Nell'episidio di ieri andato perduto per coincidenza con il Gran Premio del Brasile di Formula 1, il colonnello Calcagno, inviato dal comando supremo. aveva passato tutta la giornata fra la conca di Plezzo e l'inizio della Bainsizza per verificare lo stato effettivo della fronte e raccogliere le richieste dell'ultim'ora dei singoli corpi d'armata (in particolare il IV del generale Alberto Cavaciocchi e il XXVII del generale Pietro Badoglio, che tenavano la prima linea dal Rombon a Tolmino ove era previsto l'attacco). Non avendo potuto seguirlo di persona, ripercorriamo almeno la linea del fronte da lui visitata, con l'ausilio di qualche citazione (a conferma peraltro di quanto detto ripetutamente anche da Costantinopoli), da
http://www.grandeguerrafvg.org/page/content/menu/3
C'è bisogno di dire che, nonostante tutte le deficienza difensive di cui abbiamo discorso nei precedenti episodi, tanto il generale Cavaciocchi quanto il generale Badoglio dichiararono di essere ben pronti e preparati a rintuzzare l'attacco nemico e addirittura di attenderlo con fiducia, di non avere bisogno di nulla che non fosse loro già stato concesso dal comando e che, come gran parte degli altri ufficiali superiori in quel momento, facevano a gara in ottimismo?
LE LINEE DIFENSIVE DELLA 2° ARMATA Linea avanzata, di difesa ad oltranza, d'Armata
Nell’ottobre 1917 la struttura difensiva della 2^ Armata nel settore dell’alto Isonzo era costituita da una molteplicità di linee, generalmente tre (avanzata, di difesa ad oltranza, di Armata) e dalla presenza di altre posizioni di raddoppio. Le tre linee presentavano le seguenti caratteristiche generali: - linea avanzata, coincideva con le posizioni conquistate dopo le prime operazioni del 1915. Era debole perché non seguiva criteri difensivi, ma rappresentava il margine raggiunto dopo le varie azioni offensive. Con il passare dei mesi aveva raggiunto una certa consistenza grazie a notevoli lavori campali ma risultava soggetta all’osservazione avversaria, molto spesso risultava esposta a tiri d’infilata, e, in alcuni punti, anche attaccabile alle spalle. Questa era la sola linea presidiata dai reparti, mentre quelle arretrate dovevano essere occupate solo in caso di necessità. Se la linea avanzata non avesse resistito il tempo sufficiente a consentire l’attivazione delle linee retrostanti, queste, nonostante la loro forza intrinseca, sarebbero risultate inutili. - linea di difesa ad oltranza, questa linea era più forte di quella avanzata perché comprendeva fin dalla sua progettazione posizioni di notevole valore difensivo (i cd. “capisaldi”), poteva contare inoltre sull’appoggio dell’artiglieria e permetteva azioni di fiancheggiamento. In alcuni tratti le prime due linee si potevano fondere in un unico sistema o per la mancanza di terreno utile (profondità) o per la capacità impeditiva della zona. - linea d’Armata, come la precedente si appoggiava ad elementi forti del terreno che potevano ostacolare i movimenti dell’avversario favorendo, nel contempo, la difesa cd. attiva. Era integrata da ulteriori tracciati che ne rafforzavano il disegno complessivo formando dei compartimenti dove bloccare eventuali penetrazioni nemiche
LINEE CONTRAPPOSTE FRA PLEZZO E TOLMINO
Dal giugno 1915, dopo l’occupazione del Monte Nero (Krn, m 2245), le linee contrapposte non subirono variazioni di rilievo per ventotto mesi estendendosi, con andamento Nord – Sud, le italiane dal Čukla alla piana di Volče e quelle austro – ungariche dal Rombon alla testa di ponte di Tolmino (Tolmin). La linea avanzata italiana, coincidente con le posizioni raggiunte dopo le prime operazioni del 1915, rimontava dal vallone dello Slatenik alle trincee blindate della sella di quota 1270 e da là raggiungeva il Kal (Cocuzzolo Camperi, m 1698) posto all’estrema propaggine della dorsale del Vršič (m 1897), proseguendo poi lungo l’affilata cresta del Vrata – Krn fino a raggiungere l’acrocoro del Monte Rosso (Batognica, m 2164). Riprendeva poi più in basso attestandosi alle pendici occidentali dell’allineamento Sleme – Mrzli vrh – Vodil, raggiungendo la sinistra Isonzo nel fondo valle davanti all’abitato di Gabrje. Riprendeva solcando la piana acquitrinosa di Volče fino a Čiginj, inerpicandosi poi sulle ridotte dello Ješenjak e dello Ježa a fronteggiare le munite posizioni austro – ungariche di Santa Maria - Mengore e di Santa Lucia di Tolmino (Selski vrh). Alla 1^ linea seguiva la linea di difesa ad oltranza, che dalla stretta di Šaga si portava sulla catena del Polovnik e sul Krasji vrh per poi raggiungere più in basso la sella di quota 1270 andando a coincidere con la precedente linea avanzata fino alla cuspide del Monte Nero. Ridiventava un tracciato autonomo scendendo per il Kožljak e il Pleče all’Isonzo presso la località di Selišce. Oltre l’Isonzo risaliva sulla Costa Raunza per Foni e il Leisce vrh a raggiungere la ridotta di Cemponi da dove, fino al Grad si fondeva con la prima linea. Una terza linea, detta d’Armata, proteggeva le vie di comunicazione con la pianura friulana, sbarrando la Valle Uccea tra il Monte Guarda e la catena dei Musi e correndo lungo la dorsale dello Stol fino allo Starijski si portava davanti a Caporetto con il caposaldo del Volnik a sud di Drežnica, da dove ripassava sulla destra Isonzo per Idrsko inerpicandosi poi per Golobi fin sulla cima del Kuk di Livek da dove proseguiva sulla lunga gobba del Colovrat fino al Korada. Gli austro - ungarici occupavano invece tutte le dorsali che fronteggiavano le posizioni italiane mantenendo in gran parte posizioni sopraelevate o comunque tatticamente più favorevoli alla difesa, potendo anche sfruttare per le linee arretrate e i rifornimenti l’ampio acrocoro del Bogatin. Dal Rombon (m 2208), passando per le posizioni antistanti il Čukla, la prima linea scendeva nella conca di Plezzo attestandosi sulle alture del Ravelnik da dove per lo Javoršček e Sella Golobar raggiungeva lo sperone Nord Ovest del Vršič, mantenendosi a pochi metri dalla ridotta italiana del Kal (Cocuzzolo Camperi). Poggiando poi sulla bastionata formata da Lipnik (m 1867), Veliki Lemež (m 2043), Šmohor (m 1939) e Vrh nad Peski (m 2176), formava un arco di cerchio attorno alla rocciosa conca del Krnsko jezero (Lago Nero) agganciando le trincee italiane sul ciglione del Monte Rosso (Batognica) che poi abbandonava per sovrastarle dalla creste del Maselnik (m 1903), Stador (m 1903) e Rdeči Rob (m 1913). Passando per lo Sleme, il Mrzli e il Vodil raggiungeva la sinistra Isonzo nei pressi dell’abitato di Dolje a qualche centinaio di metri dalle linee avanzate italiane di Gabrje. Completavano le difese l’isolato cono del Grad che assieme alle alture di Mengore e Santa Lucia costituiva un formidabile sistema dominante il fondo valle Isonzo a protezione di Tolmino. (estratto da: “Da Tolmino a Caporetto lungo i percorsi della Grande Guerra tra Italia e Slovenia” di Marco Mantini)
LINEE ARRETRATE DELLA 2° ARMATA
Nel settore dell’alto Isonzo l’avanzata delle truppe italiane contro l’Austria - Ungheria portò, fin dall’inizio del conflitto, la linea del fuoco al di là del fiume, nell’area compresa tra Plezzo (Bovec) e Tolmino (Tolmin) con fulcro la conca di Caporetto (Kobarid) e l’arco montano dal Mrzli vrh alla catena del Monte Nero (Krn, m 2245). Con lo stabilizzarsi del conflitto in una guerra di posizione, il Comando Supremo italiano dispose la costruzione nell’area di competenza della 2ª Armata di un imponente sistema difensivo che proteggesse alle spalle le sue grandi unità schierate sul Carso e sull’Isonzo in caso di sfondamento delle linee avanzate. La linea principale di difesa, tracciata nell’estate del 1915, partiva da monte Stol si sviluppava per circa 120 km, comprendendo la conca di Caporetto, le dorsali fra Judrio e Isonzo, per scendere lungo l’allineamento Collio – Korada e proseguire attraverso la pianura isontino fino al mare. Questa linea, detta d’Armata, proteggeva le vie di comunicazione con la pianura friulana, sbarrando la Valle Uccea tra il Monte Guarda e la catena dei Musi. Correva lungo la dorsale dello Stol fino allo Starijski vrh portandosi davanti a Caporetto con il caposaldo del Volnik a sud di Drežnica a formare testa di ponte, da dove ripassava sulla destra Isonzo per Idrsko inerpicandosi poi per Golobi al Kuk di Livek e proseguire lungo la dorsale Colovrat – Ježa – Globočak - Korada – e per i capisaldi di Planina, Verhovac, San Floriano, Mossa fino al monte Fortin. Altre linee, più arretrate, ne completavano la sistemazione raddoppiandola alla testata della valle del Rieca e a cavallo della valle dello Judrio e in alcuni tratti anche triplicandola come nella zona del fiume Torre dove si collegava con le ulteriori opere di difesa poste alle spalle della 3^ Armata impegnata sul fronte carsico. Il loro tracciato si sviluppava su tre ulteriori linee: - la linea ad ovest di Caporetto, Starijski vrh – Robič (Molida) – Jelovac (Ilovec) - Golobi, che sbarrava la Valle del Natisone (il tratto Jelovac – Golobi non era ancora completato); - la linea contraddistinta dalle posizioni: Mrzli del Matajur – valle Rieca – Monte San Martino – Trusgne – valle Judrio – Pušno, che sbarrava le valli dei torrenti Rieca e Judrio e di conseguenza gli sbocchi alla piana di Cividale; - la linea sulla destra dello Judrio, che da Passo Zagradan seguiva il tracciato: Clabuzzaro – Monte Cum (Hum) – Monte San Giovanni – Špik - Castelmonte – Monte Planjava, Monte Brischis – Monte San Biagio. Quest’ultima raddoppiava quella d’Armata nel tratto Ježa – Globočak - Korada e aveva ancora un’appendice sui monti Mladesiena, dei Bovi e Purgessimo alle porte di Cividale. Sul suo stato di efficienza un documento del Comando Genio della 2^ Armata datato 22 ottobre 1917, due giorni prima dell’avvio della battaglia di sfondamento, parla di “Trincee continue con reticolati fissi, su due ordini di trincee di vecchio tipo che si stanno in parte modificando. In tale linea costruita con i criteri in uso nei primi tempi della guerra il lavoro delle trincee è assolutamente sproporzionato rispetto al numero di ricoveri e quello degli appostamenti di mitragliatrici ricavati in caverna o blindati alla prova. Tale osservazione può ripetersi per tutta la linea fino al Globočak e per quella che dal Globočak per Lig - Korada – Planina si riattacca alla linea dei capisaldi al Verhovac per discendere quindi a Mossa. Le linee arretrate non vengono descritte giacché da lungo tempo non furono ad esse apportate nessuna modificazione ”. Le difese realizzate nell’area di competenza della 2^ Armata vennero attuate senza celerità e con metodologie antiquate non aderenti alle nuove tecniche di combattimento che prevedevano, fra l’altro, l’uso massiccio dell’artiglieria di grosso calibro e l’impiego diffuso di gas asfissianti anche in profondità. Di fronte a questi metodi si sarebbe reso necessario il potenziamento dei ricoveri per la fanteria e per le armi di supporto e copertura, pezzi d’artiglieria e mitragliatrici oltre all’utilizzo di nuove tipologie di trinceramenti. La conferma di questo stato si ebbe tragicamente nell’ottobre 1917, quando investita dalle forze tedesche provenienti dalla testa di ponte di Tolmino, la linea cedette aprendo la strada all’invasione della pianura friulana.
L'ORGANIZZAZIONE DEI LAVORI DIFENSIVI
L'asprezza dei luoghi, le difficoltà nei rifornimenti e le dure condizioni climatiche imposte da un fronte alpino costrinsero i due avversari a un’imponente opera di rafforzamento e sistemazione delle posizioni e la creazione a tergo di un complesso sistema di comunicazioni necessario a raggiungere in ogni modo luoghi prima sconosciuti o zone considerate inaccessibili all’uomo. Tale fu la mole dei lavori che montagne e vallate subirono profonde trasformazioni e ancora oggi se ne conservano le vestigia lungo tutto il fronte isontino. Dal 1916 il genio d’Armata organizzò i lavori dall’Adriatico al Rombon ripartendoli in otto zone, le prime quattro comprendevano il Carso e il basso Isonzo (3ª Armata), le rimanenti includevano il medio e l’alto Isonzo, territorio affidato alla 2ª Armata. Al 24 ottobre 1917 questa rappresentava la più grande struttura operativa dell’esercito italiano contando una forza di oltre 660.000 uomini dispiegati su quasi 80 km di fronte. In particolare la quinta zona eseguiva le opere tra Gorizia, Cormons e il Collio, la sesta dalle alture a nord di Gorizia alla dorsale dello Judrio, mentre la settima e l’ottava zona gestivano i cantieri rispettivamente in Val Rieca e nell’alto Isonzo. Lo sviluppo assunto dalle opere campali, dalla costruzione di strade, mulattiere, trincee, baraccamenti, piazzole per l’artiglieria dimostrò in breve l’insufficienza dei reparti normalmente impiegati. Non solo in due anni il genio militare moltiplicò i reparti, ma a questi si aggiunse l’impiego delle centurie, unità costituite da militari delle classi anziane o da quelli “meno atti alle fatiche di guerra” ma comunque capaci sterratori e cavatori, oltre al ricorso ai reparti di civili militarizzati, i cd. “operai borghesi” nell’ordine di diverse migliaia per Armata reclutati tra gli abitanti dei luoghi prossimi alle zone di operazione e dall’interno del paese. (tratto da: “Da Tolmino a Caporetto lungo i percorsi della Grande Guerra tra Italia e Slovenia” di Marco Mantini) Comando del Genio della 2a Armata Direzione Lavori 6a Zona Castelmonte Liga (Lig) Cambresco (Kambreško) Prepotto Senico (Senik) Tribil Planina San Iacob Val Cosbana Vercoglia (Vrhovlje) Direzione Lavori 7a Zona Bucova Jeza (Bukova Ježa) Clabuzzaro Dugo Cambresco (Kambreško) Liga (Lig) Passo Zagradan Peternel Prapotnizza Tribil Jeza (Ježa) (tra parentesi il nome attuale)
Eppure tutto questo non basta. Vi è ancora altro da sapere sul 22 Ottobre 1917.
22 OTTOBRE 1917 PAGINA MANCANTE
Fino dal 1929 lo storico A. Lumbroso disse di aver saputo, alcuni anni prima, dal colonnello Adriano Alberti, capo dell' ufficio storico, che mancavano alcuni documenti allegati al Diario del XXVII corpo, relativi ai giorni 22 e 23 ottobre. Il colonnello Oreste Cantatore, allora maggiore, ricorda molto bene le vicende iniziali di quel diario, poichè lo compilò personalmente. Il 4 dicembre 1917 fu convocato ad Abano dal generale Badoglio, allora sotto capo di S. M. dell' Esercito, affinchè gli portasse il Diario da firmare. Dopo aver apposto le firme, Badoglio gli disse di recarsi a Padova e di consegnare il fascicolo al generale Della Noce, che era stato incaricato di iniziare accertamenti sulle cause della disfatta. Il Cantatore eseguì l' ordine e assicura che il Diario consegnato la sera stessa era completo di tutti gli allegati, ma fra quelli non vi era il documento del 22 ottobre. Su quel documento si sarebbero potute leggere due cose. La prima riguarda il mancato utilizzo dell'artiglieria del XXVII Corpo d'Armata (di cui abbiamo discusso nel terzo episodio), la seconda il dispiegamento della brigata Napoli (inviata a rinforzo dal comando della 2° armata).
Quanto al primo punto, avenone io già parlato, lascio parlare altre fonti:
http://www.centroricerchearcheo.org/03gm1/battaglie/caporetto_bat1.htm
l 10 ottobre Cadorna ordinò alla II^ Armata:
"durante il bombardamento nemico... si svolga una violentissima contropreparazione nostra. Si concentri il fuoco dei grossi e medi calibri sulle zone di probabile irruzione delle fanterie, le quali... dovranno essere schiacciate sulle linee di partenza. Occorre, in una parola, disorganizzare e annientare l' attacco nemico prima ancora che si sferri".
Il giorno dopo, il comando della II^ Armata diede analoghi ordini ai comandi di corpo d' armata. Invece, il 24 ottobre le artiglierie del XXVII corpo non aprirono il fuoco contro le masse nemiche concentrate nella conca di Tolmino. Il mistero di questo silenzio delle artiglierie, che sorprese gli stessi nemici, per il grandissimo vantaggio che ne trassero, è ormai chiaro. Le artiglierie che avrebbero dovuto "schiacciare" le fanterie nemiche dove sostavano prima di muovere all' attacco erano quelle di grosso e medio calibro, che contavano oltre 400 cannoni nel settore del XXVII corpo d' armata. Badoglio volle riservare a se stesso l' impiego e, per evitare interferenze del comandante dell' artiglieria, ottenne la sostituzione del generale Scuti, che era un valente artigliere, con il colonnello Cannonniere, il quale, per il più modesto grado gli dava maggiori garanzie di obbedienza. Badoglio disse per telefono al generale Capello di non volere dei "professori" perchè gli bastava avere un "esecutore di ordini". Presente a questo colloquio telefonico era l' allora maggiore Oreste Cantatore, uno dei tre ufficiali in servizio di stato maggiore al Comando del corpo d' armata. La sua preziosa testimonianza spiega il fatto che Badoglio non sentì il bisogno di diramare ordini scritti per l' impiego delle artiglierie di medio e di grosso calibro; gli bastò ripetere a Cannoniere ciò che aveva detto a Capello: che avrebbe disposto personalmente per il loro impiego. Cannoniere, convinto di non poter agire di sua iniziativa, nella notte dal 23 al 24 ottobre chiese a Badoglio di essere autorizzato a far aprire il fuoco; l' autorizzazione gli fu negata e le artiglierie non spararono. Fu pubblicato il testo di un ordine che Badoglio avrebbe diramato il 22 ottobre, nel quale si legge questa frase: "all' inizio del tiro di distruzione le nostre batterie di grosso e medio calibro dovranno intervenire battendo le trincee e i luoghi di raccolta del nemico". Il generale Badoglio avrebbe dunque eseguito, sia pure con un ritardo di dieci giorni, l' ordine del Comando della II^ Armata dell' 11 ottobre? Possiamo rispondere di no, perchè quel documento è apocrifo, sebbene rechi il numero di protocollo di uno dei Documenti spariti dal diario del XXVII corpo.
Quanto al secondo punto, vale la pena dilungarsi, dato anche che riguarda la data di oggi (22 Ottobre)
Fin dal 1916 il IV Corpo d'Armata aveva giurisdizione dal Rombon al Doblar, affluente dell'Isonzo a sud di Tolmino, quindi anche davanti alla testa di ponte austriaca. Sull'ala destra del fronte tenuto dal corpo d'Armata, davanti alla testa di ponte austriaca di Tolmino era schierata la 19° divisione (Generale Villani), la quale con i suoi 21 battaglioni occupava le linea avanzate che dalla sinistra dell'Isonzo davanti all'abitato di Gabrje, passando a destra del fiume, e solcando la piana acquitrinosa di Volče fino a Čiginj, per inerpicarsi poi sulle ridotte dello Ješenjak e dello Ježa ove fronteggiava le munite posizioni austro – ungariche di Santa Maria - Mengore e di Santa Lucia di Tolmino (Selski vrh) fino di nuovo all'Isonzo più a sud, all'altezza Doblar, si congiungeva, alla sinistra del fiume, con il XXVII Corpo d'Armata. Durante il settembre del 1917, però, per sostenere l'ultimo assalto alla Bainsizza, il comando della 2°armata assegnò la 19° divisione al XXVII Corpo di Badoglio, e così il IV dovette attingere dalla propria riserva il 2° e il 9° reggimento Bersaglieri per presidiare la linea dall'Isonzo al monte Plezia, e altri reparti (non certo consistenti come una divisione) per il tratto dal Monte Plezia di nuovo all'Isonzo. Nell'imminenza dell'attacco, accorgendosi della debolezza della difesa di quelle posizioni davanti alla invece fortissi,a testa di ponte austriaca di Tolmino, , il comando della 2° Armata, tenuto in quei giorni dal generale Montuori (Capello si era recato a Padova per farsi curare all'ospedale), volle rischierarvi l'intera 19° divisione e, per fare questo mantenendo l'attribuzione della divisione al XXVII Corpo d'Armata, cambiò (fatto genarante confusione in tempi tranquilli, sciagure in tempi critici) i confini fra questi e il IV Corpo. Alle 14.30 di oggi, 22 Ottobre, il comando della 2° Armata telegrafa l'ordine n°6155:
"Speciale stop Brigata Napoli passa a disposizione del XXVII Corpo d'Armata stop XXVII corpo prende lavori e presidio della linea Plezia-Foni-Isonzo stop Resta con ciò stabilito che la fronte del XXVII Corpo d'Armata in quel tratto giunge fino sull'Isonzo stop La difesa del fiume è affidata al IV corpo stop I pezzi da 70 someggiati che sono sulla fronte Plezia-Isonzo passano a disposizione del XXVII corpo stop Accusare ricevuta stop generale Montuori"Giusta era l'idea di rafforzare il fronte davanti a Tolmino (sfruttando la cui ferrovia e le cui munitissime postazioni con tanto di gallerie sotterranee gli austriaci avrebbero potuto facilmente sostenere rifornimenti e comunicazioni per un attacco in profondità).
Giusta era l'intenzione che il IV Corpo avrebbe dovuto impiegare il 2° e il 9° bersaglieri (da considerarsi quasi truppe d'elite, nell'economia di quella guerra, per esperienza e valore) per altri compiti, ma assai maldestro il modo scelto.
Scrive infatti il Faldella
Il comando della 2° Armata prese una decisione che non è giustificabile. In linea di massima era già illogico, e dal punto di vista tecnico condannabile, modificare i limiti di contatto fra grandi unità, quando si sapeva imminente l'offensiva nemica. Nel caso specifico, poi, il pendio boscoso, e perché insidioso, che da Monte Plezia e Costa Ruanza digradava verso l'Isonzo costituiva un settore delicatissimo, perché fianco destro di un fondovalle di facilissima percorribilità. Il comando del XXVII corpo non aveva mai avuto occasione di occupersene, mentre il comando del IV l'aveva avuto da oltre un anno incluso nel proprio settore e ne aveva valutato la vulnerabilità; il 20 ottobre il generale Cavaciocchi richiamò l'attenzione dei comandi dipendenti sulla possibilità che il nemico approfittasse della fittissima nebbia per tentare azioni di sopresa "particolarmente in direzione della linea di congiunzione fra il IV ed il XXVII Corpo d'Armata".Non sarebbe stato più semplice riattribuire la 19° divisione al IV Corpo (con cui peraltro era stata fino a un mese prima) senza modificare i confini giurisdizionali fra corpi d'armata?
Non basta: il IV corpo aveva organizzato con le sue artiglierie lo sbarramento di quel settore, mentre il XXVII corpo non disponeva di artiglierie di piccolo calibro che avessero azione su di esso. Inoltre il IV corpo aveva sul pendio di destra dell'Isonzo, divallante verso il fiume, e in fondovalle ben otto batterie di medio calibro e alcune di piccolo calibro che partecipavano allo sbarramentoi dinanzi alle linee del Mrzli e del Vodhil.
Ecco a cosa portò invece questo cambiamento
Il 2° e il 9° bersaglierei, a meno di quarantottore dell'attacco, conformemente agli ordini che limitavano la giurisdizione del IV Corpo all'Isonzo davanti a Gabrje (compreso il letto del fiume), sgomberarono (sicuri di essere rimpiazzati da più numerose truppe) la linea difensiva Plezia-Foni Isonzo (sulla riva destra) su cui avevano opportunamente predisposto trinceramenti, nidi di mitragliatrice, postazioni di artiglieria di piccolo calibro, filo spinato e soprattutto uno sbarramento del fondovalle Isonzo (per impedire che il nemico, da Tolmino, si dirigesse a nord, per la strada che sulla destra del fiume risale il fondovalle fino a Caporetto). Quella linea, che dal Monte Pleca scende alla strada del fondovalle, per un dislivello di 700 metri lungo un pendio ripido e boscoso, pieno di potenziali insidie per chi deve difendere, era di vitale in portanza per la solidità del sistema difensivo italiano, giacché se il nemico fosse riuscito a oltrepassarla, avrebbe potuto risalire l'Isonzo alle spalle non solo delle linee avanzate, ma anche di quelle di resistenza del IV Corpo d'Armata (che da Plezzo, prima per la dorsale del Polovnik, poi, in coincidenza con la linea di avanzata, per le vette del Monte Rosso, del Monte Nero, del Vrata e del Vrsic e infine, di nuovo di posizione arretrata, per la dorsale Kozliak-Pleca-Spika-Vrsno, correvano, comunque alla sinistra dell'Isonzo), e ricongiungersi, a Caporetto, con le truppe provenienti dalla conca di Plezzo. In tale evenienza il IV Corpo d'Armata si sarebbe trovato accerchiato pressoché per intero, provocando una falla incolmabile sul fronte giulio (poiché, come ricordato nel terzo episodio, dietro ad esso non vi erano né una linea d'armata solida e completa, né una presenza di riserve in grado di giungere entro 30-50Km di marcia a Caporetto o alla conca di Drezenca). Poiché poi il IV Corpo, costituendo l'estremità sinistra della Seconda Armata, aveva alla propria sinistra soltanto il XII Raggruppamento Alpini deputato a difendere la cresta carnica, e alla destra i buoni due terzi dell'esercito italiano (che erano schierati sull'Isonzo) un suo cedimento avrebbe comportato in primis l'aggiramento a nord della 2° Armata e in secundis la rottura del fronte isontino, dato che a quel punto anche la 3° Armata più a sud avrebbe dovuto ritirarsi per sfuggire all'accerchiamento: a quel punto non solo il XII Raggruppamento Alpini Carnia, ma anche la 4° Armata in Cadore avrebbero dovuto ripiegare verso sud, sparendo, con il crollo della fronte giulia, la loro protezione a tergo.
Non è dunque esagerato affermare che dalla tenuta della linea Plezia-Foni-Isonzo avrebbe potuto dipendere quella dell'intera fronte sull'Isonzo.
Avrebbe dovuto, nelle intenzioni giuste ma ingenue e maldestre del generale Montuori, essere presidiata dall'intera brigata Napoli, che era stata appena assegnata come rinforzo alla 19° divisione, la quale aveva le rimamenti brigate (Taro e Spezia), più il battaglione alpino Val D'Adige, per tenere il resto del suo nuovo fronte da Monte Pleca, lungo il Kolowrat, fino di nuovo all'Isonzo all'altezza di Doblar (ove dall'altra parte del fiume, a sinistra, si collegava alle altre divisioni del XXVII corpo). Purtroppo Pietro Badoglio era di avviso diverso riguardo all'impiego della Brigata Napoli.
Egli pensava che si potessero presidiare due chilometri e mezzo di pendio ripido, boscoso e perciò insidioso, per 700 metri di dislivello, con un battaglioncino di soli 400 uomini e concentrare tutti i restanti cinque battaglioni sul Kolowrat e sul suo rovescio. Ciò avrebbe avuto un minimo significato se almeno questi cinque battaglioni fossero stati disclocati in punti dai quali avrebbero potuto facilmente correre a difesa della linea in caso di attacco. Invece ecco, dal resoconto puntuale di Emilio Faldella, dove Badoglio li volle disposti
Il generale Badoglio dichiarò di aver precisato nell'ordine alla 19° divisione (n°3.268 delle ore 17.30 del 22 ottobre) che la brigata Napoli era messa alle sue dipendenze "col compito di occupare la linea Plezia-Foni-Isonzo e con l'avvertenza di impegnarla il meno possibile, costituendosi una riserva presso la linea".Il generale Villani chiese conferma di tale insensato ordine, sperando di poter dispiegare più di 400 uomini in quel punto tanto cruciale, e di schierare i rimanenti in posizioni più appropriate, ma l'ordine venne confermato di persona da Badoglio. Ora, è vero che gli ordini di Cadorna dicevano che la linea avanzata dovesse essere alleggerita, ma, lasciando perdere il non trascurabile controsenso che su tutto il resto della fronte del IV Corpo ciò pur non fu fatto, questo non può oscurare un'evidenza tattica assoluta e far pensare possibile abbandonare un punto così vitale per la difesa, sfondato il quale il nemico può infilarsi dietro addirittura la linea di resistenza minacciando d'accerchiamento un intero corpo d'armata! Alleggerire la linea avanzata significa togliere truppe da essa per spostarle su quella di resistenza (come invece, secondo quanto discusso nelle puntate precedenti, non fu fatto nella zona del IV Corpo) per il preciso scopo che questa, forte già per natura, possa resistere a oltranza, ma non certo creare falle nel sistema difensivo tali da permettere al nemico di giungere, in un altro punto, alle spalle della linea di resistenza stessa, solo per poter dire di aver sgomberato un tratto di linea avanzata!
Si dovrebbe arguire che alla 19° divisione fosse stata lasciata libertà di distribuire i battaglioni della brigata fra prima linea e riserva, riserva che per essere "presso la linea" avrebbe dovuto essere a ridosso di Monte Plezia e dietro lo sbarramento del fondovalle, a distanza tale da poter intervenire prontamente. Della dislocazione difettosa della brigata sarebbe dunque responsabile il comandante della 19° divisione e cioé il generale Villani.
Badoglio non fu sincero. Il suo ordine fu assai più preciso e vincolante, come risulta dalla relazione della 19° divisione:
a) Con le forze strettamente indispensabili occupare Monte Plezia e sorvegliare la stretta Isonzo a nord di Foni
b) Occupare il Monte Piatto ed il Podklabuc per assicurare il possesso del passo Zagradan
c) Tenere il maggior numero di battaglioni riuniti in un nucleo di manovra più prossime che possibile a Casoni Solarie.
corpo. Altro che sorvegliare la stretta! Prima di tutto non c'era una "stretta"Quel "sorvegliare la stretta" è la prova lampante del disorientamente del comando del XXVII ma un fondovalle percorribile con un'ottima strada; in secondo luogo non si trattava di "sorvegliare" ma di "difendere" e "difendere molto bene"!
Ambedue i compiti b) e c) imponevano alla 19° divisione di tenere la maggior parte dei battaglioni della brigata Napoli sull'alto della dorsale e sul suo rovescio.
Per eseguire l'ordine ricevuto il comando della 19° divisione dislocò (compito a) il III/76° fra Monte Plezia e Foni; il I e II/76° fra Monte Piatto e Podklabuc (compito b) e tutto il 75° fanteria col comando di brigata e due compagnie mitragliatrici a Case Ardielh (compito c).
Vi furono scambi di vedute fra il generale Villani e il generale Badoglio e questi confermò che la massa doveva gravitare in alto per manovrare e mantenere il possesso di passo Zagradan; in basso bisognava tenere lo stretto indispensabile.
Ma per "manovrare", esercitando un'azione efficace là dove essa poteva rendersi necessaria, la riserva avrebbe dovuto essere collocata ad una giusta distanza e non certo nei pressi di Casoni-Solarie, come prescrisse Badoglio. Per giungere da Casoni Solarie al fondovalle Isonzo, il 65° fanteria avrebbe dovuto superare cinquanta metri di dislivello in salita e ottocento metri di dislivello in discesa su territorio ripido e malagevole, per cui sarebbe stato costretto a marciare per uno o per due su una mulattiera.
Tra incolonnamento, marcia e schieramento avrebbe impiegato circa tre ore. Siccome, in realtà, fu dislocato a Case Ardielh, alquanto più in basso, avrebbe dovuto superare altri duecenticinquantametri di dislivello in salita e perciò non sarebbe giunto in fondovalle Isonzo in condizioni di combattere in meno di tre ore e mezzo/quattro ore.
Non si può certamente asserire che la riserva fosse, come dichiarò Badoglio "presso la linea Plezia-Isonzo"!
In una fronte montuosa, quando le linee non corrono su dorsali o fiumi, ma su fondovalli, assicurarsi lo sbarramento di questi è cruciale, altrimenti tutto il resto della linea perde di significato difensivo. Quando si devono immaginare i due reggimenti di Bersaglieri del IV Corpo che abbandonano le posizioni dal Monte Pleca all'Isonzo a quarantottore dall'attacco, lasciando magari incustoditi i cavalli di frisia, le mine e il filo spinato dello sbarramento sulla valle d'Isonzo, rassicurati a parole di essere sostituiti da un'intera brigata ma in cuor loro certamente preoccupati (magari irrazionalmente: "mah, la nuova brigata verrà? e se non venisse? e se tutto rimanesse così abbandonato? e se la porta rimanesse aperta?") e poi si vedono nella mente i soli 400 uomini (anziché l'intera brigata come nelle intenzioni dell'armata) che li sostituiscono lasciare davvero, come nei peggiori timori dei bersaglieri, abbandonati e incustoditi i nidi di mitragliatrici, i cavalli di frisia, il filo spinato e lo sbarramento di fondovalle, non perché inadempienti o scellerati, ma semplicemente perché sono troppo pochi per tenere tutta la linea, si pensa a quanto opportuno sia stato per la fama di Badoglio stralciare le pagine relativa al 22 Ottobre.
Peccato per lui che da altri fonti sia possibile leggere testualmente.
"il generale Badoglio ordinò di schierare un solo battaglione (che contava circa 400 uomini) fra Monte Pleca e l' Isonzo, su un fronte di circa 2 km, su un pendio ripido e boscoso, e di tenere gli altri cinque battaglioni in alto, sulla dorsale del Kolovrat e dietro ad essa. Ne risultò che nel fondovalle, indifeso, la XXVI divisione tedesca potè avanzare senza colpo ferire, giungendo fino a Caporetto e oltre. "No comment.
SALUTI DALLA SUBLIME PORTA
Etiketler: Miniserie Virtuale
0 Comments:
Yorum Gönder
<< Home