La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Cumartesi, Temmuz 14, 2007

MUSICA ALTERNATIVA: LA VANDEANA

Ed ora riporto, commentandolo a dovere, il testo della bella canzone dei Settimo Sigillo che funge da colonna sonora per oggi (mentre gli arroganti democratici privi di spirito suonano la marsigliese).

"Ride la piazza ed urla al sangue che colora il collo dei soldati fedeli alla corona che sopra i ceppi hanno baciato il giglio dell'onore col sorriso hanno gettato di sfida il guanto ancora"

Il canto inizia con la bella e sublime immagine degli eroi "reazionari" che sanno subire la ghigliottina sorridendo alla morte ed al nemico (dopo aver baciato il giglio simbolo della dinastia reale di Francia) e lanciando il guanto di sfida proprio dimostrando nel momento estremo di non avere paura, di non rinnegare nulla e di poter ancora dire viva il Re. Il contrasto fra la folla animalesca che urla e ride eccitata dal sangue (nonché dalla demagogia giacobina) e la nobile compostezza del "soldato fedele alla corona" il quale, sia esso un aristocratico o un contadino, un cavaliere o un fante, ha la qualità comunque "aristocratica" di affrontare da solo e con dignità la moltitudine senza esserne travolto davanti alla storia costituisce l'essenza della poesia. I pochi, quando sanno di avere ragione, e di avere fondati i propri principi in qualcosa di superiore, possono tenere testa alla moltitudine. Non sempre (anzi, quasi mai) la maggioranza ha ragione, come erroneamente ritiene il sistema democratico, e questa immagine è un esempio lampante di ciò. Perché in nome della massa si dovrebbe avere il diritto di uccidere o amministrare la giustizia? Possiede forse la temperanza, la giustizia, la pacatezza, la ragionevolezza la massa informe, la folla urlante qui rappresentata?

"Siamo del Re ladri e cavalieri nella notte noi andiamo il vento freddo del terrore no non ci potrà fermar L'oro che noi rubiamo con onore dentro i nostri cuori splende come il bel simbolo d'amore che al trono ci legò"

Il ritornello risuona polifonicamente di una pregnanza di significati. Il binomio "ladri e cavalieri" non solo significa che nell'armata vandeana vi sono sia gli aristocratici abili a combattere a cavallo sia i contadini fanti i quali, per sostenerne le esigenze materiali dell'esercito, rubano "con onore" risorse in moneta e in natura ai repubblicani. Significa anche che, contro l'empietà rivoluzionaria, combattono con solo cuore tanto gli uomini più elevati per spirito, nascita ed educazione, e cioé i cavalieri senza macchia e senza paura, la cui ricchezza risiede nell'onore e che mai si sono sognati di rubare o di violare in qualunque modo le leggi e i comandamenti cristiani, quanto gli uomini più bassi per estrazione, costumi e spirito, ossia i piccoli ladri, magari costretti dalla povertà a rubare per mantenere sé e la famiglia, indotti continuamente a venire a compromessi fra l'onore ideale e la necessità materiale, ma mai comunque tanto empi da accettare l'uccisione del Re ed il sovvertimento di ogni legge umana e divina. Viene dunque stabilita una linea di demarcazione fra quanto, di più o meno buono o cattivo esiste nel mondo "civile" (uomini onesti e ladri, più o meno virtuosi, più o meno peccatori) e quanto, come i giacobini, è al di fuori di ogni concetto umano, di ogni anche più infima umanità e non è semplicemente "peccato", ma, come si dirà più avanti, "maledizione".
Bisognerebbe poi inventare un nuovo nome greco per la figura retorica complessa che regge gli ultimi quattro versi del ritornello. L'oro risplende, ma, poiché è rubato per il nobile fine per cui battono i cuori, risplende nei petti (come il cuore), diventando simile al sacro cuore simbolo della fede cattolica della Vandea, indissolubilmente legata alla fedeltà alla corona di Francia.

"Spade della Vandea falci nella boscaglia Baroni e contadini siam pronti alla battaglia per vendicare chi tagliò il giglio là sulla ghigliottina per riabbracciare il sole di Francia sulle nostre colline"

La seconda strofa riprende il binomio cavalieri/fanti ovvero nobili/contadini nel doppio significato di cui è pregno il ritornello e precisa il motivo della battaglia: compiere una divina vendetta contro chi ha osato tagliare la testa al Re, che è Sole per il popolo (il richiamo al soprannome Luigi XIV è puramente voluto, anche se il suo discendente Luigi XVI, ghigliottinato, non ne possedeva oggettivamente la grandezza storica) e deve tornare a splendere sopra i territori e le genti dell'antico e amatissimo Regno di Francia ("le nostre colline").

"Siamo del Re ladri e cavalieri nella notte noi andiamo il vento freddo del terrore no non ci potrà fermar Se un rosso fiore nasce in mezzo a noi è il sangue di chi crede ancora di chi combatte la rivoluzione di uomini d'onor"

Il ritornello viene ripreso in maniera diversa e, dopo i primi due versi identici (di sfida al "vento freddo" del terrore giacobino), là dove nella prima versione vi era la immagine del sacro cuore, ora vi è direttamente il sangue di chi muore combattendo contro la rivoluzione ed in nome dell'onore e della fedeltà a qualcosa di superiore all'umano.
"In cieli devastati da giudici plebei dall'odio degli uomini dal pianto degli eroi nasce un bel fiore che i cavalieri portano sui mantelli è il bianco giglio che ha profumato il campo dei ribelli"

La terza strofa sottolinea l'iniquità e la ferocia dei cosiddetti "comitati di salute pubblica", deputati a debellare con qualsiasi mezzo non solo i nemici delle rivoluzione ma anche tutti coloro i quali potessero essere sospettati di non esserne amici.
Disprezzando ogni concetto di diritto individuale e di rispetto per la persona, tali tribunali, composti da persone plebee di spirito prima che di sangue, agivano in base alle accuse più ampie e generiche possibili, in modo da terrorizzare chiunque, indipendentemente da quanto egli potesse avere commesso o pensato di commettere.
Era appunto il terrore rosso giacobino. Tale è stata l'empietà che persino gli eroi, da sempre simbolo di quanto di meno incline al pianto ed allo sconforto vi sia sulla terra, piangono, nella parte di cielo loro riservata, vedendo la devastazione materiale e soprattutto ideale portata dalla rivoluzione sconvolgente ogni ordine umano e celeste. Da questo terrore gli uomini d'onore non si sono fatti "atterrire", ma al contrario è nato dalla loro nobiltà (d'animo prima che di sangue) il fior fiore della cavalleria, ovvero il coraggio di combattere fino alla fine in nome della fedeltà al proprio Signore. Il mantello rappresenta proprio questo. Giova ricordare che la Vandea fu fra le poche regioni del Centro-Ovest della Francia a rimanere fedele alla corona di Francia ai tempi della Guerra dei Cento Anni. Anche quando tutto sembrava perduto per la dinastia di allora (che era diversa, i re erano Angioini e non Borboni, ma in quanto regnante di Francia aveva il medesimo simbolo gigliato) la Vandea non si schierò con gli Inglesi. Nel corso dei secoli la fama di fedelissima alla corona rimase alla Vandea, e venne ulteriormente rafforzata nel periodo della controriforma da Santi e Predicatori particolarmente amati e interiorizzati dal popolo. Quando il cattolicissimo re di Francia venne ghigliottinato la regione non potè che ribellarsi in nome proprio della fedeltà a quanto di più nobile e di più antico vi fosse: il giglio bianco (ovvero il re) e la fede cattolica. Da notare è la ripresa dell'immagine di un fiore, che nel ritornello precedente era rosso ed ora è bianco.

"Sanguina il Sacro Cuore sulla nostra bandiera e nella notte inizia l'ultima mia preghiera Vergine Santa salva la Francia dalla maledizione rinasca il fiore della vittoria, controrivoluzione"

Nell'ultima strofa il colore del fiore torna ad essere il rosso sangue. La bandiera bianca con il vessillo regale viene imporporata nella lotta, ma cala la sera. I pii vandeani non possono esimersi dall'ultima preghiera (nel doppio senso di ultima del giorno e di ultima della vita, poiché nella notte oscura e fredda avviene l'assalto ai depositi ed alle caserme dei rivoluzionari, dall'esito incerto). Per l'ennesima volta viene ripreso il fiore, che questa volta simboleggia la contro-rivoluzione e torna ad avere il candore della Vergine Maria cui si indirizza la preghiera e la purezza dell'intenzione. La parola maledizione dice tutto su cosa significhino i concetti giacobini per chi ama davvero una tradizione, una fede, un regno. Come detto, non si tratta più, come nei crimini comuni, di semplici episodi di mancanza di fede o di caduta nel peccato, ma di vero e proprio attentato mefistofelico e scientemente studiato alle radici stesse della civiltà e delle pietà cristiane. La parola controrivoluzione isolate in explicit di verso esplode a questo punto come un grido santo di ribellione a tutto ciò.

"Siamo del Re ladri e cavalieri nella notte noi andiamo e il vento freddo del terrore no non ci potrà fermar L'oro che noi rubiamo con onore dentro i nostri cuori splende come il bel simbolo d'amore che al trono ci legò"

SALUTI DALLA SUBLIME PORTA (e onore e gloria ai combattenti controrivoluzionari della Vandea)

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