La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Salı, Eylül 11, 2007

Pavarotti, Orfeo, la Morte e le Sirene.













L'ultimo viaggio di Pavarotti
Se Luciano Pavarotti fosse stato un uomo comune, dovremmo, secondo l'usanza degli Avi Latini, chiudergli le palpebre con la mano e porgli sotto la lingua una moneta d'oro, perché abbia di che pagare Caronte nel traghettaro nell'Ade e non rimanga a vagare senza posa come chi non riesce ad attraversare lo stige e resta sulla terra come fantasma.
Poiché Pavarotti era eccezionale, eccezionale sarà anche il tragitto che dovrà compiere per raggiungere non semplicemente l'Ade, ma a quel castello di Spiriti Magni in cui albergano coloro fra cui persino Dante "fu sesto, fra cotanto senno".
Magari, come ogni navigazione, quella, l'ultima, sarà perigliosa, e fra i vari rischi non vi potranno essere soltanto venti contrari, tempeste e mostri marini, ma anche le più pericolose di tutte le bellezze: le sirene.

E' credenza attuale che le sirene siano creature acquatiche, con i lunghi capelli dorati, mossi dall brezza marina come un soffio arcano olezzante di paradiso e fluenti come il riflesso del sole sulle onde. Tale mitologia è una mitologia nordica, vichinga, non mediterrane. Nella vera mitologia greca le sirane sono creature aeree, e la loro stessa bellezza corporale si spande nell'aria come quella del canto. Il loro è un canto melodioso, corrispondente canoro della melodia delle loro forme, della bellezza alta ed eterea della figurloro sospesa sugli scogli, come un incanto. Da lì spandono infatti nell'aere un'armonia più perfetta e più soave ancora della perfezione e della bellezza dei loro corpi lunghi e sinuosi e delle loro chiome da sogno.


Come gli Argonauti e le sirene
Secondo il mito degli Argonauti, queste creature aeree attiravano a sé i naviganti, che al loro canto non sapevano resistere, e li facevano schiantare violentemente sugli scogli, frantumando le loro vite fra atroci sofferenze, e lasciando poi i loro corpi straziati scoperti al sole, ove alcuni agonizzavano per giorni, bruciati dalla luce e dal sale, prima che la morte sopraggiungesse.

Nessuno che avesse ascoltato quel canto infinitamente sublime e avesse visto quella bellezza infinitamente alta e perfetta era poi tornato vivo, finché un giorno transità presso quegli scogli la nave degli Argonauti, di ritorno dalla Focide. Era fra essi Orfeo, il cantore che incantava tutti i viventi, animali e uomini, con la sua musica, e tutti gli immortali, tanto che era riuscito tramite essa a convincere persino Plutone, dio degli inferi, a lasciargli riportare alla vita la sposa Euridice (che poi perse voltandosi indietro, ma questa è un'altra storia). Questa volta non era accompagnato da donne, ed anzi aveva partecipato all'impresa di Giasone assieme agli altri Argonauti, e non aveva alcuna intenzione di morire o di lasciar morire i suoi compagni di tante avventure sulla nave Argo.
Appena udì le sirene, prima ancora di vederle, iniziò dunque a suonare il suo flauto. Era la sua musica soave quanto quella delle perniciose bellezze del mare. Aumentarono le sirene l'intensità e la soavità del loro canto, ma Orfeo si fece ancora più melodioso con il flauto incantatore. Tutti gli argonauti erano rapiti dal canto delle sirene, ma non potevano abbandonare la nave perché le note di Orfeo possedevano una magia parimenti incantatrice. Guardavano tutti o le sirene o Orfeo. Poi l'intensità del canto delle sirene salì ancora, e salì parimenti quella della musica del cantore umano. Gli sguardi si volsero sempre più rapiti verso l'alto, quasi a voler cogliere con lo sguardo le note dell'una e dell'altra musica che si spandevano sì soavi nell'aria. Pareva impossibile aumentare la bellezza dei suoni, eppure così fecero le sirene e così subito dopo fece Orfeo, di rimando.
Ormai non solo gli uomini, ma tutte le forme di vita erano incantate. I gabbiani cercavano di stare sospesi a metà fra la barca e gli scogli, mentre gli augelli più piccoli, dovendo battere più in fretta le ali, si agitavano fra l'una e l'altra fonte e facevano acrobazie aeree per inseguire le note. Persino i pesci cercavano di venire a galla per ascoltare, ma non si dirigevano né verso gli scogli, né verso la barca, poiché indeciso era anche il loro istinto sul quale delle due fonti di melodia fosse più alta.
Anche gli argonauti erano indecisi, e guardavano ora Orfeo, ora le Sirene, e sebbene la bellezza di queste ultime fosse, da quella distanza, infinita, non riuscivano a smettere di essere trattenuti presso il loro compagno cantore.
Parevano passare ore e pareva che da un momento all'altro dovesse aprirsi il cielo e dovessero scendere gli dèi, perché tutto finisse in quel trionfo che il crescendo di armonia pareva far sentire. Invece gli dèi non scesero. Tutto si fermò su quel mare, e persino i venti cessarono di soffiare per non disturbare quel duello di note. Ogni forma di vita era ferma e incantata. Fra gli uomini della nave argo qualcuno addirittura svenne. Passarono altri minuti ed altre ore. Non era possibile per la mente immaginare un'armonia più pura e un tono più dolce. Eppure Orfeo riuscì col flauto a creare una melodia ancora più suadente. A quel punto, lentamente, il canto delle sirene diminuì d'intensità. Dapprima impercettibilmente, poi via via più consistentemente. Anche il ritmo rallentava e le note si slegavano l'una dall'altra. Dopo qualche minuto la loro armonia si ruppe, e contemporaneamente i loro capelli divennero via via bianchi. Il loro corpo, dapprima sodo e modellato, si coprì di grinze e di squame. La pelle, da liscia e luminosa, divenne pian piano una spenta coperta raggrinzita.. Infine le ali, con cui le sirene si tenevano sospese, divennero rigide e sottili e non poterono più sostenerle. Le sirene, ad una ad una, come morte foglie, caddero in acqua, con sordo rumore. Gli Argonauti videro i loro corpi sparirono fra gli stessi scogli su cui si erano schiantate le tante e giovani vite dei naviganti che li avevano preceduti.

Dopo che accadde ciò, Orfeo cessò il suono del flauto e tutto il mondo, sulla terra e sul mare, riprese la monotona armonia "ordinaria". Gli Argonauti, sollevati ancora più che allietati, come dopo un sonno lungo e ristoratore, tornarono all'opre marinare e si avviarono sicuri verso casa.


Significato del mito per gli amici di Pavarotti
Ho raccontato questo piccolo mito, parte del maggiore mito degli Argonauti, a sua volta componente il Grande Mito greco (che so essere apprezzato da chi mi ha letto) per parlare sia agli amici di Pavarotti, sia agli amici dell'Escortismo.

Ai primi voglio dare tranquillità, giacché il canto infinito di Luciano non potrà non battere quello delle sirene, per cui la sua imbarcazione giungerà sicura a destinazione anche senza pagare nulla. Dico solo che, mentre Orfeo morì poi dilaniato dalle Baccanti, vorrei che l'eredità terrena di Pavarotti non fosse similmente dilaniata dalle onnipresenti "signore" pronte a contendersi sempre tutto più bramosamente e più furiosamente delle arpie. Diceva Schopenhauer che vedere una donna essere bruciata assieme al marito defunto, come fanno in India è turpe cosa, ma che anche vedere l'eredità, che un uomo ha messo faticosamente da parte in un'intera vita di sacrifici fatti pensando ai figli, bruciata dalla moglie rimasta in vita a godersi tutto con l'amante non è bello, e si dovrebbe dunque evitarlo concedendo alle donne mai l'eredità intera, ma soltanto un vitalizio. Ora io non mi pronuncio su eventuali modifiche alle successioni, ma solo sull'auspicio che le "signore pavarotti" si dimostrino più pacate e umane delle Baccanti che divorarono il corpo di Orfeo, o che almeno evitino di agitarsi platealmente come furie per i quattrini mentre ancora Pavarotti non è passato definitivamente nell'Ade (o presso gli spiriti magni): ci vogliono almeno settimane di navigazione.......

Significato del mito per gli innamorati e gli incantati
Ai secondi, invece, cioé agli amanti delle escort e agli incantati dalle donne in genere, voglio dare un ammonimento (che è anche un consiglio). Se ancora non l'hanno fatto dentro di loro, bisogna interpretare la metafora mitologica delle sirene. Essa infatti descrive perfettamente la situazione di chi si innamora di una accompagnatrice o resta comunque incantato dalla bellezze muliebre essendo per essa disposto a tutto.

Anche chi si accosta ad una donna di divina bellezza non da cliente è comunque inerme come i naviganti d'innanzi alle sirene. Esse, le donne avvenenti, hanno dalla loro la bellezza del corpo, le chiome lunghe, i seni angelicati, le membra modellate, il guardo soave e la figura perfetta, e l'illusione generata dal desiderio infinito di tali grazie, nascente dalla natura e dal profondo dell'essere ma facile a sublimarsi anche all'intelletto.
Con tali armi e tali malie potrebbero ottenere tutto dall'uomo, indipendentemente dall'intelligenza e dal potere di questi. Potrebbero decidere di sbranarlo economicamente e sentimentalmente oppure, se non lo trovano di loro gradimento o utilità, potrebbero dilettarsi a ferirlo comunque profondamente e lasciarlo perire a poco a poco divertite dal crudele cruento spettacolo.

Sfruttando le debolezze carnali altrui, facilmente trasfornantesi in altrettante debolezze sentimentali, le sirene umane (siano o meno escort) dilaniano moralmente, economicamente e psicologicamente un uomo togliendogli ogni avere, ogni sentire, ogni pensiero di ragione, di interesse e di fiducia ed ogni speranza di felicità. Se qualcosa ancora rimane di vivo alle loro vittime, non è che per piangere la sciagura. Inizia sempre allo stesso modo, con la seduzione del corpo e poi della mente, con le parole e poi con i sentimenti, con l'uomo che insegue la fonte della melodia la quale finge di fuggire. Diversi sono i modi in cui la fonte illusoria di bellezza si tramuta in una fonte reale di dolore (a volte fisico, spesso mentale, sempre anche psicologico) e si può dire di morte, dato che la vita di chi ha incontrato le sirene diviene, per opera di queste, peggiore della morte (essendo fugata ogni energia vitale ed ogni speranza di gioia nel vivere). Diversa è anche la sorte dei naviganti uomini. Qualcuno magari non è dilaniato esplicitamente sugli scogli, ma ridotto in cenere anche senza cadere in mare, poiché il fine di chi è ritta sugli scogli (o in discoteca) è quello di accrescere ad arte il desiderio per compiacersi della sua negazione, renderlo ridicolo dagli occhi suoi o dei presenti, trattarlo con sufficienza, come chi ha tanti ammiratori e può fare a meno di tutti, farlo sentire uno dei tanti, un banale scocciatore, o, più specificatamente, provocargli ferimento psicologico, sofferenza fisica ed emotiva, disagio da sessuale ad esistenziale (con rischio di ossessione), frustrazione intima, umiliazioni pubbliche o private, irrisione nel desiderio (nel migliore dei casi)
Questa è spesso la finalità vitale di tante sirene dilettanti (volgarmente dette "stronze" e più volte da me definite), che a quelle vere somigliano solo di lontano (più nel corpo che nel canto).

Le top-escort, poi, sono davver come le sirene, hanno chiome infinitamente fluenti, corpi infinitamente lunghi e perfetti, figure infinitamente alte e slanciate, pelle levigata, rotondità soavi nel petto e membra e forme lisce, modellate come dalle onde, ma sono umane (nel senso di reali) soltanto a metà, in quanto ciò che le fa apparire di "bellezza sì alta e nova", verso cui ciascun uomo non parla ma sospira, non è reale, ma etereo, impalpabile, ideale, appunto. Esse interpretano il sogno estetico dell'animo contemporaneo, e per questo sono sommamente disiate al di là del corpo: sono un ideale etereo che incanta vivendo dentro un corpo ma è pur sempre un ideale, non un corpo. Per questo molti si innamorano soprattutto DOPO aver goduto della bellezza corporale. E l'ideale, in quanto recitato ad arte, non sarà mai raggiunto da nulla di reale, men che meno partendo dalla recita scenica che l'attrice ci ha offerto a pagamento.
Un Illustre sconosciuto affermò giustamente che con loro si paga per l'illusione.
Noi paghiamo credendo di desiderare soltanto le bellezze del corpo, ma ciò che rende esse irresistibili (tanto irresistibili che per esse molti uomini si rovinano come i naviganti incauti) è l'illusione di giungere attraverso di esse a bellezze celesti, aeree come appunto il canto delle sirene. Le sirene moderne (le escort, o anche altre donne, specie se indossatrici o attrici) lo sanno e per questo sfruttano tutto quanto di economico o di sentimentale si può trarre sbranando un uomo che si invaghisca della "donna celeste" che è dietro quella "terrestre" (che ha in un modo o nell'altro "pagato" e raggiunto carnalmente) e che, più quest'ultima è vicina, raggiunta ed anche già goduta, più continua a fuggire. Sono questi uomini come stolti incantati dall'immagine deformata allo specchio (di una donna che è dietro di loro e cha hanno già abbriacciato, "superato", scopato ecc.), per raggiungere la quale continuano a premere sul freddo vetro venendo inesorabilmente respinti. Sono questi uomini come i nauti stolti che sporgono dalla nave da cui sentono il canto delle sirene e si gettano in mare morendo sugli scogli.

Non ascoltate, o uomini, il canto delle sirene, copritevi le orecchie e continuate a guardare le loro forme, a godere la loro bellezza e ad appagarvi di ciò che non ha voce. Se ascoltate siete perduti. Oppure, se proprio volete conoscere quanto alto e soave può essere il canto di una sirena, l'incanto di una escort (la quale non è solo bellezza corporale, ma anche dialogo, estasi, sogno), fate come Ulisse: fatevi legare. I lacci, fuor di metafora, sono i limiti che un rapporto puramente professionale "cliente-escort" (pur nella pienezza della bellezza scenica e "canora" del sogno estetico completo per cui si è pagato) garantisce, almeno finché si rispettano i ruoli e i patti.

Oltre la scena può andare solo chi sia davvero come Orfeo.
Ma chi è davvero Orfeo? L'ho lasciato da parte fino a questo punto della parabola proprio per spiegarlo meglio.

Orfeo, il cantore
Leggendo il mito fra le righe, capisco, non solo e non tanto dall'episodio degli argonauti, ma da quelli della discesa agli inferi per Euridice e della morte, che Orfeo incanta tutti coloro che possono essere preda dell'amore e sostituisce all'illusione naturale quella della propria musica, della propria poesia e, estesamente, dell'arte in generale.
Per molti l'amore naturale, con tutte le sue sofferenze (non ultime le delusioni, gli inganni e le fatiche del corteggiamento quasi sempre vane) è la vera vita degna di essere vissuta, per me invece la vita VERA è altro, è nello spirito, nella conoscenza, nell'amore celeste, mentre nell'amore terreno (i cui bisogni carnali pur vanno soddisfatti al pari del cibo e del sonno) la natura mostra la stessa crudeltà del suo perenne ciclo di creazione e distruzione (in cui, come nota l'Islandese del dialogo Leopardiano, chi è sbranato soffre e indicibilmente e chi sbrana non gode). Io considero le pene dell'amore naturale crudeli e vane esattamente come crudeli vedo, sempre opere della natura, lo sfiorire della bellezza, tanto cara e soave, tanto fuggevole e piena di malinconia (se si pensa come all’impietoso scorrere degli anni dovrà mutarsi, sfiorire, ed infine, vinta, appassire, similmente a un fiore senza linfa) di una fanciulla (tanto sublime però nel suo mostrarsi, nel suo dischiudersi, nel suo splendere, che un animo poetico potrebbe paragonarla ad un aurora, ad una calda ed avvolgente aurora sorgente sopra i mari, con i crini cadenti sull’onde e il rosato purissimo disteso sulla molle sabbia della riva, un’aurora che sorge e s’irradia con sempre maggiore splendore fino a diventare sole radioso: potrebbe, se non fosse per un particolare non piccolo, quello che Catullo sussurrava a Lesbia nel carme Vivamus atque amemus: “Soles occidere et redire possunt, nobis, cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda”), come la natura chimerica del piacere, come il fatto che ogni amanza sia tenuta in vita dal solo desiderio e si dissolva al raggiungimento (e quindi esista per la frustrazione e mai per l'appagamento), come la frattura insanabile fra l'infinito del desiderio e la finitudine dell'appagamento terreno.
Per ovviare a tutte le crudeltà che ho elencato paragonandole alle sofferenze del corteggiamento, l'uomo cercherà quindi di donare alla donna (ed a se stesso) l'immortalità, facendo risplendere per sempre nei marmi, risunare nelle rime, rispecchiare nelle pitture, sublimare nei suoni e nelle immagini delle liriche, ed eternare così nelle opere partorite chi ha carnalmente desiderato, vedendo in lei vivere il proprio ideale estetico e rifulgere ciò cui ha anelato nelle sue più alte speculazioni filosofiche e nelle più intense estasi artistiche, al fine di elevarla al mondo delle idee, di farla divenire dunque, parimenti alle dee, non più soggetta alla corruzione terrena, ma immortale, di cantarla in versi e permetterle di continuare a vivere grazie ad essi, anche dopo la morte, nel ricordo dei posteri.

Orfeo, che riesce a far tornare Euridice dagli inferi, è innanzitutto un cantore.
Egli canta la bellezza e rappresenta la poesia, nel senso di creazione di immagini e suoni attraverso l'arte del dire, e soprattutto nel senso di parola eternatrice.
La parola dell'uomo, infatti, eleva la bella dama dalla sfera terrena, soggetta alla corruzione del tempo e della morte, a una condizione ideale e imperitura nella quale, a similitudine delle cose divine, la medesima bellezza, intatta ed immobile, si perpetua uguale a se stessa, cosicché, al sicuro dalla furia degli anni e dall'impeto dei secoli, possa essere adorata dai posteri nella chiusa perfezione dell'opera d'arte. Così le donne amate dai poeti, come le fanciulle ritratte sulle urne greche, cristallizzate nel ricordo e intatte nella bellezza, si salvano dall'oblio della storia per elevarsi a quella sede beata di sogni e illusioni in cui albergano serene le dive d'olimpo.
Persino Diana, Bellona e Citera erano soltanto donne mortali, prima di divenire dee per il canto de’ poeti se si accetta il mito rivelato dal Foscolo nell’ode “All’amica Risanata”. La prima, casta e timida, era il terrore dei cervi: che sarebbe di lei, tutta bianca nel suo manto d’argento, se i poeti non le avessero consacrato altari in terra e il carro della luna in cielo? La seconda, vergine amazzone, correva con le chiome sciolte per i boschi di Arcadia: chi saprebbe la sua ira guerriera se un poeta non l’avesse resa immortale? Infine anche colei che sola fornisce nutrimento all’arte, Venere Citerea, colei di cui ogni amata è sacerdotessa, era una donna mortale, che schiere di poeti resero diva cantandone l’immortal bellezza.

Orfeo rappresenta tutto ciò esteso all'intero cosmo, non solo all'umanità. Per questo incanta tutti gli esseri viventi, dalle belve agli dei immortali.
La vita fra gli individui si propaga a prezzo della distruzione individuale, nel ciclo di nascita e morte. E' l'uomo ad aver creato la poesia eternatrice, grazie alla quale la bellezza della donna e il desiderio dell'uomo, sublimati nella perfezione delle rime e nella musicalità dei versi, si elevano all'idealità che non teme, come le cose terrene, la morte ed il tempo, ma risplende perennemente uguale a se stessa, e permette di tramandare la vita degli individui cantati nella sua unicità, come fosse la vita divina degli déi olimpici.

Spetta all'uomo creare un mondo in cui la felicità possa esistere "in positivo" e non solo "in negativo" come assenza di affanno, giacché la vita (di natura) è invece indissolubilmente legata al dolore ed il desiderare alla sofferenza: frustrazione per l'inappagamento o al contrario delusione nel raggiungere l'oggetto del desiderio, il quale, una volta divenuto reale, perde quell'aurea di idealità armoniosa e beata che ce lo aveva fatto bramare come sommo bene. E' soprattutto questo il vero significato di Euridice che sparisce per sempre quando Orfeo si volta indietro a guardarla "realmente", anziché continuare a cantarla "idealmente" fino all'uscita da quell'inferno terreno da cui stavano riemergendo. Volendo rivedere e riabbracciare la donna reale, egli l'ha spogliata di quelll'alone di luce diffusa che l'avvolgeva in quanto meta ideale di desiderio e, così facendo, l'ha condannata per sempre, giacché non potendo rimanere perfetta come solo ciò che è immaginato o ricordato può essere, l'infelice Euridice non poteva più nemmeno essere immortale, e quindi in grado di uscire dalla morte. Dimostrando di amare la donna reale, e di accontentarsi di lei, del suo amore terreno e del suo affetto, egli ha rinunciato a creare il mondo in cui far vivere in eterno la figura ideale dell'amata, e che pure aveva iniziato a creare davanti a Proserpina e Plutone i quali difatti da esso erano stato per il momento vinti.

Questo mondo è la Poesia, questo mondo è la Letteratura in genere, sono la Pittura, la Scultura, le Arti figurative, questo mondo è la Musica. In esso il desiderio si sublima alla sfera intellettiva e l'oggetto di esso diviene rima, verso, suono, melodia, e, come tutte le cose divine, risplende di una bellezza destinata a propagarsi sempre uguale a se stessa, non più a prezzo della distruzione individuale nel ciclo di natura, non più soggetta alla corruzione del tempo e della morte.


L'arte di trattare "le sirene"
Perché l'esempio di Orfeo è importante per la categoria dei clienti innamorati e degli incantati in genere dalle donne? Semplicemente perché, lasciando da parte la triste storia di Euridice, nell'episodio degli Argonauti e delle sirene Orfeo fornisce un insegnamento fondamentale.

Per non essere inerme di fronte alla bellezza e poter fronteggiare chi, come le sirene, con essa emana pernicoosa e irresistibile seduzione, egli vi contrappone altra bellezza, ma non nel senso stolto in cui capirebbero i pisquani e i palestrati (mi vengono in mente i gigolò che Madonna Chiara narrava pretendere di "pareggiare" i rates con lei).

Che la bellezza fisica di una donna si debba accompagnare ad altra bellezza fisica (maschile) è un'idea "moderna", "televisiva", "politicamente corretta" (ripresa e sfoggiata da talune donne come segno di emancipazione e sostenuta da taluni uomini come mera speranza di essere apprezzati pur senza eccellere in nulla al di fuori della palestra), e piuttosto ingenua. Io, invece, cresciuto alla scuola del Dolce Stilnovo, penso che la beltà corporale di una donna si accompagni piuttosto alla conoscenza ("biltà di donna e di saccente core", diceva Guido de' Cavalcanti), ad una bellezza non corporale chiamata "cor gentil", alla cultura, alla squisitezza intellettuale, all'abilità di creare, con le parole, suoni e immagini tali da perdere la mente negli imperi dell'illusione e del sogno e di donare a chi ascolta, come nel rapimento estatico dell'arte, un'ebrezza inesausta dei sensi delle idee. Non dunque ad altra bellezza corporale associo la fisicità di una donna, ma all'amore per la Bellezza stessa, ossia per tutto ciò che essa ha ispirato nei secoli agli uomini dotati d'intelletto e di sentire nobile, e, sopra ogni cosa, per l'idea immortale del Bello in tutte le espressioni attraverso le quali si rende sensibile agli occhi, alle orecchie, alle menti dei mortali: la poesia, la scultura, la pittura, il bel canto, la musica, le belle lettere e, ovviamente, le Donne.

Se la Donna è come un verso, non può e non deve essere apprezzata dalla Ragione, ma deve essere amata dall’anima nell’istante in cui si fa visibile,
allora l’uomo è come la prosa ampia, elegante ed armoniosa del Boccaccio: ha bisogno di tempo e di spazio per esplicare tutto il suo fascino e deve soprattutto comunicare un senso.
Una Donna potrà apprezzare un uomo dopo averlo conosciuto nel fondo dell’animo, così come si apprezza un romanziere, il suo pensiero e il suo stile, dopo aver letto le sue opere, ma per un Uomo non esiste fiamma d’amore vero che non scaturisca dalla vista, il più nobile dei sensi, come sosteneva Cavalcanti. Dall’ammirazione per la Bellezza l’uomo dotato di intelletto si eleva alla contemplazione di quel mondo Ideale dello spirito a cui ha anelato a lungo nelle sue speculazioni filosofiche o nelle sue estasi artistiche. La Donna, sacerdotessa di Citera sulla Terra, proprio come un verso perfetto, deve rispettare, nel corpo e nello spirito, nel vestire e nel guardare, nel comportamento e nelle movenze i canoni classici di armonia, di compostezza e di equilibrio, raffigurando al contempo l’elegante slancio della bellezza terrena verso quella divina con la grazia dello stelo di un giglio proteso verso la luce.
La donna ha il privilegio di essere desiderata in sè e per sè, per la propria mondanità, per la propria grazia, per la propria leggiadria, non ha bisogno di imporsi nel mondo del lavoro o del successo. Un uomo invece non può essere apprezzato se non è avvolto dall'aurea si successo data soltanto dall'aver mostrato la capacità di raggiungere i propri obiettivi. Quello stesso fascino che a una donna è attribuito dalla bellezza a un uomo è donato dal successo, inteso proprio come capacità di ottenere i risultati proposti. A meno che un uomo non sia cinto dall'aureola dell'artista, la quale anche qualora immeritata, fa dire alla donna "in lui brilla la pura fiamma dell'arte alla quale mi scaldo io sola" (G.d'A) egli, come cavaliere, è obbligato a mostrare quanto vale. Difficilmente una donna ammira un uomo esclusivamente per la bellezza, più facilmente lo apprezza se egli ha la capacità di imporre il proprio valore nel mondo. Se nel mondo eroico ed omerico la gloria era conseguita mostrando la propria virtù sul campo di battaglia, in un mondo capitalista come quello moderno la stessa stima è raggiunta con la capacità di produrre ricchezza. Non è assolutamente escluso che in futuro il valore di un uomo venga attribuito da altro (in un mondo utopico nel quale gli uomini, emancipati dalle occupazioni terrene e soddisfatti al contempo nel proprio desiderio di beltade e di ebbrezza e di piacere dei sensi, potranno dedicarsi totalmente alla creazione di opere immortali, nell'arte, nella cultura, nelle belle lettere, nella matematica, nella filosofia ed in ogni altra espressione della speculazione intellettiva o della sublimazione ideale della Bellezza e del desio per la donna, potrà essere, forse, anziché il denaro, il puro spirito) ma rimarrà il fatto che le donne cercheranno in lui l'eccellenza e gli uomini la bellezza muliebre. Perché questo è natura.

Un fanciullo brama la donzella avvenente così come un fiore sboccia, un usignolo canta, un prato fiorisce, una cascata irrompe, e quando il suo desire si volge in attività d’intelletto allora i versi e le rime scorrono con quella medesima magia propria dei prodigi di natura, come l’avvento della Primavera o il riflesso sull’onda lucente di quella conchiglia d’argento che chiamiamo Luna.
Un uomo che vede la bella dama, e tosto la brama con tutto il sue essere, è pervaso da quello stesso fremito che mosse Jacopo da Lentini, notaio del Grande Federico II di Svevia, a inventare il metro perfetto del sonetto per celebrare la sua divina bellezza, è inondato da quello stesso languore che rende sublimi e inimitabili le Rime del Tasso, è permeato di quello stesso desire che spinse Catullo a comporre i carmi immortali di Lesbia, è invaso da quello stesso ardore che generò le novelle Rinascimentali e le rime petrarchiste di schiere di dotti dalle raffinate squisitezze intellettuali.

Raramente invece una donna desidera un uomo per la bellezza e se ne invaghisce al primo sguardo, più facilmente ella vuole prima sondarne il valore per ammirarvi altre virtù, quali la bravura nel creare sogni e illusioni, nel far vivere all'amata "la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude", e non ultime la cultura e l'eloquenza, tutte virtù che si esplicano primieramente attraverso la capacità e l'ordine del dire, senza le qual cose la ragione stessa sarebbe vana.

Può, PER QUESTO, non essere perduto e dilaniato dalle escort e dalle seduttrici (o intimamente ferito, sessualmente irriso e platealmente umiliato dalle "stronze") SOLO E SOLTANTO chi, come Orfeo con le sirene, sa contrapporre alla bellezza della donna la sola cosa che al mondo possa suscitare le stesse pulsioni, far palpitare delle stesse speranze, far parimenti sognare con gli occhi al cielo e immaginare paradisi inaccessibili agli altri umani: la bellezza della poesia, la bellezza della musica che fa chiudere gli occhi e vedere mondi non mai veduti, la bellezza delle immagini evocate dalle parole, la bellezza del dialogo incantatore.

Il corrispondente di Orfeo è il cliente o l'uomo il quale, sentendo il fascino della escort, delle sue grazie naturali e delle sue malie intellettuali, non si lascia semplicemente attrarre e avvolgere, ma crea un'altra armonia, un'altra grazia, un'altra bellezza, non sensitiva ma intellettiva.

La sirena cercherà a questo punto di aumentare l'armonia delle sue grazie e la forza del suo incanto. Se il cantore saprà contrapporre a tali bellezze sensitive e intellettive le proprie bellezze poetiche potrà ingaggiare un duello che, se vinto, porterà la escort a non essere più tale, a decadere dal proprio status di irraggiungibile miraggio e di bellezza infinita, a diventare soltanto una donna insicura che ha usato l'inganno per non sentirsi brutta ed ora cade con un tonfo sordo nell'acqua.
Ma possono morire le sirene? Chi lo sa come muore un mito! Anche le sirene degli Argonauti morirono, ma quando poi passerà Ulisse si presenteranno ancora ritte sugli scogli a cantare più belle di prima. Inspiegabili e splendide contraddizioni del mito, o ennesima verità nascosta da scandagliare? Ora io non so come andò sui mari della Grecia mitica, ma conosco casi di sirene escort cadute in acqua e poi salvate dall'Orfeo che le aveva sconfitte e fatte cadere. Egli le raccolse e le fece tornare belle. Pare che siano tornate poi a fare sirene, almeno per gli altri............


SALUTI DALLA SUBLIME PORTA E DAI MARI GRECO-ORIENTALI

P.S.
Ad ogni modo, se ai cantori greci era lecito immaginare le sirene cadere in acqua davanti agli Argonauti e ad Orfeo, e poi essere ancora ritte sugli scogli, belle come prima, ad aspettare Ulisse, io ho ben diritto ad immaginarle ancora presenti nell'Ade, pronte ad attirare col canto, e la melodia del corpo e delle note, le anime che lo attraversano dirette altrove, e a perdere per sempre coloro che, non resistendono, cadono in acqua naufragando e non arrivando mai all'altra sponda, quella salvezza. Tutta Costantinopoli è però sicura che la voce melodiosa e il canto sublime di Luciano Pavarotti permetteranno all'anima sua di attraversare sicura le acque stigie a dispetto di qualunque soave e bella sirena, grazie alla forza della musica.

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