La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Perşembe, Kasım 09, 2006

A PROPOSITO DI CONFESSIONI DI DONNE

Traendo incipit dal geniale rovesciamento di prospettive operato dalla "confessione" dell'amica segreta di Chiara di Notte, decido qui di operare un altro rovesciamento di preconcetti sedimentati nell'italica cultura, parlando di ciò che confessano o meno le donne-escort.
Quanto dirò potrà essere considerato idealmente come l'Ottavo Capitolo (quello infinito del giorno che verrà) della "Fatwa contro i lapidatori" di qualche settimana addietro, di cui costituisce, come contenuto, il necessario completamento (per chi ha letto i 7 capitoli precedenti).

Madonna Chiara di Notte costituisce una (in tutti i sensi) "chiara" eccezione nel dichiarare apertamente, riguardo all'escorting, le proprie motivazioni, i propri pensieri sui personaggi e la propria visione, tanto che molti sono stati portati a prendere per vera le versione opposta dei pisquani (la poverina senza altre doti o possibilità o la fanciulla libera e ricca, ma triste per il "vuoto spirituale" insito nel mestiere, ed esistenzialmente infelice per non avere una "vita normale" e un "uomo normale").

Ovviamente, vivendo in un paese in cui la cultura cristiana (specialmente quella di stampo controriformista, diverso sarebbe il discorso, ad esempio, per il cattolicesimo polacco: la polonia nel seicento era il paese senza roghi) permea alla radici la società ed il pensiero, la morale ed il sentire, non solo e non tanto in ambienti clericali o presso chi si dichiara professante, ma anche e soprattutto negli ambienti intellettuali, laici, nella gente comune, in chi si dichiara ateo o non praticante, una meretrice sia portata a dichiarare di non aver avuto una scelta completamente libera e di aver preferito un qualsiasi altro mestiere se ne avesse avuto la possibilità. Non può dire, come realmente è, che ha operato quella scelta liberamente (come tante altre persone scelgono un mestiere piuttosto che un altro per motivi di soldi o di necessità individuali, materiali o spirituali, e non sono dette in nulla costrette) da una prospettiva meramente economica (necessità o brama), o di piacere consumistico (potersi permettere creme e gioielli, vestiti firmati e oggetti di lusso, vita agiata e soggiorni in posti da sogno) o di sostentamento dell'autostima (vedere la prova di essere oggettivamente bella nel momento in cui uomini di tutti i tipi sono disposti a pagare per la di lei compagnia) o di vanagloria (vedersi pagata cifre degne di grandi artisti e considerarsi desiderata e contesa al pari di una principessa rinascimentale), non trovando nulla di male (o di impuro) nel chiaro, dichiarato e consensuale scambio di sesso (o recita completa di un sogno estetico e illusione d'elisir d'amore)per denaro. Non può dire che il mestiere l'arricchisce economicamente e non solo, lisciando la sua vanagloria e fornendo consolazioni materiali, e non fa altro che mettere a frutto certe doti (di bellezza, di fascino, di intelletto, di dialogo, di bravura recitativa) piuttosto che altre (lo studio, le braccia, l'impegno come in altri mestieri). Per timore di non essere socialmente accettata, o umanamente compresa dal cliente, il quale pur essendo tale non è certo sovente libero da pregiudizi, lascerà sempre intendere di sentirsi "impura" e non darà libero sfogo al proprio pensiero secondo sono, eccettuate coloro che sono costrette da qualcuno mediante minaccia o debito capestro, le quali devon chiamarsi vittime e non prostitute, le prostitute (siano esse nascoste sotto le vesti di “accompagnatrici per uomini d’affari” o sotto quelle di “ballerine”) coloro che, anziché vendere le proprie capacità, il proprio intelletto o le proprie braccia per cifre modeste, come gli altri, preferiscono vendere piacere, spesso a cifre più elevate rispetto alle persone loro coetanee e se ciò sia dignitoso o meno, lecito o no, tollerabile o no, se ne valga la pena e quale sia il prezzo di questa pena, PUO' ESSERE STABILITO SOLO DALLA SINGOLA PERSONA INTERESSATA.Quello che pensano gli altri, il volgo vile, il clero, i falsi sapienti, è irrilevante.

Rischierebbe di essere considerata materialista, superficiale, eccessivamente legata al denaro, deviata dal consumismo e priva di altri valori, scarsa di moralità, serietà, etica e dignità, priva di altre doti e che dà poco valore al proprio corpo ed alla propria femminilità.

Una certa prospettiva sul mondo e sul sesso (tipica di un certo tipo di cristianesimo) va al di là del fatto di essere religioso o no, credenti o meno, e interessa la cultura profonda, il sentire intimo, il giudizio o il pregiudizio su ogni azione, riguardi essa la politica o il sesso.
E' vero che negli ultimi decenni comportamenti più licenziosi sono concessi e non considerati immorali, ma è altrettanto vero che si continua a considerare il sesso come qualcosa di "sacro" e "pericoloso", per cui una certa visione (esplicita o implicitamente sentita dalle genti) lo considera "Puro" solo se conseguente ad un affetto, o ad una conquista sentimentale o meno, magari anche ludica o per divertimento, ma comunque sempre legata ad un certo rapporto "particolare", mai quando per puro interesse. Utilizzare il sesso come un mezzo, anche quando ciò avviene in maniera anticipatamente dichiarata, consensuale e senza inganno da nessuna parte, è sentito come "impuro", quasi come una violazione.

Tutto ciò deriva dal pregiudizio paolino sul corpo, in virtù del quale ancora in molti paesi si può vendere tutto di sé (cultura, istruzione, idee, forza fisica) ma non sesso, giacché vendere piacere attraverso il proprio corpo equivarrebbe a vendere se stessi (anche se poi si accetta che qualcun altro, maschile o femminile, venda le proprie idee, i propri ideali, la propria serietà, la propria coerenza).

E allora perchè si dovrebbe considerare morale la vendita del proprio intelletto, della propria fisicità, del proprio sapere, della propria fatica? Perchè non si dice “il corpo dell'uomo non è in vendita, l'intelletto dell'uomo non è in vendita?”. Io replico:
se viviamo in un mondo mercificato, in cui è lecito vendere tutto di sè, la propria preparazione, le proprie speranze, le proprie capacitò, non vi è nulla di male se due persone adulte sono legate da un rapporto mercenario. E poi, chi è decide di vendere a prezzo di mercato (spesso bassissimo) la propria conoscenza, il proprio percorso culturale, quello in cui ha studiato e sofferto nella sua “verde etade”, verso cui ha rivolto le speranze più secrete e pure della giovinezza, a cui ha sacrificato giochi e amicizie, non finisce forse per vendere se stesso, molto più di chi “noleggia” per poche ore il proprio corpo?
Tutto nella nostra società risulta orientato al profitto: la cultura, l'arte, lo studio, la preparazione universitaria, l'approccio alla vita lavorativa e l'intera visione del mondo degli individui. Chiamiamo progresso la globalizzazione che ci pone a contatto con popoli e culture diverse con le quali scambiarci le merci e le idee e, ovviamente, trarre profitto. Accusiamo di essere retrivi coloro i quali si oppongono al processo in nome delle idee nazionali e delle tradizioni millenarie dell'Europa, e vorrebbero conservare il costume degli avi, poiché, così facendo, si “perderebbe il treno” del progresso economico. Celebriamo il concetto di uguaglianza, poiché tutti gli individui sono eguali dinanzi al mercato ed alla concorrenza economica e gli antichi privilegi nobiliari, i concetti di unicità, superiorità, eccellenza (contrapposti a libertà, uguaglianza e fratellanza) su cui si basano il sentire artistico di ogni tempo e la possibilità medesima di essere artista, vate ed esegeta, e mediante i quali l'arte è commissionata, prodotta, ed assume reale valenza nella vita (si pensi ai Signori del Rinascimento, i quali, per giustificare il loro potere, non essendo di antica nobiltà, avevano bisogno di “nobilitarsi” chiamando a corte i migliori artisti dell'universo mondo e commissionando loro opere immortali destinate ad accrescere il prestigio, in una continua gara di bellezza che era prosecuzione in campo culturale delle lotte politiche per il predominio in Italia) rallenterebbero il progresso ed il profitto. Accettiamo che i modi di vita, i modelli sociali ed i costumi siano mutati, mescolati, contaminati al fine di favorire l'integrazione la quale si traduce ancora una volta in un aumento del profitto. Permettiamo che la nostra lingua, forgiata da Dante e resa perfetta con le alte e raffinate tecniche del linguaggio illustre create una volta per tutte da Petrarca in Poesia e da Boccaccio in Prosa, venga modificata, cambiata, degradata ad uso del volgo per diffondere, con la tv ed i giornali, notizie alle masse (le quali producono profitto). Non ci opponiamo al fatto che la stessa lingua perda la propria natura vocale ed armonica, il proprio suono pieno e atto alla poesia, per colpa di termini stranieri, utili a diffondere le nuove tecnologie e dunque ad accrescere sempre il profitto. Persino ci curiamo che l'istruzione perda il suo volto umanistico e latino, che tanta parte ha avuto nella geniale produzione artistico letteraria dei popoli del mediterraneo, e diventi specialistica, atta a forgiare figure nuove ed adatte a ricoprire i ruoli richiesti dal mercato. Allegramente permettiamo al mercato di cancellare la figura rinascimentale dell'uomo a tutto tondo, così come scolpito nel David di Michelangelo, raffigurante con le sue forme possenti tutta la policromia delle possibilità umane (l'homo faber ipsius fortunae di cui discorreva Marsilio Ficino) per sostituirla con un “homo novus”, ignaro delle ragioni della storia, dell'arte, delle tradizioni e delle lettere, ed impregnato di tanti “saperi” specialistici atti a fruttare profitti. Rinneghiamo l'uomo di Leonardo, “copula mundi” fra le cose inferiori, che sono terrene, e quelle superiori, che sono divine”, come celebrato nella “Theologia Platonica” del Ficino in nome di un individuo esperto di marketing e pronto a cogliere con i sondaggi i mutevoli capricci dei fruitori del mercato.
Abbiamo trasformato in definitiva il lavoro stesso, da quello che era nella Civiltà dei Liberi comuni medievali, una “continuazione dell'opera divina”, a quello che è oggi: un mero mezzo di profitto.
Facciamo tutto questo perchè vogliamo vivere bene nella realtà capitalistica, perchè preferiamo adeguarci al mondo mutevole anziché soccombere, perchè non abbiamo trovato nulla di meglio, avendo sperimentato come le due grandi negazioni di questo sistema nel secolo scorso: il Nazional Socialismo da una parte ed il Comunismo Reale dall'altra, oltre a produrre tragedie umane inenarrabili, si siano mostrate manifestamente negazioni dell'individuo e della sua libertà elette a sistema di governo.
Accettiamo dunque di fare tutto quanto precedentemente elencato nell'istruzione, nei costumi, nella conoscenza, nel sentire collettivo, permettiamo, anzi favoriamo, che la mentalità delle nuove generazioni, i loro valori, i loro giochi, la parte più sensibile e tenera della loro mente, fin nel profondo del loro inconscio, ogni aspetto insomma della loro intera vita siano “marketing oriented”, al fine di sostenere le nuove sfide economiche e poi ci lamentiamo di come talune persone vedano orientata al mercato anche la sessualità? Tutto ciò risulta contraddittorio e sessuofobo. Se si vogliono orientate al mercato la preparazione culturale, la formazione, l'istruzione, le abitudini quotidiane, la famiglia moderna, la sensibilità verso il mondo, la parte insomma più vera e costitutiva degli individui, perchè altrimenti non si può fare, allora non ci si può permettere di condannare o giudicare “schiavi di una mentalità” coloro i quali vogliono trarre profitto dal proprio corpo. La loro libertà è la medesima di tutti gli altri che vivono sotto la stessa ambientazione culturale (che è mondiale e dominante) e che da essa sono inevitabilmente influenzati (senza che però questo violi la loro vita privata, ove solo a loro spetta l'ultima parola)!
Offrire per denaro gran parte del proprio tempo, dalla giovane età a qualla matura, al lavoro, dedicare esclusivamente ad esso la propria formazione, informare su di esso la propria visione esistenziale, conformare al mercato la propria istruzione ed i propri pensieri, uniformare le proprie abitudini alle esigenze dell'economia e della società globale dovrebbe essere consentito, anzi incoraggiato e laudato, e offrire sempre per denaro una parte arbitraria del proprio tempo da dedicare al soddisfacimento dei sensi, al piacere di natura, invece no?
Forse che i genitali custodiscano più dignità ed individualità dell'intelletto, della tradizione, della cultura, delle arti, delle nazioni e dei popoli, dei pensieri e delle umane lettere?
Chi è costretto a svendere per esigenze di mercato la propria cultura, il proprio percorso di formazione, quello in cui ha sperato negli anni più puri della verde etade, per cui ha lottato e sofferto nel periodo più fresco della propria giovinezza, verso cui a anelato in lunghe ore di studio e per cui ha sacrificato le ore più vaghe della propria giovinezza, non vende forse la parte più pura e nobile di sè? Chi pone il proprio intelletto al servizio di un potente, non è forse un prostituto "intellettuale"? Chi approfitta del desiderio di natura altrui e si fa sposare da un coniuge più ricco per ricevere in cambio doni e ricchezze e utilizzare il divorzio come arme di ricatto non merita forse il nome di puttana? Se tutto ciò si chiama invece inserimento in ambito lavorativo, diritto all'informazione e matrimonio, perché proprio vendere sesso dovrebbe essere immorale? Non è questa una mera e schietta morale sessuofoba di derivazione giudaico cristiana e solo rivestita da socialismo o femminismo?

Tutto deriva proprio dalla lettera di San Paolo ai corinzi, la quale condanna il peccare con il corpo (e quindi, fra le altre cose, la prostituzione), ripresa in versione politicamente corretta, socialista o femminista dai moderni.
Mi sembra lapalissiano che il questo discorso è basato essenzialmente su due assunti presi arbitrariamente per veri:
1.“Il sesso deve essere un fine e non un mezzo”, postulato assolutamente rispettabile, ma altrettanto assolutamente non dimostrabile. Infatti bisogna riconoscere che nel mondo esistono donne (e, appena ne hanno l’occasione, anche uomini) le quali, senza costrizione alcuna e senza bisogno, decidono di considerare il sesso non come un fine, ma come uno strumento da cui trarre ricchezza, agiatezza o altri vantaggi materiali (e talvolta anche "immateriali" e di vanagloria). Potete chiamarle “puttane” (ma a questo punto, per coerenza, dovete estendere la definizione, dalle oneste meretrici dichiarate, a tutte quelle donne che si fanno mantenere da un uomo, a tutte quelle ragazze delle spettacolo e non che cercano un partner economicamente “potente”, a tutti quelle donne e quegli uomini che si sposano per interesse, alla velina che si mette assieme al calciatore per divenire famose, al bel ragazzo che si fidanza con la figlia dell’industriale e a tutti quei casi nei quali la sfera erotica è utilizzata per profitto, spesso subdolamente e senza la chiarezza delle escort) ma certo non “non libere”, giacché non sarebbe oggettivamente vero. La libertà risiede nel poter scegliere, ed il fatto che la scelta sia dettata da un interesse razionale anziché da una libidine irrazionale (come avverrebbe nel sesso gratuito) o dalla altrettanto irrazionale vanagloria (nel caso di certe dame “Oneste”) non limita la libertà della scelta stessa, anzi, per me l’amplifica (dato che si può essere più facilmente schiavi delle passioni piuttosto che della ragione, vedere P.S. di qualche post fa).
2.“il sesso è libertà pura”, intendendo con questo che sia qualcosa di oltre-umano, di sacro, di misterioso, di inviolabile, nel quale agli individui dovrebbero essere disconosciute le libertà normalmente concesse in altri ambiti (fra le quali, ovviamente, quella di mettere a frutto una parte di sé per un fine economico). Per questo ho ribadito che il vostro è un pregiudizio parallelo a quello di San Paolo: il corpo sarebbe un tempio dello spirito santo in cui ogni opera di mercificazione apparirebbe sacrilegio, e separare il sesso dall’interesse economico sarebbe dovere pari a quello di cristo che cacciò i mercanti dal tempio. Vedevo in Paolo almeno una motivazione religiosa. Vedo in voi solo un retaggio culturale. Sia detto senza infamia, dato che ognuno è libero di accettare le tradizioni o i retaggi in cui crede (purché non pretenda di imporli come assoluti). Mi limito a sottolineare come vi siano persone che non la pensano in questo modo e, di fatto, agiscono diversamente, ritenendo il sesso una normale attività umana, alla pari delle altre, su cui il diritto degli individui a disporre del proprio corpo (e nel caso, anche quello a “noleggiarlo”) non viene meno. E’ l’opinione delle escort indipendenti, le quali sostengono di non offrire per denaro nulla più di una recita scenica, al pari delle attrici. Per me qualcosa di sacro ha, forse, l’amore, ma non certo il sesso. Ovviamente il sesso deve essere libero nel senso che l’individuo deve poter scegliere con chi, che cosa e, secondo me, anche perché. Fra i perché vi è, di fatto, anche quello dell’interesse (vedi punto 1).

Il mio discorso invece si basa su un assunto. Dato che il sesso è qualcosa di assolutamente privato (e delicato nel suo equilibrio), ogni individuo ha diritto a stabilire cosa debba essere per lui. Finché non si danneggia sensibilmente ed oggettivamente il prossimo e si tratta di persone adulte e consenzienti, difficilmente tale assunto può essere preso per falso in uno stato libero. Se dunque una persona, non costretta da alcuno, ritiene, per motivi personali non riguardanti lo stato, di utilizzare il sesso come mezzo piuttosto che come fine (o anche come mezzo) con quale diritto gli altri potrebbero impedirglielo? E dunque con quale diritto si impedirebbe ad un altro individuo di accettare questa situazione e di pagare in cambio di sesso?
Se anche fossero tutti democraticamente d’accordo nel farlo, sarebbe una tirannia della maggioranza!
Nelle faccende private e soprattutto sessuali uno stato veramente liberale non dovrebbe entrare, se non per sancire che ognuno ha diritto a stabilire i propri valori e le proprie scelte e per impedire che taluni, con violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità, impongano la propria volontà su altri.

La differenza fra le due tesi è presto detta: i sostenitori della prima potrebbero proibire a quelli della seconda certi comportamenti con forza di legge, senza giustificarsi con nulla che non sia la propria convinzione morale, mentre non succederebbe mai il contrario (perché i primi non riceverebbero nei loro comportamenti privati divieti dai secondi).

Tutto ciò è presente in Italia e le meretrici lo devono subire, magari anche dagli stessi clienti (alcuni dei quali si sentono in colpa mentre altri incolpano la meretrice: pochi hanno il coraggio di essere libertari e di non vedere nulla di impuro né da chi compra né da chi vende, mentre, stranamente, quasi nessuno si rende conto della fondamentale differenza fra chi è libero da vincoli matrimoniali e chi invece si trova nella situazione descritta dalla parodia chiaresca).

FINE OTTAVO CAPITOLO

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