Ieri era la festa del papà. Qualcuno fra i lettori lo ha saputo da giornali, televisioni, cartelloni pubblicitari? No, certo. Magari su questi ultimi campeggiavano ancora le pubblicità della festa della donna, della donna "a priori". Dell'uomo, ed in particolare dell'uomo padre, non del gay o del diverso, non è politicamente corretto parlare, nemmeno se si tratta di una figura la cui assenza è sempre più fragorosa e devastante nella nostra società. Del padre si parla soltanto quando, impazzito per la perdita dei figli, della casa, dei beni e della dignità uccide o si suicida, o quando, condannato da un tribunale, è costretto a versare mantenimenti periodici.
La figura dell'uomo è ormai ridotta a quella del bancomat che deve emettere banconote per mogli e figli, a comando. Ogni scusa vale: dalla minore età dei figli (che sono del padre solo quando è questione di soldi ma sono della madre quando è questione di affidamento) al diritto di abitazione (ossia un dovere del marito di cedere la casa alla moglie e di arrangiarsi magari a dormire in macchina dato l'odierno rapporto salari/affitti & mutui), dal diritto al mantenimento (non si sa come compatibile con la sbandierata uguaglianza dei sessi, la quale dovrebbe prevedere, per persone adulte ed emancipate, semmai il diritto a trovarsi un lavoro per mantenersi da sole, non già di farsi mantenere a vita solo per aver comodamente scelto, per un certo periodo, di fare le mogli per interesse) all'onnipresente accusa di molestie sessuali. Ci si può sorprendere se, pagare per pagare, gli uomini moderni decidano di evitare tutte le unioni più o meno legalizzate e si rifugino nelle puttane come unico contatto col mondo femminile? Almeno con loro paghiamo solo quello che consumiamo. E manteniamo la nostra libertà.
I. LA STRONZAGGINE ED I PRIVILEGI MULIEBRI
Che una donna possa sfruttare la bellezza e la disparità di desideri naturali per avere vantaggi economici e farsi anche mantenere è accettabile come tutti i fatti personali e ingiudicabile (se avviene in maniera chiara e consensuale), ma che questo debba divenire un diritto da sancire legalmente anche dopo che l'accordo si è rotto no.
Il bello è che quando l'accordo è chiaro e consensuale, senza inganni o giustificazioni di facciata (come nel meretricio) si tende a vedere la donna che agisce per interesse come una vittima (dell'uomo che agisce mosso dal genio della specie, dal suo naturale bisogno di bellezza e di piacere, nei sensi e nelle idee, sublimato spesso in vario modo e che dovrebbe invece correttamente essere visto come la preda, poiché agente per questo ad un grado inferiore di libertà e lucidità, proprio come una gazzella che si abbevera vicino alle leonesse).
Del resto l'unica figura in cui il maschile può essere rappresentato è quella della preda da sbranare o del pupazzo da umiliare o del giullare da irridere: qualsiasi
altra raffigurazione dell'uomo (magari forte, affermato o semplicemente PADRE) è considerata maschilista o almeno, sessista.
Non mi sorprende in una cultura mediatica nella quale quanto è considerato tradizionalmente (oppure arbitrariamente) maschile è vituperato, irriso o considerato brutale, barbarico e indegno di essere rappresentato mentre quanto è ritenuto per analogie (oppure sempre per arbitrio) femminile è esaltato, beatificato e presentato come segno di modernità, raffinatezza, intelligenza.
Non vorrò poi parlare (l'ho già fatto più volte) della pretesa morale sessuale corretta di oggi, squisito esempio di un doppiopesismo degno dei miglior periodo gesuita, per la quale è normale che quanto urta la particolare sensibilità femminile (atti, detti, sguardi o toccate) debba essere considerato offensivo, punito dalla legge e giustificante la vendetta più ampia, crudele, dolorosa e soggettiva da parte della donna e quanto invece ferisce l'altrettanto particolare (e non già inesistente) sensibilità maschile (ad esempio il comportamento intriso di stronzaggine, divenuto regola nelle femmine moderne, anche quando non usano le mani, e spesso motivato da prepotenza, vanagloria, necessità di autostima o sadismo o comunque volontà di provocare sofferenza emotiva) sia trascurabile, non penalmente rilevante, appartenente alla normalità, alla tollerabilità o comunque al "diritto della donna" e non provocante in sé offesa o umiliazione (anche se è quanto l'uomo prova, di fronte a sé o agli altri, quanto sente come intima ferita nella sessualità e può provocargli traumi, blocchi psicologico e metterlo a disagio emotivo, momentaneo e poi esistenziale)
Depreco entrambi i comportamenti: sia mettere le mani addosso o comunque trattare con villania verbale o tacita una donna, sia provocare un uomo in quanto tale per avere modo di sfoggiare sadismo e prepotenza e preminenza erotico-sentimetnale, umiliare, irridere nel desiderio, ferire intimamente, o distruggere psicologicamente (o fisicamente) o addirittura tiranneggiare.
Il problema non è riconoscere il diritto della donna di rifiutare chi non le piace e di non essere molestata, diritto chiaramente riconosciuto da ogni uomo non brutale e prepotente, bensì notare che, contro l'evidenza dei fatti, l'immaginario femminista e hollywoodiano vuole rappresentare la violenza (o la molestia) della donna solo come reazione a quella dell'uomo, mentre potrebbe benissimo essere a volte il contrario (ammesso, E NON CONCESSO, che reazioni violente di qualsiasi tipo, psicologiche o fisiche, possano giustificarsi reciprocamente).
Se vogliamo (discutibilmente) giustificare i fatti secondo principi di azione e reazione allora anche quanto viene sovente definito violenza o molestia da parte dell'uomo (in ogni campo) può essere visto quale reazione a ben più gravi violenze o molestie (di natura psicologica, emotiva, sessualmente offensiva in maniera esplicita o implicita) attuate dalla donna (ovviamente con le sue armi naturali).
Ognuno ha il suo modo di definire la “stronzaggine”. A volte, giustamente, si definiscono stronzi gli ingannatori che illudono dolci donzelle. Essi sono odiati anche da me, in quanto a me totalmente opposti. Io però ho il mio modo di definire le stronze, come scrissi sul malocchio.
SI INTENDONO CON STRONZE LE DONNE APPARTENENTI ALLE SEGUENTI CATEGORIE
a) coloro le quali, essendo appagate del semplice sentirsi ammirate da schiere di corteggiatori, senza che questo necessariamente si traduca in un vero rapporto umano, sincero e appagante, poiché la vanità, naturale nelle femmine, si mostra manifestamente soddisfatta dal ricevere quelle cure, quelle riverenze, quelle attenzioni che i plurimillenari privilegi della Galanteria impongono di tributarle, sfruttano la situazione per attirare ad arte ammiratori e poi respingerli, con l'unico scopo del proprio diletto e del rendere loro ridicoli agli occhi degli amici e dei presenti, dell'offendere il loro desiderio di natura, del farsi gioco del loro purissimo ed ingenguo trasporto verso la bellezza
b) coloro le quali dimenticano come non tutti siano commedianti nati al pari di loro, che si sforzano con ogni mezzo di suscitare ad arte il desiderio negli uomini per poi compiacersi della sua negazione ed infoltire così le schiere di ammiratori, ed alla fine guardano tutti dall'alto al basso, arrivando addirittura a deridere gli approcci, o ad appellare molestatori quegli aspiranti corteggiatori che ingenuamente o maldestramente cercano di conquistarne i favori
c) coloro le quali trattano con sufficienza, se non con aperto disprezzo, coloro i quali tentano un qualsiasi tipi di approccio con loro, atteggiarsi come chi ha tanti ammiratori e può fare a meno di tutti, e far così sentire colui, il quale dal trasporto verso la bellezza sarebbe portato ad affinare la propria anima e il proprio intelletto, uno dei tanti, un uomo senza qualità, un banale “scocciatore”.
Ognuno ha anche il proprio modo di reagire. Non credo che, come vorrebbero rappresentare le femministe, quello più diffuso fra gli uomini sia la violenza (la quale sarebbe intimamente sbagliata in tali casi, più per rispetto di se stessi che non della donna stronza, la quale, sentendosi violemente bramata, potrebbe comunque compiacersi), bensì un più diffuso e sfumato sentimento di distacco e di avversione verso il mondo femminile e un certo tipo di donna che si matura lentamente con l'abitudine (per "dovere sociale", "definizione di norma" e "rispetto della donna") a subire certi comportamenti senza reagire (tanto sono comportamenti "normali") e può esprimersi poi nei più vari casi della vita e del lavoro in tutte le discriminazioni e le offese delle quali le femministe si lamentano.
Il mio modo di reagire è invece quello di restare indifferente e ostentatamente guardare altrove dalle belle forme di donne che, come la natura leopardiana, promettono e non mantengono (ed anzi vogliono ferire nel profondo, umiliare in pubblico o in privato ed irridere nel desiderio).
Per abolire ogni rischio di essere sessualmente deriso e ferito, devo potermi affidare al Sacro Antichissimo Culto di Venere Prostituta giacché altrimenti, per riconciliarmi alla vita di natura, sarei costretto a cercare sempre l’approccio con ogni donna dalle parvenze simili al mio sogno estetico, concedendo a molte “stronze” la possibilità di trattarmi con sufficienza, disprezzo o irrisione, quando invece non voglio ciò succeda nemmeno al primo sguardo. Certo potrei testarle tutte e mandare a quel paese le “stronze” ma in primis esse avrebbero comunque la possibilità di ferirmi psicologicamente (dato che un minimo contatto è necessario nel tentativo), di compiacere la loro vanagloria e di irridermi intimamente o pubblicamente (anche se sarebbe solo un episodio, ma gli episodi feriscono) ed io voglio evitare ciò, in secundis anche nei casi di non stronzaggine non è piacevole subire rifiuti e non mi piace il modus vivendi di tentare N volte con N donne diverse per sperare nella n+1 esima (non sono un tester), in tertio non sono a disagio solo quando donna fa la stronza, ma anche solo quando le situazioni la pongono in condizione di poterlo essere. Il corteggiamento, come detto, almeno al primo stadio, quello in cui le virtù dell’uomo (soprattutto d’intelletto) non possono ancora esser rese evidenti, è uo di questi casi, soprattutto nei luoghi di barbaro divertimento come le discoteche, nei quali l’uomo virtuoso è ridotto a un nulla, poiché non può esercitare e sfoggiare le sue fondamantali qualità, ossia la cultura e l’eloquenza. In questi luoghi di perdizione, dove volteggiano figure di donna impenetrabili e intangibili, come le ombre dei gironi danteschi, l’impossibilità di ottenere dannunzianamente l’amanza alimenta insani desii. Non credo di essere il solo a pensare così.
II. LE PUBBLICITA' SESSUALMENTE OFFENSIVE
Se poi parliamo di violenza psicologica, offesa intima e desiderio (o diritto) di vendetta sessuale, dovrebbero le care sostenitrici della lotta contro la "violenza di genere" e le molestie sessuali, spiegarmi ove sia il fondamento epistemologico per cui i nostri atti (a volte dettati da pura maleducazione, altre volte da prosecuzione di quanto avviene in natura, ove il maschio deve inseguire ed insistere la femmina che fugge e resiste, raramente invero da prepotenza o da malignità premeditata) sono considerati molestie o addirittura "violazioni dell'intimità", mentre le loro aperte violenze psicologiche, le loro chiare provocazioni mentali (o, a volte, anche fisiche), le loro prepotenze sessuali (derivanti sovente da voglia di infliggere sofferenza emotiva, quasi sempre da bisogno di mostrare la propria posizione di preminenza nella sfera erotico-sentimentale, e a volte di umiliare pubblicamente o irridere nel desiderio chiunque rivolga loro lo sguardo o la parola) sono considerate puro nulla, o comunque "loro diritto" o "normalità" (quando non addirittura "stile pubblicitario").
Basti pensare solo alle immagini televisive.
Da tempo immemorabile la moda propone pubblicità sessualmente volgari, esplicitamente offensive quando non ancora chiaramente idiote. L'ultima (innovativa), di Dolce e Gabbana, raffigurante un uomo (dall'aspetto però chiaramente efebico ed omosessuale) che blocca a terra una donna mentra altri Adoni maschili stanno placidamente a guardare, è stata persino vietata per legge. Sarebbe però stato degno di un vero ministero delle pari opportunità lamentarsi parimenti quando la stessa violenza simbolica o psicologica di tali pubblicità "sessualmente offensive" è (ed è stata) rivolta contro gli uomini in genere, non solo quando come in questo caso lo è contro le donne.
Non oso ricordare le continue e subdole pubblicità della Brail ove le donne perennemente stronzeggiano contro gli uomini, subdolamente e sadicamente, in maniera da ferire l'incoscio (o anche il conscio per chi ha questioni aperte) di tanti uomini di oggi.
Questo per non dire delle pubblicità vagamente sadomaso (sì, si scherza, ma fino a quando? Ed anche qui la donna immobilizzata è uno scherzo. E fino a che punto il gioco rimane tale nel nostro inconscio? E se nel reale qualcuno non distingue o eccede nel giocare?) nelle quali l'uomo è legato, frustato, picchiato, torturato, schiacciato.
Fino a lì si dice che è solo un gioco. La moda ci abitua al peggio.
Mi permetto solo di notare che anche nelle innocue caramelle si rappresentano ragazze che picchiano ingenui, assolutamente non violenti e anche delicati aspiranti corteggiatori (con le rose in mano). Questo ha conseguenze incalcolabili nell'immaginario dei giovani uomini, i quali non possono non sentirsi ancora più insicuri e ancora meno apprezzati di quanto la loro condizione naturale e sociale già non li rendano normalmente.
Come se non avessero abbastanza problemi nel relazionarsi con le coetanee o nel cercare di ottenere anche solo una realistica speranza di appagare i propri naturali desideri di bellezza e di piacere che la stessa pubblicità modaiola contribuisce ad accrescere ben oltre la natura e ad dirigere verso un modello di donna rarissimo e quasi impossibile da trovare nel mondo reale, almeno nei paesi mediterranei. Per questo si creano non solo le ragazze anoressiche, ma anche i ragazzi frustrati, che vedono impossibile congiungersi col proprio sogno estetico.
Lo dico chiaramente. Se la maggioranza dei ragazzi è segaiola e repressa la colpa non è loro o della natura che fa bramare loro la beltade ed il piacer, ma delle loro coetanee, di bellezza spesso mediocre e dal comportamento quasi sempre altezzoso, le quali pretendono per relazionarsi con loro in tale sfera, che si reciti da seduttore per compiacere la loro vanagloria o da giullare per farle divertire ed esigono comunque si paghi (in tempo, fatiche, corteggiamenti, e talvolta sempre in denaro, sotto forma di doni e omaggi o comunque in sincerità o addirittura in dignità, quando si dovrebbe recitare da cavalier servente disposto a dire e fare tutto per avere in cambio la sola speranza) e soprattutto si atteggiano a miss mondo non appena mostrano una seppur lontana e vaghissima somiglianza con l'ideale estetico interpretato dalle fanciulle del motor show e dalle modelle della televisione.
Ovvio che le vere incarnazioni del sogno estetico dell'anima moderna (formato nell'inconscio dai mezzi di comunicazione, ma in realtà nascente dalla natura e identico a quello che prese vita dai versi, dalle rime, dalle immagini, dai suoni, dalle musiche dei poeti, mossi dal medesimo disio) siano massimamente rimirate da chi deve vivere in questo mondo.
Non ci si deve stupire se la prima naturale reazione dei maschi di oggi sia quella di ricercare momenti di abbandono alle onde della voluttà ed alla bellezza delle grazie dei corpi femminili in compagnia delle prostitute.
Non potete, care donne che vi lamentate della degradazione dei giovani d'oggi da corteggiatori a puttanieri, pensare che per l'immaginario maschile e l'inconscio (almeno fra gli uomini più sensibili e attenti) passino senza lasciare traccia le immagini, i pensieri sottesi, i messaggi subliminali e le pubblicità di oggi, mostranti sempre i "corteggiatori" come o dei violenti o degli imbecilli. Quesi sempre o sono presentati come bruti, volgari e potenziali violentatori, e allore vengono duramente puniti o annientati in maniera fisica e psicologica, oppure sono mostrati quali sciocchi privi di qualità, banali scocciatori, poveri illusi nel credere una donna bella possa condersi loro, e parimenti vengono maltrattati, umiliati, irrisi in ogni modo la fantasia umana cinematografica e pubblicitaria sia in grado di inventare.
La reazione NATURALE dell'animo umano, sia essa conscia o inconscia, è quella di dire "non avrete ciò che disprezzate" (ed è quello che tacitamente dico alle donne che non sono escort proprio scegliendo di pagare le escort). Sciocco sarebbe pretendere il contrario e sciocco è voler che si rischi di essere disprezzati proprio nel momenti in cui massimamente si apprezza (la bellezza) e proprio da chi si sta mirando.
III. LE BALLE IDEOLOGICHE SUL COSIDDETTO MEDIOEVO
Mi obietterebbero le femministe che le derisioni del maschio non sono prese sul serio per retaggio culturale mentre quelle della donna potrebbero esserlo per una persistenza del "maschilismo medievale". O che comunque si tratta di un minimo di riequilibrio simbolico dopo il medioevo misogino. Già, il medioevo dipinto da loro, il medioevo come luogo a-temporale e a-storico di streghe e roghi e donne oppresse.
Beh, che se lo studino il medioevo prima di parlarne!
Magari potrebbero leggere di Nencia da Barberino, e di tutti i mestieri svolti dalle donne i cui segreti e i cui consigli si narrano in versi. E' quello un mondo in cui le donne non partecipano alla società?
Se è vero come è vero che l'arte è lo specchio della realtà, è davvero credibile che la realtà del medioevo fosse per le donne simile alla situazione dell'Afghanistan talebano? O si deve pensare che tale rappresentazione discenda dall'orientamento ideologico di chi ha inventato il termine stesso di medio-evo (ossia età di mezzo, qualcosa fra antichità ed era moderna da saltare a tutti i costi, da non guardare nemmeno, da lasciare nelle tenebre dell'ignoranza e dell'oblio) per denigrare ciò che aveva interesse a cambiare? Per chi non lo avesse capito sto parlando degli illuministi (padri poi di ogni tipo di ideologia) che volevano fare la rivoluzione borghese e dovevano dunque presentare l'ordine costituito come ignoranza, tenebra, male assoluto e afflizione dell'umanità voluta da forze oscure e maligne. Ovviamente che nel medioevo siano stati inventati la bussola (indispensabile per permettere viaggi lunghi e conoscere dunque culture un tempo ignote e avere commerci materiali e intellettuali con popoli diversi e lontani) e l'orologio (invenzione epocale che ha cambiato per sempre il rapporto dell'uomo col tempo) e quasi tutto quanto, nella cultura, nella linguistica, nelle tradizioni musicali e culinarie e persino nella tecnologia definisce l'identità di quanto noi, popoli europei, siamo oggi non passava per la mente di dirlo (lo dirà, sia pure in modo parziale, e ancora una volta ideologicamente orientato e per questo limitato, il Romanticismo).
Il frutto più soave del medioevo poi qual è stato? Indubbiamente la lirica, che nasce in Italia proprio nel medioevo. La nascita della poesia siculo toscana, il metro stesso del sonetto (ideato da Jacopo da Lentini, notaio di Federico II di Svevia alla corte di Palermo), la canzone stilnovista e la Commedia dantesca sono le sublimi espressioni del medioevo davanti alla cui bellezza il mondo (anche e soprattutto quello più "emancipato" e più "moderno") può solo sospirare ammirato e sognante. E' un caso che l'elemento in comune di queste mirabilie artistiche sia proprio le figura della donna?
La domanda è ovviamente retorica.
Il medioevo è un periodo in cui la figura della donna-angelo è l'immagine, quasi il simbolo, della beatitudine dell'animo fatta sensibile, la meta ideale cui tende ed in cui si giustifica idealmente l'intera vita dell'uomo, in cui nasce la cosiddetta galanteria, e tutti i privilegi di cui le donne godono ancor oggi (e da cui si guardano bene, per quanto moderne, colte ed emancipate, a rinunciare), in cui Dante rende immortale in verso il culto del femminino sacro con l'ultimo canto del Paradiso contenente la preghiera a Maria.
Se si tratta di un periodo misogino allora il Sultano di Costantinopoli è cattolico ed il Papa è turco.
Nella civiltà tradizionale la donna aveva un ruolo assolutamente centrale in famiglia e non solo nell’educazione dei figli, ma proprio come centro del vivere domestico e sociale (il resto di cui ci si lamenta e da cui nasce per reazione il femminismo è relativo alle innaturali condizioni della prima industrializzazione, nella quale le masse spostate dalle campagne alle città erano costrette a lavori e ritmi di vita quasi forzati e contavano solo i denari guadagnati in fabbrica e non il sistema di valori millenario della civiltà precedente, di cui le donne erano portatrici al pari degli uomini) Nelle famiglie nobiliari (e sarà così fino al Settecento, prima dell'ondata moralizzatrice giacobina) la moglie era di fatto libera come il marito: il matrimonio era un mero accordo commerciale, separato dalla vita affettiva e verametne privata. Era un atto formale per unire le fortune delle famiglie, in un accordo all’interno del quale vi erano sì la procreazione (per la prosecuzione della stirpe) e l’educazione (per garantire la continuità ideale) e la recita del vivere assieme e del presentarsi uniti nelle occasioni ufficiali, ma anche il mantenimento dell’indipendenza sentimentale e mondana dei singoli, ognuno dei quali aveva i propri amanti, le proprie amiche, i propri cicisbei, e viveva a proprio piacimento la vita reale, con i propri divertimenti, le proprie feste, la propria gratificazione erotica.Comunque vi era un bilanciamento (di poteri e di apprezzamento) altrimenti non avrebbe potuto reggersi il mondo neppure nell’instabilità.
Anche nei periodi cosiddetti bui del medioevo, le donne non erano inesistenti, bensì avevano un ruolo non indifferente, in quanto erano le muse dei poeti, l'immagine di ogni più alto sentimento e la rosa da proteggere e per cui combattere nei tornei, in suo onore e nel suo nome erano feste e giostre e scontri e duelli: erano dunque idealmente giustificate anche se erano costrette nei loro ruoli di madri e spose così come i maschi lo erano in quelli di guerrieri, sacerdoti, servi della gleba: la rigidità era nel mondo sociale. La loro influenza nel privato è sempre stata poi tutt'altro che irrilevante: le belle avevano sempre l'arma ammaliatrice, con la quale potevano conquistare sultani, papi e imperatori, mentre anche le altre avevano comunque la possibilità di esprimere la loro volontà di potenza nel desiderio di procreare, di generare idee e stili tramite la forza dell’ispirazione suscitata negli uomini per tramite dei loro istinti, nella brama di forgiare figli forti e robusti, destinati un domani, nelle sua più profonde, radicate e inconfessabili pulsioni, a dominare il mondo, nella volontà di educare e possedere la prole formandola, con la forza dell’agire materno, a immagine e somiglianza della propria anima, della propria tenacia, della propria abnegazione. Le donne non erano mai indifese come lo erano gli uomini senza potere, al limite avevano l'arma del vittimismo: qualche cavaliere arrivava sempre in loro soccorso)
Non era affatto esclusa la presenza e l’essenza del femminile, né individualmente né filosoficamente. Mentre nel mondo vagheggiato dalle femministe sarebbe tutto molto femminilmente autoreferenziale. Quindi non c’è nessuna simmetria (né contrappasso) in quanto propongono coteste donne.
Nel mondo tratteggiato dalla pubblicita femminista-hollywoodiana l’uomo avrebbe una sua cantrice? avrebbe un ruolo rispettato come quello di una dama del medioevo? avrebbe chi si suicida per lui? Sarebbe il modello per poetessi, pittrici e musiciste? Sarebbe un ideale? Avrebbe, oltre agli obblighi, l'ammirazione quando li rispetta e li sublima (come per sante, cortigiane e dame di classe)? A me pare che la donna-femminista delle pubblicità sia principalmente autoreferenziale (ama la sua di bellezza, non quella dell'uomo, concepisce la propria come sensibilità, e chiama bestiale o inesistente o infantile quella dell'uomo). Tranne che nei periodi di dominio dei barbari talebani (i quali in ogni tempo impediscono l’espressione del femminile) esisteva sempre un bilanciamento, o comunque una coesistenza di maschile e femminile.
A differenza della società "tradizionale", fondata sul senso dell'identità, sulla realtà oggettiva e superindividuale dello spirito e sulle sue opere (che forse ingiustamente si chiama patriarcato), nella quale comunque le donne hanno un ruolo sociale riconosciuto e rispettato (di madri, di spose o di dame) ed in ogni caso,
anche nei periodi a loro più bui, svolgono un'azione incisiva (anche se non apparente) sul mondo umano e dunque sulla storia, tramite la fortissima ineludibile influenza esercitata per natura sull'uomo per mezzo di la quanto in lui è più profondo, vero e irrazionale, nella società pubblicizzata dalla Brail o dalle femministe gli uomini sono totalmente apolidi, non ricoprono alcun ruolo, non esercitano nessuna influenza, non hanno alcun diritto o tutela, non possono esprimere nulla di sé, non vengono soddisfatti nei loro desideri e nelle loro esigenze, non vengono protetti e accuditi, non sono apprezzati in nessuna dote, non ricevono alcun rispetto, alcun complimento, alcun sorriso, alcun gesto o sacrificio in loro onore (come invece capita alle donne cantate dai poeti, celebrate nelle opere d'arte e nelle feste, onorate nei tornei, vezzeggiate nel privato, accudite e protette nella famiglia, rispettate nella società, idolatrate negli incontri, privilegiate e adorate nella mondo mondano, e sempre al centro di sorrisi, apprezzamenti, innamoramenti tutti sorgenti al primo lor apparire, in ogni epoca cosiddetta "maschile" o "cupamente medioevale").
Giudicando il medioevo con i parametri di oggi le femministe dimostrano solo l'intolleranza che hanno nel giudicare quanto è diverso da loro. La loro incapacità di valutare una cultura, una organizzazione sociale ed un sistema di valori diversi da quanto arbitrariamente ritengono l'assoluto della giustizia e delle perfezione è indice dell'arroganza con la quale si pongono verso il diverso, verso il maschile in primis. Proprio loro che parlano di accogliere le differenze e di comprendere l'altro (nel senso latino di "cum-prendere", prendere con sé), non necessariamente nemico, cadono nell'errore di non vedere l'uomo se non per quello che è nella loro deformazione soggettiva. Si parla tanto (da parte delle femministe e di altre entità politicamente corrette) di vivere nell'armonia delle differenze e nel rispetto delle diversità (culturali, etniche, sessuali ecc.) e si attribuisce la causa dell'intolleranza e dell'incomprensione alla "cultura maschilista" (spesso associata al medioevo). Questo fa veramente ridere. Come si può pretendere di capire ed apprezzare persone e culture distanti da noi nello spazio, se non si capiscono e si disprezzano persone e culture (come quelle medievali) lontane da noi nel tempo?
Dicendo che il medioevo è un periodo buio ed infelice per chi l'ha vissuto si commette l'errore di giudicare la felicità e l'infelicità, la giustizia e l'ingiustizia di epoche diverse e lontane da noi con i parametri propri della nostra era e della nostra visione del mondo.
Il medioevo aveva tutta un'altra concezione dell'umano e soprattutto del divino, degli altri (e soprattutto alti) valori spirituali, un'altra visione del mondo, una totalmente differente prospettiva sulla vita e sulle cose terrene e celesti, un certo tipo di giustificazione ideale dell'esistenza. Aveva dunque un concetto di felicità, ed un modo per uomini e donne di sentirsi felici, del tutto diverso dal nostro.
Quello che pare mostruoso a noi per l'uomo (e la donna) del medioevo sarebbe probablimente normale e quanto pare normale e progredito a noi sarebbe demoniaco o comunque causa di sofferenza e smarrimento per loro. La società medievale aveva i suoi equilibri interni ed i suoi meccanismi di compensazione che spesso ci sfuggono ma che comunque garantivano una certa serenità a uomini e donne che vi vivevano, coerentemente con il sistema di valori costituente il loro mondo. Se non fosse stato così il mondo sarebbe cambiato molto prima. E' invece l'evoluzione verso la civiltà industriale ad aver rotto gli equilibri, trasvalutato i valori e creato le contraddizioni e le infelicità per gli individui che sono arrivate fino ad oggi e che hanno necessitato i cambiamenti sociali e sessuali ben noti e senza i quali la vita non sarebbe stata più tollerabile.
Secondo l'anacronismo mostruoso propugnato dalle femministe, nel medioevo vi avrebbe dovuto essere molta gente infelicissima, secondo i nostri parametri moderni.
Magari, se si potessero studiare le loro menti, si scoprirebbe che non erano così infelici poiché le fatiche, le privazioni e i sacrifici avevano valenza ideale ed erano fonte di intima gioia nella speranza e nella certezza del futuro, poiché la vita presenta aveva un senso idealmente giustificato ed eternamente eroico, poiché la ricchezza e la felicità si misuravano non quello che si aveva ma su quello che si era, perché parole come nobiltà o trascendenza valevano di più di termini quali denaro e lavoro e via dicendo.
Tutte le ingiustizie, le oppressioni, le immoralità e le cause di infelicità che le donne hanno subito e a cui il femminismo (meritoriamente, per quanto attiene questa parte di libertà individuali) ha reagito non erano radicate nella notte dei tempi e nella malvagia natura del maschio "fallocratico", come dicono loro, bensì nell'inumana e innaturale condizione della società della rivoluzione industriale.
Strappate dalle vita nelle campagne, ove erano il centro della famiglia e della società contadina, trasposte in città meccanizzate e industrializzate, ove la persona non era più, come nella civilità tradizionale, definita dai valori spirituali di cui è rappresentazione e di cui da trasmissione alla prole, ma dal lavoro prodotto e dal denaro guadagnato, e costrette ad una posizione subordinata (perché mentre i mariti erano in fabbrica esse dovevano pur occuparsi della casa e dei figli, ed in ogni caso il lavoro pesante delle fabbriche le svantaggiava economicamente e materialmente) si sono trovate davvero infelici. Alle mostruosità che dovevano vivere (totale dipendenza dal marito e rischi indicibili in caso di "decadimento" dal ruolo di donna rispettabile, elementi assenti nel mondo tradizionale, cui erano sconosciute sia l'economia sia la morale borghesi e in cui la protezione sociale era garantita alle donne dal loro stesso ruolo di madri o anche solo di figlie e sorelle nell'ambito della grandi famiglie patriarcali) hanno giustamente reagito a partire dalla fine dell'Ottocento.
Le loro infelicità erano però nate proprio dal modello culturale che, scientificamente pianificato da una elite finanziara e massonica (erano massoni tutti i protagonisti delle rivoluzione, da D'antone a Napoleone) per gli interessi propri, e non già dell'umanità (anzi, Umanità), aveva distrutto il mondo della tradizione (il cosiddetto medioevo appunto, altrimenti appellato ancien regime).
IV. IL MONDO MODERNO
Non si pensi che dopo questa rivalutazione storico-filosofica del cosiddetto medioevo (che dovremmo piuttosto chiamare, per il suo splendore artistico, "civiltà delle feste, dei suoni, dei colori e delle forme", e non già "buio") io voglia tornare indietro nel tempo, o far arretrare il processo di emancipazione femminile. Io sono ben contento, come individuo, di vivere in QUESTO mondo. Semplicemente, noto, non farò sacrifici per questo mondo. Dato che il ruolo di Pater Familias non solo è stato abolito dal codice e dal pensare moderni, ma è per giunta culturalmente deprezzato e attaccato, perché dovrei prenderne gli oneri senza riceverne gli onori? I doveri senza i diritti?I rischi e le fatiche senza i privilegi? I sacrifici senza le ricompense materiali e spirirtuali? Sarei un pazzo. Allora faccio il puttaniere
Che senso ha sacrificare se stessi in un mondo in decadenza?
Risulta del tutto privo di significato limitare se stessoi, le proprie possibilità di essere liberi, di scegliere i godimenti (o le consolazioni dai mali) e di ricercare la vita felice o, meglio, il vivere sopportabilmente, di fare insomma della propria vita qualcosa di vivibile, di rendere il rumore caotico dell'esistenza qualcosa di ascoltabile grazie ai versi, alle rime ed alle parole musicali che decidiamo di introdurre,
in nome della prosecuzione della vita senz'altro scopo. Gli animali lo farebbero, ma solo perché non sono in grado di rendersene conto. All'uomo, cui l'intelletto è stato dato, non solo per soffrire maggiormente del proprio stato "basso e frale", ma anche per capire l'ordine delle cose e trarre dalla conoscenza il modo per rendere la vita sopportabile o comunque per trarre delle soavi consolazioni, non può apparire degno di sé compiere sacrifici per mera la prosecuzione specie. La natura non ha infatti un senso umano. Avrebbe invece senso nobile compiere sacrifici di sé, anche estremi, per permettere la prosecuzione, nel mondo, di un ideale in cui viva la parte più pura di noi e nel quale vivremo ancora dopo la morte, l'affermazione insomma e l'immortalità, sulla terra, di un valore spirituale in cui risieda la nostra identità, quale poteva essere il senso sacro e romantico di Nazione.
La Nazione, quell'unità d'arme di lingua d'altare di memorie di sangue di cor, è l'io collettivo capace di tramandare nei secoli le azioni, i pensieri, le gesta degli avi. E' dunque quell'identità che spezza il ciclo naturale di nascita e di distruzione perpetuandosi nella conservazione di sé al di là della vita e della morte dei singoli individui. E' dunque, in questo, divina. La sua sede però non è l'Olimpo, ma la Patria, ossia la "terra dei padri". E quello della paternità spirituale è un tema centrale e decisivo.
Una delle ultime soddisfazioni del padre, quella che avrebbe potuto, nonostante tutto, convincere i più nobili e i più idealisti degli uomini ad essere, nonostante tutto, genitori, era la perpetuazione del proprio cognome. Ogni grande civiltà ha avuto il concetto della seconda nascita (così come quello della seconda morte, la "mors secunda"). E questa seconda nascita, nel mondo romano, era l'imposizione del cognomen. Una è la vita del corpo, che è data dalla madre e termina con la morte. Altra è la vita dello spirito, che è data dal padre e può durare in eterno, se si lascia eredità di affetti e se le azioni nel mondo sono state grandi e virtuose. E' una compensazione amorosa ed armoniosa: così come la madre ha la gioia di prolungare corporalmente la propria vita nel figlio che contiene in grembo, che allatta e che le sopravviverà, così il padre ha la soddisfazione di vedere prolungato spiritualmente il proprio nome nel figlio che educa, in cui traspone la propria identità e che la proseguirà nel suo agire e nel suo pensare, trasferendola a sua volta ai nipoti. Il nome (anzi, il cognome) è il simbolo tutto ciò. Anche per gli antichi, di tutte le civilità, d'oriente e d'occidente, il nome era tutto, conteneva l'identità. Ulisse non è riconosciuto da Polifemo finché non gli dice il nome. Ed è rivelando il proprio nome che Calaf consegna se stesso ed il proprio amore alla bella e crudele Turandot. Ora poteva essere ancora qualcosa, ma le leggi del "conformi ai principi di uguaglianza sanciti dall'Onu" hanno voluto che non fosse più nulla. A questo punto, come suggerisce Marcello Veneziani, l'identità di ciascuno potrebbe semplicemente essere costituita da una sequenza alfanumerica arbitrariamente scelta dagli interessati (come i nick dei forum). Il voler perdere la tradizione del cognome paterno è segno della caduta di ogni valore spirituale della vita. Non si pretenda poi di far la morale su qualche argomento particolare, giacché ogni norma etica, non essendo fondata più su un sistema organico e coerente di valori spirituali e di giustificazione ideale dell'esistente, apparirà come mero arbitrio di una o più persone o tentativo di chi è più debole in un ambito di limitare il più forte per poi combatterlo dove i rapporti di forza sono diversi. L'individuo ha dunque oggi il diritto a disconoscere qualsiasi autorità si presenti come etica o assoluta, negando che qualcuno possa dire a lui cosa siano il bene e il male, cosa debba o non debba fare della sua vita. La sparizione della figura paterna è l'effetto concreto di quanto in filosofia è la morte di Dio ben analizzata da Nietzsche. Purtroppo gli uomini moderni non sono oltre-uomini e non hanno la forza di imporre liberamente ed arbitrariamente valori e significati alla vita ed al mondo con lo stesso spirito creativo e potente con un artista crea nella propria opera d'arte. E' ovvio che l'unico significato della vita rimanga, per gli ultimi uomini contemporanei, quello biologico, e, quindi, materno.
La natura dà agli umani il desiderio di propagare la vita, ma non li appaga, perché non fornisce un senso a tutto ciò e non rende possibile propagare parimenti l'individualità.
Crudele e vano è vivere senz'altro scopo. Per giustificare idealmente l'esistenza, gli uomini crearono persino gli dèi. "Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dovette porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dei olimpici. L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura [...] fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dei olimpici". Come scrive Diego Fusaro, "Proprio gli dei olimpici sono il mezzo con cui i greci sopportano l'esistenza, della quale hanno visto la caducità, la vicenda dolorosa di vita e morte, soffrendone in modo profondo a causa della loro esasperata sensibilità; gli dei olimpici giustificano la vita umana vivendola essi stessi, perchè la vivono in una luce senza ombre e fuori dall'angoscioso incombere della morte.
Crudelissimo è poi dover piegarsi alle leggi meccanicistiche della natura accettando di tornare al nulla da cui si è nati dopo aver tanto sofferto, pensato, creato, e soprattutto desiderato di lasciare una traccia di sé sulla terra.
Già gli Antichi (con l'istituto dell'adozione e, a livello più esteso, con il concetto di discepolo o, nel caso dei grandi artisti, di posterità pensante) avevano superato il mito del sangue comprendendo come la vita nel mondo dello spirito, al contrario di quella del corpo, sia capace di tramandarsi senza bisogno di discendenza sanguinea o del supporto della genetica, se si lasciano un’eredità d’affetti e un insegnamento ideale, e soprattutto senza distruggere l’identità dei singoli, se essa si mantiene, nelle opere prodotte dal loro genio e dal loro sentire, e nel ricordo dei posteri.
Ora invece le donne, sia nel loro agire, sia nel loro pensare, pongono l'accento sulla vita come fatto materiale e materno, attribuendosi addirittura preminenza in questo, e sviliscono, o negano del tutto, l'aspetto spirituale e paterno, quello che attiene alla sfera superiore della vita, quella che dà senso e significato alla vita sensitiva. Fino al secolo scorso si poteva pensare che questo atteggiamento femminile non fosse innato, bensì indotto da una discriminazione culturale e da un forzato allontanamento delle donne dal mondo del pensiero in favore della funzione materna e sposalizia. Ora invece si scopre che aveva pienamente ragione Schopenhauer. Ora che le donne non solo hanno le stesse possibilità di istruzione e di lavoro degli uomini, ma addirittura costituiscono la maggioranza del corpo docente e hanno impostato una cultura diffusa nei luoghi della comunicazione di massa che privilegia sotto ogni aspetto il femminile al maschile (dall'immagine corporale alla visione del mondo: tutto quanto appare femmineo è considerato a priori bello, moderno, intelligente, e quanto invece è virile brutto, bruto, brutale, sorpassato, primitivo o addirittura cattivo, e dire il contrario, magari citando termini quali tradizione, nobiltà, trascendenza, altezza spirituale, agire puro, eroismo, contemplazione, è considerato politicamente scorretto, quando non apertamente ridicolo in quanto incomprensibile ad un mondo basato su valori meramente terreni) hanno reso evidente l'intima natura del loro animo., la quale è esattamento come l'ha descritta Schopenhauer.
La giustificazione ultima che la donna di oggi dà di sé e per la quale si attribuisce valore e con la quale attribuisce valore e significato al mondo circostante (e non ultimo quello degli uomini, classificando gli utili, gli inutili, i vantaggiosi, i dannosi e gli indifferenti) è tutta fondata sul concetto biologico di maternità, come avverrebbe in natura, sulla preoccupazione per la discendenza corporale e il meccanismo genetico di riproduzione, sulla tutela degli interessi della “specie” ancor prima di quelli dell’individuo, proprio come se fosse mossa dal “genio” di schopenhaueriana memoria più che non dal libero arbitrio e dal gusto individuale, dal suo pensiero o dal sentimento.
E’ l'animale infatti a vivere per riprodursi, obbedendo al genio della specie, giustificando la vita nell’utilità e finendo per essere utile non a sé ma alla natura, mentre l'uomo, anche al di là di ogni discorso etico, si distingue per il vivere invece per se stesso, giustificato in sé come ars causa artis, quasi fatto estetico puro, e la sua eredità, se vi è, è spirituale, non corporea.
Anche di là del bene e dal male (lungi da me l’intenzione di predicare la morale alle donne, ché l’uomo è l’ultimo a poterla insegnare), è questa la vera differenza. Pare che la donna moderna si ponga da sé dall’altra parte.
“La donna è il trionfo dalla natura sullo spirito come l’uomo è il trionfo dallo spirito sulla morale” (O.Wilde).
Le qualità per le quali reclama un ruolo di preminenza nella società e con le quali arriva a giustificare ultimativamente a sé e al mondo la propria esistenza sono infatti meramente corporali (come se l’uomo volesse giustificare sé per la mera forza fisica e volesse in quella reclamare una preminenza nel mondo: non avrebbe senso nemmeno per il mondo guerriero, nel quale, come insegna il Bushido, comunque la vera forza è spirituale, e proprio per questo può produrre opere etico-spirituali quali sono state, in Occidente, l’Iliade omerica o l’Eneide virgiliana, in grado di fornire all’uomo sub specie aeternitatis una visione ideale e completa della propria vita), legate alla riproduzione o comunque ad un utile materiale (si sono proposti diversi esempi, da parte delle donne stesse sostenitrici della loro miglior attitudine alla condizione concreta della società: dall’intuito per le cose terrene alla pragmaticità nella risoluzione dei problemi quotidiani, dalla predisposizione, diretta conseguenza del trovarsi biologicamente predisposta ad esser madre, a comprendere senza parole sfumature di carattere o esigenze sentimentali, alla capacità di soddisfare la sfera erotico-sentimentale di un uomo in cambio di un compenso o comunque di un vantaggio concreto).
Il suo fine pare dunque essere sempre, anche quando si fa oggetto estetico degno di ammirazione, l’utilità corporale, o magari la sfera affettiva, ma sempre legata alla felicità della prole e dunque alla specie.
Per l'uomo invece la ricerca dell’appagamento sessuale (specialmente nella sua espressione più schietta che si ha col meretricio), pur nascendo sempre da un bisogno biologico, si fa divertimento, o fatto estetico puro, o sublimazione ideale, o addirittura creazione artistica (quindi finalità prettamente individuali e, nel caso dell’arte, tendenti all’immortalità tramite la sublimazione dei propri desideri fattisi suono, rima, marmo o pittura).
In base a tutto ciò le donne stesse concludono (esplicitamente o implicitamente) che il mondo futuro deve dunque essere una specie di matrilineare Etruria preromana, nella quale le donne svolgono tutti i lavori ed i figli non conoscono i loro padri, salvo ricordarsi di loro tramite la firma nell'assegno di mantenimento.
V. LA PARENTESI CONCLUSIVA
Non ci si aspetti poi che gli uomini non traggano VANTAGGIO da questo. Concludo infatti con questa parentesi, fortemente ironica ma profondamente vera. Per migliaia di anni le donne erano riuscite ad imporre qualcosa di assolutamente assente in natura: il fatto che un maschio debba mantenere a vita la femmina con cui si accoppia provvedendo ai suoi bisogni. Se tanto il "dono", ossia il dar qualcosa in cambio dell'accoppiamento, se non proprio in denaro, o altra utilità economica, oppure materiale o sentimentale, almeno in doti utili alla femmina o a lei gradite oppure conferenti prestigio sociale, quanto il "combattimento" con altri maschi della stessa specie (implicante fra gli umani "costi" in termini materiali tempo, fatica, soldi, e immateriali di concentrazione, sforzo, dignità, sincerità, recita, frustrazione, irrisione, ferite emotive) sono fatti normalmente presenti in natura (il "gratis" non esiste, ed il "sesso libero" è una sciocca invenzione sessantottina come tante altre utopie comuniste: mai come in quel campo noi esseri umani, ma prima ancora esseri viventi, siamo condizionati e quando non è il genio della specie a guidarci lo è l'interesse personale), non si trova però traccia in specie alcuna dello statuto del "mantenimento a vita". Anzi, in molte società di mammiferi sono le femmine a doversi occupare di tutto, mentre i maschi fanno semplicemente "il bel sesso". E' il femminile ad essere, in natura, il sesso utile (se non altro perché, per il ruolo di madre, la femmina è più vicina agli interessi della natura: "vive nella specie più che nell'individuo", direbbe Schopenhauer). Il leone è il re della foresta per la bellezza e lo splendore della sua criniera e per la maestà della sua fisicità e della sua forza, ma sono le leonesse a dover faticare per il cibo e le altre esigenze della società leonina.
La femmina della specie umana era invece riuscita prodigiosamente a rovesciare questa situazione creando qualcosa di mostruoso: il matrimonio. Con esso l'uomo doveva dare tutto (e per tutta la vita) in cambio di un'unica cosa (e solo per il tempo limitato al fuggente rigoglio della bellezza femminile).
La disparità di desideri fra maschio e femmina, è vero, fa sì che NATURALMENTE quest'ultima tragga vantaggio per mettere alla prova e selezionare in base alle doti volute (per il bene della discendenza), oppure per ottenere qualcosa di utile a sé o alla specie, oppure ancora per avere nutrimento per la prole o provocare movimenti o azioni indispensabili all'evoluzione (per questo la mantide religiosa arriva persino a divorare il compagno). Nelle femmine dotate di autocoscienza il fine non è più la specie ma diviene l'individuo, per cui agiscono razionalmente nell'interesse personale, ma il meccanismo è il medesimo, dato che medesima è, anche fra gli umani, la disparità di desideri. Ma questa è e sarebbe solo prostituzione, in senso stretto (ossia il concedersi per interesse) o in senso lato (ossia accompagnarsi come fidanzata, amica o amante ad un uomo in cambio di vita con agi principeschi e soggiorni in alberghi da favola, oppure semplicemente doni, regali, viaggi da sogno, vestiti firmati, creme, auto sportive, o addirittura promozione sociale, fama, ricchezza, successo, vantaggi di carriera e prestigio), prosecuzione di quanto avviene in natura, NON MATRIMONIO. In natura il maschio dà solo fino a quando in cambio ottiene qualcosa (è un "do ut des"), non "a vita" e "per diritto della donna".
Da quando venne istituito (dalle donne: il nome deriva da loro e nessuna femminista mi convincerà mai che sia stato voluto dagli uomini, giacché pensare questo è ritenere i maschi talmente idioti da agire contro il proprio interesse) il matrimonio si creò quella che il codice civile chiamerebbe "disparità di prestazioni dovuta a sfruttamento di una condizione di bisogno" (il bisogno naturale maschile di ebbrezza e piacere dei sensi). Non parliamo poi del matrimonio monogamico, assolutamente innaturale per l'uomo (il quale non può appagare la propria brama di bellezza e di piacere con una sola donna, amando per natura, al contrario delle donne, la "variatio" sessuale) e creatore di fortuna per le cortigiane di ogni epoca (si dimentica che nella "maschilista" Atene gran parte delle ricchezze materiali era detenuta dalle "etere", le prostitute d'altro borgo, dimenticate dalla storiografia per uno strano accordo fra i maschilisti vergognosi di mostrare le debolezze e le stupidità conseguenti al loro sistema sociale teoricamente di superiorità maschile ma praticamente di privilegio femminile, e le femministe bramose di dipingere le donne solo come vittime). Il "giochino" delle donne oggi si è rotto.
Le femministe moderne che hanno lottato contro il matrimonio ed in favore dell'emancipazione della donna da esso non si sono accorte che NEI FATTI stanno emancipando l'uomo, non la donna.
E' vero che in tutti modi cercano di proseguire il retaggio del diritto matrimoniale al mantenimento con leggi di ogni genere, ma quando c'è bisogno della legge e della coercizione per imporre un uso, significa che tale uso è decaduto o comunque non più radicato e interiorizzato negli uomini.
Divieti e imposizioni non son mai serviti a nulla di effettuale. Solo il processo storico detta le leggi realmente rispettate e realmente efficaci. Ed il processo storico (benedetto dal femminismo) del mondo emancipato spinge verso la prostituzione diffusa e soffusa (fra le italiane, ad esempio, non ci sono nemmeno più le prostitute di professione di un tempo, additate dalla società come tali e conscie del loro ruolo sociale, bensì soltanto donne "normali", casalinghe o lavoratrici, quindi con una posizione sociale riconosciuta e rispettata, le quali, magari occasionalmente, e non già per bisogno, bensì per mera opportunità, scelgono di mettere a frutto il desiderio di natura suscitato altrimenti gratis negli uomini: tanto è vero questo che persino le escort professioniste, per confondersi fra le altre donne e non esser meno valutate, si presentano sovente come studentesse o modelle, quasi mai come prostitute) e l'abolizione del dovere al mantenimento di una donna. Non servirebbe né proibire la prostituzione né imporre i mantenimenti. Come Marx insegna, non si può far girare al contrario la ruota della storia.
E la storia dei sessi sta delineando per il futuro non già quel paradiso della donna che la pubblicità vuole rappresentare, ma un giardino di Allah per gli uomini i quali, a patto di possedere un minimo di capacità economica, potranno avere tutte le bellezze femminee un tempo disponibili solo per i migliori cavalieri, per i più potenti re e per i più ricchi mercanti. La pubblcità ama la donna fatale e ridicolizza i maschi. A ben guardare ciò è il classico meccanismo di compensazione morale per qualcosa che sta sparendo. La vittima della storia e del femminismo è la dama, "questo mostro della società occidentale e della stupidità cristiano germanica con le sue assurde pretese di rispetto e di venerazione" (come direbbe Schopenhauer). E' un bello scherzo del destino che il femminismo da Schopenhauer stroncato filosoficamente sul nascere abbia realizzato nei fatti quanto egli stesso si proponeva (la poligamia e l'abolizione dei privilegi femminili).
Resistano nelle sofferenze economiche e morali (descritte all'inizio di questo articolo) gli uomini di questo tempo, ultimi uomini in quanto ultime vittime della rabbia femminista causata degli errori di partenza del femminismo stesso.
Tutte le sentenze del mondo che condannano gli uomini a pagare e tutte le pubblicità dell'universo che umiliano l'uomo non potranno cambiare l'evolversi irreversibile della società.
Quanto subiscono ora gli ultimi uomini e gli ultimi padri è simile a quanto subirono le vittime di Luixi XVI o di Carlo X di Francia. Il futuro è roseo per loro, per noi maschi. Se davvero fosse roseo per le donne (come dipingono le femministe), queste non sarebbero arrabbiate. Sono adirate e cattive per il semplice fatto che, magari inconsciamente, sanno di aver "rotto il giochino" e di aver perduto ciò che non riavranno più. Per questo tentano di sfogarsi con sentenze, accuse e ricatti, sfruttando ancora gli ultimi residui di privilegio pseudo-galante.
Non si avranno più le stronzette che se la tirano e disprezzano i maschi, non si avranno più le fanciulle qualsiasi di bellezza spesso mediocre e di comportamento quasi sempre altezzoso, con un corteo di servi attorno a loro, non si avranno donne-rispettabili, donne-regine, donne-fatali o donne-angelo, si avranno solo donne e basta che dovranno lavorare come e più degli uomini e non avranno più privilegi (nessuno spenderà più un solo centesimo per le mediocri né tanto meno le manterrà nel matrimonio). Certo vi saranno sempre le più fortunate (perché più belle) che guadagneranno con la prostituzione, esplicita o implicita, diretta o sfumata. Esse però non faranno altro che faticare con molti (e non sempre molto gradevoli) per ottenere quello che in passato, con molto meno sforzo, avrebbero ottenuto da uno solo (che avrebbero potuto scegliere a loro piacimento). Contente loro.......... Io come maschio sono contento, in quanto la richiesta di solo denaro in luogo del lungo processo di corteggiamento, doni, tornei, fatiche, rischi (e mantenimenti) va soltanto a vantaggio del soddisfacimento facile dei miei desideri naturali. Qualcuno dirà che mancano il sentimento e la poesia, ma io ribatto che essi, in quanto frutto dell'illusione e dell'arte scenica, possono essere creati in senso artistico, estetico e raffinatamente teatrale da una attrice abbastanza brava (e da uno spettatore sufficientemente educato alla bellezza). Per il sentimento vero rimarrà sempre l'amicizia (che, non avendo a che fare con la natura e la riproduzione è e sarà per sempre il solo vero grande sentimento umano).
L'emancipazione della donna dal ruolo di moglie produce questo: prima gli uomini erano costretti (socialmente) a mantenere una donna (a vita), e dovevano pagare (di volta in volta) per le cortigiane (le quali, essendo rare per il pregiudizio sociale contro di loro, erano strapagate). Fra i doveri dell'uomo vi erano essere padre, marito e soldato (non trascurabile era la fatica di realizzare quest'ultimo termine!). Chi non si adeguava era socialmente escluso e quindi erano di fatto obblighi. In cambio avevano una donna dedita a loro ma destinata ad invecchiare (e quindi a non più soddisfarli dopo qualche tempo) e la gestione del potere politico (per chi non era nelle classi inferiori).
Se il primo errore del femminismo è stato, come detto, chiamare patriarcato e oppressione quanto non era più tradizione patriarcale (distrutta dal trionfo della borghesia rivoluzionaria) ma società industriale, ed è stato un errore contro gli uomini (voluto per giustificare ogni nefandezza contro di loro in nome di una presunta vendetta storica) il secondo errore è stato contro le donne, ed è stato di credere che il potere renda liberi. Nulla di più sbagliato: più il grado di potere cresce, più chi lo detiene è determinato e necessitato dai meccanismo del potere stesso (fino a divenirne praticamente schiavo: poche vite erano infatti effettivamente più faticose e dure e piene di doveri e prive di tempo libero di quelle dei monarchi assoluti che effettivamente esercitavano il potere: i re libertini e dissoluti che delegavano non fanno testo, giacché non erano il potere effettivo). L'uomo libero non è il potente, ma l'asceta. Certo questo lo insegnerebbe la filosofia medioevale (oltre a quella antica), ma le femministe non vogliono leggere il medioevo.....
Ora gli uomini non sono socialmente (lo sono, a volte, legalmente, ma sempre meno via via che le donne lavorano e guadagnano sempre più) tenuti a mantenere alcuna donne (così come non sono tenuti a fare i soldati) e continuano a pagare (come avrebbero comunque fatto prima, dato che l'infinità del loro desiderio di natura è la medesima) le cortigiane (le quali, essendo più numerose perché diffuse fra donne comunque socialmente riconosciute che non hanno alcun danno d'immagine a prostituirsi, costano meno). Per contropartita devono condividere il potere con le donne, ma proprio in questo hanno meno obblighi e meno doveri e sono dunque, come individui, molto più liberi (e lo dimostra il fatto che pochi scelgano di essere padri, mariti e soldati). Rimane però a loro il fatto di avere una donna che li accudisca: è la madre (la vita media delle donne è tale che un uomo può pensare di rimanere sotto la protezione materna per tutto il periodo non solo della giovinezza ma anche della sua maturità, avendo dunque i vantaggi del matrimonio senza i costi e gli svantaggi). Di fatto è la poligamia, poiché, una volta che il bisogno di essere curato e protetto intimamente è soddisfatto nel modo migliore (come solo la madre, garantita dalla natura, può fare), l'uomo può godere (nei sensi e nelle idee) della bellezza così come essa è diffusa nella varietà multiforme dell'universo femminino. Il costo di tutto ciò è comunque inferiore di quanto sarebbe stato mantenere una donna. Ed il minore potere e prestigio dell'uomo è ampiamente compensato dal fatto di non averne bisogno per appagarsi carnalmente.
Prima le più belle e desiderate volevano essere dame e si davano ad uno solo, al migliore, al più potente, al più ricco, al più bello, al più nobile. Era dunque difficile ottenerne i favori. Era difficile anche trovarle a pagamento. E quelle normali, non belle, avevano COMUNQUE il vantaggio di essere mantenute.
Ore le più avvenenti interpreti del sogno estetico contemporaneo vogliono essere modelle, attrici, manager ecc. Molte di esse, pur di raggiungere rapidamente la ricchezza ed il successo, o di vivere quali principesse rinascimentali, fra "cani, cavalli e belli arredi", ossia molto più agiatamente di quanto si potrebbe con un lavoro normale anche se ben pagato, o anche solo per potersi permettere capricci materiali come creme, gioielli, vestiti firmati ed auto sporitve, sono disposte (per interesse, certo, ma l'interesse è un desiderio molto più forte, nella donna, che non la concessione per amicizia o divertimento) a darsi a molti. Non è dunque difficile, disponendo di denari (o anche della virtù del risparmio per accumulare l'equivalente del "biglietto" per una notte con le modelle escort) ottenerne i favori. Il consumismo e l'individualismo, fratelli dell'emancipazione femminile contemporanea, rendono non disprezzabile per le donne concedere le proprie grazie anche a uomini che non apprezzano (ma di cui apprezzano la busta o la preminenza socio-economica).
Quelle normali non hanno più alcun vantaggio dall'essere donne: devono lavorare se vogliono vivere. E se si prostituiscono devono farlo ottenendo molto meno (come apprezzamento sia materiale sia spirituale) di quanto avrebbero ottenuto secoli fa semplicemente sposandosi e con il loro "darsi" fanno aumentare l'offerta di grazie femminili e calare i prezzi.
Del resto l'aumento di sacerdotesse di Venere "no-prof" in ambienti anche insospettabili non fa che confermare tutto questo.
Schopenhauer diceva: "La natura mostra una grande predilezione per il genere maschile. Tutto ciò che della riproduzione è leggero e piacevole, il godere della bellezza, l'appagamento immediato e schietto, il coito è principalmente una faccenda maschile, mentre tutto quanto è pesante e doloroso, il parto, l'allattamento, l'accudimento della prole, una faccenda solo femminile. Se gli uomini volessero trarre profitto da questa situazione potrebbero accoppiarsi con tutte le donne che desiderano senza doversi preoccupare di mantenerle o di fornire aiuto nella crescita e nel nutrimento della prole. E potrebbero lasciare la donna sola ad arrangiarsi in queste cose con le sue sole forze."
Non ho riportato le esatte parole, giacché preferisco ricordare, pensare ed interpretare piuttosto che digitare su google e copiare, ma esatta è (come spesso accade) la profezia di un genio filosofico.
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