La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Pazar, Mart 04, 2007

DOMENICA POMERIGGIO
Il pomeriggio è tutto azzurro, ma il mio animo non è così sereno.
(da: "Sospiri dal Bosforo")

















Gentile madonna,
forse era davvero meglio non parlarne. Del resto voi ed io pare ci intendiamo meravigliosamente senza parole, mentre esplicitando rischiamo di creare divergenze apparenti in ciò su cui in fondo e sinceramente concordiamo. Percepivo però la necessità di esprimere il mio tormento o, meglio, di descrivere ciò su cui sono convinto e a cui devo abituarmi, tenendo le parole e i pensieri che ne seguono come breviario da usare nella vita. Scrivendone posso fornire esempi di come il semplice e gradevole dialogare in chat con anime amiche possa suscitare turbamenti, anche se indiretti.
Prendete dunque questa lettera come una lettura ad alta voce del mio pensiero (che già conoscete): fate finta di ascoltare radio3. Non dovete né rispondere, né sentirvi in causa. Sarete la silente ascoltatrice, esattamente come lo era la luna per il pensiero dell'Infelice di Recanati. Dolce e chiara come la notturna lampa, guardatemi con indulgenza: alle vostre orecchie rivolgo le parole, e l'alta bellezza vostra sarà di consolazione anche senza parole.

Vi è una verità fondamentale la cui ignoranza procura agli uomini ed alle donne gravi incomprensioni ingiustizie reciproce e soprattutto aggiunte di dolore alla vita dovute a scelte scellerate e illuse e ad interpretazioni erronee e fuorvianti della stessa, e la cui conoscenza invece, se non risolve "il basso stato e frale e il mal che ci fu dato in sorte", almeno evita di procurarci quegli affanni e quelle delusioni derivanti da credenze infondate, rende meno insopportabile la sofferenza comprendendone la natura e l'indissolubilità con la vita all'interno del "mondo come volontà" e ci prepara a vivere "sopportabilmente", secondo i nostri personali e insindacabili parametri, secondo la nostra irriproducibile sensibilità individuale, ossia ad essere meno infelici possibili.

Prima ancora di essere persone siamo esseri viventi.

La Natura stessa suscita in noi, nel corpo e persino nel sentimento e poi nelle idee (giacché più raffinata deve essere l'illusione per gli umani rispetto a quelle sufficienti per gli altri animali), una miriade di desideri, per guidare le singole creature a realizzare non il proprio interesse, ma quello della specie.

Il termine stesso "persone", che per il Latino significa "maschere", è, come spesso accade per le lingue antiche, eloquente ed esplicativo, in quanto, come individui,non siamo che fugaci comparse di quella grande rappresentazione di cui la natura sola conosce il significato e la perpetuità.
La vita e la morte sole sono immortali, assieme al ciclo di nascia e distruzione: quella è realtà, noi siamo apparenza. Noi siamo il fenomeno nelle forme transeunti in cui si manifesta, ma la "cosa in sé" non risiede in noi, effimeri individui, bensì la volontà naturale attraverso cui noi stessi viviamo e desideriamo vivere e bramiamo le cose e la vita.

Tutto quello che è fondamentale per noi ed in cui, intimamente, crediamo di vivere, e da cui traiamo spesso felicità o infelicità non è che pura rappresentazione, e noi stessi, nella nostra stessa anima, nei nostri pensieri, nei nostri valori, nelle nostre illusioni, nei nostri sentimenti, nella nostra individualità siamo pure
apparenze sorte dal nulla e destinate al nulla a tornare.

Il maggior grado di coscienza fra tutti gli esseri viventi fa sì che l'uomo ami se stesso più della propria vita, ossia si ami "supremamente" (come nel dialogo di Farfarello).
Per questo ricercherà sopra ogni cosa non tanto la vita, la sua conservazione e la sua propagazione, come gli altri animali, bensì la vita felice (e quando la possibilità di essa, o l'illusione di essa, sarà svanità, preferirà la morte alla vita priva di felicità) La ricerca sarà però sempre mossa dal desiderio, da quello stesso desiderio di cui la natura in diverse forme modi e intensità fornisce gli individui affinché perseguano i suoi fini, illusi come da una chimera.

NELLA SESSUALITA' gli uomini e le donne non sono mossi dal libero arbitrio, ma dal genio della specie.
La natura inculca nel petto dell'uomo una brama infinita di cogliere l'ebbrezza ed il piacere dei sensi da quante più donne possibili, e ne fa nascere il desiderio immediatamente e al primo sguardo, con l'immediatezza del fulmine e l'intensità del tuono, ma con la soavità di plenilunio di giugno dopo la pioggia, non appena la bellezza si fa sensibile a lui nelle fattezze del corpo muliebre, nella claritate del viso, nelle forme dei seni rotonde, nelle membra scolpite, nella figura slanciata, nelle chiome fluenti e nell'altre grazie ch'è bello tacere.
Parimenti inscrive nell'istinto della donna la dote di farsi sommamente desiderare e seguire in ogni dove, (come una fiera nei boschi) dal maggior numero possibile di maschi, in modo da ampliare al massimo la rosa di coloro che sono disposti a competere per lei e dai quali selezionare chi mostra eccellenza nelle caratteristiche volute per la riproduzione e il bene della discendenza (o, razionalizzato nelle società più evoluto, quelle doti materiali o intellettuali che rendono un uomo gradito o utile alla femmina, o conferiscono prestigio sociale).
Tutto ciò risponde ai fini della natura, non a quelli dell'uomo (ed è infatti motivi di infinite infelicità individuali, da quelle dei giovani uomini intimamente feriti dalle "stronze" a quelle delle donne tradite): il desiderio maschile serve garantire la massima propagazione dell'istinto vitale, quello femminile a garantire la selezione dell'eccellenza.
Questo è l'amore naturale "l'inganno che la natura ha dato agli uomini per propagarne la specie".
Tutto il resto, nell'amore, è solo costruzione dell'uomo, della sua ragione, della sua arte, della sua parola, e, più profondamente, del suo inconscio.

L'aveva già compreso Schopenhauer:

"L'uomo tende per natura all'incostanza in amore, la donna alla costanza. L'amore dell'uomo cala sensibilmente non appena è stato soddisfatto: quasi tutte le altre donne lo eccitano più di quella che già possiede, perciò desidera variare. Invece l'amore della donna aumenta proprio da quel momento. Ciò dipende dal fine della natura, la quale mira a conservare la specie e quindi a moltiplicarla il più possibile. L'uomo infatti può comodamente generare in un anno più di cento figli, se ha a disposizione altrettante donne: la donna invece, per quanti uomini abbia, potrebbe comunque mettere al mondo un solo figlio all'anno (a prescindere dalle nascite gemellari). Perciò l'uomo va continuamente alla ricerca di altre donne, mentre la donna si attacca saldamente a un unico uomo: la natura infatti la spinge a conservarsi, d'istinto e senza alcuna riflessione, colui che nutrirà e proteggerà la futura prole." (LA METAFISICA DELL'AMORE SESSUALE)

Se da un lato è evidente (ed i vostri mirabili racconti sono solo gli esempi più artistici) come l'uomo, nella sua ricerca di bellezza corporale e ideale, sia mosso dall'impulso naturale al sesso, dall'altro non risulta assolutamente vero, come par dire taluno o vantarsi taluna, che la sessualità delle donne sia meno presente o risulti meno centrale nell'esistenza. Semplicemente si esprime in un modo diverso, ma ciò non significa affatto ricopra una minor importanza nella vita, anzi. Il modo ad essa proprio è più quello del selezionare e dell'accudire che non quello del bramare continuamente e infinitamente il congiungimento carnale, è più afferente al sentirsi desiderate che non al desiderare, il quale è il modo maschile per eccellenza (ed è motore d'arte ed ispirazione di poesia negli uomini nati alle cose dell'intelletto).
La sessualità è sempre presente nell'inconscio, altrimenti le femmine, ad esempio, non si farebbero belle (“per piacere a loro stesse”) anche quando non ne avrebbero razionalmente bisogno: è invece naturale per le femmine essere massimamente belle e desiderate almeno quanto è per noi maschi naturale desiderare la bellezza.

Esite un primato della volontà: ci piaccia o meno. Come esseri viventi non possiamo non desiderare, prima di ogni altra cosa e senza riflessione alcuna, razionale, morale o sentimentale che sia. A nulla vale il pensiero e nullo è il giudizio morale sopra la volontà, anzi, è scorretto usarlo per giudicare ciò che non dipende da noi.
La sessualità è soltanto uno degli aspetti in cui ciò avviene, forse il più importante poiché in esso la specie si vede in procinto di acquisire o perdere uno strumento indispensabile per la sua prosecuzione, ma comunque in ogni aspetto della via, almeno quelli in cui "vogliamo", siamo mossi non dal nostro libero arbitrio bensì dalla natura, dal "mondo come volontà". Solo la nostra brama di conoscere, la nostra tensione al sapere non come utilità ma come pura contemplazione, il nostro trarre consolazione dalle opere di genio anche se queste mostrano l'infelicità del vivere, solo questo desiderio è tipicamente umano. Per questo "Poco volere e molto conoscere" è il motto del saggio.

Se questa è una valida guida per la vita serena e autarchica, non è però praticabile la sua estrema conseguenza, ossia il vivere nell'astinenza completa dall'appagamento dei bisogno naturali o addirittura il lasciarsi deperire, giacché sarebbe una contraddizione del nostro stesso essere vivi, essendo noi stessi figli ed espressioni della volontà naturale.

Non è inoltre saggio intraprendere la via dell'ascesi (i desideri naturali non appagati, tramite i ben noti meccanismi della psicoanalisi, divengono necessariamente altrettante forme di ossessione, e nell'ossessione non c'è libertà) come non sarebbe saggio curare la fame con il digiuno (non si può pretendere di combattere la natura negando i suoi istinti e reprimendo le sue pulsioni, poiché in questo vincerebbe sempre, e il tentativo servirebbe solo ad accrescere l'infelicità e a creare ossessioni e sensi di colpa utili invece a chi li può sfruttare, come la casta sacerdotale in passato).

Saggio non negare di avere dei bisogni naturali o ignorarne il soddisfacimento limitando la propria volontà (altrimenti sarebbero saggi i seguaci dell'endura) bensì appagarli se possibile nel modo più nobile, raffinato e gaudente senza lasciarsi guidare, attraverso di essi, dal genio della specie (che ha interessi diversi, coincidenti con quelli della natura e non con quelli dell'individuo o peggio (attraverso l'insoddisfazione di essi e il miraggio di ottenerli) da altre volontà.

Pretendere il contrario e condannare chi cerca solo di appagare i propri desideri naturali sarebbe come criticare moralmente chi mangia, chi dorme, chi beve, per il fatto di non avere "rispetto" per chi muore di fame, di sete o per riuscire a riposare mentre nel mondo vi sono tante sofferenze ed urla di strazio. Rifiutare il cannibalismo e pretendere le buone maniere è una cosa, ma detestare chi cerca un ristorante per godere del cibo e del vino è un'altra, specie poi se non si parla di chi entra nel ristorante con la violenza o l'inganno, ma al contrario è propenso all'accordo e, nel caso, preferisce pagare il conto in anticipo, piuttosto che corteggiare la locandiera nella speranza di essere sfamato gratis. Non è detto che per questo debba disprezzare la locandiera come persona, o non sia in grado di coglierne le doti non corporali. Non credo che chi decide di appagarsi periodicamente nel sesso come nel cibo debba denotare scarsa sensibilità emotiva o intellettiva: per me denota solo acume filosofico, lucidità d'analisi e precocità di conclusioni.
Ho sempre apprezzato voi anche perché in questo avete contribuito a sfatare certe considerazioni moralistiche sulle "gazzelle" e perché, fra tutte le generalizzazioni, le vostre sono quelle più intimanente comprensive oltre che vere. Mi dispiace che "uomini al mal più che al ben usi" rischino di farvi generalizzare negativamente, al di là del discorso escortistico, sugli uomini che desiderano.

Ritengo soprattutto ipocrita vantarsi "moralmente" di certi comportamenti tipici del proprio sesso rispetto a quelli dell'altro e di quanto, negli sguardi e nelle azioni, nei sentimenti e nelle scelte, discende dalla disparità di desideri, ben sapendo quanto tutto ciò non dipenda dall'eccellenza delle virtù personali o dalla nobiltà del libero arbitrio, ma da un motivo meramente naturale (simile a quello che fa gli uomini più forti fisicamente senza con ciò implicare alcunché di "intellettivo") e sciolto da ogni dote individuale e intellettiva. Chi pretende di avere superiorità morale per questo è ricola almeno come l'uomo che pretende superiorità per la sua forza fisica. Questo, personalmente, mi rende impossibile anche solo discutere con certe donne, che consciamente o inconsciamente negano le evidenze di natura, chiamano migliori sentimenti o superiore senso etico desideri semplicemente diversi (solo perché la loro espressione pare in superficie più “socialmente” accettabile) e confondono i piani e rinfacciano ogni cosa volgendola a proprio vantaggio o a senso di colpa altrui, sostenute in questo da infinite credenze errate, tratte dal cristianesimo o dal socialismo politicamente corretto e tendenti a vedere divinità, liberi arbitrii, costruzioni culturali ove vi sono meri istinti raffinati e specializzati o addirittura sublimati (verso cui comunque ognuno avrebbe diritto a volgersi secondo la propria sensibilità ed i fini che si propone di trarre per il proprio modo di intendere la felicità o almeno l'assenza del suo contrario).

Siamo anche altro, da quel desiderio: possiamo essere sentimento puro, slancio eroico, passione coinvolgente, o compassione, o pietà, o idealità nobile, o astrazione consolatrice, o semplice tranquillità operosa, oppure sublimazione del desiderio stesso al livello dell'intelletto, nei versi immortali, nelle musiche sublimi, nelle pitture divine, nelle immagini e nei suoni della poesie ed in ogni opera volta a rendere eterna la bellezza, ma non possiamo prescindere da quanto per natura bramiamo, nel senso più vero e profondo (inteso qui come creatore ed istintuale, non già educato dalla società, astratto e fallibile).

Non ci è dato sentirsi appagati nell'ambito amoroso senza seguire e soddisfare tali desìi. Anche se non basta certo soddisfare le brame come gli animali, per essere felici, non possiamo neppure non essere infelici, se a lungo rimangono frustrati i nostri naturali bisogni.

Non siamo noi a scegliere cosa soddisfare: noi scegliamo solo i mezzi e i modi.
E' la natura stessa che ci indica cosa ci piace, non possiamo farci piacere qualcosa ad arbitrio, almeno nei desideri naturali. Non possiamo essere appagati se non soddisfiamo la brama di bellezza e di piacere che la natura stessa ci inculca nei petti.

Perché un uomo si avvicina ad una donna (attraente)? Non intendo per l'amicizia, la quale è invero rara, se sincera, ed è propria dell'uomo (in natura non esiste), ma per quanto si dice "amore"? Perchè lo ritiene giusto? Perché esegue un calcolo o una dimostrazione che a ciò lo convincono? Perché la società glie lo insegna? Perché lo ritiene moralmente accettabile o positivo? NO! perché la natura lo spinge a ciò, come spinge le fiere ad inseguire la femmina nei boschi, come muove le stelle scorrenti del cielo e dà vita alle distese luminose del mare e alle terre che producono frutti! Come narra il De rerum natura di Lucrezio.

Se così non fosse, e si fosse spinti da mero edonismo o necessità estetico-intellettuale, si sceglierebbe di mirare la Venere di Milo o le Tre Grazie del Canova piuttosto che attaccar discorso con certe donzelle (dal comportamento magari intriso di stronzaggine e di vanagloria) solo perché sono le uniche creature viventi, nel raggio di qualche miglio, in grado di assomigliare a qualcosa in grado di suscitare un minimo palpito di desiderio.
Spesso converrebbe anche all'uomo poter scegliere di non desiderare (quante sofferenze e quante spese eviterebbe!) carnalmente e il fatto che non possa significa che non è lui a decidere (così come, ad onta del vanto femminile, non è nemmeno emancipazione dalla natura o merito intellettivo della donna la sua "razionalità erotico- sentimentale", ma meramente un'espressione raffinata del suo istinto sessuale, il quale non è desiderare ma farsi desiderare, e poi selezionare l'eccellenza). Si possono inibire le pulsioni, non cambiarle né annullarle.

Qualsiasi cosa pensi di lei come persone, e qualunque cosa io stesso sia come persona, qualunque siano le di lei virtù, simpatie e doti intellettive e qualsiasi possano essere la mia formazione, la mia educazione sociale o sentimentale, il mio sentire intimo, il mio spessore culturale o intellettuale, il mio atteggiamento verso la vita ed il mio modo di concepire i rapporti,
allorché una donna si rende sensibile al mio sguardo ed interpreta il mio sogno estetico (modellato dall'incoscio dell'immaginario collettivo o artistico, ma comunque nascente, come bisogno, come illusione della natura, dall'istinto) io non posso fare a meno di essere fatalmente attratto, secondo natura, dalla claritade angelica del viso, dalla figura alta, dalle chiome fluenti e lunghe, dalle linee scolpite delle membra, dalle forme dei seni rotonde, dallo slancio statuario della persona, dalla piattezza d'un ventre perfetto, dalla liscia pelle e levigata, dalle fattezze tutte d''un corpo dea, e dall'altre grazie che, come diceva Dante, "è bello tacere".
Questo non implica che non debba poi eventualmente apprezzare altre doti (cultura, intelligenza, simpatia, cuore) in quella donna (sempre qualora esistano realmente) o che non sia in grado comprendere l'esistenza della sua sfera sentimentale. Resta il fatto che tutti gli uomini l'apprezzeranno immediatamente e per la bellezza, mentre soltanto coloro che posseggono un'affinità elettiva con lei saranno interessati ad un legame di amicizia sincero (il quale, a differenza dell'amore, che è natura, è invece un vero sentimento umano). D'altra parte un uomo non è mai disiato ed apprezzato a priori e non ha mai la maggioranza delle donne pronta a recitare per lui da seduttrice, o anche solo a seguirlo con lo sguardo sospirando, come avviene nel caso inverso, ma deve conquistare con le proprie doti (se ci sono) la semplice possibilità di comunicare. Non gode dunque egli di un apprezzamento sessuale a priori, ma solo l'apparire eccellente, agli occhi della donna, per le virtù che permettono l'affermazione nel mondo reale o in quello dell'arte, per l'intelletto, per la cultura, per quella bellezza non corporale che ha nome cor gentile, o per nell'abilità di creare sogni e illusioni e di perdere l'anima nella “favola bella che ieri m'illuse che oggi t'illude” o ancora (a volte) per il poter conferire immortalità alle grazie femminili nei marmi divini o nei versi più che umani, può renderlo degno di stare accanto a quella che gli pare una cherubina scesa dal cielo per sua letizia. Anche nel suo caso, poi, egli sarà veramente apprezzato, nel profondo, soltanto se, una volta avvenuta l'occasione di contatto intimo e di dialogo, si verificherà un'assonanza di amorosi sensi intellettuali. Se ciò non si verifica, la donna troverà comunque nel resto dei suoi ammiratori un numero sufficientemente esteso di successive (e non faticose) speranze di essere intimamente apprezzata (le basta sorridere perché tutti siano interessati a dialogare con lei e ad approfondire la conoscenza erotico-sentimentale: fra essi potrà scegliere chi sinceramente l'apprezza non solo per le forme), mentre l'uomo dovrà reiniziare daccapo la dura fatica del rendersi interessante e gradito (per poter poi ritentare), con i conseguenti rischi di delusione e fallimento. La di lui autostima e la di lui pazienza sono dunque messe molto più a dura prova, posto che un legame sentimentale vero è difficile da trovare per entrambi. Almeno però la donna intanto si può divertire con facilità e può sentirsi ovunque rimirata e quasi idolatrata al primo sguardo, come nelle Rime di Cavalcanti: “chi è questa che vien ch'ogn'om la mira,/ che fa tremar di chiaritate l'aere/, e mena seco amor sì che parlare/ null'omo pote ma ciascun sospira” mentre l'uomo, a priori, sente solo sguardi di sufficienza su di sé e rischia di essere trattato come “uno fra tanti”, un banale scocciatore.
Su questo dovrebbero riflettere coloro le quali si lamentano del proprio privilegio di natura e confondono l'assolutamente a normale difficoltà di trovare corrispondenze spirituali con una presuta bestialità d'animo degli uomini. Che dovrebbero dunque dire costoro, che alla medesima difficoltà debbon sommare quella di non esser carnalmente disiati e di dover penare anche solo per appagare i propri bisogni estetici e non hanno, per natura, la consolazione di un apprezzamento oggettivo (ma devono costruirselo con lo studio, la fatica e la fortuna)? A volte, per necessità, la sensibilità viene accantonata dagli uomini per non essere dilaniati dalle inevitabili e reiterate delusioni erotico-sentimentali (se non si vuole pagare, si deve tentare n volte sperando nella n+1 esima, senza porsi troppo problemi di bruciarsi, a mo' di tester elettronici).
Tutte queste tematiche dovute alla disparità naturale di desideri danno modo alle donne superficiali di criticare come bruto o insensibile o “animale privo di sentimento” chi rimira primieramente la fattezze in una donna e, come nell'incanto del sogno, si lasci andare all'ingenuo trasporto verso la bellezza, chi, anche solo con lo sguardo, si abbandona al profondo, vero, cupido e creativo desiderio verso le grazie corporali delle donne.
Esse pensano che il fatto di rimirare primieramente e senza riflessione le grazie corporali (come voluto dalla natura) significhi essere animali totalmente e quindi non apprezzare le bellezze intellettive, le squisitezza intellettuali e non capire nulla al di là delle gambe, delle rotondità del petto, dei glutei e dell'ovale del viso, e non rispettare la persona che abita quel sogno estetico, e soprattutto non soffrire in sé per le crudeltà dell'amor naturale. Questa è una scusa per queste donne al fine di potersi permettere di tutto nei confronti degli uomini, qualsiasi derisione profonda, qualsiasi umiliazione pubblica o privata, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi irrisione nel desiderio, qualsiasi arroganza, qualsivoglia crudeltà o perfidia (mascherata da nobile alterigia), qualsiasi vanto di e persino qualsiasi violenza psicologica o d'altro genere (sbranamento economico, sentimentale, morale).

Non deve essere valutato negativamente il fatto che nell'uomo l'illusione del desiderio, sulla quale si fonda l'essenza stessa della bellezza femminile, preceda in tempo ed intensità "tutto il resto". Negli uomini nati per le cose dell'intelletto, o anche solo in quelli sufficientemente sensibili da non potersi appagari della semplice brutalità della carne e delle piacevolezze terrene e quindi, in quanto tali, finite, questo fatto è il seme da cui germoglia il più alto e puro sentire artistico.
Un uomo che vede la bella dama, e tosto la brama con tutto il sue essere, è pervaso da quello stesso fremito che mosse Jacopo da Lentini, notaio del Grande Federico II di Svevia, a inventare il metro perfetto del sonetto per celebrare la sua divina bellezza, è inondato da quello stesso languore che rende sublimi e inimitabili le Rime del Tasso, è permeato di quello stesso desire che spinse Catullo a comporre i carmi immortali di Lesbia, è invaso da quello stesso ardore che generò le novelle Rinascimentali e le rime petrarchiste di schiere di dotti dalle raffinate squisitezze intellettuali.

Il desiderio di natura, prorompente nella brama dell'istinto, si sublima in immagini, suoni, sculture versi perfetti e parole immortali nelle menti di quegli uomini nati per le cose dell'intelletto, per vivere e riconoscersi in quell'universo di pensieri ed essenze spirituali germano all'Iperuranio di Platone. Il desiderio di purezza e la brama di perfezione, così proprie dell'uomo d'intelletto, direi quasi innate in lui, restano però sterili, quasi volontà di morte, come tutte le cose ascetiche, se a renderle feconde non interviene la figura della Musa, scatenando ad arte la forza della vita e dell'istinto. Parimenti l'artefice è necessaria la musa, parimenti all'ingegno è necessario l'istinto.
Ad altro non pensò Guinicelli, quando, effondendo le rime del Dolce Stilnovo ch'i'odo incipiò l'autentica poesia italica, ad altro non sospirò Petrarca, quando creò con suoni e i ritmi l'atmosfera pura e rarefatta dei suoi immortali sonetti, forgiando lo stile perfetto senza uguali nel mondo, ad altro non mirava Boccaccio, quando narrando le storie che restituirono l'Italia alla religione delle Lettere e della Bellezza riportò nella nascente prosa italiana quello stile ampio ed armonioso proprio del grande eloquio Latino e degno del nome di Concinnitas.
Nulla che di bello esiste è stato creato senza il desiderio di natura, senza un profondo legame con il substrato tragico e dionisiaco dell'esistenza.

Nell'amicizia una donna sarà apprezzata per la simpatia e la fedeltà, nel lavoro per la competenza e lo studio, nell'immaginario per la personalità, ma nella sessualità lo è primieramente per la bellezza, senza che ciò implichi alcuna valutazione, né positiva, né negativa, su tutto il resto.
Ma "tutto il resto" viene apprezzato (se c'è) sempre successivamente e secondariamente, giacché, come detto, siamo esseri viventi prima che persone (e quindi fatti di desideri, oltre che di illusioni, sofferenze e caducità: solo se per appagare il proprio naturale bisogno di bellezza e di piacere si considerano le escort, si possono avere amicizie sincere e disinteressate e prive di secondi fini con le donne giacché, in caso contrario, ossia di esclusione della scelta sicura escortistica, data la disparità di numeri e desideri, la legge dei grandi numeri costringerebbe l'uomo, volente o nolente, a non lasciare mai nulla di intentato, ad aggrapparsi ad ogni minima possibilità o ad ogni illusione, a non farsi sfuggire nessuna occasione, e quindi imporrebbe il comportamento di chi ad ogni incontro con una donna cerca inevitabilmente, in maniera esplicita o implicita, chiara o ingannatoria, di convincerla alla copula, pena, in caso contrario, ossia di mancato sfruttamento di ogni possibile occasione, la quasi certezza dell'inappagamento, del disagio emotivo, dell'infelicità da sessuale ad esistenziale, dell'ossessione ). E fra "tutto il resto" l'apprezzamento intimo e sincero esiste solo con la minima probabilità con cui si trova nel mondo un'anima affine alla propria. La bellezza invece è natura, è la più fulgente illusione della natura.

Un fanciullo brama la donzella avvenente così come un fiore sboccia, un usignolo canta, un prato fiorisce, una cascata irrompe, e quando il suo desire si volge in attività d’intelletto allora i versi e le rime scorrono con quella medesima magia propria dei prodigi di natura, come l’avvento della Primavera o il riflesso sull’onda lucente di quella conchiglia d’argento che chiamiamo Luna.

Per questo si cercano le sacerdotesse di Venere.
Con le escort è possibile essere (o, meglio, credere di essere) gli unici arbitri del proprio appagamento sessuale e, a prezzo di moneta, far ricadere il piacere dei sensi nel campo della certezza (o comunque del ragionevolmente probabile). Non vi è nulla di male in questo, come invece sostengono i preti, i quali in ogni tempo hanno limitato la libertà personale attraverso l'imposizione dei sensi di colpa e ora tremano per il fatto che le azioni della nostra vita (un tempo subdolamente controllata) e soprattutto le valutazioni di essa, siano nelle nostre mani.

Va bene, le donne non saranno solo un buco per il nostro piacere (non l'ho mai sostenuto), ma io non sono il giullare per risollevare il loro animo nei momenti di sconforto (magari lasciandole irridere in vari modi al mio desiderio di natura per provare la loro avvenenza o sostenere la loro autostima) o l'attore per far sensibili i loro drammi sentimentali (sulla mia pelle!).
Per diversi motivi sentimentali o di interesse si può poi decidere di essere una cosa o l'altra.
Da un lato una donna può accettare (per denaro) di recitare la parte della bella cortigiana ispiratrice di sonetti e madrigali ("Qual rugiada qual pianto qual lagrime eran quelle che sparger vidi dal notturno manto e dal candido volto delle stelle") per assecondare, con la propria prorompente fisicità, con la propria parvenza ammaliatrice, con la propria incomparabile avvenenza (ma anche con la propria mai scontata intelligenza e con la propria cultura universitaria) i desideri di uomini ricchi (o di normali "borghesi" disposti a sacrificare interi stipendi per una notte di follia), concedendo momenti di indicibile ebbrezza dei sensi e delle idee, di estasi carnale e spirituale, di "paradisiaca perdizione" e di sensualità innalzata a sentimento (e quindi voluttà), in notti di lussuria e serate di eleganza all'insegna della bellezza e del piacere diffusi ad ogni aspetto della vita umana, fra cene principesche, lussi "rinascimentali", dialoghi e baci, squisitezze intellettuali ed estasi carnali.
Dall'altro lato, un uomo può ammettere (per desiderio di conquista) di ricoprire, grazie alla propria capacità di far vivere alla donna quella "favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude", la parte del seduttore per compiacere la bella donna nella sua vanagloria, mostrando l'abilità di perdere la sua mente negli imperi occulti del sogno, la brama di erudizione e di squisitezze intellettuali, la sete di cultura, la tensione all'eccellenza nel fare come nel dire ed altre infinite virtù che si esprimono soltanto con l'uso della parola, con la modulazione della voce, con il tempo dato al corteggiamento.
Tutto questo, però, rimane sotto il controllo del libero arbitrio individuale.
L'importante è che non si sia costretti nell'una o nell'altra cosa.
Così come una donna deve poter scegliere (escludiamo perché fuori tema i rapporti "sentimentali") se concedersi "gratis" per sola vanagloria o "a pagamento" anche per interesse, se svolgere un mestiere "normale" avendo la vita comune coi problemi quotidiani di gran parte dei suoi coetanei, o se preferire, in alternativa o in aggiunta, quello del meretricio con le annesse soddisfazioni economiche e le possibilità di agiatezza fra "cani, cavalli e belli arredi" (degni di una principessa rinascimentale), allo stesso modo un uomo ha il diritto di scegliere se corteggiare ed affrontare i rischi e i sacrifici, tipici delle campagne militari e caratteristici, come diceva Ovidio nei suoi perfetti esametri, dell'Ars Amandi, o se invece pagare in moneta anziché in tempo, in sacrifici o in ciò che ritiene meno dignitoso, come perdita di sincerità, recite, comportamenti "servili" o abbandono o nascondimento di una parte di sé, e cercare dunque una sacerdotessa di Venere, disposta a interpretare il suo sogno a pagamento, facendogli vivere momenti di ebbrezza dei sensi e di piacere estatico pretendendo in cambio un'utilità econimica.
Io personalmente preferisco pagare in moneta piuttosto che in sincerità, e veder recitata a pagamento una parte che la donna non ritiene indegna piuttosto che recitare io una parte gratis (giullare, o seduttore) o comunque ricoprire un ruolo (cavalier servente, anche se magari in forme moderne e anticonvenzionali) da me ritenuto poco dignitoso.
Il rapporto non mercenario non è in nulla paritetico, poiché, l’uomo ha sempre il dovere della “conquista”.

A voi non piace essere un "buco da riempire" e a me non piace essere un "giullare" da deridere senza freni o un "animale da circo" cui lanciare noccioline per vedere come reagisce.

A voi non piacerà essere considerata solo due tette e un culo, ma a me può non piacere essere visto come un semplice spettatore anonimo, uno qualsiasi, uno su cui provare in ogni modo la propria avvenenza e la propria autostima come fossi un freddo inanimato specchio, un pezzo di legno davanti a cui vare tutto o di duro metallo immune alla sofferenza emotiva.

Se qualche scrupolo sull'abbandonare la filosofia escortistica e sul pensare ad incontri normali è rimasto in me, esso è subito fugato dall'udire discorsi siffatti. Quando infatti immagino che, anche dovessi riuscire a vincere la mia naturale timidezza, il mio insormontabile disagio emotivo d'innanzi al corteggiamento, la mia scarsa fiducia sul poter essere apprezzato e la mia infinita razionalità calcolatrice a priori (la quale mi fa rinunciare a rischiare cose certe per premi improbabili), mi trovere innanzi uno sguardo di sovrano disprezzo verso me che desidero suspiciente (e proprio perché desidero) e un pensiero quasi di disgusto per le fole del mio disio naturale (e proprio nell'essenza più profonda e vera di esso), il mio impulso non si volge più alla copula, bensì al pianto.

Se le donne, specialmente quelle tanto belle da poter avere qualsiasi rapporto con qualsiasi uomo, pensano così, allora sarò sempre disprezzato al primo sguardo
come loro saranno apprezzate da me per grazia e leggiadria?
Se voi diffondete questo implicate per me nel reale essere guardato con sospetto o con aperta sufficienza da chi ammiro al primo sguardo per beltà di donna?
Quando guardare con disio significa ricrere in me lo stupore che ebbe il mondo vedendo la nuda Venere nascer dall'onde del greco mare sulla sua bianca conchiglia, risentire quella brama che fu di Callimaco, di Catullo e di Properzio, e che rimane eterna nei carmi greci e latini, riprovare quel trasporto che rapì Guido, Lapo e Dante al mirar passeggiare “monna Vanna, monna Lagia e colei ch'è nel numer de' le Trenta”, rivivere quel distacco fra cielo e terra che in Petrarca fece germogliare lo stile puro e rarefatto dei sonetti perfetti senza uguali nel mondo, lasciarsi prendere dal quella tensione al mondo ideale e perfetto propria dei poeti Rinascimentali, primo fra tutti il cardinal Bembo, e che portarono a compiuta perfezione la lingua e lo stile della vera poesia italiana, abbandonarsi come il Tasso alle onde della voluttà dell'Aminta e al languore delle Rime, lasciarsi infine prendere dalla cupida volontà di bellezza divinamente effusa dal D'Annunzio nei versi immortali del Poema Paradisiaco?

Essere disprezzato nell'intimo del mio essere uomo proprio nei primi momenti in cui sono mosso da desiderio verso la bellezza femminile (che poi cerco di sublimare ma in speculazioni filosotiche ed estasi artistiche ed eternare in pensieri parole ed opere ma questo è un altro
discorso) non può da me essere accettato: questo proprio no.

Sono sempre più rafforzato nella mia conclusione (e godo delle mie scelte).

La constatazione di dover soddisfare i bisogni naturali (esattamente come gli animali), le pulsioni più profonde e i desideri sessuali, a pena di vera infelicità sia sensitiva sia intellettiva, frustrazione intima, disagio da fisico ed erotico-sentimentale ad esistenziale e financo ossessione, non significa che il modo in grado di rendere l'uomo più felice (o meno infelice) in essi sia quello della natura, se non altro per il fatto che il mondo in cui viviamo realmente e da cui traiamo gioie e dolori non è direttamente quello degli oggetti e degli eventi, ma, mediatamente, quello della nostra percezione, del nostro intimo e soggettivo sentire.

Non seguire la via dell'ascesi, ma appagare i desideri di natura senza ferire, in sé e nelle persone dirette interessate, la particolare (e imprevedibile dalla natura) sensibilità individuale deve essere il modo umano.

Come voi potete provare ferimento psicologico nell'essere continuamente inseguita da una muta di maschi insistenti e bramosi (anche se ciò è pienamente natura), ed è vostro dire a costoro "non mi interessa nessuno, lasciatemi in pace" e vivere in altro modo la vostra sessualità, così io posso sentirmi profondamente a disagio, nei sensi e nei pensieri, nel dover corteggiare o sentire ferite emotive in gran parte delle occasioni di contatto "naturale" con le pulcelle.

Infine vi svelo un segreto. Anche dedicare sonetti disinteressatamente (quelli che di solito si userebbero per far omaggio) alle puttane (che scoperebbero lo stesso e sono considerate male dalle altre donne) e trattare la puttana come la più delicata e nobile delle amanti (proprio perché vilipesa dalla società delle altre donne) avviene in me per mostrare disprezzo verso le "oneste" che non hanno saputo o voluto apprezzare (pretendendo recite ridicole o volendomi da principio ingannare per mero diletto e sadismo) e far veder loro quanto di bontà e gentilezza si siano perse facendo le stronze, trasformandola in altrettanta stronzaggine di chi, come me, per protesta versa le "libagioni sentimentali e galanti" sotto i loro occhi (sempre disiosi di esse come lo è un viaggiatore nel deserto), nel "deserto sentimentale" del meretricio, lasciandole a bocca asciutta (un po' una corrispondente rivalsa).

E' amore a queste per odio a quelle. A chi vorrebbe tiranneggiarmi sfruttando le mie debolezze erotico-sentimentali, a chi vuol solo provocarmi frustrazione e farmi sentire una nullità, a chi dall'alto delle sua posizione di privilegio data dalla bellezza mi guarda con sufficienza o aperto disprezzo, a chi mediterebbe di irridermi e deridermi, intimamente o pubblicamente, suscitando ad arte in ogni modo il desiderio per poi compiacersi della sua negazione, a chi vorrebbe dilettarsi a prendersi gioco di me o a mostrare il proprio potere attirandomi sottilmente e poi respingendomi, con l'unico scopo del proprio diletto e del rendermi ridicolo agli occhi degli amici e dei presenti, dell'offendere il mio desiderio di natura, del farsi gioco del mio purissimo ed ingenguo trasporto verso la bellezza, a tutte coloro che insomma sono avvezze a provare su di chi le mira il proprio fascino, non già per vivere il proprio normale e legittimo corteggiamento, ma solo e soltanto per deridere l’aspirante corteggiatore di fronte a sé o ad altri, per farsi gioco e beffe di lui per ribadire con pura vanagloria la propria posizione di preminenza su di lui, e mostrargli quanto lui è insignificante e banale e sostituibile mentre lei è invece unica e da tutti idolatrata, a tutte le donne che esprimono la propria stronzaggine suscitando ad arte il desiderio carnale in un uomo quando il loro obiettivo non è avere un rapporto con lui, e nemmeno verificare nel corteggiamento se egli avrebbe o meno le doti per piacere (ché non si può capire al primo sguardo), ma solo compiacersi del proprio potere, illuderlo, deriderlo o sbeffeggiarlo o misurare la di lui capacità di sopportazione della tensione psicologica da loro indotta, a tutte costoro io posso dire:
"non mi avrete, non riuscirete a infliggere le vostre violenze psicologiche su di me a irridermi nella mi essenza di uomo, a molestarmi sessualmente in ciò che per voi è un gioco, io non ho bisogno di voi e me ne vo' con le mie puttane".

Etiketler:

0 Comments:

Yorum Gönder

<< Home