La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Cuma, Şubat 02, 2007

MITSUBISHI: IMPERIALISMO GIAPPONESE, MI STUPISCI!

Iersera un tale, uno storico credo, dovendo sostenere la penultima puntata del ciclo "Chung Kuo-Cina, l'Impero di Mezzo", nell'ambito delle trasmissioni di radio2 "Alle Otto della Sera", ha affermato, fra le altre cose che
"multinazionali giapponesi come la Mitsubishi finanziano associazioni culturali di estrema destra, le quali cambiano i libri di storia in senso nazionalista e minimizzano i crimini dell'Impero Giapponese, facendo apparire l'imperialismo di Hiroito come un modo del Giappone di opporsi alle potenze occidentali...."


Ora parlo io.

Non è necessario appartenere all'estrema destra, giapponese o di qualunque altra nazione al mondo, per notare come il fine dell'azione politica e militare del Sol Levante, nella prima metà del secolo ventesimo, fosse creare la cosiddetta "Sfera di Co-Prosprità Asiatica", ossia un impero militare ed economico-commerciale in Asia, sul modello di quelli europei (allora ben esistenti e funzionanti) ma condotto, per la prima volta, dagli stessi Asiatici. Assicurarsi le materie prime, il controllo delle rotte commerciali, un ampliamento del mercato interno, nuova manodopera per l'industria e l'esercito, nonché un'influenza politica e militare dominante su un intero continente erano i motivi (ampiamente considerati legittimi in Europa e chiamati "sacri egoismi delle nazioni") per i quali le potenze europee non solo consideravano l'espansione coloniale (specie in asia, dopo l'indipendenza delle Americhe) una priorità, ma arrivavano persino a conflitti di ogni genere, fino allo scontro della Prima Guerra Mondiale. Interessante notare come in quel conflitto, quando la "minaccia" per Francia e Gran Bretagna era costituita dalla Germania del Kaiser, potentissima sul continente per forza militare, industriale ed economica, ma debole nelle colonie, e che per questo reclamava la sua "fetta di torta", il Giappone venne considerato utile e nobile alleato (giacché i suoi interessi espansionistici in Asia confliggevano con quelli tedeschi, tanto che il Kaiser, una volta che volle tranquillizzare la Gran Bretagna preoccupata per la crescente potenza navale tedesca, dichiarò, senza mezzi termini, come la flotta d'Alto Mare fosse diretta non contro l'Inghilterra, ma contro il Giappone). Sparita, con la sconfitta tedesca nel primo conflitto mondiale, la minaccia coloniale germanica in Asia e resasi evidente l'autonomia (politica e militare) giapponese, i medesimi interessi nipponici (che prima erano stati incoraggiati e benedetti) vennero fortemente osteggiati ed addirittura (come ora avviene) criminalizzati dalle potenze vincitrici. Quelle stesse potenze che pochi decenni prima si erano letteralmente spartite quasi per intero il territorio della Cina ai tempi della "guerra dei boxers" si lamentavano ora del fatto che il Giappone "prendesse la sua fetta" nella parte orientale, prospicente il suo mare. E' sempre stata un'etica ambivalente quella degli Occidentali. Nè tanto vale di più quella cinese, dato che per tradizione la Cina è sempre stata imperialista e Marco Polo stesso ci narra del suo tentativo di invasione dello stesso Giappone, poi respinto dai Samurai.
Quanti gridano alla condanna dell'imperialismo Giapponese in maniera diversa dagli altri colonialismi (per i quali tacciono o parlano flebilmente) o addirittura come "crimine contro l'umanità" dovrebbero pacatamente spiegarmi perché la Francia, l'Inghilterra, l'Olanda e, prima di loro, la Spagna e il Portogallo, avrebbero dovuto avere PIU' DIRITTI di creare un impero coloniale di quanto non ne avrebbe dovuti avere il Giappone.
Forse perché i Giapponesi non sono europei? Per "inferiorità razziale"? Perché sono dei "musi gialli"? E poi il razzismo sarebbe a destra?
Quanti sostengono la condanna per crimini contro l'umanità degli alti ufficiali Giapponesi e accusano persino l'Imperatore Hiroito, già per il fatto di sostenere l'imperialismo, dovrebbero avere il coraggio di far sedere sul banco degli imputati magari anche le due "venerate" regine della Storia Inglese, Elisabetta I e Vittoria.
Queste graziose signore, infatti, hanno, in tempi e fasi diversi ma altrettanto cruciali (la fine del Cinquecento e dell'Ottocento) posto le basi del dominio coloniale (e mondiale) inglese, specialmente navale, con metodi che non sfigurano affatto davanti ai vituperati Giapponesi. La prima, nelle periodo della prima modernità e delle prime espansioni coloniali europee, rilasciava, con preciso intento politico e su larga scala, patenti di corsa a personaggi come Francis Drake ("gentiluomini in patria a pirata sugli oceani") al fine di esercitare la pirateria contro le navi dell'Impero di Spagna (allora il più potente). Per suo volere la violenza, la rapina, l'omicidio, lo stupro, il furto ed il sacchieggio (nonché il massacro di civili o di popolazioni indigene) divennero così atti legalizzati che principiarono le fortune della migliore aristocrazia britannica, contribuirono a ridurre la potenza spagnola e predisposero l'avvento del dominio inglese sui mari e sulle colonie di tutto il mondo (solo quando l'Inghilterra divenne la prima potenza i pirati vennero banditi). Alla regina Elisabetta interessava solo che venissero rispettate le nobildonne inglesi, e che si seguissero leggi e morali inglesi sulla terraferma: sui mari si poteva anzi si doveva essere pirati. Tanto bastava ad essere gentiluomini. La regina Vittoria, invece, il cui nome è legato allo splendore dell'Impero (così come quello di Elisabetta ne è legato alla nascita) si rese invece protagonista, a fini meramente mercantilistici, della più colossale operazione di narcotraffico mai ordita da uno stato (ma anche dalla più potente delle narcomafie fino ad oggi). Non voglio raccontarla io: vi cito la fonte neutrale di Wikipedia
"Con la prima guerra dell’oppio (1839-1842) si fa iniziare l'era dell'imperialismo europeo in Cina che porterà l'Impero cinese a diventare una semi-colonia delle potenze straniere. La guerra vede infatti la sconfitta delle truppe cinesi da parte degli inglesi, grazie alla superiorità tecnologica di questi ultimi e allo stato di corruzione e declino della dinastia Qing (o Manciù ) e l'imposizione di condizioni favorevoli agli inglesi nei rapporti con la Cina con il trattato di Nanchino. La Compagnia delle Indie orientali, che agiva per conto delle autorità britanniche, aveva dato il via negli anni precedenti a una massiccia offensiva commerciale per lo smercio dell’oppio in Cina. Scopo del commercio dell’oppio era rovesciare lo squilibrio della bilancia dei pagamenti tra Gran Bretagna e Cina, che nella seconda metà del settecento era decisamente favorevole a quest’ultima, nella proporzione di uno contro sei. La vendita dell’oppio ebbe gli effetti che la Compagnia delle Indie si augurava: per la Cina però fu un disastro. La corruzione aumentò, il consumo di oppio divenne una piaga sociale. Il deflusso di argento dalle casse dello Stato portò alla svalutazione del rame ed all’aggravarsi della condizione dei contadini cinesi, che venivano pagati in rame per i loro prodotti ma dovevano versare allo Stato le tasse in argento. La situazione metteva in pericolo la stessa stabilità dell’Impero Cinese. I vari divieti che le autorità emanarono ebbero scarsi effetti. Nel 1839 venne inviato a Canton il commissario imperiale Lin Zexu, che affrontò con determinazione il problema e fece requisire e bruciare ventimila casse d’oppio appartenenti ai mercanti inglesi e americani. In risposta, le truppe britanniche attaccarono la Cina, dando inizio alla guerra. Il trattato di Nanchino che concluse la guerra nel 1842 garantiva ai britannici l’apertura di alcuni porti (treaty ports), tra cui Canton e Shanghai, il libero accesso dell’oppio e degli altri loro prodotti nelle province meridionali con basse tariffe doganali e stabiliva la cessione della città di Hong Kong all’impero inglese. Nei treaty ports gli inglesi potevano risiedere e godevano della clausola di extraterritorialità (potevano essere portati in giudizio solo davanti a loro tribunali consolari). Il trattato prevedeva anche la “clausola della nazione più favorita”: se la Cina avesse accordato privilegi a un altro paese straniero, questi sarebbero stati estesi automaticamente anche agli inglesi. Pochi anni dopo la Francia e gli Stati Uniti avrebbero estorto accordi simili a una Cina ormai in declino. Era iniziata l’epoca dei trattati ineguali che sancivano la supremazia degli stranieri sull'Impero Cinese."

Dato che questa è l'origine della potenza britannica e non troppo diversa sarebbe quella dell'Impero americano (non è qui il caso di richiamare schiavismo, sterminio degli indiani, successione interminabile e fitta di guerre imperialiste dall'Ottocento ai giorni nostri), ossia delle medesime forze che condannarono e sconfissero l'Impero Giapponese non si capisce quale autorità morale, civile o storica avessero i giudici della "Norimberga giapponese".

A nulla varrebbe poi citare Pearl Harbour. Il motivo stesso dell'entrata in guerra degli Stati Uniti nella secondo conflitto mondiale era già stabilito da tempo: fermare l'espansione giapponese in Asia per sostituirvi (una volta colassato l'impero britannico) quella americana. Non si spiega altrimenti il fatto che gli Usa abbiano aspettato che la Gran Bretagna fosse quasi al colasso nella guerra contro la Germania per scendere in campo. Solo così, infatti, avrebbero potuto dettare le regole al tavolo della pace (la de-colonizzazione segnò la nascita della superpotenza americana che si sostituì alla Gran Bretagna, la vera sconfitta, nei fatti, del conflitto, al di là delle apparenze, più della stessa Germania, la quale partiva da nazione già sconfitta nel 1918 che tentava di ribaltare le sorti).

Quindi è una balla colossale che gli Usa scesero in guerra con intenti "etici" per "sconfiggere il nazismo". Quello è stato sconfitto dall'Unione Sovietica (e per cause sempre di natura geopolitica e non morale, correlate alla rottura del precedente accordo fra Hitler e Stalin), mentre il grosso dell'impegno statunitense è stato sempre diretto contro il Giappone (su cui infatti finirono le atomiche).

Erano i progetti di espansione americana in Asia il motore scatenante. Per fermare la crescita (militare, industriale e politica) del Giappone gli Usa e la Gran Bretagna imposero all'Impero del Sol Levante l'embargo petrolifero. Gli alti comandi nipponici constatarono che, per tale fatto, il Giappone, privo di risorse energetiche naturali, avrebbe avuto, con le riserve, un'autonomia di tre anni in caso di pace, ed un anno in caso di guerra. Poiché gli angloamericani erano irremovibili sull'embargo, seguiva secondo necessità che la guerra agli Stati Uniti non solo era inevitabile, ma doveva essere immediata. Solo con un attacco a sorpresa ed in grado di distruggere il potenziale navale a stelle e strisce il Giappone avrebbe avuto una speranza di prevalere in un conflitto contro una potenza industriale e militare ancora molto superiore. Ciò è onestamente riconosciuto da diversi storici militari inglesi. Se i Giapponesi fossero riusciti a distruggere l'intera flotta americana (soprattutto le portaerei) avrebbero potuto trattare con gli USA da una posizione di forza, evitare un conflitto lungo e giungere ad un accordo per l'eliminazione dell'embargo petrolifero. Questi erano i fini giapponesi. Non c'entrano la morale, l'etica, il criimine. Si tratta di mera necessità. Machiavelli docet. Chi vuole negarlo, in nome di qualsiasi idea, o è uno stupido o è un ipocrita.

Il parlatore "filocinese" di radio2 cercava poi di bilanciare le proprie affermazioni sostenendo che anche i Cinesi modificano la storia dicendo che il vincitore della seconda guerra mondiale è stato Mao per cui la vittima di ogni revisionismo è la verità storica. Per me dovrebbe saltare agli occhi che la vittima (di questo ragionamento) è la ragione. Che si presenti positivamente o negativamente l'imperialismo giapponese è soltanto una interpretazione (più o meno accettabile, più o meno criticabile, più o meno moralmente condannabile) di un dato storico, mentre che Mao abbia vinto la guerra è una semplice invenzione

Passava poi questo storico radiofonico alla mozione degli affetti, citando il cosiddetto "stupro di Nanchino", che questi nuovi manuali Giapponesi vorrebbero a suo dire minimizzare, o non sufficientemente sottolineare. Forse perché amante della lirica mi venne da rispondere a voce per le rime: "e chi ricorda lo stupro di Berlino?" Quando l'armata rossa era alle porte della capitale germanica, Stalin proclamò ai suoi soldati "le donne sono vostre". Praticamente nessuna creature femminile in città, dai 12 ai 50 anni, riuscì a sfuggire all'orrore. Questo fatto non solo non è sottolineato o è minimizzato dai nostri "politicamente corretti" manuali di storia occidentali, ma è addirittura TACIUTO totalmente. Lo scoprì per caso guardando un documentario della BBC (gli Inglesi almeno, pur essendo stati in passato pirati, sono nel presente spesso molto onesti e corretti nella scienza storica), nel quale una delle vittime sopravvissute dichiarava: "eravamo tutti molto ingenui all'epoca, sia i ragazzi che le ragazze, non era come oggi, per cui il trauma fu, se possibile, ancora maggiore, ma quel che fu peggio, è stato il dover tacere per vent'anni: non avevamo diritto ad essere vittime e nemmeno alla comprensione, dovevamo solo provare vergogna, perché eravamo le donne di Hitler, e lamentarsi sarebbe stato considerato rivendicare il nazismo o ribellarsi ai sovietici".
Situazioni simili si sono verificate in Italia (ove hanno costituito la trama, ad esempio, della "Ciociara") ad opera delle truppe marocchine sotto comando francese al seguito dei "liberatori" alleati. Sempre in un documentario inglese un reduce tedesco raccontava: "a distanza di 20 anni tornai sui luoghi di combattimento in Italia dopo lo sfondamento della linea Gustav, e una signora sulla quarantina mi corse incontro ad abbracciarmi: io non la riconscevo, ma lei sì. Era la ragazza a cui nella primavera del '44 raccomandai un nascondiglio, dicendole che stavano arrivando i marocchini".
Nessuno, in nessun manuale di storia, si sogna di sminuire o addirittura condannare la causa alleata sulla base degli stupri compiuti dalle truppe al suo seguito. Ciò si fa invece con il Giappone.
Condannare lo stupro delle donne del nemico come crimine contro l'umanità è una cosa, ma pretendere che ciò sia un crimine soltanto in alcuni casi specifici e solo quando è compiuto da alcuni eserciti è un'altra. E si chiama falsità.
Questo non giustifica i giapponesi, ma nemmeno chi utilizza questi fatti per condannare in particolare il loro imperialismo (assolvendo, o dimenticando di condannare, gli altri).

Quanto alla questione dei campi di prigionia giapponesi, troppo spesso paragonati ai lager nazisti, si deve osservare quanto segue. Mentre i lager erano campi di sterminio, nei quali programmaticamente tutti coloro i quali venivano considerati indegni di vivere (perché "non conformi", per razza, cultura o costumi, al modello sociale imposto dal regime) erano rinchiusi attendendo la sistematica morte, massificata ed industrializzata, i campi giapponesi erano puri e semplici campi di prigionia. Nella cultura giapponese l'uomo che si arrende non è degno di rispetto. Non vi è in essa la "pietas" virgiliana per i vinti. E' più simile all'etica guerriera dell'Antica Grecia. Ciò non la fa "inferiore" o più "barbara", come pretende il pregiudizio ebraico-cristiano radicato in occidente, ma semplicemente "diversa". E chi parla di rispetto delle diversità culturali non può poi nascondersi dietro un dito, condannando come crimini (addirittura come il nazismo) fatti direttamente connessi ad una visione del mondo diversa dalla sua. Per il giapponese chi, cessando di combattere, rompe il giuramento di fedeltà al proprio signore, alla propria patria, commette una scelleratezza pari a quella che per noi occidentali sarebbe l'uccisione dei genitori. I prigionieri non erano condannati a morte, ma trattati duramente e senza rispetto. Questo, se è certamente un crimine in una cultura individualista e liberale, non lo è in quella guerriera giapponese. Per questo, al contrario del nazismo, che non può essere giustificato neppure col più ampio relativismo culturale (non rientra nella storia e nella cultura germanica l'orrore di sterminare innocenti, seguendo esso non già da una necessità storica o da una visione eroica, bensì da una ideologia fin da principio pianificata in maniera criminale) il trattamento dei prigionieri da parte dei Giapponesi, seppur durissimo, non può considerarsi in sé crimine contro l'umanità (pur se violazioni dei diritti umani certamente vi furono, come però vi furono anche fra gli alleati). Interessante sapere a questo proposito come rientra fra la "civiltà" americana il fatto che inermi e pacifici cittadini venissero fatti sparire e rinchiusi in campi non certo più accoglienti di quelli giapponesi con l'accusa di essere "collaborazionisti" del Sol Levante (solo perché di quella origine etnica, benché cittadini americani). In cosa si distingue questo dal razzismo? Anche Hitler del resto spesso giustificava i suoi crimini dicendo: "ma gli ebrei, in quanto tali, possono complottare col nemico, ergo vanno rinchiusi". In cosa poi i campi di prigionia americani (non solo per i giapponesi, ma anche per tedeschi e italiani) dove si moriva di fame o di angherie, erano migliori di quelli accusati dalla storia nei confronti del Giappone? Ci sono racconti terribili di chi è stato prigioniero degli USA ed ha deciso di non collaborare, fedele alla causa dell'Asse. Del resto, racconti non certo edificanti in quanto al rispetto umano dei prigionieri vi sono ancora oggi in quel di Guantanamo.

Ed anche oggi la giustificazione è "noi siamo nel giusto e gli altri sono cattivi".

Io credo che nell'odio e nella condanna contro il cosiddetto imperialismo giapponese non vi sia altro che la rabbia verso un popolo il quale, più e prima degli altri popoli asiatici, ha saputo apprendere le tecniche "geopolitiche" degli europei, assimilarne elementi culturali, economici, tecnologici e militari e sfruttare tutto ciò a proprio vantaggio, per far progredire la propria civiltà e la propria potenza fino a rivaleggiare con gli stessi occidentali. Questo gli europei non sopportano: che un popolo asiatico abbia ardito sfidarli con le loro stesse armi.


SALUTI DALLA SUBLIME PORTA

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