La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Cumartesi, Nisan 28, 2007

IN MORTE DI BENITO MUSSOLINI

Frequentemente si discute se sia definibile Mussolini come uomo di stato. Il motivo per cui i detrattori vorrebbero negargli tale titolo risiede primieramente nel senso vagamente positivo assunto dal termine nella sua dizione comune e imprecisa. In realtà è grande uomo di stato chiunque in qualunque parte del mondo dedichi la propria vita alla realizzazione di un progetto politico, indipendentemente dalla natura di esso, dalla sua valutazione e dalla sua riuscita. In tal senso Mussolini fu certamente un grande uomo di stato, come lo fu, per altri versi, Stalin. Tale definizione prescinde dal valore positivo o negativo che si sceglie di attribuire ai loro programmi più o meno giusti, più o meno nobili, più o meno storicamente fondati.

Mussolini ("il figlio del fabbro", come direbbe Giordano Bruno Guerri), si propose di forgiare gli italiani con l'incudine e il martello, di riformarli totalmente, di trasformare un popolo di esteti e di cultori della forma, di cantori rinascimentali d'amori e di guerre, amanti del bello ma di fuggitori di pericoli, in un popolo di virtuosi guerrieri, un gruppo di individui protesi al proprio particulare in una nazione mossa da un unico anelito spirituale (o almeno da un unico interesse generale), un insieme di persone volte alla furbizia, all'opportunismo, al trasformismo in una identità collettiva unica, granitica e super-individuale e improntata alla saldezza ed all'immortalità delle virtù civiche che fecero grande il buon popolo romano.

Non v'è necessità di ricordare come il tentativo fallì miseramente, non si sa se per la pompa, la ribalderia retorica e a tratti la faciloneria da cui fu caratterizzato durante il cosiddetto Ventennio, o se per l'effettiva impossibilità di mutare il carattere degli Italiani. Quello che è certo è che, come Italiani, non vi è nulla da festeggiare in questo fallimento. Si può forse festeggiare l'esser un popolo di voltagabbana, di mollaccioni che si arrendono alle prime sofferenze (vedi il bombardamento su Roma che provocò il crollo morale italiano mentre quelli di Londra rafforzarono invece lo spirito combattente inglese) e di vigliacchi che saltano sul carro del vincitore (vedi sia la monarchia fuggitiva, opportunisticamente ed egoisticamente traditrice della patria e dei patti e sì arrendevole agli angloamericani, sia la roboante “resistenza”)?

Ho anche l'impressione che l'odio di cui Mussolini fu prima vittima una volta palesata agli italiani l'enormità e la tragicità del suo fallimento sia motivato non già da avversione verso il di lui progetto "imperiale" di grandezza e di potenza, materiale e morale, per l'Italia, ma dall'ira per la constatazione di come non vi sia riuscito. Si tratta dell'odio verso il capo un tempo amato, odio tanto più abissale e violento quanto più era stato intenso e profondo l'amore e alto e nobile il trasporto verso l'ideale cui si proponeva di conformare la realtà e le persone.

Piazzale Loreto è stato nella storia quello che nello sport sono i linciaggi mediatici, giornalistici e da stadio che gli allenatori delle nazionali sconfitte (come ad es. Trapattoni, Sacchi ecc.) subiscono, al di là ed al di sopra dei meriti o delle colpe a loro oggettivamente ascrivibili, ogni volta che le speranze di vittoria degli italiani sono frustrate dagli eventi.

A volte penso che se a Marsala Garibaldi avesse incontrato un'effettiva resistenza borbonica ed il tentativo dei Mille si fosse concluso in una sconfitta già in Sicilia, ora l'eroe dei due mondi sarebbe ricordato come un bandito in camicia rossa o, al massimo, come un sognatore sanguinario che conduceva inutilmente al massacro tante giovani vite. Sono invece sicuro che se l'Inghilterra avesse nell'estate del 1940 accettato le proposte di pace avanzate da Hitler dopo la caduta della Francia e la guerra si fosse conclusa lì, l'opportunista Mussolini (entrato in guerra quattro giorni prima della caduta di Parigi) sarebbe stato innalzato dal suo popolo quale genio machiavellico della politica mondiale (ed il tempismo molto più prosaicamente opportunista che non nobilmente guerriero) dell'Italia sarebbe stato laudato molto più della virtù militare germanica.

E' vero che con i "se" e i "ma" non si fa la storia, ma senza formulare i "se" ed i "ma" non la si può capire davvero. Solo quando si comprendono i motivi per cui i fatti sono andati in un modo e quelli per cui avrebbero potuto andare in un altro si ha una visione se non completa almeno non semplicistica e didascalica della storia. Io non credo nel determinismo storico. A volte è il fato a decidere gli eventi, sotto forma magari di un evento insignificante che finisce per scatenare le più significative rivoluzioni della storia, altre volte è la decisione di un singolo uomo a poter avere conseguenze determinanti, specie durante le battaglie e le guerre. Se tutto fosse deciso in anticipo nemmeno si combatterebbe.

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