La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Perşembe, Mart 08, 2007

CHE INCUBO, SOGNAVO DI ESSERE ALLO ZOO!

Questa notte è stata turbata per me da un incubo orribile. Nelle tenebre ho sognato di visitare il sito di Chiara di Notte e di leggervi, sotto un racconto riguardante uno zoo, nei commenti, qualcosa che non potrebbe mai essere scritto da una mia amica cara per sentimento e intelletto. Per fortuna era solo un sogno.
Il racconto non era malissimo, era composto secondo lo stile di lei, crudo ma pregnante di significato, ma nei commenti si faceva strada un'interpretazione dello scritto e soprattutto del reale basata su una pseudo-morale del tutto infondata e su un tale insieme di vane credenze, falsità e mistificazioni utopiche o vetero femministe da far sembrar quasi vere, dall'altra parte, per contrasto, le balle e i luoghi comuni del peggior maschilismo pisquanoide.
Il filo-conduttore (tacito ma evidentissimo nelle connessioni, dal finale del racconto via via giù per i vari post) di tutti commenti era una pretesa superiore etica "naturale" per la quale, essendo in natura preminente il sesso femminile ed avvenendo che sia sovente la femmina a divorare il maschio e mai viceversa, anche nella specie umana, ove la possibilità per una donna di divorare l'uomo (sentimentalmente, economicamente o psicologicamente, fino a ridurlo ad un fantasma di se stesso, privo di tutto, di ogni pensiero e di ogni volontà vitale) esiste, sarebbe da considerare "positivo, bello e naturale e progressista" il comportamento prepotente, tirannico o addirittura predatorio delle donne nei confronti dei maschi, mentre sarebbe da reputare "negativo, brutto, brutale, contro natura e immorale e arretrato" il tentativo di un uomo di opporsi a ciò "con le proprie armi" o di organizzarsi assieme ad altri per ideare costrutti sociali non già di oppressione, bensì di limitazione e freno a tutto questo.
Le donne più false e melliflue chiamano questa forza "branco", riconoscendola solo quando è il corrispondente naturale della loro naturale prepotenza (la natura compensa spesso le armi di ognuno) e si volge perciò ad azioni turpi ed efferate, mentre, non essendone capaci (così come un uomo non avrà mai i privilegi femminili, le donne non avranno mai quelli maschili), la disconoscono quando al contrario si volge alla costruzione di una realtà super-individuale (creata a partire dalle singole anime, in modo da non annullare ma anzi comporre costruttivamente le diversi identità, eppur parimenti oggettiva al pari di quella sub-individuale del corpo), a fini nobili o comunque immortali, e si dovrebbe chiamare "spirito". E' inutile però spiegare oltre qualcosa che sa di Platone a chi definirebbe "branchi di maschi" persino gli uomini dell'età di Pericle.
Resta il fatto che, nei commenti, veniva definita "bella immagine" quella di una tigre donna che serra le mascelle intrappolando e dilaniando e annichilendo il suo aspirante amante, colpevole soltanto di sentire nel profondo del suo essere l'ingenuo trasporto verso la bellezza proprio di ogni uomo fatto anche di carne e sentimento, oltre che di forza, mentre dall'altro lato si tratteggiava nitidamente la figura dell'uomo o come potenziale violentatore, o come pericoloso pazzo pronto a trasformarsi all'improvviso da tranquillo cittadino rispettoso della legge a belva umana.

Già qui, volendo assumere per vero il dato, vi sarebbe una prima contraddizione, in quanto, se ogni maschio dolce, remissivo, dal sentimento delicato e puro, dalla sensibilità quasi fanciullesca e dalla fantasia ingenua e creativa viene "divorato" (o comunque fortemente disprezzato e guardato dall'alto al basso con sufficienza quando non con aperto disgusto), la specie si evolve nel senso favorevole ai maschi duri, violenti, "bastardi" ed aridi, rendendo inutile ogni altro discorso "morale" contro di essi come genere, in quanto l'origine di tutto sarebbe sempre e comunque la scelta della femmina. Non si lamenti poi questa se fatica a trovare amici veri o uomini capaci di sognare e far sognare coi versi, le musiche, le immagini e l'altre bellezze non corporali, o anche solo di non vedere lei come un "buco da riempire", ma come un ideale etereo da desiderare e rimirare come la luna nel cielo: è tutto frutto di un'evoluzione da lei voluta ed imposta. Il punto però è un altro.

Posto che i pazzi violenti esistono, ma non sono certo la maggioranza, vorrei chiedere a chi ha dipinto questo "quadro" che risponderebbe se io vedessi in ogni donna una potenziale infanticida, citando a suffragio articoli di giornale ritagliati ed elaborati a sistema antropologico.
Discorso a parte meritano coloro che pazzi non sono, ma che vengono fatti impazzire dalle moderne "stregonerie" legali, sociali e femministe, o di quelle, sempiterne, dell'amore sessuale suscitato e sfruttato ad arte, aventi entrambe come effetto il rendere il resto della vita di un uomo simile all'esilio: senza "casa, famiglia, roba".

Su questi, che a mio avviso costituiscono la maggioranza dei cosiddetti "pazzi omicidi", passionali o meno, scriverò un un post a parte ("Le Pseudopsicologhe e San Giuseppe") per prendermi gioco tanto delle madonne che giocano a fare le psicologhe quanto dei pisquani che (ad ulteriore dimostrazione del fatto che, come vergato da Schopenhauer, i cinque sesti degli uomini sono costituit da imbecilli), vi credono.

Mi permetto soltanto una parentesi personale.
Ovviamente io, per indole prima che per natura, non mette mai le mani addosso per primo, senza che vi sia stato consenso, né ad una donna bellissima, né ad una bruttissima, né ad una donna completamente nuda, né ad una con burqua, sia ch'ella passeggi indifferente a me, sia che lo abbia adescato, e nemmeno durante la copula seguito a fare qualcosa che la mia sacerdotessa dà segno di non gradire più o di cui dice di essere stanca. Non so se sia perché non godo mai davvero, non riesco mai ad abbandonarmi realmente al piacere o perché sono timido o perché non sono abbastanza "animale". Non so se sia un fatto razionale, di merito o dovuto all'indole e al caso o ad una inconscia inibizione al sesso sfrenato e alla furia dionisiaca. Il fatto è che so questo valere per me (non so per altri), e per tutte le situazioni che la mia mente "normale" (ci vuole un bel coraggio) riesce ad immaginare.
A quanto traspare dai posto che ho sognato scritti da Chiara di Notte, però, si va ben oltre. Si parla di essere una "fata maligna" (non so se crederci o meno), di possedere doti uniche di convincimento, di portare gli uomini al punto in cui il desiderio si fa esasperazione ed ossessione, di ridurre in marmellata il loro cervello, di farli impazzire (sia fisicamente sia psicologicamente) e questo esce dal mio concepibile. Quando si forzano i fatti e si esasperanole situazioni, quando si suscita consapevolmante la pazzia nell'altrui core, non si verifica la misura vera dell’uomo, il suo comportamento sociale “all’ordinario”, ma il suo modo di divenire folle o di reagire all’offesa. Non sempre l’ira e lo sdegno sono controllabili (pur non giustificando violenze o omicidi) e non sempre in quei casi estremi le azioni e i gesti rispecchiano l’intenzione vera, l’animo e la volontà delle persone (del resto, le donne quando impazziscono sono capaci persino di fare a pezzi i propri figli). Non potrei sapere nemmeno per me, come reagirei da pazzo (vorrei vedere loro, le dame, che appena ci si dimentica di una galanteria ne fanno una questione capitale!)

Sottolineo solo come, se io credessi di essere ingannato da una donna, non direi "mi dispiace perché comunque le voglio bene", ma "che sparisca dalla faccia di questa dannata terra!". Si trasforma in odio per me una gentilezza di core tradita. Ma è un exemplum fictum. In realtà io preferisco prevenire che vendicarmi, e nella vita reale evito ogni situazione in cui potrei essere vittima di stronzaggine (spesso appena scorgo avvicinarsi una bella donna che non sia escort mi giro dall’altra parte o la ignoro: non do nemmeno la possibilità ad un’eventuale stronza di approfittare di me). Se subisco però l’offesa il desiderio di vendetta esiste. Ovvio poi che piccole offese non mi suscitano la volontà di grandi rappresaglie: spesso, in quei casi è bello fingere di perdonare. Se però, all’estremo opposto, qualcuno rovina (legalmente o meno) la mia vita, io vorrei rovinare (legalmente o meno) la sua, anche a costo di rischiare la mia.
Non sono per nulla d’accordo col corrente ritenere un uomo si misuri nel malinteso. Indipendentemente da quanto accaduto, se ci si pensa vittime di un malinteso, allora è giusto essere pacati e gentili affinché l’altro un giorno si ravveda, ma se invece ci si pensa (a torto o a ragione) vittime di un inganno allora no. Non credo si abbia diritto ad appellare infantile il comportamento di chi reagisce a suo modo all’offesa, e se la devo dire tutta, l’infantilismo non è nella reazione, ma nell’azione di chi pretende di poter fare senza subire.

Non riconosco disparità e privilegi alle donne. Se qualcuno pensa che io, per il semplice fatto di aver scelto un nick da sovrano del Quattrocento, voglia seguire una modalità pseudo-cavalleresca di difesa aprioristica e ad oltranza delle donzelle sbagliate. Una volta che la fiducia è tradita o l’offesa e l’irrisione sono state portate a compimento, le regole e i privilegi della galanteria per me finiscono. Non li concedo a chi ha dimostrato di non meritarli. Per me è l’intenzione che conta: l’intenzione di perfidia e cattiveria nell’ingannare e nel ferire. Se le stesse ferite sono fatte senza intenzione (o con un’intenzione non cattiva, come, ad esempio nella sfera erotico-sentimentale, verificare e decidere, e non ingannare e deridere) non le ritengo offese. Se però subisco un’offesa o un inganno mi vendico con una crudeltà, una perfidia e una intensità di odio direttamente proporzionali all’intenzione di chi mi ha offeso, sia esso uomo o donna.

La colpa non è continuamente da una parte, per cui, se è vero che, essendovi gli psicolabili pronti sempre a fraintendere qualsiasi sguardo, qualsiasi parola, qualsiasi sorriso, qualsiasi vestimento o movenza della donna a proprio vantaggio o a pseudo-giustificazione delle loro voglie brutali, o addirittura i violentatori per indole, la "chiara" del sogno fa bene a tenere pronta la "padella" per difendersi, è altrettanto vero che, essendovi le stronze pronte sempre a ferirmi intimamento o umiliarmi pubblicamente e ad irridermi nel desiderio, o addirittura le vampire divoratrici per indole, io faccio altrettanto bene ad attuare ogni misura atta a proteggermi (ad esempio appagando il mio natural disio di bellezza e di piacere in uno "zoo" che non mi esponga ai rischi di ferimenti o sbranamenti) senza venire descritto per questo come "uno sciocco bambino che va alla giostra".

Terminata questa parentesi, vorrei far notare come, proseguendo nella lettura dei commenti, si colga chiaramente l'ambiguità (voluta e donotante sottile malvagità d'animo e perfidia femminili, unite a cieca stupidità prettamente maschile) con cui vengono trattati i termini di "forza, violenza" (in latino "vis") e prevaricazione, ingiustizia. Avendo già scritto un post molto approfondito (e lungo) al riguardo qui noto solo come non tutta la violenza sia prevaricazione (si pensi alla legittima difesa, o anche alla giusta vendetta) e, d'altra parte, non tutta la prevaricazione sia violenta (si pensi agli inganni, ai raggiri, alle tirannie erotico-sentimentali o all'uso distorte delle leggi e della morale).
La violenza senza sopraffazione è propria dei veri uomini, come mostrano i leali scontri del mondo guerriero ed eroico, capace per questo di creare una realtà superiore, una grandezza ed un'identità immortali, di conferire agli uomini ed alle nazioni una vita idealmente giustificata, e di generare opere etico-spirituali quali l'Iliade o l'Eneide, e tutte quelle mirabilie del pensiero che noi possiamo appunto solo ammirare, mai riprodurre. La sopraffazione senza violenza è invece diffusa fra certe (non tutte, ovviamente) donne (di oggi come di ieri).

Non si finirà mai di sottolineare quanto il vero male (o comunque il vero problema) sia la volontà di sopraffazione, tragicamente insita, come dimostrato da Schopenhauer, nella volontà di vivere e dunque presente al massimo grado negli umani (i quali, in quanto coscienti, sono della volontà la massima espressione) indipendentemente dal fatto che essa utilizzi mezzi brutali, violenti e diretti ovvero sottili, perfidi e indiretti. Sull'Utopia della sognata chiara potrei anche essere d'accordo, se solo non attribuisse falsamente ed arbitrariamente l'esclusiva colpa agli uomini.
E' vero che l'essere umano è peggiore del peggiore degli animali, ma ciò vale per ambo i sessi, checché se ne dica e checché s e ne voglia dimostrare il contrario.
Ella dice che non le risulta dalle cronache dei giornali di branchi di donne che attuino violenza o si radunino per delitti efferati. Certamente, ma nemmeno si verificano casi di uomini-vampiro che, sfruttando le debolezze carnali altrui, facilmente trasfornantesi in altrettante debolezze sentimentali, dilaniano moralmente, economicamente e psicologicamente un uomo togliendogli ogni avere, ogni sentire, ogni pensiero di ragione, di interesse e di fiducia ed ogni speranza di felicità. Lasciate che siano le potenziali vittime a valutare quale situazione (delle due) sia più turpe, quale sofferenza più atroce, quale offesa più profonda, quale tipo di morte (o di sopravvivenza) più crudele e quale tipo di sopraffazione più malvagia e meritevole dello sdegno. Non pretendiate di essere l'unica fonte di verità e di sensibilità.

Ognuno usa (o tende ad usare, nel bisogno o nella prepotenza) le proprie armi (nel senso di quelle che per natura possiede in maggior grado o con le quali si sente favorito: violenza fisica, morale, psicologica, o inganno dialettico, truffa economica, cavillo giuridico, raggiro erotico-sentimentale, seduzione, intelligenza, bellezza ecc.) nella giungla umana e non si è certo moralmente superiori se si scelgono quelle nelle quali ci si ritiene in vantaggio su chi si vuole opprimere. Questo vale tanto per gli uomini quanto per le donne. Moralmente superiori sarebbero, forse, quelle persone, di ambo i sessi, che rinunziano a sopraffarre il prossimo , ma risultano talmente rare che, se riconosciute, vengono subito nominate santi o sante.

Quanto a me, io ritengo comunque che non vi sia troppa differenza fra chi direttamente uccide o violenta e chi lo fa indirettamente, distruggendo psicologicamente una persona oppure creando ad arte la disperazione nell'animo altrui e dunque la pulsione all'omicidio o al suicidio. Sono anzi propenso a deprecare di meno chi almeno, in tutta questa turpitudine si espone in prima persona e non si nasconde dietro apparenza pacifiche o vittimiste.

Un altro topos letterario (in realtà banale) di quei commenti letti nell'incubo riguarda l'attribuire cagione dei mali del mondo e dei dissidi fra le genti agli uomini mossi da cupidigia, tutti descritti come criminali pronti a qualsiasi violenza per ottere ciò che non possono avere altrimenti, per difetto di virtù o di forza. Che l'origine dei contrasti e delle violenze e delle ingiustizie sia la cieca cupidigia era cosa nota a tutti i letterati e filosofi, da Cicerone a Schopenhauer, oltre ad essere conclamata persino dal profeta della non-violenza (che io non amo) Gandhi (non mi risulta essi fossero donne). Il Mito (che contiene sempre una parte di verità) sarebbe però portato a mostrare la donna come causa e motore della cupidigia di cose terrene, non già l'uomo, che ne è vittima e attore indiretto e a volte manovrato. La Guerra di Troia ebbe origine da una donna (non certo dispiaciuta che forti guerrieri dessero la vita per lei) ed in ogni caso, prima di Pandora e del suo vaso, gli uomini vivevano pacifici e sereni (e un po' accade ancora ai maschi più tranquilli prima di dover entrare in contatto con le giovinette). Più concretamente, in ogni civiltà del passato l'emergere della componente femminile è stato segno di de-spiritualizzazione, di caduta dei valori tradizionali, di perdita del senso ideale in grado di giustificare l'esistenza e di trionfo del materialismo e dell'individualismo. Fu così in Roma (e infatti Augusto, per compiere la restitutio imperii, ripristinò il mos maiorum con leggi severe per le donne, anche se poi il potere di esse tornò a crescere generando quella situazione così ben descritta da Giovenale e caratteristica della decadenza e della futura rovina). Fu così nella seconda Roma, Costantinopoli, negli ultimi tempi forte di intrighi e debole d'esercito e travolta dall'assalto del più giovane e virile impero Ottomano.
Fu così in Venezia (vera e propria repubblica delle dame salottiere, secondo in racconto che ce ne dà il Principe Eugenio, il quale non era certo uno sprovveduto) la cui caduta è un perpetuo esempio di cosa porti il prolungato neutralismo e l'immobile pacifismo (rimasta in piedi "per accidente", priva di vera forza militare e civile, venne abbattuta alla prima occasione di utilità dalle altre potenze senza quasi colpo ferire, a scorno di una storia millenaria). Fu così persino per la Parigi di Luigi XVI, nella quale tutto ciò che profumava di nobile e di virile era svilito e sbeffeggiato da indegni intrighi di femmine.
Sarei tentato di citare lo stesso Schopenhauer, il quale vede nelle donne la rovina dell'odierna società proprio in quanto la loro cupidigia (da filistei) si appunta su beni terreni (il corpo, gli agi, la ricchezza) piuttosto che su quelli spirituali (la virtù, il coraggio, la conoscenza pura) e a ciò induce pure l'uomo a conformarsi, tramite il profondo influsso esercitato tramite ciò che in lui vi è di più profondo e irrazionale (lo stesso "femminista" Rousseau diceva che gli uomini saranno sempre ciò che le donne vorranno e dunque saranno virtuosi solo quando alle donne si insegnerà la virtù: ma questa è utopia), facendo emergere (a livello sia individuale sia sociale) le ambizioni e gli impulsi "non nobili".
Può non risultare un caso infatti che proprio la società odierna, mercantile e basata su valori meramente terreni, dopo aver de-spiritualizzato il mondo, tolto agli individui ed ai popoli qualsiasi possibilità oggettiva di giustificare idealmente la propria esistenza, e chiamato progresso la distruzione dei valori spirituali alla base della creazione delle immortali opere dell'arte e del pensiero, da Omero a Virgilio, da Platone a Dante, abbia avuto la coincidenza da un lato di conferire alla donna parità di diritti, materiali e ideali, di promuoverne l'emancipazione, di esaltarne (anche oltre ogni logica) la figura e il pensiero (laddove si vuole essere politicamente corretti o modernamente pubblicitari) e addirittura di darle una certa preminenza sociale per il suo valore di "madre" (e dunque creatrice di vita corporale) e dall'altro di rendere sterili le arti, la filosofia, le rime, le pitture, le musiche, tutte, insomma, le espressioni dello spirito, un tempo invece capaci di mirabilie del pensiero, di versi immortali, di grandezza ideale, dei più soavi suoni, delle più divine immagini e delle più sublimi melodie.
Non amando però generalizzare sulle donne come esse generalizzano sugli uomini detestando l'attribuire (ad esse o ad altri) colpe delle quali NON posso essere matematicamente certo, mi limito a tenermi il dubbio ed affermo con certezza soltanto quanto segue.

Nel desiderio,un uomo si "accontenta" della bellezza, mentre una donna "pretende" l'eccellenza (nelle doti che ognuna, soggettivamente, pone in ordine diverso d'importanza, e possono essere, oltre alla bellezza, l'intelligenza, la virilità, la cultura, la ricchezza, il cuore ecc.). Sovente le doti da lei volute devono risultare utili o gradite a lei per motivi soggettivi o conferenti prestigio sociale.
Nel mondo materialista e de-spiritualizzato tali doti coincidono sovente con la capacità di produrre ricchezza o comunque di raggiungere una posizione di preminenza economico-sociale.
Per raggiungere tale posizione servono di norma tempo, doti e soprattutto fortuna. Chi è troppo giovane, troppo poco portato a ciò (perché magari ha doti volte più all'affermazione nel mondo dello spirito che non in quello mondano) o non abbastanza assistito dalla dei bendata deve o rinunciare a ciò che intimamente desidera (ossia la bella donna) o costringersi a cercare di ottenere quella posizione di forza socio-econimica ad ogni costo e con ogni mezzo. Di qui nasce ogni sorta di iniquità e di furfanterie, che l'uomo, per natura, non commetterebbe mai, ma che è spinto dalla brama muliebre di cose terrene a fare (altrimenti viene disprezzato, umiliato nel suo desiderio, considerato debole e costretto a rimirare altri al suo posto accompagnarsi ai suoi sogni estetici viventi). Non è una questione di bisogno, di tornaconto personale, di plagio sociale o di "sudditanza" o di "idolatria": è proprio desiderio puro.
Se le donne avessero come modello San Francesco gli uomini violenti o cupidi di guadagno al di là di ogni scrupolo non esisterebbero, o almeno sarebbero emarginati e non conseguirebbero il successo e soprattutto il potere che attualmente invece hanno.
Non è una colpa desiderare ciò che la natura ci spinge a bramare, ma non è intellettualmente onesto negare l'evidenza di tutto ciò (è evidente come il fatto che un uomo desideri la bellezza muliebre).
Per tutti le volte nelle quali (provocatoriamente) quei commenti sognati parlano di uomini che vogliono tutto con la violenza e la sopraffazione diretta io ho altrettante argomentazioni per asserire (altrettanto provocatoriamente) le donne voler tutto con l'inganno e la sopraffazione indiretta, o addirittura con l'istigazione a far compiere ad altri la violenza per proprio conto. La storia sarebbe piena di esempio, da Messalina alla tanto celebrata Maria Teresa d'Austria. Certamente è assurdo parlare anche di storia con chi sostiene la famosa bufala dei "5000 anni di stupri". Si può forse spiegare alle femministe che il ruolo (ed il rispetto), ad esempio, delle matrone romane, o delle dame rinascimentali, per il semplice fatto che fosse diverso da quello dell'uomo non fosse secondario o comunque poco influente (tanto nel privato quanto nella politica)?

E' tutto inutile, esattamente come far capire a quel davide quanto il "sogno della non violenza" descritto dai post della sua interlocutrice non derivi affatto da un desiderio di equità e di giustizia. Ella infatti (la quale perciò non puà essere la Chiara di Notte che conosco e rispetto) vuole semplicemente eliminare la violenaza dell'uomo (o, almeno, quanto ella definisce come tale, e che vede esplicarsi nelle forze fisiche e di coesione fra maschi e per le quali si sente più debole o comunque non avvantaggiata) per far sì che la violenza della natura (o, almeno, quanto ella considera naturale, come il divorare uomini in ogni senso, il tiranneggiarli sessualmente, l'illuderli per proprio profitto, l'annullarli mentalmente o l'umiliarli o irriderli nel desiderio), nella quale si sente in posizione migliore, possa fare libero corso senza freni (e soprattutto a suo vantaggio). Un uomo savio direbbe "no, grazie". Un uomo moderno dice "ah, sì, non è affatto di parte la tua visione".

Un sintomo di questo è il citare proditoriamente e senza razionale pertinenza alcuna il tema della poligamia di fatto degli uomini (anche sposati) quale sinonimo di volontà di oppressione o di scarsa considerazione della donna. Avrei in serbo per l'argomento un paio di post, per dimostrare come sia la natura stessa ad inculcare nel petto dell'uomo una brama infinita di cogliere l'ebbrezza ed il piacere dei sensi da quante più donne possibili, ed a farne nascere il desiderio immediatamente e al primo sguardo, con l'immediatezza del fulmine e l'intensità del tuono, ma con la soavità di plenilunio di giugno dopo la pioggia, non appena la bellezza si fa sensibile a lui nelle fattezze del corpo muliebre. Ciò è complementare alla brama femminea di farsi sommamente desiderare e seguire in ogni dove, (come una fiera nei boschi) dal maggior numero possibile di maschi, in modo da ampliare al massimo la rosa di coloro che sono disposti a competere per lei e dai quali selezionare chi mostra eccellenza nelle caratteristiche volute per la riproduzione e il bene della discendenza (o, razionalizzato nelle società più evoluto, quelle doti materiali o intellettuali che rendono un uomo gradito o utile alla femmina, o conferiscono prestigio sociale).
Tutto ciò risponde ai fini della natura, non a quelli dell'uomo (ed è infatti motivi di infinite infelicità individuali, da quelle dei giovani uomini intimamente feriti dalle "stronze" a quelle delle donne tradite): il desiderio maschile serve garantire la massima propagazione dell'istinto vitale, quello femminile a garantire la selezione dell'eccellenza.
Questo è l'amore naturale "l'inganno che la natura ha dato agli uomini per propagarne la specie".
Tutto il resto, nell'amore, è solo costruzione dell'uomo, della sua ragione, della sua arte, della sua parola, e, più profondamente, del suo inconscio.
L'aveva già compreso Schopenhauer:

"L'uomo tende per natura all'incostanza in amore, la donna alla costanza. L'amore dell'uomo cala sensibilmente non appena è stato soddisfatto: quasi tutte le altre donne lo eccitano più di quella che già possiede, perciò desidera variare. Invece l'amore della donna aumenta proprio da quel momento. Ciò dipende dal fine della natura, la quale mira a conservare la specie e quindi a moltiplicarla il più possibile. L'uomo infatti può comodamente generare in un anno più di cento figli, se ha a disposizione altrettante donne: la donna invece, per quanti uomini abbia, potrebbe comunque mettere al mondo un solo figlio all'anno (a prescindere dalle nascite gemellari). Perciò l'uomo va continuamente alla ricerca di altre donne, mentre la donna si attacca saldamente a un unico uomo: la natura infatti la spinge a conservarsi, d'istinto e senza alcuna riflessione, colui che nutrirà e proteggerà la futura prole." (LA METAFISICA DELL'AMORE SESSUALE)
Non serve però scrivere oltre, dato che la stessa autrice ammette la verità di quanto sopra. Pensa però di cavarsela con il sostenere che allora anche la donna ha diritto ad andarsene per il mondo a selezionare il proprio "Campione". E, di grazia, chi glie lo impedirebbe?
Il desiderio maschile di godere di tante donne e quello femminile di cercare tanti uomini per selezionare l'eccellenza, in quanto natura, non possono essere moralmente condannati. Non possono, per lo stesso motivo, e non potranno mai, essere né mutati né impediti. Non si capisce dunque che significhi tale obiezione: si sta forse proponendo l'obbligo per le donne di accontentarsi dei mediocri? Sia nel matrimonio, sia nel fidanzamento di qualsiasi tipo (amore, interesse) sia nella prostituzione dichiarata è sempre la femmina a scegliere il maschio che le è più utile o gradito: la differenza è solo nei criteri di scelta e nella possibilità per certi di rientrarvi. Come fa a lamentarsi una donna con gli uomini per il fatto di aver lei stessa scelto male?
Nessuno vuole la botte piena e la moglie ubriaca, ma tutti hanno diritto a scegliere cosa volere.
Non si può negare che l'amor naturale (il quale contiene non solo la sofferenza del corteggiamento e del combattimento per i maschi, ma anche quella del tradimento per le femmine) contenga un potenziale di dolore che non tutti DEVONO essere costretti a subire solo perché sono nati o maschi o femmine.
Si deve dunque ammettere che come una donna non voglia giustamente soffrire nell'essere tradita un uomo non voglia soffrire nel dover faticare, rischiare ferimenti intimi, umiliazioni pubbliche ed irrisioni profonde e subire quasi certe delusioni reiterate, frustrazioni del desiderio, e financo ossessioni, ogni volta che deve conciliarsi alla vita di natura godendo della bellezza corporale di una donna e congiungendosi a lei in estasi di sensi e di idee.
Per la prima è stato inventato il matrimonio monogamico (con obbligo di fedeltà). Per il secondo l'escorting (con sicurezza di corrispettivo per quello che il maschio dà). L'importante è appunto che nessuno sia costretto in essi e che si possa scegliere. Poi pacta serbanda sunt: per me un marito che ha promesso fedeltà deve rispettare tale promessa (anche se secondo me impossibile, se non vuole scegliere fra essere infelice nel profondo del desiderio o esserlo nel profondo del sentimento) ed una escort che ha promesso di concedersi (per denaro) deve mantenere.
Non vedo in tutto ciò cosa vi sia di irrispettoso per la figura delle donna. Non vedo perché certe tematiche legate alla gelosia (che è propria di tutti gli amanti, anche dei mariti infedeli) debbano presupporre il considerare la donna inferiore. Io, pur fortissimo sostenitore della poligamia, non la penso così.

Tutto il resto dei commenti si basa su assunti del tutto errati, che i davide e la chiara del sogno fanno a gara a sostenere l'uno più fallacemente dell'altra.

1) Suppongono la violenza sia solo degli uomini. In realtà, la violenza, come spiegato, è nel mondo, gli uomini, in genere, prediligono quella fisica, le donne, per ovvi motivi, quella psicologica, ma non vi è più bontà, ragione o evoluzione, bensì più perfidia. Spesso le donne hanno anche meno bisogno degli uomini di usare violenza, a parità di nequitia e di prevaricazione. Sfruttando socialmente quella stupidità cristiano germanica che è la galanteria (e l'assurda assunzione diffusa a livello legale e sociale secondo la quale sarebbe un fiore prezioso e debole da proteggere) fanno sì che siano sempre altri uomini ad usare la violenza (fisica, economica o morale) contro chi vogliono loro, o addirittura usano la legge (o il biasimo sociale) come strumento di violenza contro quell'uomo di cui si vogliono "vendicare" per torto, capriccio o semplice falsità.
In ogni caso, a scanso di equivoci sui numeri cui qualcuno e qualcuna potrebbero pensare, bisogna rilevare come la violenza degli uomini sulle donne, essendo spesso una violenza fisica, è oggettivamente riconoscibile ed immediatamente rilevabile, mentre quella delle donne sugli uomini, trattandosi sovente di una violenza psicologica, non può essere né oggettivamente né immediatamente riconosciuta e risulta difficile da identificare, rilevare e censire: mentre la prima è diretta, chiara, esplicita e soggetta ad esser posta (se si vuole) alla luce del sole, la seconda spesso è sottile, implicita, e indiretta, e mai immediatamente identificabile, in quanto magari sotterranea, dissumulata, sfuggente (o addirittura mascherata da vittimismo o comunque difesa o giustificata da "privilegi di galanteria" o dal considrarsi da parte della donna "cosa rara e preziosa, gemma da difendere"): non è quasi mai rilevabile da dati oggettivi e proprio per questo non è chiaramente riconosciuta nemmeno dalla vittima, la quale la sente a volte soltanto per i danni manifesti alla lunga. E' da credere che se si potessero, per ipotesi, avere i dati completi su ENTRAMBE le violenze, ascoltate con le MEDESIME attenzioni e valutate con la STESSA misura (non aliena da ciò che soggettivamente a ciascuno dei sessi risulta ferimento) non vi sarebbero grandi disparità.

2) Suppongono che le donne siano per natura più inclini alla pace ed al compromesso. Sarebbe bello leggessero le satire di Giovenale, che, smentendo ampiamente e con gran copia di exempla tale luogo comune, dimostra invece le donne essere propense per natura al litigio (del resto certe femmine virtuali che qui non voglio nemmanco nominare dimostrano assieme ad altre esemplari di attaccabrighe mediatiche d'esser tutt'altro che concilianti e mediatrici).
Magari nel reale è diverso nella donna il modo di essere prevaricatrice e guerrafondaia: forse sostituisce all'insulto la provocazione, alla prepotenza aperte la sottile malvagità, allo slancio impetuoso, violento ma leale l'intrigo nascosto, la trama raffinata e sottile (ma non meno cattiva), l'inganno perfido.
Nella lotta di potere, quello che in noi è forza e splendore o ostilità aperta in loro è inganno, raggiro e guerra sotterranea, quello che a noi è in aggressività leale in loro è sottile malignità e abile crudeltà dissimulata, tanto che Schopenhauer le paragonò alle seppie, per l'abitudine a nuotare nel torbido e nell'inganno e a difendersi con esso (in mancanza di forza fisica). Forse, anzi, sicuramente, egli esagerava nell'attribuire alla donna una natura di per sé più menzognera e malvagia (essendo tali doti prerogativa di tutto il genere umano, non solo di quello femminile), ma non errava nella questione di fondo, ossia di come, in caso di necessità o volontà, ognuno è portato senza remora morale alcuna ad usare fino alle ultime conseguenza le armi che la natura ha conferito. Per alcuni sono la forza, per altri/e l'intelligenza, per altre ancora l'inganno o lo sfruttamento erotico-sentimentale.
Il fatto che la donna non sia affatto portata per natura alla mediazione ed alla conciliazione, bensì al litigo, alla tirannia e al trarre le estreme conseguenze dai propri privilegi è data dal loro orinario comportamento laddove godono di privilegio per natura e ordine sociale: il CORTEGGIAMENTO.
Basti pensare a come sfruttano quel fior fiore della stupidità cristiano-germanica chiamata galanteria per permettersi verso il prossimo qualsiasi derisione profonda, qualsiasi umiliazione pubblica o privata, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi irrisione nel desiderio, qualsiasi
arroganza, qualsivoglia crudeltà o perfidia (mascherata da nobile alterigia) senza dover temere nulla, dato che, se un uomo reagisce corrispondentemente, come sarebbe giusto, viene appellato da tutti molesto, violento, bruto, irrispettoso delle donne o comunque "anti-cavalleresco" e disprezzato.
Basti pensare a come struttano il nostro desiderio di natura per farci recitare da giullare o da seduttore, a seconda che vogliano divertirsi o che bramino compiacere la propria vanagloria, o, come avviene spesso con quelle che si ritengono dame corteggiate, per spingerci a far da "cavalier servente" disposto a priori ad affrontare rischi e sacrifici degni, come diceva Ovidio nell'ars amandi, delle campagne militari, a sopportare, insomma, rinunce e privazioni, per non ricevere in cambio nulla se non la sola speranza.
E mi fermo qui per non esplodere in un profluvio di parole già eloquentemente pronunziate in tanti post precedenti. Basta provare ad immaginare cosa sarebbero capaci se avessero lo stesso privilegio altrove per convincersi della fallacità di questa visione pacifista della donna.

3) Suppongono vera la sciocca teoria femminista secondo la quale le donne sarebbero deboli, rare e preziose (e dunque da proteggere e privilegiare) o comunque da sempre vittime dell'uomo, ed il femminismo stesso, anche nei suoi estremi, sarebbe la reazione (forse autodifensiva ma comunque "giusta) delle donne alla prepotenza maschile e all'oppressione basata unicamente sulla forza fisica. Basta qui un'analisi disincantata del mondo della natura (ove il genere femminile è quasi sempre preminente) e della preistoria per comprendere chiaramente come sarebbero le donne, tutt'altro che deboli, a risultare dominanti e tiranniche, almeno allo stato naturale o selvaggio (come è infatti fra molte speci), come le società matriarcali abbiano preceduto quelle patriarcali e dunque la presunta "oppressione delle donne" non risalga alla notte dei tempi e non sia distrutta soltanto ora, nelle società evolute, dalla presunta emancipazione, come il dominio maschile non si sia fondato affatto sulla brutalità e sulla forza fisica (dato che questa ovviamente esisteva anche nella preistoria in cui erano comunque le donne a dominare), ma piuttosto sulle leggi dello spirito. Su questa civilizzazione virile dello spirito pare concordare anche Bachofen.
Lascio dunque al lettore il compito di provare a capire perché, a differenza degli sciocchi contemporanei, i filosofi di ogni epoca (al contrario dei poeti abbacinati dalla grazie femminili) i filosofi veri, quelli appartenenti ad un mondo capace di grandezza etico spirituale e di opere immortali, non abbiano espresso opinioni lusinghiere sulle donne in genere. Avendo sempre amato più i poeti che i filosofi sono sempre pronto a mitigare il giudizio di questi sulle donne e a seguire una linea di comprensione e apprezzamento (quando non idealizzazione e sublimazione) del mondo femminile, ma non posso certo farlo davanti alle accuse antimaschili di commenti e di supposizioni del genere.

Tutto il resto che segue secondo queste tre fallacissime supposizioni sarebbe vero se lo stupro esistesse in natura. Visto che invece di esso (come ammette la stessa autrice dei commenti) non esiste nemmanco l'idea nel mondo naturale, mentre (lo dico io e dubito che si possa negare) esistono realmente in atto ed in idea tutti i modi e le intenzioni dello sfruttamento a fini utilitaristici del desiderio maschile (dalla mantide che divora per far compiere nello spasimo movimenti utili alla specie fino all'elefantessa che fa vivere nella frustrazione e in quella che, se l'elefante fosse umano, sarebbe sofferenza indicibile da sessuale ad esistenziale ed ossessione, a solo fine selettivo, riproduttivo e per il bene della discendenza) si deve dedurre che, una volta giunti gli umani all'autocoscienza, sia stato quest'ultimo "sfruttamento naturale" a tramutarsi nelle donne in tirannia naturale, prepotenza e, in altre parole, stronzaggine. Quindi tutto ciò che si odia (voi odiate) nell'uomo (dalle blandizie alla violenza, della forza dello spirito al potere delle armi) non è altro che una reazione di bilanciamento a quella che altrimenti sarebbe una tirannia naturale senza freni (resa insopportabile dall'autocoscienza). Magari potete dire che talvolta tale reazione è eccessiva e rischia di sbilanciare il mondo altrettanto ingiustamente in senso inverso. Ve lo concedo. Non vi concedo invece di negare la sua natura di reazione e la fondamentale giustezza tutta umana (in quanto basata su ricerca di equità sociale, tramite appunto meccanismi di contrappesi e bilanciamenti, e di felicità individuale, concetti assenti in natura) che ne sta intimamente alla base. Molti esagerano e con ciò giustificano anche le empietà e le oppressioni (all'individuo donna). Io cerco modestamente di non esagerare, ma conservo ferocemente e altrettanto nobilmente la purezza della motivazione "reattiva" e ne rivendico il diritto (indispensabile per la felicità dei singoli), contro chiunque cerchi di impedirmi di "naturalmente compensare la natura" (tutti i sistemi evolvono all'equilibrio, altrimenti esplodono), almeno finché non violo direttamente la libertà individuale tanto di donne quanto di uomini.


Sul finire di questo brutto sogno mi pareva che la giustificazione del doppiopesismo morale e sentimentale risiedesse in una sorte di etica naturale, la quale tollererebbe le malvagità e le perfidie delle donne e condannerebbe invece quelle corrispondenti degli uomini soltanto perché le prime sono preposte dalla natura stessa a propagare la specie e risulterebbero intrisecamente "migliori" nelle loro scelte ed anche nelle loro crudeltà. Nella realtà tale argomentazione, per un leopardiano come me, fungerebbe piuttosto da giustificazione di una certa misoginia (o, meglio, se non di odio per le donne, di distacco da esse), non già del privilegio femmineo.

La natura per la sua crudeltà e la sua insensibilità alla sofferenza dei singoli è all'uomo non madre, ma matrigna. La natura è crudele perché "nasce l'uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento", dà la vita ma non ne dà il senso vero, dà l'esistenza mondana, con le sue gioie transeunti e le sue banalità quotidiane ma non dà le cose "necessarie universali perpetue", dà le idee e i pensieri ma non dà nel mondo che crudeltà e spietatezza (perché la natura, oltre che bella e grande, è terribile e crudela, aliena da ogni slancio emotivo di pietà umana e da ogni profondo moto di umanissima compassione), dà il cibo e il riparo ma non dà le vere sicurezze e la vera soddisfazione, e le stesse creature belle e vitali oggi saranno deperite e mortifere domani e gli stessi casi che oggi ci hanno consentito di sopravvivere o di gioire domani potranno portarci a perire o a patire.
La stessa rosa che sboccia oggi domani appassirà, ma anche la stessa bellezza naturale è sovente apportatrice e nasconditrice di morte, crudeltà e sofferenza, perché "a me la vita è male". La natura è ciclica e spietata cancellazione della vita individuale quando l'uomo è pietà e rimembranza e desiderio di continuare a vivere ed eternarsi. La natura è prosecuzione della vita nel continuo alternarsi di creazione e distruzione di individui, di piacere e sofferenza, quando l'uomo amerebbe la prosecuzione di sé, la custodia dei propri valori, e il tramandarsi della propria individualità. La natura dà il piacere ma mai discolto dalla sofferenza e dalla privazione e dalla paura del dolore ("piacer figlio d'affanno, gioia vana ch'è frutto del passato timore"), dà l'infinito dal desiderio ma non ne dà mai una completa ed esaustiva soddisfazione, dato che ogni appagamento terreno è finito (nel tempo, nello spazio, nell'intensità e nella profondità sull'essere), dà la bellezza ma non dà l'immortalità, dà la giovinezza e gli altri doni ma non il calice per non lasciarla scorrere via come da un vaso senza fondo, dà il divenire ma non dà l'essere.
Le donne, nel loro istinto e nel loro essere profondo, e finanche nell'esaltata capacità di procreare, hanno in sé la medesima crudeltà della natura. Non è vero che la donna sia sempre "madre". Lo è solo per i propri figli e solo fino a che li accudisce (come tutti i mammiferi in natura e al contrario del padre, il cui amore, come spiega sempre Schopenhauer, è spirituale e più duraturo). Per tutti gli altri è matrigna, esattamente come la natura, gli stessi fini della quale persegue usando sovente i medesimi mezzi (il genio della specie, i desideri suscitati ad arte e gli istinti profondi da sfruttare per far compiere agli individui la sua volontà).

Per questo l'uomo veramente saggio, nel suo percorso materiale e ideale di emancipazione dalla natura, deve combattere (almeno negli ambiti in cui sono in gioco la libertà di pensiero e di azione, e la giustificazione ideale dell'esistenza) contro la natura ed anche contro le donne.

Ecco la Società delle donne: una civiltà di formichine terragne prive di spirito, protese a perpetrare (e il verbo non è scelto a caso) la vita senz’altro scopo, incapaci di quella giustificazione ideale dell’esistenza la quale può essere data solo in senso estetico dall’arte e dalle altre opere dello spirito.
E’ l’uomo d’animo nobile a possedere il dovere e il diritto di dare senso all’esistenza e di attribuire valori e significati a sé e al mondo circostante.

Oltre a quanto esaltato dalle donne (la stabilità, l'armonia, la nascita ecc.), la natura presenta anche altri aspetti, ad esempio il distruggere il debole, non riconoscendo in quella che potrebbe essere invece una ricchezza (si pensi ai poeti e ai musici, la cui quasi esasperata sensibilità alla vita e al mondo genera il sublime), emarginare o normalizzare il pazzo, inteso come colui che non è funzionale alla società ( "Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri." ), lasciar perire il malato (non mirando in esso una possibile grandezza proprio in ciò per cui è sotto la prospettiva della natura "debole" e inutile), e soprattutto i perpetrare e conservare la vita senza altro scopo, spesso infliggendo crudeltà e sofferenza ai danni degli individui, incurante delle loro esigenze e, negli animali più evoluti, dei loro pensieri e del loro intimo sentire.
Nessuna civiltà, per quanto barbara può eguagliare tali crudeltà naturali.

Certo nei commenti non si parlava di civiltà, bensì di violenza sulle donne, ma pareva che si facesse derivare questa da una cultura guerresca o comunque patriarcale e non pacifista. A parte il fatto che per me è vero l'esatto contrario (ossia è proprio la mancanza dell'autorità del padre e della concezione spirituale e paterna dell'esistenza, dissolta in favore di quella materiale e materna, a produrre uomini scatenati, e senza legge, dati alla violenza anarchica ed alla sopraffazione del più debole come nella giungla, dato che non vi è una valida motivazione ideale per sforzarsi di volgere i propri impulsi a qualcosa di più nobile), questo è inaccettabile, anche perché testimonia una piramidale ignoranza del valore spirituale del mondo guerriero, greco, romano e cristiano, dalla cui grandezza (cantata da Omero, da Virgilio, da Dante, da Tasso e realmente esistita nelle gesta dei Leonida, degli Alessandro, degli Scipione, dei Giulio Cesare, dei Cacciaguida, dei Goffredo di Buglione) discende quasi tutto ciò che oggi è bello, nobile e soprattutto eterno. Per questo, a costo di farmi odiare dal mondo moderno, devo fugare il campo da ogni dubbio in proposito del mio pensiero.

Una delle accuse delle donne, la quale serve poi (nessun pensiero femmineo è conoscenza pura, ma tutti devono avere utilità pratica) da giustificazione ad ogni loro nefandezza e prepotenza ai danni del maschile, è quella che, mentre le donne creano la vita (terrena) gli uomini la distruggerebbero. Dovrebbe questo funzionare da accusa? Dovremmo accettare questa concezione materna e materiale dell'esistenza? Dovremmo vergognarci di ciò? Non sanno loro che distruggere (o, comunque, limitare) le espressioni e le concezioni mondane dell'esistenza è indispensabile per costruire o comuque per affermare come assolute quelle dello spirito (altrimenti i valori spirituali sarebbero meri gioielli immateriali da indossare a capriccio)?
Certo, distruggiamo il loro mondo, fatto di valori meramente terreni e incapace di elevarsi all'eterno ed all'eroico, un universo di vaghezze mondane, particolari e accidentali e di tutto quanto ha il germe della caducità e della brevità, per creare (o tentare di creare) un mondo ad immagini e somiglianza dei nostri sogni e dei nostri ideali, un universo ideale e imperituro, le cui opere, come le cose divine, sono fatte per l'eternità, non sono soggette al ciclo di nascita e distruzione, ma si propagano nel tempo rimanendo uguale a se stesse (fra queste, vi sono anche le immagini eteree delle donne fatte dee dal canto dei poeti) perché hanno in sé il soffio dello spirito immortale; distruggiamo (o tentiamo di distruggere) i loro piani, che coincidono con quelli della natura in quanto prevedono di perpetuare la vita senz'altro scopo, senza curarsi, come direbbe Leopardi, che sia felice (o che possa esistere l'illusione di felicità), per ideare invece un mondo in cui la felicità possa esistere "in positivo" e non solo "in negativo" come assenza di affanno.
Questo mondo è costituito da tutto quanto è creato dall'uomo quale consolazione soave per la sua stessa esistenza terrena, generata dalla donna ed indissolubilmente legata alla caducità ed al dolore, attraverso la bellezza, l'opera di genio, l'ebbrezza musicale, l'estasi visiva, la beatitudine per la conoscenza pura e l'astrazione dal trac trac quotidiano.
Questo mondo è la Poesia, questo mondo è la Letteratura in genere, sono la Pittura, la Scultura, le Arti figurative, questo mondo è la Musica. Questo mondo è il Sogno in cui dolce e caro diventa il vivere. In esso il desiderio si sublima alla sfera intellettiva e l'oggetto di esso diviene rima, verso, suono, melodia, e, come tutte le cose divine, risplende di una bellezza destinata a propagarsi sempre uguale a se stessa, non più a prezzo della distruzione individuale nel ciclo di natura, non più soggetta alla corruzione del tempo e della morte. Le donne danno la vita del corpo, ma è l'uomo che rende questa sopportabile all'anima.

L'amore è l'inganno che la natura ha dato agli uomini per propagarne la specie. Le donne lo affinano col loro intelletto e lo sfruttano per i fini della natura ed anche per i propri (attraverso la profonda influenza che esercitano sull'uomo per mezzo di tutto ciò che in lui è irrazionale, vitale, genuino e istintuale). L'uomo deve emanciparsi facendone mero atto scenico in cui paga il biglietto per godere dell'estasi della natura senza che il relativo tormento sconvolga la sua vita fuori dal palcoscenico e, soprattutto, affinché i propri interessi individuali (distinti da quelli della natura e quindi della donna) non vengano danneggiati.

Non credo però che Madonna Chiara, la quale mi aveva sempre apprezzato, e la quale è dotata di cultura e amore per la classicità, vorrebbe mai intendere quanto mi è capitato in sorte di sognare.
Vedrò di non fare MAI più certi sogni.
In Sha' Allah.

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