La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Perşembe, Temmuz 19, 2007

ANCHE LA SETTE SEGUE LE CAZZABUGOLE BRITANNICHE

Non so se i redattori di Otto e Mezzo seguano questo blog, ma sta di fatto che ieri sera hanno proprio discusso l'argomento del mio post pomeridiano. Purtroppo ho dovuto sorbirmi la solita razione di stupidaggini e ipocrisie per cui ora devo lungamente replicare. Non lo faccio nel loro forum giacché dialogare, anche litigando ferocemente, con femministe e uomini politicamente corretti equivarrebbe a riconoscerli sul mio stesso piano. Poiché io sono un sultano e, nelle guerre di penna come in quelle di spada, mi batto solo con i miei pari, mi limiterò a lanciare le mie invettive dalla Sublime Porta, senza dare agli indegni nemici possibilità di replicare paritariamente (ché pari a me non sono), così come deve fare un sovrano rispetto ad una plebaglia vociante. Sono sicuro che le anime più elette e ragionevoli apprezzeranno questa scelta, ché mi potranno udire (anche se magari non condivideranno le mie opinioni). Non si equivochi tacciandomi, per questa scelta, di assolutismo: io ammetto le opinioni contrarie, ma non ammetto quelle imbecilli (e poiché nei mezzi di comunicazioni di massa ne esistono solo di questo secondo tipo il resto segue da sé).

SULLA DONNA EMANCIPATA
Donna emacipata significa che se vuole portare il velo porta il velo, se vuole girare seminuda gira seminuda, se vuole essere puttana e seduttrice fa la puttana e la seduttrice, se vuole essere casta e pura fa la casta e la pura, se vuole lavorare lavora, se vuole farsi mantenere si fa mantenere.
Un modello di società in cui una donna è considerata emancipata solo se fa l'avvocato o la giornalista o la parlamentare e, se è massaia o velina o studentessa che arrotonda è considerata "carne da macello" o comunque meno libera e degna non è un mondo emancipato, ma un mondo totalitario che impone ruoli dall'altro ed arbitrariamente sopra la testa delle singole persone le quali sole avrebbero diritto a decidere regole e parametri di giudizio della propria vita.
Non a caso infatti il femminismo è prodotto di scarto di illuminismo, hegelismo, marxismo, ossia dei generatori di ogni forma totalitaria: ha in sé una mentalità assolutizzante ed ideologicamente distorcente.
E' emancipato chi può scegliere di per sé cosa essere (come fosse autore della propria opera d'arte), non chi è costretto (come vorrebbe l'avvocata) a essere quanto una non meglio qualificata minoranza di femministe e filosofi vuole legalmente o culturalmente imporre come "modello virtuoso ed emancipato" di uomo o di donna. Che poi le belle ragazze aspiranti veline siano più deboli psicologicamente e più influenzabili dall'esterno (e quindi meno libere nella scelta ed emancipate culturalmente) rispetto alle donne che scelgono l'avvocatura o la politica è tutto da dimostrare: i politici e gli avvocati maschi non sono certo, in media, fra gli uomini migliori, più indipendenti e più intelligenti, né sono l'emblema dell'emancipazione culturale e delle libertà di pensiero e d'azione dell'uomo, per cui perché dovrebbero esserlo le loro colleghe femmine rispetto alle altre donne? Per me l'identificazione della scelta d'essere velina, modella o donna-immagine (o anche, perché no? accompagnatrice) con un fallimento culturale o una "inferiorità intellettuale" (per pretesa mancanza di altre doti o possibilità) è soltanto un pregiudizio contro le donne belle che decidono senza ipocrisie di trarre profitto dall'essere tali, pregiudizio (già più volte da me verificato essere presente ai danni, ad esempio, delle escort) peggiore ancora (perché trasversale ai sessi) del vituperato maschilismo.
Oggi la donna in occidente (soprattutto, e sottolineo il soprattutto, in Italia) è oggettivamente emancipata, secondo il significato di libertà connesso al termine. Se vi sono statisticamente meno donne che guadagnano tanto (ma qualcuna vi é, a dimostrazione proprio di come chi davvero vuole arrivare a certe posizioni vi arrivi, se alla pari di un uomo si impegna, e come non esistano affatto "soffitti di vetro" o ostacoli costruiti apposta contro le donne) non è perché sono vittime di un complotto o le si paga di meno in quanto donne (sarebbe assurdo), ma semplicemente perché molte donne non hanno bisogno di guadagnare necessariamente tot euro al mese per essere socialmente accettate o di raggiungere una certa posizione, di forza o di prestigio, socio-economica per essere desiderate dagli uomini (e quindi appagare un profondo desiderio di natura). Per questo non avrebbe senso per molte donne sacrificare il proprio tempo, la propria sensibilità, il proprio impegno, i propri stili di vita, sull'altare della carriera lavorativa la quale sotto la specie della natura non aggiungerebbe nulla alle loro possibilità d'essere felici nella sfera erotico-sentimentale (giacché l'uomo mira esclusivamente alla bellezza o alla sua illusione).
Non è emancipato l'uomo, il quale non può né coprirsi né scoprirsi, né essere (senza quattrini) seduttore, né mantenuto, ma deve per forza (non già per scelta) impegnare ogni sforzo d'intelletto e di mano, ogni goccia di volontà e di sudore, nel lavoro, per sperare di ottenere una posizione tale da essere immediatamente e oggettivametne guardato, ammirato, disiato dalle donne così come queste sono da lui bramate per la bellezza. L'uomo è ancora costretto ad un ruolo, e se non vi eccelle non ha certo il sorriso (sincero) del prossimo, l'ammirazione degli astanti e l'accettazione sociale al primo sguardo come le donne, né suscita in loro interesse (se non come buffone di cui farsi beffe). L'uomo, al contrario della donna, DEVE DEVE DEVE (indipendentemente dai sui gusti, dalla sua sensibilità, dai suoi valori) affermarsi nel lavoro, pena essere considerato trasparente dalla società ed essere negletto dalle donne.
Dovrebbe esistere un ministero per l'emancipazione dell'uomo, ammesso che ciò sia possibile, dato che già in natura non esiste sesso "gratuito" e le femmine non si danno "liberamente" a chi le desidera, ma selezionano chi raggiunge un primato fra i maschi. La natura è più forte della cultura: di qualsiasi cultura e di qualsiasi ideologia, anche di quella femminista sostenuta (a detta di alcuni) dalle lobbies angloamericane.
Tuttavia non mi lamento della natura.
E' l'imposizione di uguaglianza fra gli uomini ad essere assurda ed ingiusta, in quanto non permette a chi, fra tutti, più forte sente il desiderio e la volontà di ottenere, di esprimere massimamente le proprie capacità e di trarre da esse la forza per il necessario "primato fra gli uomini" che lo appaghi e senza cui non può avere pieno soddisfacimento dei propri bisogni (sia naturali sia ideali). E' la pretesa che le donne abbiano, sia materialmente, sia spiritualmente, tutto quanto posseduto dall'uomo ad essere assurda ed iniqua, in quanto impedisce a quest'ultimo di sfruttare integralmente le proprie doti, di svilupparle, di crearne di nuove, e di trarre dal desiderio profondo la forza di vincere ogni ostacolo per raggiungere il naturale riequilibrio (è assurdo come impedire ad un sistema fisico di evolvere verso l'equilibrio imponendogli "variazioni uguali" dove vi è diversità iniziale).
Sono il femminismo ed il socialismo ad essere assurdi e malvagi, non la natura. La natura al massimo è crudele, ma può essere compensata. E' il divieto "umano" di tale compensazione ad essere malvagio.
Persino presso molti volatili è soltanto il maschio a cantare quando la primavera dischiude il suo soffio fecondo, poiché deve compensare con la bellezza canora quella che la femmina ha per illusione del desiderio. Persino presso i pavoni sono soltanto i maschi a colorare la coda delle sfumature dell'arcobaleno per attirare le femmine. Per fortuna che fra gli uccelli non ci sono ministeri della pari opportunità, altrimenti pretenderebbero code (magari finte) e canti (politically correct) anche per le femmine o li vieterebbero (o li limiterebbero) ai maschi per parità, oppure si lamenterebbero del fatto che gli uccelli maschi "hanno più capitali". Quello che in natura sono i canti degli uccelli e le code dei pavoni presso gli umani era la bellezza delle immagini e il suono dei versi nelle poesie dedicate alle donne ed oggi sono le ricchezze materiali (sempre per loro spese). Possibile che non lo si capisca?
Il privilegio delle donne(di essere ammirate dal mondo, apprezzate dalle genti, accettate socialmente e disiate da tutti al primo sguardo in sé e per sé, per la propria grazia, la propria bellezza, quando c'è, la propria leggiadria, la propria essenza mondana dunque, senza bisogno di raggiungere una preminenza economica o lavorativa o mostrare obbligatoriamente altre doti come devon invece far i cavalieri, i quali senza esse sono puro nulla e non hanno né stima né accettazione sociale né interesse da parte del sesso opposto) nasce dalla natura mentre quello (eventuale e presunto) degli uomini dall'organizzazione sociale. Visto che sono la società e le persone ad adeguare i loro comportamenti, i loro modi di agire, i loro pensieri e le loro organizzazioni alla realtà naturale e mai viceversa, debbo dedurre con conseguenza necessaria come sia il secondo ad essere un necessario prodotto e adeguamento e bilanciamento del primo (si raggiunge sempre, in natura, un certo equilibrio, altrimenti i sistemi instabili saltano).
NON E' naturale né giusto, imporre un 50% di uomini e donne in tutto e per tutto, in barba alle differenti necessità ed alle differenti sensibilità ed ai differenti desideri e doti di natura, ma anzi profondamente ingiusto proprio perché impedisce la naturale compensazione delle disparità. Esiste una naturale disparità di desideri (non necessariamente solo sessuali) e di inclinazioni sentimentali per cui nella sfera privata (non solo sessuale, ma anche nell'amicizia, nella famiglia, nel rapporto filiale o in quello fra fratello e sorella) l'influenza psicologica esercitata dalla donna sull'uomo è infinitamente superiore a quella esercitata da questo su di lei. Tale modalità di "controllo degli eventi e dei pensieri", notata per primo da Rousseau, è puramente natura ed è esercitata tramite quanto di più profondo e irrazionale esiste nell'uomo e quindi non dipende affatto dalla cultura o dalla società, e nessuna cultura, per quanto misogina e nessuna società, per quanto talebana, potrà mai impedire ciò. E solo una cultura imbecille può negarlo (come quella moderna).
Mentre i seguaci del francese pensavano che ciò fosse positivo in quanto natura (e vedevano nella cultura una corruzione del felice stato naturale), uomini più avveduti capiscono, con Leopardi, che la natura e l'uomo hanno fini diversi: la prima punta all'accrescimento e alla selezione della specie a alla propagazione della vita senza altro scopo, il secondo alla felicità, che è un concetto speculativo e soggettivo.
Le società serie si occupano piuttosto di permettere all'uomo di compensare tale disparità, affinché tanto l'uomo quanto la donna possano liberamente perseguire quanto la loro individuale e irriproducibile sensibilità fa sentire come felicità o illusione di felicità. Ciò non avverrebbe con un'imposizione di uguaglianza che non concedesse all'uomo di riequilibrare la condizione di privilegio della femmina. Qui si distinguono le società tradizionali da quelle liberali. Le prime delineano ruoli femminili e ruoli maschili in modo da ottenere (secondo quanto previsto dalle guide spirituali) una società organica, il più possibile equilibrata e felice (nella quale cioé ognuno possa appagare i propri bisogni naturali e realizzare pienamente la propria natura, che per la tradizione è il significato di liberà), le seconde lasciano invece che siano gli individui, indipendentemente dal sesso, a scegliere il proprio ruolo nel tentativo di raggiungere il proprio modello di felicità (la libertà è qui più vicina al concetto di licenza). Anche negli stati liberali, in cui non vi sono divieti o disparità imposte per legge, si hanno comunque, nei fatti, ruoli e situazioni "asimmetriche" fra uomini e donne non per discriminazione, ma per il semplice fatto che questi hanno desideri differenti, gusti differenti e sensibilità differenti, e soprattutto doti e bisogni differenti i quali dettano scelte (sempre e comunque libere e autonome, negli stati liberali) DIFFERENTI, e per la semplice constatazione che l'uomo è chiamato (dalla natura) a compensare con il proprio sforzo quanto alla donna è dato dalle bellezza o dall'illusione del desiderio.
Combattere tali disparità sociali ed economiche" (come vogliono i ministeri delle femministe),
o lamentarsi di esse, o addiruttura definirle squilibri sociali o ingiustizie (come fa la cultura politicamente correte de' media) e pretendere di eliminarle ( a colpi di leggi illiberali e "azioni positive") a posteriori è mostruoso e falso, in quanto esse sono invece proprio la manifestazione di reazioni individuali giuste e di sforzi di riequilibrio: sono l'effetto macroscopico dell'umano e necessario tentativo dell'uomo di raggiungere una speranza di felicità, compensando con il merito personale, la cultura, il denaro, il potere, una situazione di partenza che lo vedrebbe irrimediabilmente infelice e inappagato (ma forse è questo che vogliono le femministe?).


SULL'IMBECILLITA' DETTA DALLA POLITICA
L'avvocata e parlamentare (di Forza Italia e questa è la volta che litigo con Berlusconi) ha detto che i messaggi pubblicitari contengono donne discinte perché si rivolgono agli uomini che sono ancora, a suo dire, i principali compratori nel mercato. Credevo solo gli uomini potessero essere tanto imbecilli da pensare davvero questo. E' evidente infatti il suo contrario. La destinataria di quei messaggi televisivi non è tanto l'uomo che sbava (e sbavando comprerebbe), ma la donna che deve esserne compiaciuta e rafforzata nella vanagloria (e per vanità compra). Quelle immagini non hanno tanto il compito di compiacere l'uomo (il quale realmente non ne trae alcun appagamento, ma, semmai, frustrazione), bensì la donna, la quale vi vede un modello "estetico-ideale" e un fine positivo raggiunto il quale ella è infinitamente bella, irraggiungibile, idolatrata e meritevole d'ottenere tutto (di qui la sopravvalutazione "estetico-filosofica" della figura femminile che porta molte italiane a comportarsi da miss mondo o da tiranne di Siracusa appena lontanamente assomigliano a quel modello come un gattino a un leone).
Gli uomini ameranno di più le auto e i videogiochi, ma quando si parla di beni mondani, di gioie terrene, di vivere in un mondo di creme e vestiti, di accessori alla moda e di oggetti di lusso (o presunto tale) sono le donne a mostrare sia più interesse sia più decisione nell'ottenere. Sono dunque le donne, anche da un punto di vista marketing a risultare le destinatarie principali del messaggio pubblicitario, non gli uomini (ed anche per i prodotti maschili come il dopobarba la pubblicità punta sempre a far balenare quanto ne penserebbero le donne). A questo si aggiunga sia che principalmente loro "fanno la spesa" (e dunque decidono sul campo cosa acquistare e sono dunque più interessanti dal punto di vista degli psicologi del marketing) sia, soprattutto, che anche quando in una coppia si decide un'acquisto, l'influenza per natura della donna è infinitamente superiore a quella dell'uomo, per cui ben si può capire chi scelga veramente (ed anche quando un uomo sceglie da solo lo fa sempre pensando a come rendersi "ammirevole" agli occhi delle donne, per cui la scelte resta ferma su criteri femminei: basta pensare a certe auto comprate dai single che virili appassionati d'automobili distruggerebbero per orrore prima di guidare).


CONTRO LA PARLAMENTARE
Non è la società ad essere sessista: la natura lo è. La società, se amante di quanto possiamo chiamare "equo vivere", può semplicemente tentare di compensare le disparità naturali, o, meglio, dare agli individui la libertà di compensarle.
E' quello che ha sempre fatto il mondo umano prima dell'avvento del femminismo.
Oggi come ieri la donna ha sempre privilegio di natura d'essere apprezzata, ammirata e desiderata in sé per la bellezza (e, quando non vi è, comunque per l'illusione data dal desiderio). Per naturale compensazione l’uomo ha sempre potuto proporre altre doti per essere simmetricamente apprezzato, a seconda del mondo. Il mondo eroico ed omerico aveva la virtù guerriera, il mondo cavalleresco e cristiano la cultura, il pensiero, le belle arti, la conoscenza, il cor gentile, il mondo capitalista ha il denaro. Forse un futuro (utopico) proporrà finalmente il puro spirito. Il mondo attuale, intanto, con tutti i suoi difetti, ha il denaro. Avrà tutti i difetti ma almeno permette all'uomo di compensare la disparità di desideri (non necessariamente sessuali) e inclinazioni sentimentali con la donna. Non è assurdo. E' invece assurdo un mondo che programmaticamente voglia eliminare le differenze.
E' ipocrita poi un mondo che chiama svantaggio il privilegio e chiama discriminazione una scelta (dettata da diversi desideri di natura).
Se vige la morale pseudo-cavalleresca, per cui sia per cultura sia per legge è sancito che l'uomo debba mantenere la donna (se questa non ha voglia di lavorare o di cercare un lavoro in grado di farle guadagnare quanto desidera), se anche per un semplice rapporto "free" l'uomo deve dare infinite cose in pensieri, parole, opere, fatiche, dignità (quando deve recitare da cavalier servente) e soprattutto doni e regali e inviti a cena, se una donna può ottenere (economicamente e sentimentalmente, oppure in moneta di vanagloria e autostima) tutto senza dare nulla più che un sorriso, se viene accettata, disiata o comunque socialmente apprezzata in ogni dove di per sè, in quanto "soave fanciulla", per la sua grazia, la sua leggiadria ed ogni altra dote attribuitale per natura e cultura (addirittura anche quando, come accade spesso, manca la vera bellezza) perché mai una donna dovrebbe faticare per arrivare a guadagnare tassativamente una certa cifra (come ha l'obbligo l'uomo per non essere un nulla) o raggiungere una certa posizione di prestigio socio-economico (quella indispensabile invece all'uomo per essere ammirato e potersi circondare delle donne che desidera) dato che già per natura piovono su di lei privilegi principeschi (in relazione all'uomo), complimenti, desiderabilità e ammirazione, o comunque accettazione, sociale e per natura le viene dato tutto?
Sarebbe molto stupida se non ne approfittasse, facendosi per quanto possibile mantenere o, se ama il lavoro, scegliendo una professione per puro gusto e non per soldi (ed è per questo e solo per questo che le donne svolgono mestieri meno remunerati ma non per questo meno appaganti in sé).
Se deve sempre essere l'uomo a "spendere" (sia materialmente, sia idealmente) per la sola speranza di conquista, deve esistere per lui ALMENO LA POSSIBILITA' di guadagnare di più, altrimenti dove trarrebbe le risorse per la "rincorsa"? O per voi è naturale che l'uomo viva perennemente infelice e inappagato?
La donna, per privilegio sia di natura sia di galanteria, ha la possibilità, nella sfera dell'AUTOSTIMA (erotica ed affettiva), di essere ammirata, disiata ed apprezzata al primo sguardo e, in quella del POTERE (personale e sociale) di influenzare l'agire e il pensare degli uomini (e quindi la storia), SENZA BISOGNO di faticare, compiere "imprese" o mostrare eccellenza in doti particolari (come i cavalieri che se non le dimostrano non sono né disiati né ammirati) o di raggiungere una posizione di preminenza sociale ed economica (come invece gli uomini che senza di essa non contano nulla).
E tutto questo vale per natura, poiché è il maschio ad essere indotto dalla natura ad onta di perigli e fatiche a seguire la femmina nel più fitto dei boschi e chissà dove, non viceversa.
Tale disparità DEVE essere compensata in un modo o nell'altro dall'ordine sociale. Il denaro è un mezzo (o il mezzo attuale).
Se le persone sono lasciate libere tale "riequilibrio" avviene senza discriminazioni, non per effetto di divieti o svantaggi alle donne, ma per conseguenza di libere scelte diverse dettate da bisogni diversi, inclinazioni diverse e doti naturali differenti. E' se si pretende di eliminare a posteriori tale riequilibrio che si compie azione ingiuste e discriminatoria in quanto un'uguaglianza imposta penalizzerebbe gli uomini DATO CHE il non avere il femminista 50 e 50 non deriva da discriminazione contro le donne ma dal fatto che esse (per privilegio naturale e culturale) hanno meno bisogno di certe posizioni e di certe carriere (per essere felici o anche solo socialmente accettate e amorosamente disiate) e quindi non vi spendono tanto tempo ed energia come sono invece obbligati a fare gli uomini: conseguentemente correggere a posteriori per avere il politicamente corretto 50 e 50 sarebbe come, per il puro gusto di "pareggiare", rallentare a metà di una competizione chi ha corso e faticato di più perché aveva più necessità di arrivare prima.
Se davvero si realizzassero i propositi del ministero delle pari opportunità la situazione sarebbe totalmente a svantaggio dell'uomo, e non certo pari o giusta.
Il desiderio è dispari.
La donna gode di un privilegio nella sfera, diciamo, erotico-sentimentale, che le deriva direttamente dalla natura. Tale posizione di privilegio (o, se vogliamo, di preminenza) diffonde i propri effetti, direttamente o indirettamente (e in maniera assolutamente indipendente dall'organizzazione sociale, la quale non può, anche volendo, vincere la natura in questo), in ogni aspetto della vita dato che, come mostra Freud, tutto ciò che desideriamo o vogliamo, consciamente o meno, deriva dal profondo degli impulsi sessuali. Di ciò non si può non tenere conto parlando di "parità", sempre che si abbia come fine una parità effettuale o, meglio, una uguale possibilità di ogni individuo di cercare la via per essere felice, o meno infelice possibile, secondo i propri personalissimi ed ingiudicabili parametri. In caso contrario significa o che si è troppo stupidi per capire la sostanza del problema oltrepassando l'apparenza o troppo perfide e false per ammettere di avere un vantaggio (molto più influente della superiore forza fisica maschile) il quale DEVE essere compensato da una società che voglia essere non dico giusta, ma almeno FUNZIONANTE (solo quanto è bilanciato, come lo è stato il mondo della tradizione, può funzionare a lungo). La terza via significa semplicemente ritenere accettabile la crudeltà della natura solo perché in questo caso va (o sembra andare) a vantaggio della donna, sottendere che l'uomo debba sempre essere tiranneggiato o reso profondamente degno del riso da questa e definire arbitrariamente la disparità naturale come "giustizia naturale" (ragionamento tipico delle ecofemministe: e sarebbe interessante la loro reazione a chi sostenesse giusto per l'uomo approfittare della brutalità fisica e delle forze naturali di coesione , ossia del branco, per schiavizzare le donne, perché è il discorso simmetrico a questo quello sostenuto da certe ecofemministe e da certe donne).
Rousseau credeva ingenuamente tale influenza delle donne (esercitata per mezzo di ciò che nell'uomo è di più profondo e di più irrazionale) un fatto positivo in quanto naturale, ma Leopardi e Schopenhauer hanno ampiamente dimostrato come alla natura poco importi dell'infelicità o della felicità dei singoli individui.
La felicità è un concetto speculativo e infinitamente soggettivo nelle sue possibilità (o, per i pessimisti, illusorio nella sua impossibilità), e non è raggiunto con il puro soddisfacimento del corpo, ma è oggettivamente riscontrabile che laddove non possono essere pienamente appagati i bisogni naturali (fra cui, per l'uomo, quelli di bellezza e di piacere, dei sensi come delle idee), l'essere vivente dotato di autocoscienza è inevitabilmente infelice.
Per questo è disumano non voler concedere all'uomo di poter compensare la situazione svantaggiata di partenza o lamentarsi delle conseguenze macroscopiche di ciò (vedi statistiche sui redditi), ovvero di come a volte l'uomo (non tutti sono imbecilli come sembra) vi riesca con le proprie forze (lavorando e guadagnando di più, sacrificandosi di più nella carriera perché non ha altra scelta).
Se una donna può avere la bellezza per essere apprezzata, ammirata, disiata al primo sguardo, un uomo deve poter acquisire altre doti parimenti oggettive e immediatamente apprezzabili per essere allo stesso modo ammirato e disiato e "pareggiare il rapporto" con la bella donna.
Se ella possiede la bellezza, di cui, sensitivamente e intellettivamente, l'uomo ha naturale ed intimo bisogno e verso cui è mosso da profondo e immortale disio, egli deve possedere e poter offrire a lei altre doti di cui la donna ha pari bisogno e brama e verso le quali è mossa a desiderio con ugual forza.
Ogni rapporto umano, fra uomo e uomo o fra uomo e donna, è fatto di dare ed avere (non necessariamente e banalmente in senso economico, ovviamente). Solo gli stolti possono credere il contrario e confidare nella gratuità (la quale non esiste neppure nel sentimento).
I rapporti fra uomo e donna nel regno dei cieli non mi interessano. Io parlo di quanto accade sulla terra. E' raro si incontrino San Francesco e Santa Chiara e poiché l'uomo deve poter godere realmente, di quando in quando, delle bellezze che abitano la terra, deve anche possedere quelle doti in grado di allettare e realisticamente disporre a concedersi le donne vere prima delle sante.
Se non possiede tali doti non ha nulla di concreto da offrire alla donna e da lei disiato e gradito, per cui non potrà sorgere alcun rapporto costruttivo con lei. E l'uomo con ogni probabilità sarà infelice e inappagato sia sensitivamente sia intellettivamente, oltre che mai apprezzato, con conseguenze sia distruttive sia autodistruttive.
Possibile che donne lauerate e intelligenti non capiscano queste semplici verità?
Sono gli spermatozoi che devono correre all'ovulo, non viceversa. Non possono essere "rallentati" per "parità". E sono gli animali maschi che devono lottare, inseguire e raggiungere e conquistare l'animale femmina che sta ferma e non ha obblighi. E per correre, inseguire, competere, serve la benzina, la forza, la fiducia. E la benzina, la forza, la fiducia, in un mondo capitalista, risiedono nelle possibilità economiche. Stupido negarlo. E negare dunque che la situazione attuale non sia frutto di una discriminazione, ma del tentativo disperato degli uomini di compensare il naturale privilegio delle donne significa essere ciniche e bare. Oltre che FALSE!


CONTRO LA SOCIOLOGA (l'imbecille maggiore, quindi meritevole l'invettiva più lunga: chi mi legge da tempo troverà frasi note, quindi può saltare al capitolo successivo)
Siete demagogica. Non solo come sociologa volete vedere costruzioni culturali dove c'è pura biologia, ma pretendete anche che gli uomini si vergognino dei loro più profondi disìi. E in questo sfruttate la demagogia pseudoculturale angloamericana.
Il naturale disio dell'uomo per le fattezze della donna, per le sue grazie corporali e le belle forme prorompenti sotto i veli è il corrispondente maschile dell'istinto materno femminile. Entrambi desideri, in quanto natura, non hanno alcuna valenza morale (né in positivo, ovviamente, come credono gli sciocchi machisti che fanno a gara a chi può vantare spacconate amorose maggiori, né in negativo come vogliono far credere le femministe come voi pronte a dipingere quali decelebrati gli uomini mossi innanzitutto da trasporto sensuale verso la bellezza femminile). Appartengono agli strumenti con i quali la Natura Onnipossente muove gli individui ad agire nell'interesse non proprio ma della specie.
Perché deridere gli uomini per questo? Può fornire anche la profonda ispirazione per nobili fatti. Ahimé oggi ci sono troppi imbecilli (e imbecille) che lo dimenticano.
Sarebbe come se io volessi irridere o svilire o ridicolizzare la donna citando come consciamente o inconsciamente abbia sempre sotto gli occhi soltanto e sempre il benessere della presente, futura o eventuale prole
E argomentassi con Schopenhauer che vive più nella specie che nell'individuo e pone più cura agli interessi di quella che alla felicità e alla realizzazione di questo, e per tali motivi, per questo suo essere uno strumento utile principalmente alla natura e alla propagazione del genere umano, ha una ragione più debole, una concezione limitata alla sfera terrena, un intelletto puramente mondano, ottimo per trarre l'utile soggettivo da ogni situazione ma pessimo per elevarsi all'oggettività, adatto alle faccende pratiche ma incapace di cogliere le bellezze della filosofia e dell'arte, perfetto per il trac trac quotidiano ma inadeguato alle cose dello spirito: "conseguentemente chiunque abbia a cuore le libertà individuali, le cose dello spirito ed il buon funzionamento di una società improntata a valori non soltanto materiali deve auspicare una severa sorveglianza sulla donna e un suo relegamento a ruoli subalterni." Se dicessi questo?
Qualsiasi uomo scorga fra le parvenza la bella dama, tosto è spinto verso di lei da quella stessa forza che muove le stelle scorrenti del cielo, che spinge la fiera per i boschi a seguitare la femmina, che fa sbocciare ad arte i fiori laddove la bellezza fiorosce, che ricopre i nidi di piccole rondini e manda pel mondo le colombe e i conigli a Venere santi.
C'è qualcuno che si scandalizza, o anche solo che non si commuova nel vedere una il toro e la giumenta, o la madre che allatta il cucciolo o gli usignoli che affiancali l'ali?
Si può dunque pensare che il desiderio per il corpo della donna abbia la stessa naturalità di tutto ciò.
La vita si propaga per istinto (“Aeneadum Genitrix, hominum divumque voluptas, Alma Venus caeli subter labentia signa, quae mare navigerum, quae terre frugiferentis…”) l’arte si genera dall’istinto, i versi sgorgano dagli animi bramosi dei poeti che rimirano le dame.
“Desìo degli uomini e piacere degli dèi, Alma Venere che sola dai alimento alla vita, senza Te nulla può sorgere sotto le stelle scorrenti del cielo o alle radiose piagge della luce. Tu fai che il mare sia sparso di navi e le terre siano feconde di messi: tra i viventi di ogni essere nuovo Tuo è il merito se viene concepito, se ha nascita e se vede la luce; Te, o Dea, fuggono i venti quando arrivi, e le nubi del cielo; ai Tuoi piedi ad arte la terra fa spuntare fragranti i suoi fiori, a te sorridono le distese marine, e nel cielo fatto sereno una chiara luce e diffusa sfavilla. Cosi’, non appena un giorno rivela Primavera, e dischiuso lo Zefiro fa sentire il suo soffio fecondo, sono primi gli uccelli dalle candide piume, o Divina, a dar segno di te e del tuo arrivo, il cuore scosso dalla tua forza.”
Un fanciullo brama la donzella avvenente così come un fiore sboccia, un usignolo canta, un prato fiorisce, una cascata irrompe, e quando il suo desire si volge in attività d’intelletto allora i versi e le rime scorrono con quella medesima magia propria dei prodigi di natura, come l’avvento della Primavera o il riflesso sull’onda lucente di quella conchiglia d’argento che chiamiamo Luna.
Un uomo che vede la bella dama e tosto la brama con tutto il sue essere, è pervaso da quello stesso fremito che mosse Jacopo da Lentini, notaio del Grande Federico II di Svevia, a inventare il metro perfetto del sonetto per celebrare la sua divina bellezza, è inondato da quello stesso languore che rende sublimi e inimitabili le Rime del Tasso, è permeato di quello stesso desire che spinse Catullo a comporre i carmi immortali di Lesbia, è invaso da quello stesso ardore che generò le novelle Rinascimentali e le rime petrarchiste di schiere di dotti dalle raffinate squisitezze intellettuali.
La ricerca della bellezza muliebre da parte dell'uomo è da sempre il motore della Vera arte. Al mondo non v’è motivo più forte che alle egregie cose. Considerare la donna come espressione di divina bellezza, meta di speculazione filosofica e oggetto di desiderio tanto nel mondo intellettivo quanto in quello sensitivo si è sempre configurato nei secoli come il motivo più forte capace infondere negli animi degl’uomini gentili quel sentimento da cui germoglia la vita dell’arte.
Come sostiene nel Piacere Andrea Sperelli [i]“Ad altro non aspira il lauro se non a propiziare il mirto”[/i]. La Donna è l’oggetto e l’essenza prima d’ogni Vera Poesia. Nel suo sorriso perennemente rivive più di una speranza, più di una promessa, più di un piacere, più di un sogno: rivive il mito della felicità edenica, dell’innocenza primigenia, il mito dell’età dell’oro, una beltà più che terrena, [i]“quell’aurea beltà ond’ebber ristoro unico a’ mali/ le nate a vaneggiar menti mortali”[/i]. In virtù di questo chi ricerca la bellezza nella dama non può essere criticato mai.
Ricercare la bellezza ed il piacere in un incontro a pagamento significa voler godere schiettamente le gioie terrene, essere fedeli al motto orazioano "carpe diem quam minimum credula postero" ricercare ad ogni età il piacere schietto, sciolto dal mondo dei doveri e delle responsabilità, che troppe volte avvolge e inquina come una fosca nube la purezza delle gioie terrene e transeunti. Le donne, con i loro continui riferimenti ai doveri e agli obblighi degli uomini dimenticano troppo spesso che, come disse Petrarca, [i]"quanto piace al mondo è breve sogno"[/i]. Esse, anziché criticare quanti si accompagnano a una squillo di lusso per trascorrere qualche intenso momento d'ebrietà e di oblio dalle cure quotidiane, dovrebbero rimembrare quel che Lorenzo il Magnifico, allievo di due sommi Maestri Umanisti quali Cristofaro Landino e Pico della Mirandola, scolpì nei carmi: [i]"Com'è bella giovinezza che si fugge tuttavia chi vuol esser lieto sia del doman non v'è certezza"[/i].
Ciò non ha nulla a che spartire con una brama di possedere ed umiliare, come sostengono clericali e femministe nel loro cieco e antivitale moralismo. Volontà di umiliare è mostrata da coloro le quali suscitano ad arte il desiderio negli uomini per poi compiacersi della sua negazione ed infoltire le schiere di ammiratori, sfruttano il desiderio di natura per far recitare ai loro coetanei la parte dei seduttori, se non talvolta quella dei giullari, ad esclusivo beneficio della propria vanagloria, e dell'idea di avere un corteo di servi attorno a sé, utilizzano la propria bellezza per ridurre alla nullità la persona altrui e l'altrui volontà, trattare con sufficienza, se non con aperto disprezzo, coloro i quali tentano un qualsiasi tipi di approccio con loro, atteggiarsi come chi ha tanti ammiratori e può fare a meno di tutti, e far così sentire colui, il quale dal trasporto verso la bellezza sarebbe portato ad affinare la propria anima e il proprio intelletto, uno dei tanti, un uomo senza qualità, un banale “scocciatore”.
Volontà di possedere è fatta evidente da coloro le quali pretendono con il proprio fascino di incatenare i propri amanti, facendo loro letteralmente recitare la parte di cavalier serventi per un giorno, per un mese, o per una vita, concedendosi solo a chi è disposto ad esaudire ogni loro capriccio, materiale e spirituale, offrono piacere e tenerezza solo dopo aver ricevuto omaggi medievali ed atti di vassallaggio, danno confidenza solo a chi lascia annullarsi la personalità, i sogni ingenui, i desideri schietti per “adattarsi a loro”, concedono favori solo dietro l'offerta dell'anima, si danno solo dopo che la controparte ha promesso fedeltà eterna (la quale poi si traduce in regali, atteggiamenti servili, soddisfacimento di ogni capriccio, fidanzamento “sbilanciato”, con lei immediatamente apprezzata per la bellezza, viziata e coccolata, accettata in sé e per sé da tutti, e lui obbligato a mostrare il proprio valore, a confermarsi sempre, a confrontarsi con l'agguerrita concorrenza, a essere giudicato, a dover cambiare per necessità e ad annullarsi l'anima, e poi talvolta matrimonio, con le relative, quotidiane, violenze psicologiche e manipolazioni della personalità, con i ricatti eseguiti attraverso i sensi di colpa e, spesso, divorzio con conseguente rapina del patrimonio, dell'onore, dei figli: in una parola della vita).
Tutto ciò non dipende nemmeno dalla INTELLIGENZA o dalla cultura individuali (quindi assurdo insinuare che gli uomini dovrebbero sentirsi stupidi a rimirare le grazie corporali femminili: è stupido chi crede alle stupidaggini pseudo-sociali e si sente o in colpa o meno raziocinante).
Come ricorda Schopanhauer, anche uomini molto intelligenti e saggi o addiritture geniali finiscono per accoppiarsi con diavoli di mogli che procurano loro solo inferno materiale e morale e guai, e questo non perché sono rimbecilliti, ma poiché nella sessualità non si è guidati dalla ragione per i propri interessi, ma dalla natura per gli interessi della specie.
Stupide, cara sociologa, sono le donne femministe che ragionano come voi: non sapete distinguere ciò che è dato dal genio della specie da ciò che è dato dal libero arbitrio. E' sciocco valutare l'intelligenza in base a ciò che la natura rende irresistibile per noi (alla nostra vista, ai nostri sensi, al nostro sentire profondo e financo al nostro intelletto) secondo i suoi fini. Più saggio valutare l'intelligenza secondo quello verso cui ognuno di noi volge gli istinti (ossia che uso NOI facciamo delle forze e delle pulsioni dateci dalla natura)
NELLA SESSUALITA' gli uomini e le donne non sono mossi dal LIBERO ARBITRIO, ma dal GENIO DELLA SPECIE.
I primi sono spinti dalla brama di bellezza e di piacere a disiare al primo sguardo il maggior numero possibile di femmine, fatalmente attratti dalle loro forme (ivi comprese appunto quelle rotonde dei seni) e dalle loro chiome, mentre le seconde sono parimenti spinte a farsi desiderare dal maggior numero possibile di maschi, in modo da poterli mettere alla prova e selezionare colui che fra tutti eccelle nelle qualità da lei volute (se fosse mossa da ugual desiderio non potrebbe selezionare efficacemente).
Tutto ciò non è voluto dalla Società, ma dalla Natura (la quale persegue i propri fini, che attendono alla conservazione, alla prosecuzione e all'evoluzione della specie e della vita e non coincidono con quelli degli individui, i quali si volgerebbero invece alla Felicità, ad un concetto diverso). La società al massimo può variare i concetti di bellezza e di eccellenza cui naturalmente donne e uomini saranno portati a desiderio e perseguimento, ma non lo schema di cui sopra, che è semplicemente NATURA e non ha nulla a che vedere neppure con l'educazione, la cultura, il gusto e l'animo individuale e tanto meno con l'intelligenza I desideri di natura non cambiano per contratto sociale, né per volontà del singolo (e neppure in base al grado intellettivo, a meno di non ammettere che le persone più intelligenti sono coloro che affrontano l'endura, la morte per fame come distacco dai desideri carnali).
Non possiamo infatti scegliere chi e cosa ci deve piacere, altrimenti non si chiamerebbero passioni (dal latino "patior": subire). E' la natura che, tramite i desideri più veri e le pulsioni più profonde, ci fa bramare con tutto il nostro essere le doti a lei più utili. Non è dato sentirsi appagati nell'ambito amoroso senza seguire e soddisfare tali desìi.
Anche tutte le contro-argomentazioni fondate sul fatto che (ovviamente) uomini e donne si cerchino senza pensare alla riproduzione non hanno valore in quanto, nell'ambito sessuale, è la natura (e non certo il pensiero o il libero arbitrio), a far sì che al nostro sguardo, al nostro tatto, ai nostri sensi tutti e persino al nostro intelletto, risultino in genere desiderabili gli individui del sesso opposto con determinate caratteristiche, immancabilmente correlate alla sfera riproduttiva e utili non a noi ma alla nostra discendenza("che ci corrispondono individualmente", direbbe il filosofo di Danzica). Ad esempio:

"Un seno femminile turgido esercita un'attrattiva straordinaria sul sesso maschile perché, stando esso in rapporto diretto con le funzioni riproduttive della donna, promette nutrimento abbondante al neonato. Invece le donne eccessivamente grasse suscitano in noi repulsione: la causa è che una tale costituzione indica atrofia dell'utero: cioé sterilità; e non è la mente, ma l'istinto a saperlo".

Si dice che l'uomo, oltre a fissare sempre le tette, "pensa al sesso ogni dieci minuti" e questo fa trarre false conclusioni agli stolti ed alle facilone superbe. Anche la donna è parimenti mossa dal genio della specie, ma in maniera diversa e complementare, che solo agli sciocchi pare "più intelligente" in quanto tale (così come a chi non conosceva l'astronomia perevano dotati di volontà i pianeti che erravano per il cielo in maniera apparentemente casuale anziché ruotare come le stelle).
Magari non pensa direttamente al rapporto sessuale, ma la natura, con la stessa forza con la quale induce un uomo a disiare le belle forme e le lunghe chiome al primo sguardo e ad immaginare, tiene la donna occupata in una "sessualità indiretta" spingedola ad agire e a pensare in modalità e per fini vicini molto più alla specie che non all'individuo.
Conservare e difendere la bellezza a prezzo di sacrifici, curare le faccende mondane e gli amorini terreni, essere sensibile ad ogni vaghezza terrestre e ad ogni particolare del quotidiano, curare di essere in ogni dove ed in ogni momento sommamente ammirata e disiata da tutti, cogliere ogni sfumatura erotico-sentimentale o ogni inclinazione d'animo altrui senza parole, provvedere ai bambini ed accudirli, ragionare in maniera utilitarista o comunque volta più al pragmatismo che alla speculazione astratta, sfruttare un raffinato intelletto per cogliere ogni vantaggio materiale, dedicarsi alle feste, alle creme, ai vestiti, e financo allo shopping sono tutte attività solo apparentemente dettate dal libero arbitrio o dall'individualità, ma in realtà ispirate dalla volontà della natura di propagare e conservare la vita senz'altro scopo.
Colei che nella sfera erotico-sentimentale sembra mossa da minor brama (il suo modo è infatti il farsi desiderare più che il desiderare, e il selezionare più che il bramare e per questo il suo desiderio non può essere il medesimo) diffonde la potenza del genio della specie (che nell'uomo par concentrata nella sola sessualità) ad ogni aspetto della vita, per cui, allo stesso modo con cui sceglie e valuta i maschi da lei attratti ad arte e con cui mette a frutto il loro desiderio per fini utili o graditi a lei (o alla specie), naturalmente cerca di trarre da ogni domanda il maggior utile concreto.
Il modo proprio della donna di indagare il reale è "petere" (chiedere per ottenere), giacché ogni aspetto della vita (non solo il sesso in senso stretto) è in lei spinto dal genio della specie e correlato agli interessi di questa, e soltanto espresso, soltanto detto, soltanto presentato, in modi "socialmente più accettati" (leggasi: sessualmente più sfumati) di quelli maschili. Se ben si guarda attraverso il velo di apparenza, che fa sembrare sessuato l'uomo e asessuata la donna, si può scoprire che la verità è quasi il contrario, essendo, in essa, tutto legato al farsi desiderare, all'accudire e al selezionare (che sono i modi della loro sessualità, complementare alla nostra), ai bisogni corporali, alla valutazione ed allo sfruttamento delle situazioni pratiche ed al bene della futura prole.
Anche la decantata razionalità sentimentale delle donne (ben lungi dal significare intelligenza) altro non è che un'espressione affinata del genio della specie (legata alla necessità di selezionare il miglior padre per la prole). E visto che le donne passano la loro vita a giudicare gli uomini, a farsi desiderare (o detestare) da loro, a tentare di interagire (anche in maniera non esplicitamente sessuale, come invece quasi sempre vorrebbero gli uomini) con loro, a metterli alla prova, o comunque ad interessarsi di rapporti umani, di relazioni, di inclinazioni d'animo, posso a buon diritto dire che loro "pensano al sesso non una volta ogni dieci minuti, non ogniqualvolta sono d'innanzi ad un bel corpo o ad un bell'animo, ma sempre, ogni volta usano il loro cervello".
L'uomo, invece, una volta appagati i propri bisogni naturali (e solo quanto basta per non provare la frustrazione fisica e psichica e non rischiare il disagio dapprima sensuale, poi emotivo, poi esistenziale della reiterata delusione e del continuo inappagamento e per non divenirne ossessionato) può innalzarsi libero da legami mondani alle più alte speculazioni filosofiche oppure sublimare i desideri (perché non svaniscano nell'appagamento terreno e quindi finiti) nelle più intense estasi artistiche. E tutto ciò in maniera tanto più intensa, alta e nobile quanto più profonda è stata la discesa negli inferi della carne.
Così come Dante è dovuto scendere fin nel profondo dell'Inferno per poter poi elevarsi, dopo la lunga salita purgatoriale, al Paradiso Terrestre e infine ai Cieli ed alla Visio Dei, così l'uomo deve sprofondare negli abissi primordiali della carne per poter poi, con miracoloso atto ascetico e metafisico della propria volontà, attraverso una lunga e paziente costruzione intellettuale, giungere alle vette dello spirito, cioè alla produzione artistica nella sublimazione ideale della donna amata (o anche solo carnalmente desiderata).
Così l’Uomo degno di questo nome (= colui che valuta) ha nel corso dei secoli, da Guinicelli a Dante, da Cavalcanti a Petrarca, da Tasso a Parini, da Foscolo a D’Annunzio, plasmato l’inestinguibile incanto dell’eterno femminino.E così ha potuto elevarsi alle grandi opere dello spirito, come la filosofia, la religione, la matematica, la speculazione intellettiva, la letteratura, la poesia, la musica, ove non spaventa la povertà, non atterrisce la fame, non attanaglia la sete, e l'uomo può essere davvero guidato dal libero arbitrio e non più dal genio della specie.
I dati biologici dimostrano solo che la donna è una creatura mondana che vive e si appaga della sfera terrena, e nel corpo deve prosperare: deve dunque attendere che un cantore, mosso a desiderio per la sua bellezza, la eterni nelle immagini e nei suoni dei versi.
L’uomo è destinato a ricercare nello spirito la propria “lunga vita”, in tutte le ose che necessitino di un distacco ascetico dalla dimensione mondana, un vivere “in astratto” , in un universo di idee e di pensieri, alieno dalle cose e dalle gioie del mondo.
Gli uomini vivono sospesi fra cielo e terra, come dice Contini del Petrarca. Poi, per la produzione artistica come missione eternatrice della Bellezza, serve quella riconciliazione con la vita di natura che è data, nell’uomo, proprio dal desiderio carnale e profondo per la femmina il quale (negli individui nati per le cose d’intelletto) si sublima in pensiri, parole, rime, suoni e immagini della poesia.
Tutto questo non è alieno dall'origine biologica di maschi (che devono desiderare, e spesso sublimano ad un livello ideale il desiderio di ebbrezza e di piacere dei sensi, creando una bellezza più che terrena, e, spesso, non dovendo essere "madri" possono vivere e pensare in maniera totalmente astratta dalla realtà sensibile) e femmine (che sono madri e quindi devono essere, come dice madonna chiara "pratiche) e si riflette nella differenza di atteggiamento verso la vita.
La donna è il trionfo della natura sullo spirito
come l’uomo è il trionfo dello spirito sulla morale (O. Wilde)
I sentimenti di una donna si volgono verso gli accadimenti della quotidianità, gli affetti materiali, il trac trac giornaliero, le relazioni proprie della dimensione mondana, i mutevoli conforti forniti dagli strumenti che conservano e difendono la bellezza, le piccole vaghezze e le gioie della normalità, i rapporti che legano la mente alle cose del mondo, le transeunti leggiadrie degli amorini terreni, i particolari della sfera sensibile, le consolazioni fornite dalle riviste e dalle mode e dagli oggetti come le creme e i vestiti. Le più forti virtù dello spirito nascono, per merito e per necessità, dal bisogno nelle ristrettezze e nelle condizioni di svantaggio.
Il naturale disio dell’uomo per il corpo della donna è da sempre il motore della Vera arte. Al mondo non v’è motivo più forte che infonda negli animi degl’uomini gentili quel sentimento da cui germoglia la vita dell’arte.
La donna si appaga dalla sfera terrena e perciò ad essa si volgono i suoi sentimenti più profondi. Quelli di un uomo d'intelletto, invece, non si appuntano sulle vicende terrene o sui particolari del quotidiano, ma tendono ad elevarsi alla sfera lirica ed eroica del sogno e dell'Arte, a sublimarsi in quel mondo nobile ed omerico che ci balena innanzi scaldandoci il petto al leggere o all'udire le gesta degli illustri e de' grandi. Un Uomo può bellamente rimanere insensibile alle sofferenze proprie e altrui dovute a fatti mondani e personali, ma il languore e il fremito, l'odio e l'amore, l'abbandono al soave e la tensione verso la meta Ideale non cesseranno mai di inondargli l'anima allo svolgersi (nella sua mente) delle azioni e delle musiche, delle gesta e dei discorsi compiuti e realizzati dalle sublimi creature dell'arte.
L'uomo, proprio perché percepisce, fin nella sessualità, l'inadeguatezza dell'appagamento terreno all'infinità del suo desiderio, e, psicologicamente, non si sente totalmente a proprio agio nella sfera mondana (nella quale invece prospera la donna, predisposta biologicamente per essere madre e quindi attenta a cogliere ogni sfumatura, ogni affetto ed ogni vaghezza del mondo sensibile) brama eternare il proprio desiderio naturale per la Bellezza in rime, versi, suoni e immagini e marmi, cantando le donne e sublimando le femminee grazie terrene in opere immortali, ed esprimere massimamente se stesso nell'arte, nella cultura, nelle belle lettere e in tutte le espressioni dello spirito in genere (ivi comprese la matematica, la filosofia et ogni altra speculazione intellettiva, ogni tensione ascetica di distacco dagli interessi terreni).
La donna ha il privilegio di essere desiderata in sè e per sè, per la propria mondanità, per la propria grazia, per la propria leggiadria, non ha bisogno di imporsi nel mondo del lavoro o nella società. Un uomo invece non può essere apprezzato se non è avvolto dall'aurea si successo data soltanto dall'aver mostrato la capacità di raggiungere i propri obiettivi. Quello stesso fascino che a una donna è attribuito dalla bellezza a un uomo è donato dal successo, inteso proprio come capacità di ottenere i risultati proposti. A meno che un uomo non sia cinto dall'aureola dell'artista, la quale anche qualora immeritata, fa dire alla donna "in lui brilla la pura fiamma dell'arte alla quale mi scaldo io sola (G.d'A)" egli, come cavaliere, è obbligato a mostrare quanto vale.
Difficilmente una donna ammira un uomo esclusivamente per la bellezza, più facilmente lo apprezza se egli ha la capacità di imporre il proprio valore, anche sul campo delle battaglie economiche, dato il capitalismo imperante in questo mondo. Se nel mondo eroico ed omerico la gloria era conseguita mostrando la propria virtù sul campo di battaglia, in un mondo capitalista come quello moderno la stessa stima è raggiunta con la capacità di produrre ricchezza. Quel medesimo fascino che a una donna è donato dalla bellezza a un uomo è attribuito dal successo, inteso come capacità di ottenere i propri obiettivi. Non è assolutamente escluso che in futuro il valore di un uomo venga attribuito da altro (in un mondo utopico nel quale gli uomini, emancipati dalle occupazioni terrene e soddisfatti al contempo nel proprio desiderio di beltade e di ebbrezza e di piacere dei sensi grazie ad una sessualità emancipata, potranno dedicarsi totalmente alla creazione di opere immortali, nell'arte, nella cultura, nelle belle lettere, nella matematica, nella filosofia ed in ogni altra espressione della speculazione intellettiva o della sublimazione ideale della Bellezza e del desio per la donna, potrà essere, forse, anziché il denaro, il puro spirito) ma rimarrà il fatto che le donne cercheranno in lui l'eccellenza e gli uomini la bellezza muliebre. Perché questo è natura.
E' naturale che le donne trovino affascinanti gli uomini migliori (ognuna nel campo che ritiene soggettivamente più importante, ovviamente, virilità, bellezza, soldi, cultura, intelligenza, cuore, cc.) mentre per l'uomo conta primieramente la bellezza e il desiderio profondo, istintuale (ma al contempo tanto soggetto ad essere elevato dall'intelletto e sublimato in pensieri, parole, versi e rime) da essa suscitato.
Il di lei privilegio sorge dunque dalla natura, e sempre dalla natura deriva anche la nostra possibilità di compensarlo (o addirittura di ribaltarlo), tramite quello stesso desiderio da cui nasce.
Non sarà biologica, ma sempre al natural disìo per il corpo della donna è collegata la causa cui gran parte degli artisti sono uomini (e non è un nemmeno un caso che la massima poetessa donna sia stata lesbica, anche se, generalmente, nell'uomo quel desiderio è più presente, perché profondo, atavico ed insito nelle carni).
Mentre una giovane donna è apprezzata e disiata, come Beatrice, al primo sguardo ("benigna sen va sentendosi laudare") un giovinotto ha necessità di una "occasione" per dare sfoggio di quelle virtù che potrebbero renderlo gradito agli occhi dell'amata. Non sempre i modi e i tempi della vita moderna permettono, soprattutto ad una animo pudico, sensibile e profondo, di rendere palese la propria essenza.
Raramente una donna desidera un uomo per la bellezza e se ne invaghisce al primo sguardo, più facilmente ella vuole prima sondarne il valore per ammirarvi altre virtù, quali la bravura nel creare sogni e illusioni, nel far vivere all'amata "la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude", e non ultime la cultura e l'eloquenza, tutte virtù che si esplicano primieramente attraverso la capacità e l'ordine del dire, senza le qual cose la ragione stessa sarebbe vana.
Per questo ogni uomo d'animo nobile è portato ad essere poeta o scrittore e ogni poeta e scrittore brama eternare la donna in prosa o in rima nella perfezione dell'opera d'arte.
So che molti non saranno d'accordo, ma basta pensare al mondo della natura. Non è forse il maschio del pavone a ricreare con la sua coda l'arcobaleno per attirare la femmina all'accoppiamento? Non è forse il maschio del passero a far vibrare l'aere di dolci canzioni dall'armonia oltre-umana nella stagione degli amori? Non è forse il maschio delle fiere ad inseguire gli esemplari femminili non appena zefiro esala il soffio della Primavera?
Perchè allora non si potrebbe, anzi non si dovrebbe pensare che anche nella specie umana sia il maschio a creare cose mirabili per rendersi bello agli occhi della femmina che desidera?
Proprio il naturale desiderio dell’uomo nei confronti del corpo della donna ha creato l’arte, mentre il gusto delle donne boccaccesche l’ha affinata e consegnata alla Storia.
"Chi è questa che vien c'ogn'om la mira/ che fa tremar di chiaritate l'aere/ e mena seco amor sì che parlare/ null'omo pote ma ciascun sospira" esclama, con Guido Cavalcanti, chi vede la bella signorina.
Il privilegio "stilnovista" di essere amate dall'anima nel momento stesso in cui si rendono visibili dovrebbe far capire alle ragazze come il naturale disio dell’uomo per il corpo della donna sia da sempre il motore della Vera arte.
Tutto quello che di bello e di sublime esiste al mondo, quei sogni soavi, quell’ incantate parvenze, quelle gioie dell'anima che condensate in immagini il volgo chiama poesia, quelle felicità pure e intellettuali che suscitano l'ebbrezza inesausta dei sensi e delle idee, tutto ciò che, ultimativamente, si staglia dai gesti banali della quotidianità per elevarsi all'eterno, all'azione eroica e superba, alla sfera dell'ideale, del perfetto e dell'imperituro è stato plasmato dalla mente di uomini illustri ispirati da splendide donne, la cui visione eternamente emana divina bellezza e Meraviglia.
Reputo non trattarsi né di superiorità né di inferiorità, ma di un differente modo di contribuire alla Cultura che ha nome Humanitas, nel più vasto significato. La prima vera forma di significato del termine rispetto non è l'uguaglianza, ma il rispetto dei ruoli che la natura e la tradizione hanno consegnato. La concezione di donna come musa ispiratrice, che tu sembri criticare, ha creato quelle meraviglie che il mondo ammirerà in eterno. Si pensi, ad esempio, all’opera tutta di Padre Alighieri, il quale ha posto la donna ad effigie della beatitudine d’animo sorgente dalla conoscenza (sublimata dalla figura di Beatrice - Filosofia) o al Neoplatonismo di Pietro Bembo che nei dialoghi “gli Asolani” rimira la bellezza femminile come tramite verso la contemplazione delle Idee.
La cosiddetta cultura di genere a confronto di queste scompare come la luna al sorgere del sole. La vera cultura non può essere di genere, ma è frutto di un incontro fra i generi nel quale il maschile, grazie al proprio desiderio, partecipa come artefice e la donna, grazie alla propria beltà, come musa ispiratrice. Nessuno dei due ruoli è inferiore all'altro, giacché entrambi sono parimenti indispensabili. Chi sarebbe Petrarca senza Laura, Boccaccio senza Fiammetta, Cavalcanti senza Vanna: sarebbero qual Orfeo senza Euridice. Questo è il messaggio del "Dolce Stilnovo ch'i odo" e la vera parità fra i sessi: rinnegarlo, come fa una parte della sinistra marxista, equivale a rinnegare l'arte e a distruggere la civiltà italiana. Chi misconosce questi concetti per conformità con il falso sapere dei moderni, dei sociologi, dei sacerdoti, delle femministe, dei cartecei schiavi del giorno (ovvero giornalisti) meriterebbe la scomunica da parte della ideale comunità dei dotti di ogni epoca.
Come nella Donna è gravido il corpo, così lo spirito nell'Uomo è gravido. E' un fatto che i creatori delle opere immortali che con la loro armonia vincono di mille secoli il silenzio siano principalmente uomini mossi dalla volontà di eternare il proprio desiderio di bellezza nel mondo delle idee e deificare la donna nella più perfetta delle forme: l'interpretazione di questo fatto cade nel campo delle opinioni. Non credo ciò sia perché le donne non siano capaci (come credono i maschilisti) o perché siano state impedite a svolgere attività artistiche (come pensano le femministe), ma semplicemente perché hanno un desiderio naturale differente e un differente atteggiamento verso la vita il quale crea interessi diversi.
Chi infatti ha impedito alle amate da Catullo, Properzio, Orazio, tra le quali vi erano certamente "doctae Puellae" di ricambiare in versi l'amore dei poeti? Chi ha vietato alle sorelle di Leopardi di accedere alla biblioteca paterna per essere germane anche intellettualmente dell'Infelice? Chi ha impedito alla coltissime e raffinate dame ottocentesche di comporre per amore di un uomo romanzi degni di Flaubert, Stendhal, Dumas, Hugo? Evidentemente tutte costoro amavano essere cantate in versi più che cantare.
Fortuna o sfortuna, io non mi lamento. Per me quel desiderio è creativo e, negli uomini nati per le cose dell'intelletto, costituisce motore di grandezza ed eternità, quale mai altra forza al mondo potrebbe essere.
L'arte secondo me, come secondo Freud, ha profondi legami con la sublimazione dell'impulso sessuale (sia che si tratti di un modo per appagarsi di qualcosa che non si può raggiungere, sia che si configuri come un tentativo di elevare all'eterno o comunque ad una sfera più nobile nella quale la durate e l'intensità sono maggiori, l'appagamento terreno, il quale è sempre finito confronto all'infinità del desiderio)
negli uomini è naturalmente più sviluppato quel punto
Ciò è evidente quando (come nelle sacerdotesse di Venere a pagamento) si ricerca, sopra ogni cosa, il piacere assoluto, il piacere erotico, cioè, liberato e discinto dai normali rapporti fra individui vigenti nel mondo "apollineo", e ridonato invece alla profondità e all'immediatezza del desiderio di natura, al substrato antico e profondo, nobile e immortale, della vita cupida di sé restituita alla unità primordiale antecedente la frammentazione in individui, a quella dimensione che Federico Nietzsche, nostro devoto ammiratore, volle chiamare "mondo dionisiaco".
Grande progresso nella conoscenza della vita e del mondo si sarà fatto quando non solum la luce della ragione sed etiam l’immediatezza dell’intuito, chiariranno alle genti quanto il disire di natura dell'uomo verso il corpo della donna sia connaturato a quella voluptas cinetica che muove in mondo cantata da Lucrezio nel De Rerum Natura e sia parte di quello stesso palpito della vita universa che mai cessa di generare bellezza, che mai rinuncia ad ispirare le opere e le azioni dei Grandi.
Come diceva Papa Borgia, quando ancora scriveva nei forum di escort, un uomo bramoso e d’intelletto non può pero’ accontentarsi di una sola musa, di una sola dea, di un solo mondo. Egli ha bisogno di un intero Pantheon cui volgere il proprio irrefrenabile, puro, nobilissimo desiderio di Bellezza e di Piacere. L’uomo che vuol essere tale e vuol vivere come tale non può appagarsi della singolarità. Non cedete, fratelli, al pregiudizio monogamico imperante nell’antivitalistica visione del mondo occidentale, ove tutto ciò che è natura e vita viene condannato limitato dalle leggi o dal moralismo. Uomini quali noi siamo hanno necessità di fecondare con la propria brama di bellezza e di sapienza l’intera multiforme vastità dell’universo femminile, non limitarsi ad un solo mondo, una sola donna. Se è vero, come è vero, che una donna vera, finchè è tale, con il suo mistero e la sua natura rappresenta un intero mondo, è altrettanto vero che diverse donne significano diversi mondi. Per questo chi, mosso da infinito desiderio, da incommensurabile brama, dal puro intento di consacrare il proprio intelletto alla celebrazione eternatrice della bellezza femminile in rime, suoni, opere e parole, si riconosce mosso da quell’Eroico furore (eroico da Eros) di cui con tanto core si scrive nelle visioni di Giordano Bruno, non può non desiderare Infiniti Universi e Mondi. Come nell’Infinito Universo et Mundi, chi desidera è simile, nella sua infinita volontà creatrice, a un dio che non può e non vuole limitarsi a un mondo, ma ne pensa, ne genera, ne ama infiniti. “Est deus in nobis”, per chi brama una donna, per cui in realtà, nella realtà dionisiaca, le brama tutte.
Anche le donne sono sessuate, ma generalmente, nell'uomo quel desiderio è più presente, perché profondo, atavico ed insito nelle carni e l'arte è, deve essere per essere vera, profondamente legata alla sessualità, o almeno a quanto di più profondo e intimo alberghi nell'essere umano, alle pulsioni innate, agli istinti primordiali alla natura primigenia cupida di sé antecedente la frammentazione in individui, a quanto di più puro e nobile sia dato ancora alle umane genti.
Questa dimensione "dionisiaca" comunica a noi per tramite degli istinti profondi, delle pulsioni insopprimibili, degli slanci violenti e dei desideri puri e primordiali, non corrotti dalla società, come il coinvolgimento irresistibile del coro, per sottolineare il nostro legame di esseri viventi con la furia e la gioia della vita, e la sua manifestazione in noi è pura ebrezza, come quella del vino o della velocità.
Vi sono momenti, come la danza, l'ascolto di un coro tragico, il furore del tifo, l'ebrezza della velocità, la tensione agonistica di una sfida sportiva, il rapimento estatico e l'attrazione fisica dinnanzi a una donna, nei quali la vita brama di uscire dalla sfera della persona per abbandonarsi ai flutti della voluttà, alle onde del desiderio, alla furia dei sensi, all'impeto dell'eroismo, a trasporre se stessa in un mondo simbolico, omerico e fantastico, ove si agisce come su un palcoscenico, si sente come i sublimi personaggi della tragedia, si palpita della medesima vita da cui sono animate le supreme creature della Grande arte.
Io non mi offendo essere paragonato all'animale, giacché per me non è basso e vile appagare i propri instinti, coltivarli, accrescerli, affinarli alla dimensione intellettuale ed elevarli alla divina grandezza dell'arte, ma alto e nobile, e degno dell'uomo libero (soprattutto dalla morale).
Ho chiamato quegli istinti puri e nobili: puri in quanto ridonati alla furia primigenia della vita cupida di sé, non nascenti da nulla che non sia la natura genitrice e il desiderio profondo, e non influenzati dalla credenza secondo cui l’istinto sarebbe meno importante della ragione, la passione meno degna del calcolo, la pulsione più vile dello slancio ideale (e si sarebbe, secondo questa malata coscienza, tanto più nobili quanto più si negano i propri istinti, si cancellano le proprie passioni, si inibiscono le proprie pulsioni); e nobili in quanto veramente nobile è (come dovrebbe essere in una coscienza non malata), saperli sublimare, affinare ed accrescere alla nobile grandezza dell’arte, eternare le proprie passioni in atti, fatti e detti memorabili, elevare le proprie pulsioni nella produzione di opere mirabili dell’intelletto o dell’ingegno ispirate dal desiderio carnale per la donna e fattesi suono, rima, immagine. La nobiltà non è nel non avere istinti, o nel limitarli, ma nell'esprimerli con raffinato stile, nel soddisfarli con arte superba, e soprattutto, nel non vergognarsene, giacché l'anima nobile è innanzitutto colei che ha venerazione per se stessa.
E’ naturale che primieramente l’uomo ricerchi ed ammiri in una donna le sue belle forme, l'armonia del corpo, la vaghezza del viso e l'altre grazie corporali, Ad ogni modo, sin dal primo istante, si vede, nella donna, la femmina, il che non è dispregiativo
(almeno in un contesto in cui si parla di sessualità, non di lavoro, di studio, ecc.) e la si sceglie in base alla bellezza e i desideri profondi che sa suscitare (ma in questo caso profondo è sinonimo di istintuale, naturale, insito nelle carni, di ciò che è antico, e non di intellettuale ed elevato e frutto del pensiero). Con gli occhi dell’immaginazione e i sensi del corpo si desidera subito, con la stessa naturalità di una cascata irrompente nella calura dell’estate o di un’aurora sorgente sull’onde lucenti del mare, vivere momenti di ebbrezza e di piacere discinto da tutto e tutti (o, per chi non pone fiducia alla fugacità delle gioie terrene, di sublimare gli istinti e i desideri nella divina grandezza dell'arte, o comunque ad un livello intellettivo, in opere, suoni, immagini, nel quale possano dare piacere per più tempo di qualche minuto, e tramandare il ricordo ai posteri, ma questo sarebbe già un discorso successivo fatto più e più volte).
Per questo grande ammirazione deve essere rivolta a quegl’ Uomini che grazie alla forza del proprio intelletto e della propria volontà riescono ad elevare quelli che nelle belve sono puri istinti a una dimensione di armonia perfetta e quieta grandezza sublimandoli in speculazioni filosofiche o produzioni artistiche.
Pensiamo agli elegiaci latini, che per primi portarono in Roma il metro della poesia amorosa nato sulle sponde del greco mare, al Tibullo delle elegie "umide di pianto" e al Properzio della "nequitia".
Pensiamo ad Ovidio, maestro dell'Ars Amandi, che oltre a redigere il primo trattato in esametri sulla conquista amorosa, rese immortale nei suoi perfetti distici la sua Corinna.
Pensiamo ai poeti siciliani della corte di Federico II iniziatori della , fra cui spicca Jacopo da' Lentini, il Notaro, celebre inventore del divino metro c'ha nome sonetto.
Pensiamo agli stilnovisti, all'uno e all'altro Guido e a Padre Dante, che introducendo il tema filosofico resero la lirica amorosa qualcosa di tanto alto e sublime da non poter essere raggiunto dai contemporanei nè superato dai posteri.
Pensiamo a "quel dolce di Calliope labbro" che "amor nudo in Grecia e Nudo in Roma pose in grembo a Venere Celeste" e che, nomandosi Petrarca, rese i propri sonetti, dallo stile puro e rarefatto, il modello ideale di Poesia.
Pensiamo al grande gaudente Boccaccio, che, per far tornare il sorriso sul volto delle proprie amanti, inventò quelle novelle ispirate alla ricerca del piacere ed al culto della bellezza tramite le quali si forgiò, nel periodare ampio ed armonioso, il modello ideale di prosa.
Pensiamo ad Angiolo Poliziano, che nei versi soavi e delicati delle "Stanze della Giostra" rende eterna la figura di Simonetta, non mortale e non terrena nella sua tenue soavità agli occhi umani, più che ninfa, dea, simbolo d'ogni ideale estetico femmineo quattrocentesco (“nell’atto regalmente è mansueta e pur col ciglio le tempeste acquieta”) ed effigie della primavera fuggente e di tutte le gioie indefinite e caduche della vita.
Pensiamo al Cardinal Bembo, il quale, nello splendido dialogo platonico "Gli Asolani", vede la bellezza femminile quale tramite per la contemplazione del mondo delle idee, vera e propria copula mundi, "fra le cose inferiori, che sono terrene, e quelle superiori, che sono divine".
Pensiamo a Ludovico Ariosto, che narrando di donne, d'armi e cavalieri riuscì a parlare, nei larghi modi di un'ottava dall'armonia perfetta, della vera commedia umana del Cinquecento.
Pensiamo a Torquato Tasso, capace di effondere, nel madrigale, toni di tenue musicalità e di indicibile languore, eternando così nelle sue "Rime", nella loro malinconica tristezza, nel loro indimenticabile chiaroscuro, le proprie amate.
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Pensiamo soprattutto al Foscolo dell'Amica Risanata, sul quale più volte in passato mi è piaciuto soffermarmi..

Magari questi uomini "cortesi" pensavano sì all'irraggiungibile Beatrice, ma intanto, come è noto, si consolavano appagando i propri desideri naturali con datrici di beatitudine molto più terrena e proprio dalla volontà di proseguire nei versi (e per sempre) il piacere che fluiva via dai sensi come da un vaso senza fondo nasceva la poesia cosiddetta "Pura".
Il fatto di disiare primieramente la bellezza di una donna non fa l'uomo meno intelligente, semmai lo fa più creativo in quanto più profondo.


CONTRO L'ARCHITETTA
A me invece piace l'eros dionisiaco, l'abbandone immemore alle onde della voluttà, l'ebbrezza folle dei sensi e delle idee, lo sprofondare negli abissi del piacere privo di coscienza. Solo questa è la conoscenza che voglio dalla sessualità. Non mi interessa l'eros apollineo. Se lo tenga Gandhi. E se lei cita Gandhi per suggerire quanto le piacerebbe dalla sessualità maschile, il cito Nietzsche per raccontare quanto desidero dalla sessualità femminile (che identifico non con le donne cosiddette "oneste", indipendentemente da come si vestono, ma con le accompagnatrici, ovvero le "escort")
Come scrive Nietzsche nell'Origine della Tragedia, Apollo, sebbene apparentemente sia un dio alla pari degli altri, con la propria effigie e il proprio culto, e non pretenda una considerazione e una venerazione maggiori, è in realtà il vero Padre di tutti gli Dèi, l'autentico logos organizzatore del mondo Olimpico, in quanto principio razionale (simboleggiato dal sole) dotato del potere di volgere la natura in cultus, di ordinare in un discorso logico e intelligibile l'immensa congerie del vivere, di trasformare gli istinti in leggi, di racchiudere il caos della vita in immagini, parole, suoni, ritmi, di frammentare e disciplinare l'unica, grande caotica vita in individui (tramite il "Principium Individuationis"), così come ha ordinato, disciplinato, diviso il grande mistero terribile del divino in dèi parlanti e razionali dalle sembianze antropomorfe. Apollo risponde quindi alla richiesta dell'uomo di rendere intelligibili le sue paure e le sue pulsioni, di dare ordine razionale al caos terribile e primordiale dell'esistenza, tramite un pantheon di dei che possano essere supplicati e indotti alla difesa dell'individuo dalle insidie della vita. Grazie ad Apollo, l'uomo, così difeso dalle forze oscure dell'esistenza, "imprigionate" le pulsioni vitali primigenie in statue, marmi e colonne improntate ai principi "classici" di armonia equilibrio e compostezza, racchiuse le terribili verità dell'essere in forme che noi semplicisticamente abbiamo sempre chiamato "ingenue", sente di "poter vivere" come individuo.
Accanto, o meglio al di sotto del mondo solare e razionale dell'apollineo, ove tutto è prevedibile, sondabile, misurabile,spiegabile con rapporti meccanicistici di causa ed effetto, ove i confini tra un individuo e l'altro sono certi e stabiliscono le regole di convivenza, dove la ragione è la misura della vita civile (avente come massima espressione la democrazia), vi è una dimensione profonda, abissale, senza nome e senza identità, nella quale non vi è soluzione di continuità fra individuo e individuo, tra uomo e animale, tra animale e pianta, una sfera irrazionale e insondabile, priva di relazioni causali, un fluire ininterrotto, indistinto e inesplicabile di stati d'animo, istiniti vitali, pulsioni primordiali, nel quale cade il princiupium individuationis apollineo, che separava un essere dall'altro. Questa essenza primordiale e primigenia di una vita unitaria e cupida di sè, che brama di ritornare all'unità originaria spezzando la frammentazione in individui e rompendo dunque i legami dell'apollineo e le sue leggi (razionali), è stata battezzata con il nome di Dionisiaco.
Il coro, la grande musica, la danza, l'orgia sono tutte espressioni di rito dionisiaco, quasi un "accordo" fra apollineo e dionisiaco, in cui il primo concede coscientemente un certo spazio e un certo tempo al secondo, senza rompere per sempre l'ordine del proprio mondo.
I riti del gran dio dell'ebbrezza permettono di vivere momentaneamente il dionisiaco senza che l'individuo in quanto tale venga distrutto.A tale compito fu preposta anche, secondo Nietzsche, la tragedia attica, la quale era tanto apollinea, nei personaggi, quanto dionisiaca, nel coro.
Anche la sfera erotica, a mio giudizio, al pari dell'arte e della vita, si mostra a noi in questi due diversissimi aspetti.
Corteggiando un'onesta donzella infatti, cercando di ottenere i favori di una bella dama o gestendo il rapporto con lei e conservando il suo amore a lungo, secondo i principi che ci ha insegnato Ovidio, esaltiamo lo splendore del mondo apollineo, mentre accompagnandoci con una donna di facili costumi, perdendoci nel labirinto del piacere con una meretrice, lasciandoci cullare dalle onde della voluttà, esploriamo gli insondabili regni del mondo dionisiaco.
In questo mondo, schiettamente, è la natura che l'uomo vuole primieramente nella donna, non la persona. . L'apprezzamento per la persona può facilmente generarsi in seguito, ma risulta comunque legato alla dimensione individuale del regno apollineo. Ciò che invece muove l'istinto e la brama di un uomo d'intelletto è il prorompere, attraverso la bellezza della donna, di quella essenza dionisiaca, quel substrato antico e profondo, nobile e immortale della vita cupida di sé restituita alla unità primordiale antecedente la frammentazione in individui.
Quando è possibile obliarsi fra le onde della voluttà con un'accompagnatrice che, seppur a pagamento, par disposta a recitare la parte della bella cortigiana ispiratrice di sonetti e madrigali ("Qual rugiada qual pianto qual lagrime eran quelle che sparger vidi dal notturno manto e dal candido volto delle stelle") allora la vita stessa irrompe in primo piano, sciolta, seppure per pochi attimi, dalle convenzioni e dalle regole apollinee che dominano il mondo degli individui. La voluttà prorompente non è più dunque, come nell'Eros Apollineo, corollario di un rapporto fra persone, fenomeno individuale o sociale, ma veramente "cosa in sè". Il piacere che qui emerge deve adunque considerarsi puro e assoluto (da ab solutus: sciolto) perché sciolto da ogni regola e da ogni convenzione. In questo caso si ha il trionfo dell'eros dionisiaco.
Il fatto che tutto questo sia condannato, vituperato o deriso nella moderna società di massa e democratica è sintomo della bassezza e piccolezza delle espressioni filosofiche e morali di quest’ultima, non diminuzione della grandezza e nobiltà del desiderio stesso. Porsi contro questo desiderio, dannarlo o condannarlo significa porsi contro la vita stessa. Chi chiama colpa o sopraffazione tutto ciò odia la vita ed è complice del rovesciamento dei valori denunciato da Nietzsche. Citare qui il rispetto è imbecillità, poiché non vi è nessuna vera forma di rispetto senza il rispetto per i propri impulsi vitali, per i desideri primordiali, per la vera natura propria e altrui (e poi, nei rapporti cosiddetti "gratuiti", o nei tentativi di rapporto, il rispetto c'è ed è sincero? Ma a chi credete di parlare?).
Con le escort vi è un accordo preventivo e consensuale fra individui (ancora nell’apollineo) per la “recita” nel mondo del dionisiaco, da parte della professionista che liberamente accetta il ruolo di “attrice sulla scena” in cambio di un compenso economico (e quindi di un utile da spendere nel mondo “apollineo”). Non vedo cosa si possa criticare di ciò senza criticare tutto il mondo individualista e capitalista (in cui comunque si vive oggettivamente meglio che nel medioevo del predecessore e conterraneo di Ratzinger Vittore II).

CONTRO TUTTE E TUTTI
Perché le donne italiane "tradiscono" il femminismo? Non lo tradiscono, ma, essendo intelligenti molto più di quanto i luoghi comuni mostrino, lo rielaborano criticamente, trovandone le assurdità, accettando solo quanto vantaggioso e negando quanto svantaggioso o innaturale, al contrario delle decelebrate britanniche che accettano tutto come dogma di fede (evidentemente sono culturalmente abituate ad accettare quanto lo stato anglicano propone come Verità). Perché le donne italiane non si "ribellano"? Semplicemente perché non sono stupide come gli uomini che credono al femminismo! Essendo dotate di molta più intelligenza di quanto gli uomini e gli inglesi pensino, comprendono perfettamente che se si "ribellassero" la condizione che otterrebbero vincendo sarebbe molto peggiore di quella attuale. Otterrebbero davvero la parità e sarebbero come gli uomini COSTRETTE a lavorare per vivere, a rinunciare ai regali, ai doni e agli inviti a cena continuamente ottenuti ore essendo appena carine, alla possibilità di bella vita data dalla bellezza del corpo e a quella di compiacimento vanaglorioso per la corte dei cavalieri intorno a loro quando appena appena assomiglianti a qualcosa in grado di suscitare un minimo palpito di desideiro.
I diritti sono il contrario dei privilegi e i privilegi sono il contrario dei diritti.


CONTRO GLI INGLESI:
Comunque, a giudicare dagli attacchi pretestuosi e sottilmente politici all'Italia del Financial Times (un tempo direttamente a Berlusconi, oggi, indirettamente, alle sue televisioni e alle sue agenzie di pubblicità) inizio a capire appieno le motivazione che hanno spinto un popolo come i tedeschi a cercare di seppellire fra bombe e di macerie questi inglesi falsi, ipocriti, bacchettoni e schiavi dell'ideologia pseudo-emancipata e pseudo-illuminata (in realtà innaturale e antivitale e mostruosa per l'uomo e la sua libertà).
Mi consolo dicendo così e pensando a questo periodo estivo sessantasette anni fa.

ORA DOPO ORA, GIORNO DOPO GIORNO, SETTIMANA DOPO SETTIMANA: BOMBE SULL'INGHILTERRA!

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