso notare di nuovo è che il malessere per tale situazione, anzichè scaricarsi sui veri responsabili (idolatrati invece come star del sistema mediatico e guru della finanza internazionale), si esprime in tanti piccoli odii interni alla società. E questo non porta altro che a una costante disgregazione di ogni legame fra persone non riducibile all'interesse e a una premessa per quella situazione di "sfruttamento di uno su tutti" da cui, secondo il verbo marxista, nascerà la rivolta del proletariato, della massa informe e senza volto.
Il fatto che per il momento il "pericolo rosso" sembri scongiurato non deve affatto ingannare: che la società senza classi auspicata da Marx non si sia realizzata con i mezzi violenti del leninismo non implica che non ci si arrivi gradualmente, senza accorgersene, tramite la continua degenerazione verso stadi sempre più indifferenziati di società. E ciò è ancora più pericoloso, poichè, persa la via "eroica" della rivoluzione" (tali vie energiche, eroiche e guerriere sono necessarie a chi voglia instaurare un ordine: per chi vuole semplicemente dissolverlo basta, per fare un paragone con la fisica, assecondare costantemente il naturale, fisico, aumento di entropia dei sistemi), la volontà di uguaglianza e appiattimento si va sempre più mascherando da "pacifico progresso", "giustizia sociale", "ridistribuzione della ricchezza", "riduzione degli squilibri mondiali", "lotta contro la fame nel mondo", "lotta alla discriminazione", "libertà per tutti di essere diversi" secondo forme "politicamente corrette", e in una veste tanto femminea e strisciante da parere quasi una predica cristiana sulla povertà e la felicità da raggiungere attraverso l'alienazione dei propri beni. Che poi i grandi possidenti le vere ricchezze si alienino davvero di esse per tali prediche è fatto dubbio, ma non modifica la constatazione di quanto, presso le persone "normali", ogni differenza sociale, sessuale, economica, linguistica, razziale sia considerata ormai una colpa da parte di chi "ha di più" (o è di più), un privilegio da annullare, un peccato da scontare (anche se magari a volte dipende dal merito, altre dall'impegno personale e dalla fatica impiegati per compensare vere differenze naturali a sfavore, come spesso nel caso dei maschi costretti a raggiungere certe posizioni socio-economiche per non essere negletti dalle donne, altre ancora dalla natura, come le caso di chi è più bello, più abile, più nobile nel senso pieno e viene penalizzato e colpevolizzato fin da piccino dalla scuola egalitaria). Anche in paesi formalmente liberali, i governi continuano a promulgare leggi e campagne demagogiche per far apparire quale "ingiustizia" e "discriminazione" tutto quanto in ogni ordine normale sarebbe il naturale riconoscimento di differenze necessarie. La più lampante di esse è quella fra padre e madre, che il governo spagnolo ha voluto mutare in genitore A e genitore B. Non è solo una questione di nome, ma di disconoscimento di ogni principio di differenza, distanza, personalità (che è il contrario di individuo o individualismo), di odio per tutto quanto è capace di distinguere e generare qualcosa di superiore al tutto indifferenziato. E' questo odio a giustificare l'esaltazione del diverso (anche qui, opposto rispetto al differente): se tutti sono belli, se tutti sono buoni, se tutti sono giusti, se tutti sono degni, allora non esistono più bellezza, non esistono più i migliori, non esiste più la giustizia, non esiste più la dignità nel senso alto conosciuto dalla tradizione (e neppure in quello vitale e ascendente voluto da Nietzsche).

Rispetto a questo prevalere della quantità sulla qualità, del comune sul prezioso, della materia sullo spirito, dell'indifferenziato sul differenziato, del mediocre sull'eccellente, della normalità debole sull'eccezione forte, della massa sul singolo, del grande numero insignificante e anonimo sulla perla rara e pregna di significati e bellezze si potrebbe pensare di non poter scendere più in basso. Le abissali forze della sovversione riescono invece a non porre mai limite al peggio e paventano quale ultimo stadio della degenerazione il ritorno ad una sorta di matriarcato pre-ellenico.

II. LE MADRI E LA VIRILITA' OLIMPICA (titolo preso in prestito da Evola)
Qui si inserisce il motivo del mio blog. Perchè infatti appaio ai profani (e alle profane) così "anti-femminile"? Personalmente non ho motivo di ostilità verso donna alcuna. Non ho mai dato alle femmine neppure la possibilità di ferirmi intimamente, non ho in sospeso nè litigi nè matrimoni infranti, non devo vendicarmi per torto alcuno. Non sono neppure un patito della gnocca-pay che si è rovinato per non aver saputo fermare le proprie crisi di astinenza. Perchè dunque sono avverso al femminile, o, meglio alla demagogica e rutilante esaltazione socio-culturale che di tal genere fa la modernità? Il motivo non è nè individuale nè fisico. E' superindividuale e metafisico. Dipende SEMPRE e SOLO dalla scelta di campo fra Kosmos e Chaos, fra ordine e sovversione, fra differenza e uguaglianza.

Non solo erano donne le prime credenti del mito cristico fondatore del sentire egalitario, non solo erano donne quelle nobili romane che permisero l'infiltrazione del cristianesimo tellurico e semita nelle fondamenta del solare impero di Roma, non solo erano donne le tante sostenitrici del giacobinismo, non solo le femministe sono degne eredi di Kant (basta pensare all'uso del suo astratto concetto di dignità per condannare la prostituzione), di Hegel (basta pensare alla dialettica servo/padrone da cui sono ossessionate), di Marx (basta pensare a quando vedono disparità e discriminazioni e sfruttamento ove sono privilegi e maggiori scelte e sfruttamento da parte loro) e degli altri esegeti dell'uguaglianza contro natura e contro ogni istinto ascendente (oltre che, spesso, nelle applicazioni pratiche di tali precetti, contro ogni buon gusto ed ogni buon senso), ma è proprio nel richiamo continuo all'essere "madri della vita" che si rivela la più tellurica delle forze della sovversione.
Donde vengono infatti la credenza nell'uguaglianza, nella fratellanza e nella pace universali (l'intuizione non è certo mia ma di Bachofen, poi ripresa puntualmente e rettificata da Evola), l'aspirazione a fare della vita una conservazione senza altro scopo che un benessere da bestiame bovino, la tendenza ad annullare ogni differenza, a distruggere ogni identità (di sangue, di spirito, di persona), a negare ogni realtà a quanto è al di là e al di sopra del mondo dei sensi o del bassamente umano, se non dalla primitiva fede nel principio della grande madre, da cui ogni individuo dirama e a cui ogni individuo ritorna dopo una esistenza effimera, e innanzi al quale tutte le gerarchie fra individui si annullano, assieme a tutti i valori superiori, su cui tali gerarchie si fondano?

Quando poi si legge di donne che si attribuiscono valore e significato "in quanto madri" non solo si capisce chiaramente come in ciò risieda la negazione di ogni dimensione superiore dell'esistenza (subordinare infatti un valore a quanto gli è inferiore significa negarlo), di ogni significato capace di valere al di là e al di sopra della materia, o comunque di ogni fine nietzscheanamente ascendente e non limitato alla conservazione di quel genere di umanità dato dalla madre, ma si coglie con evidenza la scissione dei due "campi". Ecco il vero "scontro di civiltà", altro che Occidente e Islam!

La differenza e’ fra chi individua la vita nella pura dimensione naturalistica e materiale quale data dalla madre, e allora non concepisce altro significato di vita dal ricercare un tranquillo benessere materiale da bestiame bovino, non ricerca altra ricchezza che quella terrena, non giudica la vita da altri criteri che quelli dell’utile e del tempo, non vuole alcun paradiso diverso da quello dei sensi offerto dalla donna, non conosce altra fonte di diritto dall’arbitrio di colei la quale, quale fonte dell’unica vita ritenuta reale, stabilisce a capriccio il bene e il male, il piacere e il dolore, il bello e il brutto, il giusto e l'ingiusto, e chi invece identifica la vera vita con la dimensione superiore e spirituale data dal padre, e allora concepisce come fini supremi il non accontentarsi della banale sfera materiale, il continuo superamento di se’, il passaggio dalla dimensione infera del divenire a quela supera dell'essere, dalla vita alla piu’ che vita, da quanto ha in se’ il germe della caducita’ e del tempo a quanto splende eternamente uguale a se’ come il sole invitto (senza dover passare, per perpetrarsi, attraverso il ciclo di nascita e morte in cui l’individuo si annulla), ricerca quei valori etico-spirituali in grado di conferire alla vita un significato superiore alla tranquillità del benessere materiale desiderato dalla plebe e dalle mucche, e rispetto ai quali ricchezza, onori e potere sono e debbono essere soltanto i simboli sensibili, giudica la vita secondo i criteri del sacro e dell'eterno, vuole per se’ prima di tutto il paradiso che spetta a chi sa vincere la parte soltanto umana di se’ ed elevarsi, tramite gli atti puri di guerra o di ascesi, ad una superumanita’ eroica, incapace di sentire la paura, il dolore e la pieta’ e tutt’uno con la Gloria solare di chi splende di luce propria sempre fedele a se’ stesso, al di la’di ogni legge del divenire, e conosce quale fonte del giusto e dell’ingiusto non gia’ qualcosa di bassamente umano, di pretenziosamente universalista ed egalitario o di debolmente utopico o sentimentale, ma solo la pura e dura necessita’, intesa non gia’ quale bisogno dei deboli e dei mancanti, bensì quale liberta’ di realizzare pienamente la propria natura, di volere e amare il proprio destino di grandezza, di essere capace, per compierlo, anche di sacrificare se’ come individuo, nella consapevolezza che per gli eroi, Nietzsche et Wagner docunt, la fine coincide eternamente con una rigenerazione.

Il primo tipo umano da’ vita ad una societa’ materialista ed egalitaria, nella quale le differenze qualitative fra individui, le quali sarebbero fondate su gerarchie di valori superiori a quanto risiede nel dominio del divenire, dell’utilita’, della materialita’ e della temporeita’, spariscono di fronte al principio naturale della terra madre da cui ogni individuo deriva e a cui ritorna dopo una esistenza effimera, nella quale le uniche differenze fra uomini, quando esistenti, sono date dal possesso di beni materiali e dalle capacita’ di produrre ricchezze (come avveniva infatti presso i Fenici o a Cartagine, il cui potere era puramente mercantile, ben lontano da qualunque sacralita’ e da qualunque gerarchia di stampo aristocratico e spirituale come invece a Roma) e nelle quali, anche quando la Zivilisation raggiunge livelli di raffinatezza e sviluppo eccelsi (come presso gli Etruschi) continua a mancare una qualsiasi Kultur in grado di conferire agli elementi della cultura, dell'identita’ di sangue e di spirito, della guerra e della pace, dell'architettura e della letteratura, un “grande stile unitario” e di giustificare idealmente l’esistenza alla luce del sacro e dell’eterno, o comunque di quanto vada al di la’ delle leggi della caducita’ e del divenire, della ricerca dell’illusoria felicita’ individuale e della patetica fuga dal dolore, di quanto insomma liberi l’essere umano dall’ossessione del nulla come origine e fine di un’esistenza priva di significato superiore (ovvero da quell'angoscia ben visibile in ogni espressione culturale presso Egizi e Etruschi e sconosciuta invece a Greci e Romani). Pare tanto una consolazione piu’ che una fede o una consocenza: una consolazione piena di angoscia (del resto gli dei rispecchiano sempre i loro creatori: popoli dominati dalla paura e dalla materia, pacifici per deebolezza, generano dèi spaventosi e imperscrutabili, popoli dominatori delle passioni e forti in guerra generano dèi chiari, sereni, più che umani e luminosi anche nella loro corporeità).

Il secondo tipo umano, invece, genera una societa’ guidata da una aristocrazia guerriera e da una casta di sapienti (nel senso platonico), nella quale chi vive secondo i criteri del sacro e dell’eterno stabilisce i valori e conforma a se’ gli altri uomini (ognuno secondo il proprio grado di eccellenza o mediocrita’ e in conformita’ alla propria natura), nella quale la giustizia si identifica con l’attribuire a ciascuno il suo (non gia’ con l’uguaglianza), nella quale i valori etico-spirituali capaci di giustificare idealmente l'esistenza sono tanto importanti che fondano gerarchie reali fra uomini, solo in virtu’ delle quali hanno senso le differenze di rango, dignita’ e possesso di beni materiali, nella quale lo splendore di ogni ricchezza e’ il simbolo sensibile delle differenze qualitative fra uomini, e non gia’ queste pura derivazione di quella (come nelle societa’ egalitarie di diritto e plutocratiche di fatto), e nelle quali, anche quando (come nella roma arcaica o nella grecia cantata da omero) gli strumenti esteriori della Zivilisation non sono ancora progrediti, esiste comunque una Kultur in grado di mostrare al mondo cosa, al di la’ di ogni splendore esteriore e di ogni intellettualita’ estrinseca, siano davvero il grande, il nobile e l'eroico, e di portare il popolo che la possiede a generare opere di tale grandezza, maesta’ e durata da essere eternamente ammirate e mai raggiunge dai posteri, nell' arte come nella guerra, nella vita come nella letteratura, nelle architetture della politica cosi’ come in quelle del pensiero.
Rileva poco il fatto che come strumenti di cio’ spesso siano adoprati strumenti propri alla Zivilisation di altre societa’ (penso all’ars edificatoria ripresa dagli Etruschi o a quella letteraria dei greci), poiche’ gli strumenti della Zivilisation si scoprono o si apprendono (per caso o per volonta’ o per inevitabile compenetrazione di idee), mentre l’identita’ della Kultur e’ innata. E per una grande opera non bastano strumenti raffinati (si possono sempre procurare), ma serve la grandezza intrinseca dell’autore. Ed e’ non l’estemporanea invenzione dell’una o dell’altra cosa artistica o letteraria, ma il Grande Stile in grado di dare un senso unitario e superiore a tante e diverse espressioni di cultura a dare vita ad una civilta’ superiore. Questo e’ stata Roma.

Serve ricordare che invece il primo tipo di civiltà fu massimamente rappresentato da Cartagine (ossia civiltà semitica, matriarcale prima dell'introduzione del denaro, mercantile dopo, ma comunque legata ad una religiosità crudele, tellurice e femminea, e famosa per la sua "perfidia" e la sua "infidia") e nell'era moderna è stato degnamente ripreso dalla Gran Breatagna prima e dagli Stati Uniti poi? La consonanza fra potere di una oligarchia mercantile, sfruttamento semischiavistico del resto della popolazione (e non parliamo degli schiavi come ultima casta, ma di cittadini che vengono sfruttati nonostante i loro diritti!) e femminilità del sentire e del valutare, nonchè tendenza a dominare i mari, fondare colonie commerciali e astenersi da una vera politica (l'economico domina sul politico, e l'unica politica consiste nel distruggere le identità di sangue e spirito degli altri popoli tramite il mercato e le "guerre di liberazione": fece così anche Annibale quando, sceso dalle Alpi, tentò di disgregare l'alleanza sociale dei Galli Cisalpini e degli Italici con Roma) è chiara. Non vengono poi da Gran Bretagna e Stati Uniti le più estreme, aberranti e tragicomiche invenzioni e maledizioni del femminismo?

III. SESSO E CARATTERE (titolo preso in prestito da Weininger)
Si badi bene che la differenza qui non è fra uomini e donne in senso biologico, personale o psicologico, e neppure in senso storico. E' fra sentire solare e sentire lunare, senso virile e senso feminile, fra Civiltà Olimpica e tutto indistinto della Grande Madre. Non è una questione neppure di interesse personale.
Erra platealmente chi crede che gli uomini siano tutti per natura dalla parte della virilità olimpica e le donne tutte da quella della grande madre! E' vero invece che, proprio per essere un tipo di civiltà intrisecamente aristocratica, gerarchica, guerriera, disposta ad accettare solo chi sa donarsi e non chi vuole prendere, chi sa spendersi e non vuole risparmiarsi, chi vuole la colpa ed il dolore pur di compiere l'opera e non vuole il piacere e l'innocenza a tutti i costi,
la Virilità Olimpica raduna in sè, per natura, solo i migliori, tanto fra gli uomini quanto fra le donne. Gli altri sono semplicemente conquistati dal suo splendore o dalla sua forza e subordinati nelle sue gerarchie secondo il loro valore. E' il tutto indifferenziato della Grande Madre che, per il fatto di non avere nè forma, nè fine, nè scopo, accetta indistintamente tutto e tutti e per questo, oggi, ha vita più facile.
Non si pensi che le donne spartane, le quali sopportavano senza piegarsi il dolore per la separazione dal figlio a soli cinque anni, per poi rivederlo a quindici o venti al momento di porgergli lo scudo e dirgli "torna o con questo o sopra di questo", o le donne romane, disposte come Lucrezia a rinunciare ad ogni gioiello ed ogni ornamento pur di assicurare comunque, nell'assenza del padre, ai figli un'educazione eroica e lontana da lussi e vezzi, o ancora quelle germaniche, ascoltate sempre per i consigli dai saggi prima delle battaglie e pronte, in caso di necessità, a impugnare anch'esse le armi piuttosto che arrendersi alla sconfitta, e capaci ancora in quel maggio del '45 di gettarsi sulle bestie bolsceviche, ben sapendo la loro sorte, ma non volendo capitolare prima di un ultimo tentativo (eroico, eroico, eroico, tre volte eroico, e chiudetemi il blog se non vi piace, cari custodi della religione democratica e antifascista...) fossero di tempra inferiore a quella dei loro uomini solo per il fatto biologico di essere nate, per caso, donne. Ad un mondo guerriero corrisponde sempre una donna guerriera, almeno nello spirito, e persino la donna "riposo del guerriero" su cui tanto i maschilisti quanto le femministe, per motivi opposti, ironizzano, senza conoscere il legame che anche dopo il litigio correva fra Nietzsche e Wagner, non è una schiava, ma una valchiria (il riposo di un guerriero non può essere che un premio concesso solo ai migliori, e quindi a coloro che, secondo la mitologia wagneriana, sono "scelti dalle donne", e non già un divertimento a disposizione del primo borghese, pantofolaio e senza qualità nato, per caso, maschio).
E così non si pensi che di tempra simile ai Romani, agli Spartani o ai Germani antichi e moderni siano potenzialmente gli uomini d'oggi solo perchè biologicamente uomini. E' vero invece che la maggior parte di essi ha un sentire assai femmineo (in ambito culturale e cinematografico quasi tutti) e, pare, almeno in Italia discendere assai più dagli schiavi siriaci o dai subumani pelasgi che non dai Romani. Il loro fare della donna, nel bene e nel male, una ossessione poetica e prosastica, il loro dare valore ad una azione solo in quanto gesto scenico e non in quanto agire oggettivo necessitato dal compimento della propria natura (facile immaginarsi dall'italiano medio, in caso di scelta, una morte teatrale, difficile pensare ad esso come capace del sacrificio anonimo del legionario), il loro non vedere altro argomento degno di lotta, fatica e sangue che non sia correlato alla femmina, il loro divenire rumorosi, vistosi, gesticolanti e frenetici ad ogni apparire, anche vago e indistinto, di grazie femminili e di possibilità di godimento li renderebbero irriconoscibili da parte dei Romani dell'età di Catone (che pure, proprio perchè non ossessionati al contrario dei cristiani e dei moderni dal sesso, non erano affatto moralisti, sessuofobici e puritani, e ben conoscevano, nei momenti opportuni, le gioie della carne).
L'uomo indifferenziato di oggi, proprio perchè privo di valori superiori a quelli umani e troppo umani della carne e della pace, è totalmente dipendente dalla donna, e quindi tende a vedere in essa ogni bene fisico e intellettuale, anche quando le più assurde cretinate si affermano e le più inaccettabili iniquità si perpetrano. Non è un mistero che giudici e parlamentari maschi continuino imperterriti a promulgare e far rispettare leggi di totale e sfacciato favoritismo verso la donna (e rovina di mariti, padri, amanti, fidanzati o semplici passanti accusati) e che, se per il caso di una donna assassinata si muovono ministri e poliziotti, per il caso di un uomo praticamente "rapito" dal governo americano e incarcerato come un cane sulla base della sola parola della sua ex (pronta, pur di intascarsii soldi da "vittima di violenza domestica", a raccontare cose impossibili da ogni punto di vista fisico, chimico e biologico), non si muova nessuno in due anni (sto parlando del caso Parlanti, e se non ne avete sentito parlare significa che ho ragione).
Tutto ciò non accadrebbe se esistessero uomini capaci di vedere che non è affatto la donna la fonte unica della vita davvero degna di essere vissuta. Non serve inneggiare alla castità, ma tenere presente quel che Nietzsche disse riguardo all'uomo superiore "il piacere lo si deve avere, non volere".
Il pugno di uomini eletti capaci di restaurare la virilità olimpica non si identifica, però, neppure con quei maschi che si organizzano per i propri diritti con gli stessi modi, gli stessi argomenti e lo stesso sentire del movimento femminista e richiamandosi ai valori, alle mitologie e alle demagogie del mondo liberale e individualista: anche io sono stato tentato in ciò, ma mi sono reso conto in tempo che combattere l'estremo della sovversione con argomenti, idee e mitemi propri degli stadi precedenti della sovversione stessa sarebbe come tentare di spegnere un incendio che sta già bruciando benzina gettandovi legna da ardere con l'argomento "è meno infiammabile".
Si tratta dello stesso medesimo errore dei borghesi liberali che tentavano di frenare democrazia e socialismo cercando di far apparire immortali, fissi e fondanti i principi con cui essi stessi avevano sovvertito l'ordine tradizionale. Pensare che il liberalismo sia l'opposto del socialismo solo perchè non contiene tutti gli elementi degeneri è come, per dirla con Evola, ritenere che il crepuscolo, poichè non ha ancora spento ogni luce, sia l'opposto della notte fonda. Allo stesso modo pensare che uno stato in grado di proporre o di garantire uguali diritti a uomini e donne (e non già, come è ormai, doveri agli uni e privilegi alle altre) sia l'opposto del matriarcato, e non già la sua prefigurazione, ed affidarsi ad esso per proteggersi dalla prepotenza femminile è come affidarsi alle ultime luci del tramonto sperando che possano rischiarare la notte.
Un uomo vero voglia il chiaro mattino! Un uomo vero sia mattiniero come un Nietzsche! Non serve ormai far notare con il più logico ragionamento e la più chiara dimostrazione che, anche da un punto di vista liberale, esistono di fatto discriminazioni contro gli uomini (a partire dalla scuola, passando per l'età liceale e per finire con certi luoghi pubblci e certi incarichi amministrativi e certe leggi matrimoniali), ricordare che certe apparenti disparità derivano da fatiche, studi e meriti personali di uomini impegnati a bilanciari i privilegi posseduti dalle donne per natura e cultura, e non da discriminazion contro di esse, non serve mostrare l'assoluta estraneità dell'uomo normale al fatto che i tiranni finanziari del mondo siano per caso maschi e anzi il suo svantaggio nel subire il loro fomentare, per motivi di interesse e calcolo, il femminismo mondiale, la cultura antimaschile, la pubblicità e la demagogia dell'irrisione, dell'umiliazione e della devastazione, materiale e morale, dell'uomo, la promulgazione di leggi femministe a senso unico, la distruzione di ogni ordine tradizionale, di ogni legame non monetario fra uomini e donne, non giova far presente che anche da un punto di vista individualistico ed eudemonico l'uomo ha bisogno di compensare le disparità naturali di numeri e desideri favorevoli alle donne, di fronte a chi nega la realtà pur di negare ogni ragione del maschile (anche quelle non eroiche e banalmente umane) e si serve dei "diritti" per piegare ogni giustizia alla propria vanagloriosa prepotenza di madre e di femmina.

Un uomo vero abbia il coraggio di tornare all'origine della questione, di negare anche sotto questo aspetto il principio della sovversione e di affermare che il diritto è quello di Roma, non quello astratto dell'Onu, la giustizia il suum cuique tribuere, non l'uguaglianza, il ruolo dell'uomo quello del guerriero, non della seconda mamma o del giullare-maggiordomo-bancomat, il ruolo della donna quello di chi attira, seleziona e premia, fra tutti, il migliore guerriero, e non vi è nè vi deve essere uguaglianza, ma differenza necessaria alla vita ascendente, che i Romani, i Greci, i Persiani e gli Indiani, in quanto ordinatori del mondo in kosmos, sono la fonte stessa della civiltà e del diritto e non i barbari invasori, mentre piuttosto i Pelasgi, in quanto degenerati nel tutto indifferenziato, dominati dalle donne, privi di forma e senso nella loro vita, substrato umano cui solo i conquistatori danno un ordine e un posto nel mondo.
Si replichi con fierezza a chi taccia questo pensiero di violenza che la violenza dei migliori è formatrice di civiltà, mentre è la rabbia degli indifferenziati ad essere violenza distruttrice, si esprima essa con le parole, con gli ululati, con le isterie femminili, con i calci, con i pugni, con le spranghe, con i libri, con gli insegnamenti scolastici, con i blogs, con le leggi femministe o democratiche, con le pistole, con la polizia, con il carcere, con le bombe intelligenti, o con le bombe atomiche.
E a chi parla di donna schiava si ricordi che quanto piace a certi orientali (oggi o ieri, ma più oggi, specie se finanziati dalla Cia) in fatto di condizione femminile non è quanto piace a Roma, che mai tutti gli schiavi furono donne o tutte le donne schiave in alcuna epoca indoeuropea, che schiavi di ambosessi servivano alla civiltà (Nietzsche docet) e che in ciò spesso le femmine avevano sorte migliore (ovvero di essere quanto oggi sono le badanti anzichè remare nelle galere: sebbene la condizione disumana attribuita dall'immaginario collettivo allo "schiavo medio" dell'antichità, e prodotta quasi per intero dalla propaganda cristiana, andrebbe rivista e assimilata a qualcosa di assai meglio di quanto oggi è la condizione dell'immigrato medio) e sopratutto che schiava non è la donna romana fedele a se stessa e dignitosa nel suo posto di matrona, ma la presunta "libera di oggi", non rispondente più ad alcuna forma o legge interna e quindi destinata al "disfacimento sessuale" di cui parla la narrazione sul Kali Yuga (e non è che serva tanto vietare la prostituzione per fermare tutto ciò, anzi). Libero è soltanto chi compie la propria natura, non chi crede di poter essere e fare di tutto: questi è semplicemente il licenzioso.

Difficile però udire tali discorsi in un mondo in cui gli uomini, pur di non contraddire le donne o di non apparire "anti-femministi" e "antiquati", se ne escono con frasi del tono "non avrei alcuna difficoltà ad ammettere una società di sole donne". Ecco il tipo umano che asseconda la corrente! Che osserva il progresso! Che si compiace dell'emancipazione del mondo!
Chiunque fosse un uomo formato dovrebbe sentire lo schifo per il ritorno alla promiscuita’ e all’uguaglianza senza forma, per la distruzione di ogni senso superiore del vivere, per la dissoluzione delle differenze qualitative fra individui, per il volgere la societa’ ad un lavorio di formiche senza asenso e senza scopo piu’ alto del lavoro stesso, per l’appiattire ogni valore della personalita’ e della differenza, per l’annullare ogni fine anagogico, ogni slancio eroico, persino ogni tensione ad essere migliori, fino a fare dell’intero mondo quello che e’ oggi la scuola gestita dalle donne, nella quale I peggiori dettano legge, I migliori si devono vergognare per il fatto di emergere dalla massa e le stronzette possono impunemente sfoggiare ogni loro tirannica vanagloria senza compensazione e freno alcuno. E’ il tutto indifferenziato, vale a dire il mondo fattosi, attraverso il chaos, nulla. Fine della storia. Inizio del nichilismo eterno.

IV. SUBUMANI PELASGICI (titolo preso in prestito dal mio stesso sdegno)
Come possono gli uomini accettare questo? Il motivo è presto detto: alla maggioranza degli uomini senza forma il matriarcato starebbe più che bene. Non avrebbero alcuna delle responsabilità di cui sanno non essere all'altezza. I più prepotenti potrebbero continuare a furoreggiare come già avviene nella matriarcale scuola dell'obbligo. I mediocri, sparito ogni valore e appiattita ogni differenza, potrebbero continuare ad esistere senza sentire la loro nullità. Tutti insieme avrebbero forse più modo di appagare i loro focosi bisogni carnali (a giudicare dall'innumerevole serie di riti orgiastici presenti nei popoli preellenici) e, nel tutto indifferenziato, anche i privi di qualità potrebbero per caso, magari dopo qualche umiliazione, accoppiarsi sovente a femmine meravigliose.

Chi ci rimette? Ancora una volta: chi ha valore, chi ha dignità, chi ha forma propria.
A chi dà più fastidio il rumore? A chi sa suonare o vuole ascoltare la vera musica. A chi o è sordo o non conosce musica può anche piacere.

E non mi si parli di giustizia nel matriarcato o di diritto in un mondo senza Apollo (laddove con esso si intenda qualcosa che è più della semplice ragione illuministica, qualcosa di afferente un amore per la chiarezza unito alla comprensione del cosmo in senso alto e non sempre traducibile in parola). Qui alla dottrina si unisce l'esperienza di aver vissuto, da fanciullo e adolescente, fra donne. Non esiste nè il diritto, nè il giusto laddove non vi siano ordine e luce, non esiste civiltà nè umanità in senso alto laddove il culmine di ogni visione del mondo e il fondamento di ogni valore e di ogni realtà siano posti esclusivamente nella propagazione della vita terrestre senza altro scopo e in chi a tale senso conservativo e tellurico dà attuazione.

Da questo principio discende il chiaro rifiuto di ogni umanitarismo, giustamente da lasciare alle crocerossine, e di ogni pacifismo, da lasciare alle scuole.
Appartenere ad un popolo ed incarnarne i valori di sangue e di spirito, nonchè conoscerne e amarne tutto quanto, nella cultura come nel costume, nell'arte come nel pensiero, fa sì che esso sia quello che è, costituisce un "di più" rispetto all'essere semplicemente e naturalisticamente umani, e a sua volta essere leali, coraggiosi, conoscere e amare l'etica cavalleresca ed essere perciò guerrieri, oppure avere nobiltà di spirito, altezza di sentire, purezza d'intelletto, ed essere perciò brahamana, è un "di più" rispetto all'appartenere semplicemente ad un popolo.
Per questo chi si sacrifica per qualcosa di afferente la propria patria, o per affermare quei valori che qualificano un dato tipo umano, che creano differenze fra uomini, che fondano le civiltà capaci di giustificare l'esistenza alla luce del sacro e dell'eterno, fa qualcosa di eroico, nel senso di sacrificarsi per quanto è a sè superiore (e che per questo comprende il sè e lo illumina dall'alto), mentre chi si sacrifica per ideali umanitari, per un bene puramente collettivo (nel senso di riguardante un insieme di individui superiore solo per numero e non per qualità all'individuo singolo), per puro altruismo indifferenziato (ossia per un prossimo non avente alcuna specificità che non sia la banale appartenenza biologica alla specie umana) esprime un semplice "amore sbagliato per se stesso" (direbbe Nietzsche), agisce verso il basso (direbbe Evola), si sacrifica per quanto è a sè inferiore. E' un'anima bella sprecata, la quale, magari, educata a sentimenti, aspirazioni e imprese eroiche, avrebbe potuto compiere gesta immortali e fondatrici di civiltà.
Allo stesso modo da qui discende ogni condanna verso quelle donne che pretendono di essere una forza solo per il fatto di unirsi "in quanto donne". La forza non può nascere da un puro aumento quantitativo di individui (non pensava questo nemmeno Lenin, il quale ben sapeva come solo una minoranza attiva avrebbe potuto far accettare alla massa, sempre inerte e pecorina, il cambiamento, in meglio o in peggio e dovette sperimentare le conseguenze della fede nello "spontanesimo rivoluzionario" Rosa Luxemburg, per fortuna eterna della Germania). Per essere davvero formatrice la forza deve fondarsi su una differenza di qualità. Una nazione che non vada oltre sè ma semplicemente conquisti con la bruta forza di mezzi numericamente superiori territori e popoli è imperialista, una nazione che si superi divenendo qualcosa di più alto e solo in nome di ciò usi la forza conquistatrice e ordinatrice di popoli è impero. Ogni riferimento all'Inghilterra e a Roma è puramente voluto. Il riferimento al mondo d'oggi è invece a tutti quei "collettivi femministi" (reali, ma anche virtuali) i quali, nell'attesa di poter sciogliere nell'indifferenziazione la società tutta, sciolgono in essa le donne, valorizzando le loro idee e le loro esperienze in quanto "provenienti da donne", anzichè, come vorrebbe qualsiasi principio superiore all'indifferenziazione, valorizzare quelle donne, rispetto alle altre, in quanto portratrici di esperienze e di idee. Conosco già la replica delle donne: "fare delle differenze è maschile, mentre noi siamo già valorizzate e differenziate per il fatto di essere coloro che generano nel corpo". E questo è proprio quanto mi convince a vedere il loro unirsi come qualcosa capace solo di far tendere il semplicemente umano verso il basso, di trattenere ogni slancio, di appiattire ogni differenza, di annullare ogni valore e ogni significato superiore alla mera dimensione corporea e conservativa della vita, e il nostro come invece fondazione di ogni senso propriamente e superiormente umano, quanto mi fa identificare il loro agire con quello del chaos, e il nostro con quello del kosmos, quanto mi da' oggettivo diritto di sostenere che il "mondo di donne" è il tutto indifferenziato, mentre solo quello degli uomini può tendere verso l'alto, la differenziazione e quindi forme di vita, civiltà, senso, significato e bellezza superiori.
Chi mi voglia far cambiare idea su questo punto e considerare le donne (o, meglio, questo tipo femminista di donna) come possibili alleate alla pari degli uomini per un mondo più che umano deve senz'altro invertire questa pretesa maternalista. Davanti ai miei occhi donne che si uniscono perchè donne sono equivalenti a quegli uomini che si uniscono perchè uomini in certi forum e si riducono così a somigliare alle bestie. Le vere unioni di uomini sono solo e soltanto quelle in cui il principio unificatore è la differenza rispetto al banalmente umano: lealtà, coraggio, etica eroica per i guerrieri, contemplazione, ascesi, purezza di sentire per i sapienti, abilità tecnica, ingegno, creatività per i produttori, ovvero la qualità che distingue il tipo d'uomo appartenente alla "casta" e in base alla purezza della quale si fondano i gradi gerarchici. Tale meccanismo di differenziazione può benissimo applicarsi a qualsiasi adunanza virtuale o reale basata su interessi fisici o metafisici, storici o metastorici, filosofici o automobilistici e persino sessuali, purchè appunto sia ciò che afferisce al tema il vero principio di unione e di ordinamento. Tutte le altre unioni possono chiamarsi branco, massa o gregge.

Fra quei maschi che si scagliano contro le donne per i più vari motivi (quando essi non coincidano con i principi poco sopra esposti) magari si trova chi ha in sè il più femmineo e indifferenziato dei principi e tramite esso critica "la superdonna". A ripensare al branco contro Chiara di qualche anno fa sull'immondezzaio constato come gran parte dei detrattori di lei la attaccasse "in quanto donna" senza accorgersi di rappresentare proprio, per l'amore dell'uguaglianza e del piattume e la tendenza ad una libido incontrollata, quella subumanità pelasgica da sempre alle donne soggetta.

V. PERCHE' SOSTENGO LA CHIARA-ARTEMIDE (titolo preso in prestito almeno in parte dalla fantasia)
Qui ci si può chiedere perchè difenda proprio Chiara che pare nel suo pensiero rappresentare l'esatta antitesi dei principi virili sopra esposti. Avrei capito davvero poco dell'umana natura e della oltre umana necessità di superamento se mancassi proprio in questi casi di distinguere fra il pensare, che è acquisito, e il sentire, che è innato.
Un pensiero ha sempre, almeno in parte, un'origine esterna. Se è vero che alcune argomentazioni di Chiara di Notte ricalcano i più vieti luoghi comuni di certa demagogia diciamo femminil-materialista e risuonano di strutturalismo marxista (con conseguente svilimento di tutto quanto nella storia è fine anagogico), è altrettanto vero che non si può pretendere da chi ha continuamente sotto gli occhi certi esempi di sottouomini una visione pura e limpida dell'ideale virile. Ciò supererebbe le capacità astrattive di ogni uomo. Se quali esempi reali di uomini si sono avuti il subumano bolscevico (o ex bolscevico) arricchito i cui modi brutali e volgari sono ben immaginabili, il vile mercante tiranno del mondo e sfruttatore di popoli la cui ipocrisia è nota, il biscazziere delle fogne di Calcutta e, in alternativa, il chiassoso e gesticolante pelasgico italico dalla litania amorosa alternata allo sbavare è difficile immaginarsi l'esistenza di un Catone di Utica, di un Leonida, di un Arijuna, o anche solo di un cives romano, di uno spartiato o di un guerriero indiano comune.
Il pensiero sulla virilità correrà sempre prima alla degenerazione fallica tanto facile da riscontrare oggi che non alla trasfigurazione eroica. E il pensiero sull'agire sarà volto alla degenerazione moderna della brama e del bottino più che al vuoto interiore nella parte umana oltre cui vi è l'ascesi guerriera.
Tutto questo è accidente della vita ed è destinato a perdersi nei meandri del web.
Quanto rimane alla storia è l'essenza del personaggio. E per chiunque abbia conosciuto Chiara sui forum o in tempi meno "riflessivi", quando cioè la rapidità delle battute e degli argomenti rivelava il sentire immediato e non mediato dal procedere di ricordi e ragionamenti (nonchè di influenze culturali) sarà parso evidente un sentire diverso e assai più fieramente e nobilmente guerriero in senso classico.
Dai particolari minuti e perfetti si riconosce la grandezza del tutto. Espressioni immediate quali "ma quello è il ragioniere calcolatore, per me ci vuole chi sia disposto a gettarsi dalla rupe di Acapulco", o "che squallore gli abiti grigi e le macchine grigie, io amo ciò che è vivace e sgargiante" dimostrano il disprezzo per tutto quanto è pura conservazione, risparmio di sè, piccolo egoismo che prende e trattiene, mediocrità del sentimento, mediocrità dell'agire, mediocrità del vedere il bello e amore per quanto è invece autusuperamento, disposizione a spendersi senza indugio, grande egoismo che dona e che effonde, altezza di sentimento, grandezza dell'agire, forza e spudoratezza, oltre ogni limite umano e divino, nella bellezza. Questo, quando sincero, non può mai derivare da un sentire materno e conservativo, ma solo e soltanto da un sentire eroico. Dovrebbe ella solo capire che in un mondo appiattito sul materno sono proprio le eccezionalità come lei a perire nel tutto indistinto della grigia materialità senza luce. Ella, letteralmente, merita un mondo aristocratico, poichè sa cosa è nobile.
Ne sia conscia o meno, il suo sentire definisce "plebeo" chi tende alla mera conservazione di sè senza altro scopo, chi non vede oltre sè orizzonti lontani dall'illusioria felicità individuale e dalla patetica fuga dal dolore, chi crede di poter vivere e godere, come direbbero a Roma, "a sbafo", senza giustificarsi in senso superiore nemmeno innanzi alla vita stessa (ma accontentandosi di innocenza e piacere) e definisco invece "nobile" chi, al contrario, non si contenta di esistere in senso conservativo e individuale, ma brama di superarsi, di trascendere la dimensione individuale, di dare alla vita un senso superiore, di arricchirla di valori e significati più puri, più grandi, più nobili o comunque di generare qualcosa di superiore a sè.
Fosse anche solo per lei dovrebbero esistere gli Aristoi. La sua stessa esistenza come eccezione dal buio è prova della necessità che esistano o si generino uomini, dèi ed eroi.
L'anti-maschilità a parole di Chiara di Notte non è meno apparenza, agli occhi di chi sa vedere, oltre di quanto non lo sia la presunta "maschilità" di un mondo moderno materialista e mercantile, governato in realtà da principi femminili e tellurici totalmente antivirili nell'idea e nel fatto e nella propaganda, e in cui gli uomini sono soltanto roussovianamente "ciò che vogliono le donne" quando non, come avviene nella sfera privata, dei pupi manovrati da dietro le quinte dalle femmine.
Il sentire è destinato a prevalare sul pensare e ad informare questo secondo il proprio mito autofondante.
Se e quando Chiara vorrà prendere atto che essere una escort nel senso di perfezione in cui ella lo è, o lo è stata, è un "di più" rispetto all'essere una qualsiasi donna generatrice nel corpo (specie come sono attualmente certe pelasgiche italiane partorienti tutt'altri esseri dagli "uomini veri") e che essere il mito "Chiara di Notte" è ancora "un di più" rispetto all'essere una top escort, allora muterà sostanzialmente il proprio pensiero matrilineare di indifferenza. Se e quando Chiara vedrà che la differerenza qualitativa e ascendente supera sempre quella determinata dalla vita puramente conservativa e corporea e, come l'escortismo è qualitativamente diverso se interpretato da certe "shampiste" o da sacerdotesse di Venere per divina elezione, così il mondo è qualitativamente diverso se retto da una classe "democratica" mercantile tutta "profitto e denaro" o da una casta aristocratica e guerriera tutta "sangue e onore", allora muterà parere anche sulle vere "società di uomini".
Sarebbe allora, quella di Chiara, notturna come la luna, l'ultima e magnifica trasformazione della deità olimpica: l'Artemide materna e tellurica delle civiltà mediterranee si muterebbe nell'Artemide celeste e uranica delle genti eroiche, simbolo della purità quale valore metafisico.
Se anche tutto ciò non dovesse avvenire mai e la turba di uomini senza legge che la attaccano o il gregge di uomini senza valore che la circondano dovessero invece rafforzare quei pensieri che nascondono il suo sentire ciò non sarà mai motivo sufficiente per considerarla appartenente al campo avverso la vera e solare virilità. Solo i figli del materialismo marxista (quando, come quel simpatico di Giubizza, tentano di frenare sul versante femminista la valanga causata dalla loro stessa visione del mondo) possono giudicarla "nemica degli uomini", e proprio perchè non sanno davvero "chi è l'uomo", confondendolo con la sua parte puramente vegetativa e conservativa, non spirituale e neppure naturale in senso nietzscheano e ascendente.

VI. ANTIMODERNI PERCHE' POSTMODERNI (con finale preso in prestito dall'articolo capolavoro di Adriano Scianca "Come si può essere postmoderni"?)
Coloro i quali vogliono la ri-generazione di un mondo di dèi e non di bestie devono avere fede nel fatto che, come gli dei stessi si trasformano e si rigenerano, come dalla testa di Zeus nacque Atena, così anche dal web può sorgere una divinità femminile non dell'oscurità e della paura incapacitante del materno tellurico, ma della gloria e della luce. Solo dalla conoscenza della possibilità di simili mutamenti "non umani" si trae la forza per combattere la sovversione e la decadenza dell'ultima fase del ciclo (l'Eta oscura), propiziando una nuova età radiosa, capace nuovamente di riconoscere al di là del divenire banalmente biologico e del materialismo egalitario, i valori superiori dell'esistenza, la loro incarnazione umana, la casta, il loro sostegno, la legge tradizionale, il loro simbolo terreno, l'impero.

All'obiezione che non esistano criteri oggettivi per stabilire chi è il migliore e chi deve costituire l'aristocrazia guerriera Nietzsche risponderebbe che già una volta la "sapienza della vita", come mostra ad esempio il "Codice di Manu", è stata in grado di stabilirlo meglio di tutti i matematici, di tutti i filosofi socratici, di tutti i signori socialisti, e se persino gli animali, quando devono ordinare le loro società, sanno sentire, al di là del bene e del male in senso morale e delle dimostrazioni in senso razionale, cosa "è bene" per la vita ascendente, devono saperlo gli uomini che vogliano ancora essere vivi. All'ulteriore obiezione secondo cui tali sistemi sarebbero "ingiusti", negatori della "libertà umana" e fondati sulla "bruta forza", Evola, risponderebbe, avendo testimone la Storia, che proprio lo stato moderno ha sempre più bisogno della coercizione e della forza al suo interno per reprimere il dissenso nascente da un sistema umano e troppo umano di gestione del potere e della ricchezza e di disuguaglianze non fondate su differenze qualitative e finalità anagogiche, mentre gli stati tradizionali, reggendosi sull'autorità e sul fine anagogico, potevano resistere per millenni senza avere i mezzi di controllo e repressione degli stati moderni e che civiltà millenarie capaci di ogni grandezza spirituale, etica nonchè storica, prima della sovversione egalitaria iniziata con il cristianesimo e proseguita dalle varie rivoluzioni borghesi, socialiste e femministe, sono esistite secondo "verità e giustizia" e permettendo ad ognuno, all'interno dell'ordine organico, di compiere la propria natura (vero concetto di Libertà) senza che una setta di giudei rinnegati, un Kant, un Hegel con le femministe che ne conseguono dovessero spiegare cosa fossero la libertà e la giustizia.

Gli irriducibili egalitari sono soliti qui scendere alla bassezza di asserire che tali civiltà superiori o non siano esistite o siano esistite solo nella penna dei poeti, o, se esistite nella storia, siano state altro da quanto le "favole mitopoietiche" di Nietzsche o di Evola volessero, in età moderna, far credere.

Mi si deve spiegare come allora, tanto per rimanere a quanto è conoscibile in Italia, sia possibile per quel demagogo di Veltroni o per quel traditore di Alemanno continuare a posare i loro deretani su allori, monumenti, opere e gesta prodotte da semplici "favole", o per legulei e saltimbanchi giudiziari fondare le loro uniche certezze di diritto su un "sistema di invenzioni mitopoietiche posticce".
Possono "invenzioni moderne arbitrarie" costruire fondamenta per imperii millenari e concezioni durature del diritto? Può, in genere, quanto è frutto di un effimero individuo essere lo sfondo cosmico da cui nascono gli dèi e le visioni del mondo per cui vivono, operano e si sacrificano generazioni e generazioni di uomini producendo architetture dell'arte e del pensiero, della materia e dello spirito, ancora palpabili, udibili, visibili pur nel disordine attuale?
Per chiunque non sia cieco appare chiaro che non solo sono esistiti uomini assai diversi da quelli odierni, non solo sono esistiti uomini capaci di creare opere di potenza, maestà e durata, non solo sono esistiti gli eroi, i forti, gli uomini virtuosi in grado di sentire il nobile, il bello e l'eroico e di subordinare a ciò ogni azione e ogni pensiero, ma sono esistiti interi popoli di eroi, di forti e di virtuosi, interi popoli in cui i valori eroici, i valori affermativi della forza e la virtù guerriera e civica costituivano il principio unificatore e il criterio di gerarchia, di autorità e di potere sacrale. La Roma Repubblicana, la Grecia di Omero, l'India vedica e la Persia iranica non sono invenzioni di Evola o di Nietzsche o favole antiche per fanciullo: sono realtà storiche (anzi, meta-storiche) verificabili sia tramite le espressioni di grandezza, bellezza e forza ancora tangibili, sia attraverso quella visione del mondo, diffusa anche in epoche buie come la nostra tramite l'epica, disprezzabile per taluni (specie se vili e "intellettuali"), ma non disconoscibile per nessuno, che permette di concepire le gesta di un Achille, di un Ettore, di un Romolo, di uno Scipione, di un Cesare, di un Alessandro, quali non semplici episodi transeunti ma quali azioni immortali fondatrici di civiltà e di senso superiore del vivere, e che ancora oggi rappresenta la quintessenza di quanto vive, risplende e trascina verso l'alto, al di là e al di sopra della materia bruta, della vita solamente vegetativa, della caducità di ogni corpo e di ogni legge umana e troppo umana, di ogni criteri infero dell'utile e del tempo. Anche qui è il fatto di vedere e di sentire tutto ciò a testimoniare e il suo valore e le differenze di valore fra uomini.
Favola, invenzione e falsi miti escogitati dal nulla da esegeti pantofolai sono invece la credenza nell'uguaglianza degli uomini, la visione della storia quale progresso lineare, il mito della scienza come verità superiore, la cieca e puerile fede nella non esistenza di dimensioni della realtà altre da quelle percepibili dai sensi o banalmente dimostrabili per tutti e concepibili da tutti. Sono stati tali "esegeti" egalitari a distruggere quanto rimaneve di un mondo superiore e a degenerare l'umanità ad un livello tale da farle apparire impossibile ogni altra realtà da quella brutalmente materiale e transeunte e ogni tipo umano diverso da quello del mercante e dello schiavo.

Che cosa e’ l’umanita’ odierna? Una ciurma di briganti e di ammutinati (capeggiata da bucanieri affamati di bottino, peraltro realmente discendenti dei pirati e dei predoni patentati dal cosiddetto "impero britannico") che, dopo aver ammazzato a tradimento i legittimi comandanti e i sapienti timonieri va alla deriva della storia, in balia di tutti i flutti e fra le peggiori ingiustizie, credendo di navigare verso le isole felici del progresso, del benessere e della pace perpetua.

Non si creda che questo sia il solito panegirico reazionario di chi da una torre d'avorio lancia sterili invettive verso un mondo girato dall'altra parte: l'anima futurista di chi scrive non è morta e la ragione sovrumanista sa che il tempo è una sfera, l'uomo decide in ogni momento in ciascuna delle tre direzioni il proprio divenire storico e curvo è il sentire dell'eternità. Il naturale diritto delle genti eroiche non è un punto di arrivo da contemplare placidamente nel passato, ma un punto di partenza da cui muovere nell'attualità, per mirarlo da prospettive sempre nuove in grado di fungere da meta e modello per il futuro. Innanzi ad una modernità che sta esplodendo nelle sue contraddizioni egalitarie, nel suo promuovere l'uguaglianza nelle parole e nel suo incrementare differenze ingiustificate nei fatti dell'economia, nel suo promuovere la pace perpetua e nel suo generare continue guerre democratiche, nel suo promettere benessere e tranquillità e nel suo impedira all'uomo normale di vivere appagato e felice anche solo nei suoi bisogni naturali di bellezza e di piacere, nel suo parlare di amore universale e nel suo accrescere minuziosamente e sistematicamente l'odio fra i sessi, le generazioni, i popoli (si pensi allo "scontro di civiltà" tramite cui si vogliono mettere gli europei contro gli asiatici), nel suo parlare di libertà e nel suo introdurre (con la scusa del terrorismo o della lotta al razzismo) leggi liberticide per il pensiero, per il viaggiare, per il diritto all'habeas corpus (abolito, anzi sospeso, da Bush), nel suo ciarlare di scienza risolutrice dei problemi umani e nel produrre attraverso la scienza armi, strumenti comuni e sistemi di controllo contrari ad ogni libertà, ad ogni natura e ad ogni vita, è preciso dovere di ogni sovrumanista (e quindi anti-egalitario) insinuare nelle crepe già aperte il proprio grimaldello per provocare la rottura definitiva. "Dalla nuova barbarie la nuova civiltà" diceva Nietzsche. E il discepolo Adriano Scianca, quasi a proseguire la mia metafora marittima, aggiunge: "imbarcati sul titanic, abbiamo fino ad oggi giocato ad essere le scialuppe di salvataggio: e se finalmente provassimo ad essere iceberg?"

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