Nel gergo comune (facile e ottuso) Caporetto è sinonimo di disfatta italiana, di impreparazione e di insipienza, di vigliaccheria e di scarso senso dello stato, di sciagura nazionale e di devastazione totale. Molto si è detto e si è scritto ora sull'incapacità dei comandanti, ora sul tradimento dei soldati, ora sullo scarsa attitudine al dovere e al rigore della guerra da parte degli Italiani. A volte la rotta di Caporetto è presentata come l'emblema di uno stato che si sfascia (nel caso rappresentato dall'esercito di Cadorna), per colpa di comandanti troppo altezzosi, ingiusti, pieni di privilegi per sé e di pretese per i sottoposti, disumani, vanagloriosi e fanfaroni come generali da parata e da fumetto, burocrati, pieni di progetti anacronistici e velleitari e poveri di idee attuali e concrete, pronti a immaginarsi trionfanti nei sogni di gloria e incapaci di interagire con le persone e il paese reali, e che poi risorge per la bontà e l'eroismo del popolo, prima restio alla fatica e all'obbedienza, e poi improvvisamente eroico e laborioso innanzi al pericolo estremo.
SITUAZIONE GENERALE DELLA GUERRA
Già a metà settembre del 1917 le sorti della Grande Guerra parevano evolversi a tutto vantaggio degli Imperi Centrali. Ad eccezione delle colonie (ove l'Inghilterra si stava facilmente impadronendo delle poche e frammentate colonie tedesche) e dell'estremo Oriente (in cui il Giappone, per proteggere la propria espansione ed ostacolare il nascente colonialismo tedesco nella zona, aveva fatto causa comune con l'Intesa), su tutti i fronti principali (quello occidentale, quello orientale e quello balcanico), l'Impero Tedesco e l'Impero Austro-Ungarico, assieme ai loro alleati Bulgari e Ottomani, si trovava in crescente posizione di vantaggiorispetto alle forze dell'Inghilterra e della Francia unite ai Serbi, ai Montenegrini, ai Greci, ai Rumeni, ai Russi e agli Statunitensi, come forse mai lo erano stati dai tempi dell'inizio della guerra. Quell'equilibrio di forze che, dopo l'iniziale guerra di movimento dell'agosto-settembre 1914 (in cui la Germania pareva poter celermente e vittoriosamente arrivare a Parigi e l'Austria dilagare facilmente nei balcani dopo la distruzione della piccola Serbia), era perdurato pressoché intatto ed immutato per ben tre anni (lasciando fra l'altro presagire un'evoluzione sul lungo termine favorevole all'Intesa, per via dell'effetto del blocco navale inglese sugli approvigionamenti austro-tedeschi e di quello del logoramento imposto all'esercito tedesco dalla guerra contemporanea su due fronti, dopo il fallimento del piano Schlieffen) pareva pian piano rompersi pressoché ovunque, restituendo, in quell'autunno del 1917, agli Imperi Centrali quell'iniziale sensazione del 14 di poter risolvere la guerra sul campo a proprio favore e in tempi non lunghi.
La ragione principale è presto detta. Dopo i disordini sociali, le crisi politiche ed economiche, le enormi difficoltà dell'esercito di garantire la disciplina e gli approvvigionamenti, le rivolte per fame, l'abdicazione dello Zar Nicola II e la rivoluzione di febbraio di Kerensky, il potenziale bellico dell'Impero Russo (sul cui immenso impatto avevano fin dall'inizio fatto affidamento le potenze dell'Intesa, nella speranza di fermare con il numero o almeno logorare profondamente con il tempo, l'altrimenti inarrestabile macchina da guerra germanica) era ormai evanescente (siamo alle porte di quella che passerà alla storia come "Rivoluzione d'Ottobre" e che, consegnando la Russia al bolscevismo, ne provocherà come primo effetto l'uscita dalla guerra), mentre quello degli Stati Uniti, scesi in guerra ad inizio anno, non avava avuto alcun modo concreto di esplicarsi sul teatro bellico (quantità ingenti di soldati americani sul fronte francesi si avranno solo a 1918 inoltrato) ed era perciò ancora tutto da scoprire e da verificare (ed era fra l'altro ampiamente sottovalutato all'epoca: gli Usa non avevano mai combattuto sul Vecchio Continente e nessuno aveva ancora verificato come il loro potenziale industriale e tecnologico potesse tradursi in un altrettanto elevato potenziale bellico: d'altronde, in un mondo ancora culturalmente segnato dell'epopea napoleonica e da quelle romantiche, si tendeva spesso a sopravvalutare l'impatto anche in una guerra "industriale" di valori quali la tradizione militare, l'esperienza e il coraggio di ufficiali e soldati, lo slancio eroico di un popolo rispetto a dati quantitativi come la capacità produttiva di armi e munizioni, l'efficienza delle industrie e dei rifornimenti, l'avanzamento tecnologico).
Con Lenin appositamente introdotto sullo scenario russo dal treno militare segreto tedesco, e pronto a prendere il potere, e i soldati (e le industrie) di Wilson ancora lontani dall'apparire determinanti, tanto il Kaiser Guglielmo quanto il nuovo imperatore d'Austria Carlo (salito al trono alla morte del vecchio Francesco Giuseppe) avevano nei fatti e nei numeri la possibilità di chiudere la guerra prima di Natale.
Le conseguenze di tutto questo stavano diventando evidenti.
Sul fronte occidentale, a nord, gli Inglesi, al comando del generale Douglas Haig, tentavano disperatamente e senza successo di prolungare l'offensiva nelle Fiandre iniziata in aprile, volta nelle intenzioni del BEF a scacciare i tedeschi dai porti belgi sul Mare del Nord, ma destinata a preseguire fino a dicembre inoltrato senza risultati tangibili se non provocare fortissime perdite da parte britannica e sancire una grande vittoria difensiva da parte tedesca.
Poco più a sud, sul medesimo fronte, i Francesi dovevano ancora riprendersi dal clamoroso fallimento della offensiva progettata e guidata dal generale Nivelle, sul Chemin-des-Dames, in maggio: la situazione morale e materiale dell'esercito, con uno spirito combattivo divenuto ormai inesistente dopo le innumerevoli battaglie lunghe, sanguinose e inutili, con le defezioni all'ordine del giorno e con condizioni di vita nelle trincee insostenibili, era tanto grave (quasi sull'orlo del dissolvimento) che il prudente e pragmatico generale Petain (il primo forse a ricordarsi di come in guerra non esistano solo le armi ma anche gli uomini, ad istituire per questi turni di rotazione e avvicendamento in trincea, ad ascoltare tutti, dai semplici soldati agli ufficiali, sì da eliminare molte giuste ragioni di scontento, diffondendo nei rigidi protocolli disciplinari un alito nuovo di comprensione e d'indulgenza altamente umana, e da avviare l'esercito "prima alla guarigione e quindi alla convalescenza"), chiese come unico sforzo offensivo le non certo impegnative azioni del Mort Homme e della Malmaison.
Sul fronte orientale, l'esercito russo non rappresentava più ormai una minaccia per gli austro-tedeschi: molti soldati abbandonavano le armi e a piedi tornavano a casa, altri aderivano alla preparazione dell'imminente rivoluzione bolscevica, quelli rimasti erano male equipaggiati e peggio comandati, sovente mancando di munizioni, viveri e superiori fedeli alla causa, e se il Kaiser non dava ai suoi disciplinati soldati l'ordine di rompere quella parvenza di fronte che stava loro innanzi poco più saldamente di un teatro e marciare risoluti verso Mosca, Kiev e Pietroburgo era solo per non spaventare il popolo russo e i suoi nuovi capi, nella concreta speranza che, dopo la rivoluzione, stanchi della guerra, tutti questi avessero accondisceso ad una pace favorevole alla Germania (come in effetti avvenne poi nel marzo dell'anno dopo a Brest-Litovsk).
Sul settore sud dello stesso fronte, in Romania, le truppe tedesche, giunte in soccorso di quelle austriache che combattevano dalla Transilvania e dalla Dubruiga (e dall'entrata in guerra il 27 Agosto 1916 dei Romeni si trovavano in difficoltà ad indietreggiare), avevano non solo riconquistato tutte le posizioni perse, ma addirittura occupato gran parte del territorio, compresa la capitale Bucarest e ricacciato rumeni e russi in Bessarabia. Il progressivo crollo della Russia stava fra l'altro ponendo la Romania in una situazione delicatissima, isolata come è geograficamente da tutte le altre nazioni dell'Intesa: l'uscita dalla guerra della prima avrebbe significato anche la resa della Romania (come in effetti fu) e quindi la totale sparizione del fronte orientale (a tutto vantaggio degli austro-tedeschi).
Parziale eccezione in questo contesto sfavorevole all'Intesa era il fronte Italiano. Entrata in guerra il 24 maggio del 1915 a fianco dell'Intesa (nonostante la Triplice Alleanza in essere con Austria e Germania, giustificata da motivazioni geopolitiche, qiali la concorrenza con la Francia per l'influenza sull'area mediterranea e l'interesse a schierarsi con chi come gli Imperi Centrali non aveva praticamente colonie per sperare di partecipare alla spartizione di un Impero inglese sconfitto) per motivi "ideali" connessi al completamento dell'Unità nazionale con i territori irredenti del Trentino, della Venezia Giulia, della Dalmazia e dell'Istria e comportanti inevitabilmente un'ostilità verso l'Impero Asburgico, l'Italia aveva costantemente tenuto un comportamento offensivo.
Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale Luigi Cadorna, teorico dell'attacco, avrebbe voluto fin dal 1915 condurre una guerra in stretta cooperazione con gli Alleati, comprendente un'offensiva congiunta di tutte le forze dell'Intesa contro il cuore dell'Impero Asburgici, a partire dalla fronte giulia, in direzione di Lubiana e poi di Vienna. Poiché ciò non fu possibile, sia per l'opinione generalmente diffusa che la "decisione" della guerra si sarebbe avuta sul fronte del Reno (opinione condivisa dalla quasi totalità dei comandi di ambo gli schieramenti), sia per le difficoltà di coordinamento caratteristiche delle guerre di coalizione (il maresciallo Foch ebbe a dire: "dopo aver condotto una guerra di coalizione, ho ridimensionato di molto Napoleone"), con gli inevitabili egoismi e gli incomprimibili particolarismi (ognuno vuole sempre vedere come decisivo il proprio teatro di guerra e come fondamentali per la guerra nel suo assieme gli obiettivi più immediati e più utili a sé, e pochi sono disposti a sacrificare forze e a prendere rischi nel presente per avere dagli alleati la ricompensa a guerra conclusa), il Regio Eserciti Italiano dovette predisporre la propria guerra con le sue sole forze.
Più in generale, fu così che di fatto, nonostante sulla carta l'Intesa potesse disporre di forze ingenti dai più disparati paesi (La Gran Bretagna, con i suoi stati satellite del Commonwealth, Sudafrica, Canada, Australia e Nuova Zelandia, e le sue immense colonie, dall'India all'Africa, la Francia con il suo discreto impero coloniale, il Belgio aggredito, il Portogallo, la Grecia, il Giappone, la Russia, la Romania, la Serbia, il Montenegro), ogni componente dell'alleanza si limitò a
fare la propria piccola guerra, spesso in maniera poco coordinata rispetto agli altri, nel grande mosaico complessivo del conflitto mondiale, con risultati di molto inferiori (e sacrifici di molto superiori) rispetto a quanto sarebbe potuto accadere in caso di guerra veramente congiunta. Dall'altro lato, invece, sia perchè la coalizione era formata non da tanti stati nazionali, ma da due imperi vasti e politicamente unitari (Tedesco e Austriaco), più l'Impero Ottomano e la Bulgaria, sia poiché forse per affinità linguistica e culturale i Tedeschi non avevano alcuna difficoltà a venire in soccorso dei loro cugini austro-ungarici, la guerra fu condotta (almeno dopo le sconfitte austriache sul fronte orientale del 1914-15) in maniera molto più coordinata ed efficiente, con ottimizzazione delle risorse e massimizzazione dei risultati.
Cionondimeno, fino al settembre del 1917 la "guerra in proprio" del Regno d'Italia contro l'Impero Austroungarico, nonostante l'iniziale impreparazione di mezzi ed equipaggiamenti (la guerra venne decisa dai politici senza nemmeno avvertire preventivamente Cadorna, che l'apprese con stupore da suoi colleghi militari stranieri e non potè pianificare tutto quanto sarebbe stato necessario)e la cronica scarsità di bocche da fuoco (cui comunque si pose rimedio via via, fino ad arrivare nel 17 ad avere un parco artiglieria tale da non sfigurare al cospetto del pur ben armato nemico), si stava svolgendo egregiamente, senza fretta ma anche senza tregua. Non avendo potuto sfruttare la sorpresa iniziale (dopo il rifiuto di scendere in guerra con Austria e Germania, ogni mese di neutralità era un evidente avvicinamento a Francia e Inghilterra) e tentare una rapida avanzata (al momento della dichiarazione di guerra una buona metà dell'esercito non era ancora stata mobilitata e la restante, per via della decisione improvvisa non comunicata per tempo ai militari, non era aveva fatto in tempo né a raggiungere il massimo del suo potenziale di uomini e mezzi, né a stabilirsi nelle zone di guerra con caserme, comandi e magazzini, né a predisporre un attacco in forze), il Regio Esercito Italiano, anche a causa della natura del fronte sfavorevole all'offensiva, aveva seguito la strategia di procedere a piccoli passi successivi sulla fronte giulia, svolgendo solo azioni secondarie sugli altri fronti (lo Stelvio, il Trentino, il Cadore, la Carnia) e concentrandosi così prevalentemente sull'Isonzo, tanto a nord (verso Gorizia) quanto a sud (verso Trieste), con una serie di attacchi sistematicamente progressivi e sequenziali. Si è più volte criticato Luigi Cadorna su questo punto, contestandogli undici sanguinose e inutili battaglie sull'Isonzo, con l'unico risultato tangibile della presa di Gorizia (8 agosto 1916). Orbene, poiché motivi politici e non militari avevano impedito all'Intesa di sferrare un attacco decisivo in forze, e comunque era dovere dell'Italia, impegnata in una guerra di coalizione, fare qualcosa in più che stare a guardare, l'unico modo possibile di condurre la guerra con efficacia e autonomia era quello di sferrare, sulla linea dell'Isonzo e quindi in direzione di Lubiana e del cuore dell'Impero Austriaco (non certo sul Trentino da cui non si può raggiungere nulla se non la Baviera tedesca) una serie di offensive proporzionate al livello sia quantitativo sia qualitativo, delle proprie forze. Tali offensive, già nella mente del Comandante Supremo prima ancora che nei fatti, non avevano assolutamente il fine di sconfiggere sul campo l'esercito austriaco (ché sarebbe stato irrealistico, specie in quel tipo di guerra), né di "arrivare a Vienna" (fatto reso impossibile a un esercito di fanti ben più numeroso, complesso, bisognoso di rifornimenti e dunque inevitabilmente anche lento di quelli dell'epoca napoleonica, da una frontiera alpina), ma semplicemente quello (realistico e in gran parte effettivamente conseguito) di logorare l'esercito austriaco (peraltro impegnato contemporaneamente sul fronte orientale), di consumare le sue risorse, i suoi mezzi ed i suoi uomini (già provati peraltro dal fronte galiziano e da quello balcanico), e di farlo gradualmente arretrare fino a portarlo ad un punto in cui non avrebbe avuto più valide difese naturali su cui imbastire una linea di resistenza e non avrebbe avuto più riserve di mezzi e di uomini per fronteggiare un ulteriore attacco.
Solo in questo modo, senza fretta ma anche senza tregua, la guerra avrebbe potuto essere vinta da parte italiana. E tali condizioni si stavano effettivamente verificando nell'agosto-settembre del 1917. L'undicesima battaglia dell'Isonzo, sferrata da Cadorna sull'Altipiano della Bainsizza, seppur fermata (a fatica) dagli austriaci del generale Boroevic (comandante della Isonzo Armee) sull'orlo estremo orientale dell'altipiano (dopo di esso vi sarebbe stata la sola selva di Ternovo fra l'Esercito Italiano e le vitali vie Lubiana così vitali per l'Impero Asburgico), aveva condotto le truppe asburgiche ad una situazione tale, per precarietà della linea di difesa (ormai il cosiddetto anfiteatro goriziano, ossia l'imponente catena montuosa che impediva agli Italiani di avanzare verso il cuore dell'Impero Austroungarico, era stato scardinato e aggirato a nord dall'ala destra della 2° Armata di Capello che aveva occupato pressoché per intero la Bainsizza), per scarsità di riserve (le ultime truppe disponibili erano state impegnate nella battaglia per fermare l'avanzata italiana), per stanchezza fisica e morale, per logoramento di uomini e mezzi, che il comando austriaco non si riteneva in grado di sostenere un ulteriore attacco degli Italiani.
Per questo, il comandante austriaco Feldmaresciallo Von Arz, già il 25 agosto, nella speranza di scongiurare l'inevitabile, si decise, mettendo da parte il tradizionale orgoglio asburgico, a chiedere l'intervento tedesco. Il Feldmaresciallo Erich von Falkenhayn, dell'alto comando tedesco, conformemente alla scuola germanica in fatto di strategia, espresse chiaramente parere negativo sul distogliere le sue truppe da fronti nei quali si potevano cogliere successi decisivi per inviarle in zone in cui avrebbero potuto solo aiutare la difesa. L'unico modo che gli Austriaci ebbero per convincere i Tedeschi fu prospettare un obiettivo più ambizioso: non avrebbero i tedeschi dovuto fornir loro qualche divisione per rinsaldare la difesa dell'Isonzo e fermare gli Italiani, ma avrebbero dovuto togliere gran parte di quelle divisioni inattive sul fronte orientale (si erano di fatto sospese le azioni contro la Russia in attesa della rivoluzione che, se frattanto i tedeschi non si fossero mostrati ostili al popolo russo, avrebbe fatto ottenere politicamente gli stessi risultati di una marcia su Mosca) per sferrare assieme alle truppe austriache un'offensiva decisiva contro l'Italia, tale da toglierla dal conflitto e da permettere agli Imperi Centrali, una volta chiuso il fronte giulio con la distruzione dell'Esercito Italiano, di aprire, attraverso la pianura padana, un nuovo fronte contro la Francia sulle Alpi.
Se e come tutto ciò si sia tradotto in piani operativi e in risultato bellici è il tema delle prossime puntate.
Frattanto è utile concentrare l'attenzione sullo specifico del fronte italiano
LA GUERRA ALLA FRONTE ITALIANA
La frontiera con l'Austria, disegnata nel 1866 all'indomani sì della vittoria Prussiana di Sadowa che permise all'Italia di annettere il Veneto e il Friuli (Terza Guerra d'Indipendenza), ma anche della sconfitta militare di Custoza, era appositamente configurata in modo da svantaggiare grandemente l'Italia.
La linea a doppia "u" rovesciata del fronte offriva a un eventuale aggressore austriaco da nord la possibilità di discendere rapidamente dal saliente del trentino verso il Garda e la Pianura Padana (tagliando fuori il Veneto e il Friuli), mentre presentava, nella barriere delle Alpi Giulie (le quali, fra l'altro salivano mano a mano che si procedeva verso est, essendo il confine posto molto a occidente della displuviale) e dell'Isonzo un forte ostacolo a qualsiasi pensabile avanzata italiana verso est in direzione della Slovenia e dell'Austria propriamente detta. Non è esagerato affermare che anche se si fosse voluto soltanto difendere il territorio nazionale sarebbe stata prima necessaria (a meno di non accettare l'evacuazione dell'intero Friuli per accorciare la linea del fronte all'altezza dell'Altipiandi di Asiago e del massiccio del Grappa con il Piave) un'offensiva fino all'Isonzo, dato che difendere le valli del Natisone e dello Iudro dominate da vette tenute dal nemico e con sbocchi in pianura facilissimamente di lì accessibili sarebbe stato impossibile.
Allo scoppio delle ostilità il Capo di Stato Maggiore, generale Lugi Cadorna divise l'esercito in quattro armate, per ciascun settore in cui era stato diviso il fronte: la Prima Armata teneva il fronte dal confine Svizzero, attraverso lo Stelvio, i ghiacciai del gruppo Ortles-Cevedale e le dolomiti del brenta, giù a sud est fino al Garda, e poi, risalendo a nord est attraverso l'altipiano di Asiago, fino alla Valsugana, la Quarta Armata dal massiccio del Lagorai, a nord della Valsugana, attraverso la valle di Cismon, il Passo San Pellegrino, il Cadore e il Comelico, fino alla Carnia, la Seconda Armata dal massiccio del Monte Rombon-Monte Canin, confine fra le Alpi Carniche e le Alpi Giulie, fino alla zona a sud di Gorizia, lungo il corso dell'alto e del medio Isonzo, e la Terza Armata dal medio corso dell'Isonzo poco sotto Gorizia fino al mare davanti Trieste, lungo l'affluente Timavo e l'altipiano carsico. Al XII Raggruppamento Alpino Carnia spettava il compito di completare il fronte occupando quella zona aspramente montuosa, e situata fra l'ala destra della quarta Armata (Comelico) a quella sinistra della seconda Armata (Alpi Giulie).
Tale configurazione venne mai mutata da Cadorna nel corso della guerra. Le quattro armate non costituivano però unità omogenee fra loro, ma presentavano forti differenze sia qualitative sia quantitative nella loro composizione e nel loro armamento, conformemente alle diverse zone e ai diversi compiti assegnati, nonché anche ai diversi risultati ottenuti. Una prima macroscopica distinzione dipese da motivi strategici: poiché il massimo sforzo offensivo venne deciso sul fronte isontino, la seconda e la terza armata erano molto più consistenti d'organico e molto meglio equipaggiate in artiglieria della prima e della quarta, cui spettavano solamente compiti difensivi o di offensive secondarie, sì l'orchestra del Regio Esercito poteva essere visto come divisa fra una Isonzo Armée (Seconda e Terza Armata) dalla voce sonante e le altre due armate in tono minore. Per avere una dimensiona qualitativa di tale differenza, basti pensare che dallo Stelvio al Monte Canin, lungo ben 560 chilometri, erano schierati 206 battaglioni (un battaglione ogni due chilometri e mezzo), mentre dal Monte Canin al mare, su soli 90 chilometri, i battaglioni schierati erano 214 (ossia due e mezzo per ogni chilometro). Ulteriori differenziazioni all'interno di ciascuno di questi gruppi si erano però creata nel corso dell'ostilità: da un lato, poiché nella zona, principalmente di alta montagna (con addirittura trincee a 3000 metri di quota sulla Marmolada) della Quarta Armata non si erano verificati scontri di rilievo, mentre su quella della Prima Armata si abbatté nella primavera del 1916 la cosiddetta potente "Spedizione Punitiva" austriaca guidata dal Feldmaresciallo Conrad Von Hotzendorf volta all'annientamento dell'Italia (e fermata in extremis prima che sboccasse nella pianura grazie ai rinforzi predisposti da Cadorna), quest'ultima era divenuta sensibilmente più importante e meglio rifornita dell'altra. Dall'altro lato, sul fronte isontino, poiché a sud le difese davanti Trieste del torrente Timavo e del massiccio dell'Hermada si erano dimostrate invulnerabili ai ripetuti e sanguinosi attacchi, mentre a nord, nonostante il formidabile baluardo difensivo dei monti attorno a Gorizia, la situazione pareva più fluida e la città stessa era stata conquistata, il comando italiano fu via via incline a conferire alla Seconda Armata quantità sensibilmente crescenti di rifornimenti, riserve e artiglieria, rispetto alla Terza Armata, fino a farne di gran lunga l'armata più potente, numerosa ed anche complessa. Alla data del 17 Ottobre 1917, i comandanti d'armata italiani erano i seguenti: generale Guglielmo Pecori-Giraldi (Prima Armata), generale Nicolis Di Robillant (Quarta Armata), generale Luigi Capello (Seconda Armata), Duca Emanuele Filiberto di Savoia Aosta (Terza Armata). Si può dire che la fama e la valenza dei comandanti rispecchiasse l'importanza delle armate e dei loro settori. Il generale Pecori-Giraldi aveva sostituito durante la Strafexpedition del 1916 il generale Brusati (colpevole di non aver eseguito gli ordini di Cadorna e di aver lasciato sfondare gli Austriaci) al comando della Prima Armata ed era considerato lo stratega che aveva impedito al nemico (fermandolo a Passo Buole) di dilagare nella pianura. Godeva di ottima fama (meritata) ed era pronto a sostenere un eventuale attacco nemico sferrato nel Trentino (di cui gli austriaci spargevano apposta notizia). Il generale Di Robillant aveva invece sostituito alla Quarta Armata il generale Nava, dimostratosi incompetente, ma non ebbe mai modo di dimostrare di valere più del predecessore. Il generale Capello era di gran lunga il più famoso e il più discusso dei comandanti italiani: c'era chi lo considerava un genio e chi un folle, ma tutti dovevano riconoscergli doti strategiche d'eccezione, una grande determinazione, una volontà ferrea e una capacità di comando non comuni. Era il solo che aveva sempre osato, all'occasione, contraddire Cadorna, il quale, dopo i contrasti iniziali, si rese conto di non poter fare a meno del suo talento militare, scarseggiando in quel periodo generali capaci di creare e non solo di eseguire piani. Non è un caso se la sua armata era la più corposa e la più dotata di mezzi (ed anche la più complicata): in mano a qualsiasi altro generale avrebbe dovuto essere più razionalmente suddivisa in due o tre armate con comandanti autonomi, pena l'impossibilità di governarla, ma il genio di Capello aveva sempre reso più vantaggioso poter radunare sotto il suo diretto controllo una tale massa unitaria di uomini e mezzi, anche se la sua complessa e per certi versi irrazionale struttura
Infine il Duca di Savoia-Aosta era il comandante dotato di maggior prestigio, per il suo sangue reale e per le sue doti non solo militari (si mostrò e si mostrerà in seguito sempre all'altezza delle situazioni, anche nei momenti più difficili in cui molti generali persero la testa) ma anche umane (era il più amato dai soldati e il meno "cruento" nell'eseguire gli ordini "disciplinari" del comando supremo). Per questo nelle intenzioni del Comando Supremo a lui ed alla sua armata, la quale, seppur non fosse paragonabile a quella di Capello, era comunque consistente, venne affidato l'onore maggiore: quello di occupare il fronte davanti a Trieste, pronti ad entrare nella città giuliana qualora le sorti del conflitto fossero state favorevoli.
Dall'altra parte, il comando supremo austriaco era nel settembre del 1917 tenuto dal generale Arz Von Straussenburg, il quale aveva diviso le forze dislocate sulla frontiera con l'Italia in due Gruppi: il gruppo detto "Tirolo", comandato dal Feldmaresciallo Franz Conrad von Hötzendorf (uomo di ferro, ideatore della spedizione punitiva contro l'Italia del 1916 e nemico implacabile della "fedifraga Italia che avava osato tradire e sfidare l'impero") e costituito dalla 10a e dalla 11a armata austro-ungariche, il quale teneva il saliente trentino, e il gruppo detto "Belluno", comandato dal feldmaresciallo Svetozar Boroevic von Bojna (dimostratosi comandante abile ed esperto nel rintuzzare costantemente gli undici attacchi italiani, condotti con sempre più superiorità in numeri e mezzi) e costituito dalla 5a. e dalla 6a. armata austro-ungariche, il quale era schierato sul fronte dell'Isonzo (e per questo veniva chiamato anche "Isonzo Armee").
Questo era lo schieramento austriaco prima dell'intervento tedesco.
Al termine dell'offensiva italiana sulla Bainsizza (Undicesima Battaglia dell'Isonzo) i rapporti di forza sul fronte isontino erano i seguenti: ai 600 battaglioni e ai 5.200 pezzi d'artiglieria della Seconda e Terza armata italiane Boroevic (5a. e 6a. armata austroungariche) poteva contrapporre soltanto 250 battaglioni e 2200 pezzi d'artiglieria. Anche considerando che il battaglione austriaco era per tradizionale composizione generalmente più numeroso di quello italiano, si tratta comunque di un rapporto non superiore all'uno contro due. Considerata la delicata condizione sopra descritta (accennata nel capitolo precedente e meglio descritta più avanti) di trovarsi sull'estremo orientale dell'ultimo baluardo naturale di difesa esistente fra sé e il cuore dell'Impero si può capire quanto bisogno avesse il comando austriaco dell'aiuto tedesco.
Prima di esaminare nel dettaglio come questo venne fornito (prossima puntata), è opportuno un riepilogo dei fatti principali avvenuti sul fronte italiano dallo scoppio della guerra all'ottobre del 1917
AVVENIMENTI SALIENTI SUL FRONTE ITALIANO PRIMA DELL'OTTOBRE 1917.
Dopo il "primo balzo" del maggio 1915, volto a stabilire le basi di partenza per future offensive nell'attesa che l'esercito si mobilitasse per intero, i servizi fossero istituiti, i cannoni costruiti e le munizioni consegnate, gli avvenimenti principali furono essenzialmente due.
LA STRAFEXPEDITION: nella primavera del 1916 la Germania (che non è ancora formalmente in guerra con l’Italia) accetta di trasferire dal fronte occidentale a quello orientale ben 9 divisioni, per sostituire quelle austriache galiziane che vengono così ad accrescere la forza d’urto dell’offensiva austriaca in preparazione in Trentino contro l’Italia. La “spedizione punitiva” contro la “fedifraga Italia”, partita in grande superiorità di numeri e mezzi, fallisce solo per l’eroismo dei soldati italiani sul Pasubio, in Vallarsa e al Passo Buole (le termopiloi d’Italia), per l’abilità del servizio informazioni del comando della I armata (il quale è riuscito a captare in anticipo i segnali dell’attacco) e per la rapida e provvidenziale costituzione di una V armata con le truppe di riserva e le nuove leve (alcune delle quali formate da proprio da volontari accorsi nel pericolo estremo per la patria) appena in tempo per impedire al nemico di dilagare nella pianura vicentina tagliando fuori ¾ del regio esercito e provocando la catastrofe.
Una volta che i Russi riprendono l’offensiva ad est, gli Austriaci sono costretti a richiamare le loro divisioni e gli italiani vanno al contrattacco recuperando quasi tutte le posizioni perdute.
LA BAINSIZZA: Nell’agosto del 1917 il Comando Italiano, dopo 10 battaglie sull’Isonzo, pensa di sferrare l’attacco definitivo in grado di aggirare la muraglia difensiva di monti dell’anfiteatro goriziano e aprire la strada verso est, verso Lubiana e il cuore dei possedimenti Asburgici. L’offensiva viene preparata in grande stile, cannoni di medio e grosso calibro arrivano dall’alleata Francia, mitragliatrici e munizioni vengono sfornate a ritmo frenetico dalle industrie del nord, truppe vengono distolte dal trentino: per una volta non mancano né gli uomini né i mezzi. La II Armata può disporre di 26 divisioni, 2366 pezzi d'artiglieria e 900 bombarde, la III Armata di 18 divisioni, 1200 pezzi e 800 bombarde. Di fronte si trovano i 300.000 uomini (i quali aumentano nel corso della battaglia per i rinforzi provenienti dal trentino e dal fronte russo-rumeno) in 13 divisioni dell'Armata austro-ungarica di Boroevic.
Il centro dell’attacco è individuato nell’altopiano della Bainsizza (nel punto di congiunzione fra le due armate italiane dell'Isonzo), un'arida distesa sassosa strategicamente vitale. L'obiettivo immediato, infatti è [i]"di togliere al nemico la disponibilità dell'importante strada d'arroccamento del Vallone di Chiapovano che, durante tutte le battaglie dell'Isonzo fu un'arteria vitale di resisteza del nemico e di rigettarlo ad oriente in due tronconi, i quali non avrebbero trovato dirette comunicazioni che assai più indietor, all'altezza di Idria, per più lunghe e più difficili vie".[/i]
L'obiettivo direttamente conseguente è raggiungere i fini della guerra: con la conquista dell'altipiano di Bainzizza e della linea Trstely-Hermada la via verso est per Idria, Lubiana e il cuore dell'Impero nemico (una volta superata così la grande muraglia difensiva del San Gabriele, del Monte Santo, del Kobilek, del Kuk, del Vodice) potrà essere solo in discesa (la conformazione geografica è quella, dato che le alpi giulie degradano a oriente).
Il fronte austriaco è sul punto di cedere, il nemico abbandona nelle mani delle truppe di Capello in una sola settimana oltre 30.000 prigionieri e 70 cannoni, abbandona i capisaldi e si ritira (seppur opponendo forte resistenza).
Gli obiettivi immediati sono raggiunti: la Bainsizza è occupata quasi per intero, fino all’estremo orientale, e il sistema difensivo austriaco dei monti d’intorno è praticamente già scardinato: basterebbe un ultimo colpo, ma
l’offensiva si arresta appena i soldati italiani, avanzando, escono dal raggio della loro artiglieria, complice anche la difficoltà di rifornimenti in quel territorio arido e impervio proprio a ridosso di ferragosto. I tentativi italiani di infliggere il colpo decisivo continuano fino a settembre. Il nemico tenta disperati contrattacchi ed è comunque ad un punto molto critico: sa che non potrà sopportare ulteriori attacchi da parte italiana. La conformazione del territorio non lo permetterà. Tutto lascia supporre che il proseguimento dello scontro Italia-Austria sarà a favore della prima. Non sarà così solo per la caduta del fronte russo (e il conseguente arrivo di nuove divisioni Austriache e soprattutto Tedeschi), per l'intervento diretto tedesco e, colmo della sfortuna, proprio l'imminenza del successo italiano (con la II Armata, quella che ha ottenuto i maggiori successi, tutta sbilanciata di forze in prima linea verso oriente, con le seconde linee vecchie e poco presidiate, con l'ala destra molto "pesante" di truppe e tutta protesa a oriente fino all'estremo della Bainsizza, a un passo dal successo, e quella sinistra molto alleggerita e allungata, con relativamente poche truppe a nord nell'esteso settore fra il San Gabriele e il Monte Nero) renderà più facile il successo austrotedesco.
PREMESSE E CONSIDERAZIONI NECESSARIE
Poiché certa corrente sedicente storica e disfattista nei fatti è sempre stata pronta a svilire il peso militare e politico del Regno d'Italia (tanto da asserire esser stata di danno agli Alleati), vale innanzitutto la pena soffermarsi sulla valenza anche della sola neutralità italiana (e del mancato intervento a fianco della Triplice).
Preziosa" dichiarerà in seguito il maresciallo Joffre nelle sue "memorie". Ma anche gli atti parlamentari, i documenti diplomatici, i giornali dell'epoca, gli studi posteriori dicono abbondantemente che la neutralità italiana ebbe conseguenze "grandi", in senso dannoso agli imperi centrali ed in senso favorevole alla Intesa. "Decisiva forse " per l'esito finale: "decisiva certamente " per l'esito della battaglia della Marna del 6 settembre 1914. La Francia era convinta che l'Italia avrebbe schierato sulle Alpi 6 corpi d'armata per impedir loro di sboccare dalle Alpi in pianura. A sua volta i francesi avevano predisposto con il piano XVII di schierare sulle Alpi quattro divisioni di riserva (la 64a, la 65a, la 74a, la 75a); una divisione territoriale; otto gruppi di alpini; quattro reggimenti di guarnigione nelle piazze (il 157°, il 158°, il 159°, il 173°). Inoltre tenuto conto della piena libertà di movimento nel Mediterraneo, la Francia potè far rientare e trasportare dall'Algeria-Tunisia tre divisioni. In totale una forza di 350.000 uomini pari a dieci divisioni che la neutralità italiana rese disponibili per accorrere alla battaglia della Marna sferrata dai tedeschi; che inoltre non poterono contare sui 5 corpi d'armata e le 2 divisioni di cavalleria che Cadorna doveva portare al loro fianco sul Reno. BARRERE allora ambasciatore francese a Roma, in seguito sul "Figaro" di Parigi del 24 maggio 1927, dichiarerà: [i]"Mi luccicavano gli occhi quando ufficialmente appresi ufficialmente da Salandra la neutralità dell'Italia[/i] (1-2 agosto 1914). Il mio Paese (la Francia) aveva schierato alla frontiera italiana più di 350.000 uomini. Dopo la dichiarazione di guerra tedesca, io potevo avvisare il mio Governo che le nostre truppe al confine italiano potevano recarsi a combattere i tedeschi sulla Marna. E da quel momento la vittoria della Marna fu sicura e lo scacco della strategia tedesca assicurato. Sia la neutralità sia il successivo intervento italiano a est divenne uno dei grandi fattori della vittoria degli Alleati". I Tedeschi se avessero vinto sulla Marna in pochi giorni sarebbero piombati su Parigi. Dunque la vittoria morale apparteneva anche all'Italia. Eppure questa considerazioni non ebbe poi alcun peso sul contegno a Versailler di Clemenceau, Wilson e Lloyd George, i quali furono ostili alle rivendicazioni italiane, e perciò resero acuti e insolubili i contrasti. ------- "In secondo luogo, se è vero che nell'estate del 1914 l'Italia non era assolutamente pronta alla guerra, è altrettanto vero che in meno di un anno lo Stato Maggiore Italiano fu in grado di vestire, armare ed equipaggiare un esercito che, pur non essendo certo il migliore del mondo e il più attrezzato, fu comunque, nei fatti, in grado di fronteggiare da pari a pari quello a disposizione della potenza asburgica, la quale dispondeva di una tradizione militare secolare e di tutto rispetto, poteva arruolare truppe dai territori del suo immenso impero mitteleuropeo e contare su un'industria pesante fra le più moderne e sviluppate (un nome fra tutti: Skoda, che sarà importante anche per la 2gm).
"Allo scoppio del conflitto europeo, il 28 luglio 1914, anche se avessimo voluto, noi italiani non avremmo potuto partecipare alla guerra a causa delle condizioni del nostro esercito. /Avevamo/ - /scrive il generale SEGATO/- /grande deficienza di artiglierie, di fucili, di munizioni; di vestiario, d'oggetti d'equipaggiamento individuale e generale e di tutti quei mezzi tecnici (e perfino banalissimi) che si sono poi dimostrati indispensabili per ottenere il successo nella guerra moderna, nè il paese aveva capacità produttiva, - per provvedere alle lamentate deficienze. Inoltre vi erano, nel nostro esercito, insufficienza numerica e qualitativa dei quadri, deficienza quest'ultima derivante dal sistema di avanzamento per anzianità con insufficiente severità nella selezione dei non idonei" e "insufficiente forza bilanciata, per l'insufficiente addestramento delle truppe, e più specialmente delle grandi unità, alla guerra manovrata, e tanto più a quella in montagna, anche pel fatto che soltanto gli alpini avevano equipaggiamento da montagna"./* *Chi rimediò a tutto queste deficienze del nostro esercito, in meno di un anno, e fece un discreto strumento di offesa e di difesa, inizialmente fu il generale Cadorna con il suo autoritarismo, il quale, coadiuvato (ma solo in un primo tempo) dal Ministro ZUPPELLI e dai generali DALLOLIO e TETTONI, compì veri miracoli. "E' vero che permanevano grandi deficienze (soprattutto nell'artiglieria pesante, nelle sezioni di mitragliatrici per reggimento, e nell'equipaggiamento, fin anche nelle tronchesi e nell'esplosivo moderno indispensabili per far saltare i reticolati), in relazione al non certo assai progredito sviluppo industriale del paese di allora, ma si può dire: "stiamo lontani dalla guerra decisiva perché siamo deboli, impreparati e inadeguati, e accettiamo perciò le decisioni altrui" anziché "ci impegniamo con tutte le nostre forze, col sacrificio, con l'impegno, per essere più forti (o meno deboli), più preparati e tentare di decidere del nostro destino"?
Chi è per la prima ipotesi per me è un codardo, un debole, lui sì un “servo”, un “suddito stolto”, un prono al volere dello straniero, chi è per la seconda forse un ardito, un idealista, un imprudente, ma sicuramente un continuatore del mito risorgimentale.
Chi dice di essere per la seconda ma agisce come fosse per la prima è un velleitario (purtroppo ce n'erano tanti).
In terzo luogo, prima di considerare la guerra dell’Italia una catastrofe assoluta da cui imparare (paragonata addirittura ad Adua, ad onta del fatto che la guerra fu vinta!) e di cui fare ammenda (al di là che fosse giusta o meno la scelta dell’intervento), o addirittura vergognarsi, bisogna considerare quanto segue.
Le carenze erano gravi soprattutto all'inizio, nel 1915, tanto che i primi successi ottenuti in terreno ostile(celebre la presa di Monte Nero) vennero considerati miracolosi dall'ammirato nemico (l'ammirazione era sincera), poi la situazione via via migliorò, fino a permettere non solo la presa di Gorizia (8 agosto 1916), fatto (anche se limitato per estensione) tutt'altro che irrilevante in una guerra di posizione, ma al "quasi sfondamento" della Bainsizza nell'estate del 1917. Si disse, all'epoca, che "era la prima volta che la piccola Italia si preparava a far la guerra da Gran Signora". Mai si era vista, nella storia d'Italia, una simile concentrazione di uomini e mezzi.
Erra chi sostiene la tesi secondo la quale l'esercito italiano avrebbe fatto “solo il solletico” all’Austria e sarebbe caduto al primo attacco serio di quest’ultima (Caporetto), come si potrebbe evincere dalle vostre parole (dipingenti l’esercito come un’accozzaglia di improvvisati che “pensa di cavarsela con chiacchiere e affabulazioni").
Non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che le undici offensive sull'Isonzo non abbiano portato a grandi avanzamenti territoriali: la natura della guerra, su tutti i fronti, era di posizione a causa:
1) della disparità di fuoco, negli assalti, fra gli attaccanti, che avevano a disposizione solo i colpi dei fucili, e i difensori, che avevano invece le mitragliatrici fisse (questo verrà superato solo con l’invenzione, nel periodo fra le due guerre, delle “machine-guns”)
2) della mancanza di cannoni capaci di muoversi rapidamente e seguire la fanteria: quando questa riusciva a sfondare (nonostante le difficoltà del punto 1) e ad avanzare, non poteva percorrere che poche decine di chilometri oltre le linee prima di risultare priva dell’appoggio della propria artiglieria, e doveva attendere il riposizionarsi di questa in posizione più avanzata; in quel momento critico, un contrattacco del nemico (che al contrario aveva l’appoggio dell’artiglieria) poteva ricacciare facilmente indietro gli attaccanti, creando un continuo tira-e-molla tale per cui, appunto, per pochi progressi territoriali vi erano forti perdite e ripetuti attacchi (questo verrà superato solo con i cannoni dei carri armati, invenzione che sarà diffusa soltanto nella seconda guerra mondiale e fu responsabile del ritorno alla guerra di movimento).
3) Del territorio montuoso, aspro, o comunque accidentato del fronte (i ghiacciai dello Stelvio, il Trentino, il Cadore, il Comenico, la Carnia, le Alpi Giulie, il Carso), il quale peraltro, sull’Isonzo (dove per scelta strategica ebbero luogo le offensive italiane), vedeva di là dal fiume ergersi una poderosa catena montuosa che degradava lentamente verso est (da cui gli austriaci accedevano coi rifornimenti) ma si presentava alta e ripida sul versante ovest (quello del fiume da cui attaccavamo). Alle spalle del regio esercito invece, oltre alle vette faticosamente strappate agli austriaci (e troppo poco distanti dal fiume per lasciare un vero spazio di difesa: erano adatte solo come teste di ponte per attaccare) si stendeva, al di qua dell’Isonzo, il Friuli e la pianura (in pratica era una situazione geografica “unidirezionale a sfavore degli Italiani”, in cui era molto difficile attaccare e ancor più difendere)
Nonostante questo, per tutta la durata della campagna dal maggio del 15 fino all’ottobre del 17 fu sempre e solo il Regio Esercito Italiano a far segnare dei successi (sia pure parziali) e a tenere in mano l’iniziativa, tranne nelle due famose occasioni, la Strafexpedition del maggio-giugno 1916 e, appunto, Caporetto, e in entrambe fu decisivo per gli austriaci il poter richiamare sul fronte italiano le truppe impegnate ad oriente e/o l’aiuto tedesco.
Fatte le premesse e illustrate tanto la situazione generale della guerra mondiale quanto quella particolare in Italia, domani saremo pronti per analizzare come venne elaborato questo aiuto tedesco, in che misura i comandi italiani ne ebbero conoscenza e come pensarono di prepararsi.
FINE PRIMO EPISODIO
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