La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Cuma, Aralık 08, 2006

A proposito di Oscenità





















"Fottiamci, anima mia, fottiamci presto

perché tutti per fotter nati siamo;
e se tu il cazzo adori, io la potta amo,
e saria il mondo un cazzo senza questo.
E se post mortem fotter fosse onesto,
direi: Tanto fottiam, che ci moiamo;
e di là fotterem Eva e Adamo,
che trovarno il morir sì disonesto.
- Veramente egli è ver, che se i furfanti
non mangiavan quel frutto traditore,
io so che si sfoiavano gli amanti.
Ma lasciam'ir le ciance, e sino al core
ficcami il cazzo, e fà che mi si schianti
l'anima, ch'in sul cazzo or nasce or muore;
e se possibil fore,
non mi tener della potta anche i coglioni,
d'ogni piacer fortuni testimoni"
(Pietro Aretino, "Sonetti Lussuriosi")


Sovente le genti comuni utilizzano oscenità quale sinonimo di volgarità, ossia di bassezza d'animo e di stile, rozzezza e mancanza di cultura e di gusto (letterario, nel caso della parola scritta). Ciò risulta fondato in primis su una scarsa conoscenza dell'etimologia, in secundis su un convincimento errato.

Volgare è tutto ciò che risulta proprio del volgo vile, di chi non possiede senso estetico e finezza di spirito, di chi ragiona secondo il facile e ottuso senso comune, di chi non ha partitolari doti di intelletto o eccellenza d'animo, di chi non è in grado di elevarsi all'apprezzamento o al concepimento di tutto quanto di bello e sublime esista al mondo.

"Osceno", dalla dizione latina "ob-scenus", significa letteralmente "ciò che è oltre la scena" e, per traslato, ciò che non può essere rappresentato direttamente, per impossibilità oggettiva o per non turbare gli animi degli spettatori o violare la morale costituita.
Per gli Antichi Greci doveva essere fuori scena la morte, in teatro, la quale veniva evocata solo tramite i suoi effetti e le sue conseguenze sugli animi e le cose.
Per gli Americani degli anni 30 dovevano essere fuori scena non solo la violenza, ma anche la bellezza carnale, le perversioni, il sesso, gli spogliarelli, l'omosessualità, la prostituzione ecc.
Tutto questo non ha attinenza alcuna, di per sé, con ciò che è volgare, basso e vile (e quindi proprio del volgo), giacché non solo Poemi eroici come l'Orlando Furioso dell'Ariosto o saggi quali "il Principe" del Machiavelli hanno raccontato la violenza (bellica ed eroica, in un caso, politica e razionale nell'altro) in maniera nobile e raffinata, ma anche i sonetti dallo stile puro e rarefatto di Petrarca, per la bellezza carnale, il marchese De Sade, per le perversioni, il Poema Paradisiaco di D'Annunzio, per la sessualità fattasi melodia, verso e musica di parole, i locali parigini della Belle Epoque per gli spogliarelli, il genio di Oscar Wilde, per l'omosessualità, e, non ultimi, i racconti di Chiara di Notte per il meretricio, hanno mostrato come tutto il resto di ciò che potrebbe essere "osceno" possa in realtà venir raffigurato con ingegno profondo ed arte sopraffina.

L'errato convincimento risiede nel reputare come proprie del volgo le pulsioni carnali, i piaceri terreni, i divertimenti sessuali, l'amore per la bellezza corporale e sensuale, la ricerca di momenti di ebbrezza ed estasi dei sensi e delle idea assieme a cortigiane o passeggiatrici notturne, ed il non far mistero di questo, ma anzi sfoggio, mentre come proprio del nobile e del raffinato il vivere alieni da ciò, quasi in maniera "innaturale", "asessuata", "non bramosa".
Tale infondato pensiero assume che il volgo sia tanto più basso e vile quanto più "osceno" nei suoi atteggiamenti, e il "nobile" sia inveca tanto più raffinato e degno di chiamarsi Uomo quanto più si distacca dalle "animalesche pulsioni".

Possiamo invece dimostrare qui il contrario, se ce ne viene dato tempo da parte della Pazienza del Lettore.

Nelle civiltà mantenute al livello inferiore (quello del gregge) le persone effettivamente si distinguono dagli animali proprio per il fatto controllare e limitare e reprimere (e quindi abbassare al rango di indegni di essere vissuti) gli istinti tramite la ragione.
Nelle civiltà salite invece al gradino superiore (la sfera lirica ed eroica) le persone si distinguono dagli animali, al contrario, proprio per la capacità di esaltare, potenziare, accrescere, nobilitare i propri istinti tramite le virtù dell'intelletto, di renderli quindi degni di essere vissuti, per opera di una filosofia che cessando di porvisi contro, di reprimerli, di condannarli, li coltivi, li accresca, li affini, li elevi, li eterni come un poeta eterna l’amata nella sublime grandezza dell’arte.

Il primo caso è quello della civiltà medievale o controriformista, in cui il controllo degli istinti era strumento di potere di pochi per il controllo di molti (potrebbe anche essere il caso dell'odierna società americana, ove il puritinesimo ha assunto moderne forme "politicamente corrette" di controllo politico e sociale sulla sessualità degli individui, mascherate da femminismo, ordine pubblico, moralità pubblica, dignità della persona ecc.)

Il secondo caso è invece quello della civiltà umanistico-rinascimentale, ove il pensiero, la religione, la filosofia non si sviluppavano più "contro" la natura, contro gli istinti, per reprimerli e condannarli, ma "secondo" la natura e a favore dei naturali istinti dell'uomo, per accrescere e prolungare il piacere nel mondo dello spirito.
Non dall'alto e contro l'uomo "peccatore" discendeva dunque il pensiero come nell'antivitalismo medievale, ma dal basso verso l'alto e secondo l'uomo, le sue pulsioni, la sua natura, le sue esigenze terrene: il pensiero e la ragione divenivano dunque, in ogni campo, dall'architettura alla filosofia, dalla poesia alla statuaria, non mezzi repressivi per limitare le pulsioni terrene, ma strumenti raffinati per potenziarli, per affinarli, per accrescerli, per farne fonte d'ispirazione e motore d'immortalità nell'Arte, nella poesia, nelle belle lettere.

Nella filosofia al rigore aristotelico e all'ossessivo rispetto della dottrina e dei dogmi si sostituisce il dialogo platonico e la ricerca dialettica della verità, e il rigore della morale cristiana si allenta lasciando spazio a trattati come il "de voluptate" di Lorenzo Valla ove il piacere, quando equilibrato e non distruttivo. è descritto come degni del saggio, e il peccato viene definito compagno di vita dell'uomo.

Nella scultura e nella pittura il corpo, nelle sue forme armoniose o possenti, diviene l'immagine sensibile delle multiformi possibilità umane, dell'homo faber ipsius fortunae, dell'uomo inteso come "copula mundi" fra le cose inferiori che sono terrene e quelle superiori che sono divine, secondo la filosofia di Marsilio Ficino.

Nell'architettura l'armonia classica, l'ispirazione all'antichità e ai suoi templi dedicati a dèi aventi le stesse debolezze e gli stessi desideri degli uomini, la prospettiva, la visione dunque umana del mondo, contrapposta alla "visio dei" del medioevo e allo slancio verso l'alto del gotico divengon i modi del nuovo pensiero.

Nell'urbanistica la città medievale costruita ad immagine e somiglianza della Jerusalem Celeste si sostituiva la città ideale costruita a misura d'uomo secondo criteri di vivibilità e bellezza (come la Ferrara degli Estensi o, in maniera ancor più sistematica anche se su scala ridotta, la Pienza di Enea Silvio Piccolomini),

Nella letteratura predominano i sonetti petrarcheschi, dall'armonia perfetta, senza uguali nel mondo, scritti spesso per carpire i favori di dame di corte o nobildonne con versi ora languidi, ora lieti, ora celebrativi, sono diffusi i poemetti di ispirazione classica e mitologica, da leggere durante le feste, i giochi e i banchetti, per effondere, con la musicale eleganza dell'ottava, il suono della bellezza (celebre le "Stanze per la Giostra" di Angelo Poliziano, il poeta della corte del Magnifico) e nasce la versione italiana del poema eroico, "l'Orlando Innamorato" del Boiardo, di ambientazione cavalleresca, scritto per allietare le serate di dame e cavalieri con i racconti delle avventure dei paladino di Carlo Magno, dei loro amori e delle loro traversie : "Signori e Cavalier che v'è adunati"
(è una narrazione ambientate nel passato che però, come la successiva "gionta" dell'Ariosto, parla molto del presente, e nasconde, dietro la maschera cavalleresca di terra santa, tutto lo spirito della corte italiana).

Tutto si ispira ad “essere forte, essere giovane, mordere i frutti terreni con saldi e bianchi denti voraci, por le mani audaci e cupide sovra ogni dolce cosa tangibile, tendere l’arco verso ogni preda novella che il disio miri” (G.d’A.). Quello che secoli dopo D'Annunzio scriverà in "Canto Novo" era il sentire comune di tutto il Quattrocento della Rinascita.

Francesco De Sanctis, nella sua storia della letteratura italiana, dà a questo idemsentire del secolo il significativo nome di "Voluttà", la quale appunto altro non è se non "sensualità innalzata a sentimento", a finale conferma delle mie tesi.

Questa è una dimostrazione di come desideri fisici del mondo animale possano produrre viaggi mentali in soggetti predisposti.

Probabilmente tale processo creativo è oscuro alla mente offuscata dal moralismo femminista o legato al puritanesmi angloamericano.

Talune persone "stronzeggiano" poi moralisticamente sostenendo debbansi vergognare gli uomini licenziosi
Che il cervello debba servire ad inibire le espressioni del piacere, anziché a esaltarle, a moltiplicarne le occasioni e a gustarle a livello superiore è una cretinata tutta loro, distorsione ridicola dell'antivitalismo ebraico-cristiano.

Ad esempio, "il Codice Hays, manuale di auto-censura, entrato in funzione il 31 marzo del 1930, prevedeva, ad esempio, che la durata media di un bacio non dovesse superare il tempo di secondi. L’adulterio era illecito, la nudità proibita, le scene di passione devono essere strettamente indispensabili, la violenza è vietata, le scene di svestimento devono essere interrotte all’inizio e nessun compiacimento deve trasparire in chi si toglie i vestiti, l’ombelico deve restare nascosto, l’omosessualità e la prostituzione non possono essere mostrate sullo schermo, le perversioni sono bandite…."

Nella libera mentalità rinascimentale, invece, nello splendore e nella bellezza, intellettuale e materiale delle corti, delle cortigiane e delle poesie da esse ispirate, nulla di umano poteva essere "fuori scena", indegno di essere vissuto e non oggetto di affinamento, nobilitazione, poesia.

Questa è la differenza fra le civilità "moraliste" (a livello di gregge) e quelle "oscene" (ma a livello nobile).

CONCLUDENDO
La parola volgare è dunque la parola di uso comune. E' volgare ad esempio utilizzare spesso verbi come "dire" o "fare" anziché cercare sinonimi più raffinati, appropriati e rari, è volgare limitarsi a sintagmi stereotipati come "fare sesso" anziché impiegare eleganti e poetiche perifrasi quali "abbandonarsi alle onde della voluttà", "perdersi fra i meandri del piacere", "abbeverarsi dai calici dell'ebbrezza", "entrare negli incantati giardini di Venere", "godere della bellezza divina discesa dal cielo per nostra delizia", "congiungersi carnalmente con l'Ideale etereo prima rimirate nel cielo fra il suo corteo di zefiri e di stelle" o "cogliere nel fluire dei sensi il palpito della vita universa"
Non è invece volgare introdurre in metrica verbi come "fottere" (giacché non tutti sarebbero in grado).
Il discorso volgare è il discorso privo di figure retoriche, di citazioni poetiche, di riferimenti filosofici, il discorso fondato su argomentazioni scontate, su concetti banali, su idee possedute e usate con facilità da chiunque per la loro scarsa nobiltà, il discorso, insomma, che si sente comunemente nella PIAZZA. E' volgare, ad esempio, dire "andare a puttane", mentre è nobile appellarsi al meretricio per mezzo di concetti quali

"amare, tramite le sacerdotesse di Venere Prostituta, il corpo della dea stessa nascente dall'onde spumeggianti del greco mare sulla bianca conchiglia",

"congiungersi carnalmente, grazie a colei che si rende disponibile ad interpretare, sia pur a pagamento, il nostro sogno estetico, con l'ideale etereo di beltade prima soltanto vagheggiato in sogno o rimirato in cielo alla luce diffusa della luna e nel corteo di zefiri e di stelle",

o

"grazie al versamento dell'offerta votiva, godere della bellezza divina resa sensibile, nella creatura terrestre che ha nome donna, dalla claritade angelica del viso, dalla figura alta, dalle chiome fluenti e lunghe, dalle linee scolpite delle membra, dalle forme dei seni rotonde, dallo slancio statuario della persona, dalla piattezza d'un ventre perfetto, dalla liscia pelle e levigata, dalle fattezze tutte d''un giovane corpo di dea, e dall'altre grazie che, come diceva Dante, è bello tacere",

in quanto presuppongono conoscenze di estetica, di filosofia, di poesia e di belle lettere (aliene dal volgo), sebbene il livello di "oscenità" (nell'atto come nelle parole, per chi è scomunicato dal Culto) sia il medesimo.

La parola oscena è invece l'arte in cui eccelleva, ad esempio, Pietro l'Aretino, ricercato e pagato a peso d'oro da tutte le corti dell'Europa Rinascimentale, bramose dei suoi versi e delle sue liberali e gaudenti abitudini.
Ogni signore, ogni principe, ogni re, disiava udir risuonare nella propria corte i poemi scandalisitci e osceni di tanto raffinato,
al punto che l'Aretino poteva permettersi di dare del "pezzente" a un doge o a un duca, portandogli ad esempio la magnanimità (leggasi, ori e rendite a lui offerti in cambio delle licenziose rime e della ancor più licenziose occasioni di festa da lui propiziate) del re di Francia.
Degni e gaudenti compagni di Pietro Aretino, furono Marcantonio Raimondo, autore di incisioni erotiche (all'epoca ritenute ai limiti della pornografia) che furono di ispirazione per i Sonetti Lussuriosi e Giulio Romano, il grande affrescatore di Palazzo Té a Mantova (alcova del Gonzaga e della sua amante), sui muri del quale campaggiano forme nude di dèi impegnati in amplessi prodigiosi.

A onore di questo poeta scandalistico e osceno, il quale ebbe tutti i difetti mai visti in persona umana, tranne quello di essere ipocrita (nei desideri, nei comportamenti, nelle parole) o reticente, e ad oppressione di chi vorrebbe censurare il "linguaggio osceno", chiudiamo con il suo epitaffio (che non venne mai inciso):

Qui giace l'Aretin poeta tosco
di tutti parlò mal fuorché di Cristo
scusandosi col dir: "non lo conosco"

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