La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Perşembe, Aralık 21, 2006

IL SULTANO DI COSTANTINOPOLI E IL MOTOR SHOW DI BOLOGNA (3)

















III. QUAERERE, PETERE, UOMINI E DONNE.


Fra le tante e belle cose che, con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, andarono perdute e sepolte dal tempo, vi furono certamente la capacità e l'ordine del dire, le qual cose nella Lingua Latina raggiungono livelli di precisione di significati, di rigore logico e di univocità di termini, senza pari fra gli idiomi parlati, e superati solo dal linguaggio della matematica. Tali caratteristiche si sono perdute quasi totalmente nelle lingue cosiddette neo-romanze (ovvero neo-romane), le quali, come sottende la loro stessa definizione, sono nate dalla commistione della precisa e nobile lingua in cui scrivano Cicerone, Virgilio, Tacito, con i disordinati e imprecisi linguaggi parlati dai vari barbari. La lingua non è solo un mezzo di comunicazione, è soprattutto uno specchio del modo in cui gli uomini vedono la realtà, sentono il mondo ed organizzano il loro sapere e il loro ragionamento. Nella vivace musicalità dello spagnolo, nell'elegante melodia del francese, e nell'immensa varietà di registri, dal sublime all'osceno,, dall'aulico al grottesco, dal tragico al comico, dal grave al soave, e nella sconfinata ampiezza di toni, ora perfettamente armoniosi, ora artisticamente discordi, dell'Italiano, rivivono le caratteristiche dei popoli che lo parlano e"vivono".la lingua. Un popolo saldo e rigoroso come i virtuosi Romani aveva dunque una lingua precisa.
Tale precisione linguistica si è persa nel volgare, così come, nel passaggio dai Latini agli Italiani, si sono perse tante altre virtù, soprattutto civili. Un esempio su tutti è il verbo alla base di ogni processo conoscitivo umano: "chiedere". L'italiano possiede infatti un numero sterminato di sinonimi, i più diffusi dei quali possono essere reperiti su un qualunque dizionario on-line: "domandare, interpellare, interrogare, pregare, richiedere, sollecitare, invocare, chiamare, elemosinare, esigere, postulare, pretendere, rivendicare, impetrare, implorare, supplicare" e così via, ma nessuno di questi risolve l'ambiguità di fondo insita in ogni domanda: il soggetto sta chiedendo "per sapere" o "per ottenere"? Si può ugualmente chiedere, richiedere o domandare, ad esempio, un risarcimento (e quindi ottenerlo) oppure un'informazione stradale (e quindi "sapere"). La sconfinata varietà linguistica dell'Italiano può servire alla polisemia, alla raffinata vaghezza poetica che permette di pennellare i fatti e le cose di mille vari colori, di conferire infiite sfumature di significato, ma non porta a soluzione, anzi complica, la questione fondamentale sottesa ad ogni domanda che un uomo o una donna possono porre.
Il Latino invece è più preciso, pragmatico e diretto, e conferisce molta più importanza a quanto è nel fondo dell'animo di chi chiede, più che alla sfumatura di significato di cui, con diverse parole, si vuole ammantare la domanda. Esso ha infatti solo due termini per indicare l'atto di chiedere: QUAERERE e PETERE (a fronte degli infiniti termini del volgare), senza alcuna possibilità di "sfumature" a seconda del tono o della valenza della richiesta, ma con un ben preciso significato basato esclusivamente"causa finale". QUAERERE significa solo e soltanto "chiedere per sapere", mentre PETERE significa solo "chiedere per ottenere". Tertium non datur.

Tutto ciò mi era noto fin dall'infanzia, dato che i precettori latini voluti da mio padre Maometto II, conquistatore di Costantinopoli e distruttore dell'Impero Romano d'Oriente me lo avevano inculcato assieme alle versioni e alle regole grammaticali, ma solo l'altro giorno, girando in incognito per il Motor Show di Bologna, ho potuto rendermi conto i verbi QUAERERE e PETERE corrispondono in modo biunivoco non solo alle finalità del chiedere, ma anche ai generi, rispettivamente maschile e femminile.

Nella lingua italiana questi due significati sono rimasti in alcuni termini derivati, ad esempio "Questura" (come luogo di coloro che "chiedono per sapere", poiché, essendo inquirenti, devono raccogliere informazioni al fine di ricostruire gli eventi e giungere dunque ad una conoscenza certa che permetta la formulazione di accuse e l'apertura di un processo) o "petizione" (come atto di chi chiede qualcosa al fine di ottenere, ad esempio, una legge), ma è nella vita che sono massimamente evidenti.

Girando dunque fra i vari espositori della Fiera motoristica bolognese, quando la mente era rapita dalle solite cure dei problemi di stato, solo allietate, solo placate dal pensiero e dalla vista di sì tanta bellezza automobilistica e muliebre, e dunque gli occhi erano persi nel vuoto, e l'attenzione era altrove che nel mondo terreno, sento una voce che chiede, mentre un volto mi si para davanti. "Posso farti una domanda?" L'afflizione dei problemi interni del mio impero che impediva di godere il momento mi teneva altresì lontano dall'attenzione e dalla memoria, altrimenti mi sarei ricordato di un'accadimento simile avvenuto anni prima. Altrimenti avrei risposto "troppo care certe domande". E non avrei taciuto acconsentendo. La fanciulla, né bella, né brutta, e tanto (appositamente) insignificante da non suscitare attenzione prima della domanda stessa, chiede "cosa ne pensi delle ragazze che escono dalla droga?" (anni prima una sua "collega" aveva chiesto "ti trovi in imbarazzo in presenza di un ragazzo portatore di handicap"?), ma non è affatto interessata a conoscere la risposta (che è un cordiale e imperturbato "normalmente"), bensì a proseguire porgendomi in mano un paio di penne e raccontando come esse siano prodotto del lavoro di queste ragazze (anni fa erano invece i "portatori di handicap" a costruire penne a stilo per campare). Perché il fiume di parole retorico e buonista si interrompa è necessario porgere in risposta un'altra domanda, del genere "e la gente di solito quanto vi offre?". La risposta è un ambiguo "20 euro, ma se vuoi ho da cambiare". La speranza è ovviamente che la penna ne costi solo 5 (comunque tanti per qualcosa che agli stand regalano) e se ne ricevano 15 di resto. La dura realtà è invece che se avete 100 euro la fanciulla ve li cambia, ma poi ve ne chiederà altri 10 per sé (ma come, non è sempre parte dell'associazione e quindi aiutata coi 20 precedenti?), 5 per la bambina (per fortuna ancora piccola, fosse grandicella quanti ne vorrebbe?) e via così proseguendo fino ai nonni, agli zii e ad eventuali cugini fino al settimo grado. Posto che vere associazioni non girano fra gli stand "acchiappando" ignari turisti, ma organizzano campagne pubblicitarie o si sistemano in banchi ben riconoscibili, e che l'elemosina è quanto di più degradante vi sia per la specie umana, tale fatto ha rappresentato un tipico esempio di "chiedere per ottenere".

Pochi minuti dopo, seduto afflitto a causa di quel piccolo spennamento dovuto meramente alla debolezza datami dall''insegnamento cristiano volto all'aiuto ai poveri, agli indifesi e agli umili (o ai presunti tali) e alla carità in genere, e da quel puntiglio consistente nel non voler far la figura dell'insensibile, dell'avaro e del crudele (doti che invece dovrebbero essere massimamente apprezzate in un sovrano), venni avvicinato invece da un giovane ragazzo. Anche egli mi chiese "posso farti una domanda?". Scottato dall'esperienza precedente, risposi dunque "solo che non mi costi 30 euro come quella che mi hanno appena formulato di là". "No, assolutamente, è solo un questionario che mi hanno incaricato di far compilare ai visitatori, solo che ho bisogno dei tuoi dati perché lo accettino". "Ma resta anonimo?" "Per quanto ti riguarda è come se lo fosse, nessuno ti disturberà mai per questo. Solo che LORO vogliono controllare se ho fatto compilare il questionario a persone reali o se ho risposto io a casaccio per risparmiarmi la fatica". Iniziava dunque una piacevole intervista, in cui la mia più che decennale esperienza di visistatore del Motor Show permetteva di mettere in luce pregi e difetti della nuova edizione rispetto al passato, nonché di confrontare la mia visione dell'automobilismo con quella emergente dall'evoluzione (involuzione?) commerciale delle case o dalla rassegna stessa. Il mio viscerale amore per l'automobile in quanto tale, in quanto forma pura, in quanto fatto estetico e ideale, in quanto creatura meccanica con un'anima, poteva esprimersi tanto nelle critiche al concetto proposto dai moderni (di troppa banalità consumistica o scenografico-esibizionista e di troppo scarsa nobiltà tecnico-agonistica) quanto nel ricordo commosso dei tempi d'oro delle Gruppo A, quando dal concessionario si poteva acquistare una vettura identica esteticamente e tecnicamente coerente rispetto alla versione da corsa. Magari si trattava di auto dalla carrozzeria derivata da modelli di grande diffusione e quindi poco appariscenti, confuse per auto "normali" dal grande pubblico, ma il loro pregio tecnico (motori raffinati in vesti "compatte")e la loro nobiltà agonistica, da godere tutti i giorni, davano un'ebbrezza inesausta a chi le aveva acquistate. Poi al Motor Show si vedevano le versioni preparate dai vari elaboratori, per un uso stradale più spinto o addirittura per le corse. Erano i tempi in cui molti stand della fiera erano occupati da scuderie impegnate in competizioni Turismo o Rally, per cui si potevano ammirare dal vivo e toccare con mano le vetture da corsa (derivate comunque dalla serie) prima soltanto vedute su Autosprint o rimirate di sfuggita in qualche canale secondario alla TV. Magari allo stand non vi erano modelle incipriate e gadget tecnologici, ma si potava aprire lo sportello e toccare il volante "racing" o i tubi del rollbar oppure ancora quei misteriosi "pani neri" di piombo che hanno nome zavorra. Meno "fashion" e più "passion", meno "markering" e più "racing" (come ho fatto scrivere ad epiteto conclusivo del sondaggio, nelle due righe previste come sunto dell'intervistato). Questo excursus decennale (era il 1996 quando ancora si potevano acquistare nuove una Clio Williams o una Celica GT Four, o una Escort Cosworth o una Peugeot 306 S16, poi dal 97 iniziarono le Gruppo A ad essere sostituite nei rally dalle WRC, e negli anni successivi vi fu la crisi per le gruppo N in pista, per non parlare degli incentivi sulla rottamazione che hanno portato al mecello veri e propri capolavori dell'arte meccanica) è stato parte della risposta ad una domanda sì utile al "sondaggio", ma formulata "per sapere", non già per ottenere.

Come dimostra Schopenhauer, nulla, nel mondo, accade davvero per caso. Tutto ha una causa (altrimenti non varrebbe il principio di causalità, che per esistere deve essere necessario). Non credo infatti sia casuale nemmeno che la domanda PER OTTENERE sia stata formulata da una donzella e quella PER SAPARE da un garzoncel.

Quando l'uomo non è infatti guidato (come è ad esempio massimamente nella sessualità, infatti sfruttata tanto dalle donne quanto dai pubblicitari, motor show docet) dal genio della specie e può, una volta appagati i propri desideri naturale, volare libero negli "spazi dell'Iperuranio", è mosso da desiderio verso la Conoscenza pura, ama interrogare le cose, il mondo, gli altri uomini, esclusivamente per "sapere". Il suo modo di chiedere è generalmente in QUAERERE.

"Poco volere e molto conoscere" era la massima di vita di Schopenhauer, che ogni uomo degno di questo nome (ed avente in comune con certi suoi simili il semplice fatto di camminare su due zampe) dovrebbe seguire (almeno quando non si tratta di appagare desideri di natura evitando divengano ossessione). Anche senza divenire asceti o essere eroici, è possibile, seguendo la "LIBIDO SCIENDI", ricreare sulla terra parte di quella beatitudine che Dante ha reso immortale cantando di Platone e Aristotele e degli altri sapienti impegnati a conversare nel Castello degli Spiriti Magni.

La donna invece (che nella sessualità è, ad onta di quanto molti credono e di quanto ella stessa si vanta, parimenti mossa dal genio della specie, la quale le fa seguire desideri e comportamenti non simmetrici ma complementari a quelli dell'uomo) anche al di fuori dei bisogni naturali continua a comportarsi "naturalmente" e quasi mai prova la "libido sciendi", l'amore per la conoscenza fine a se stessa, per la domanda disinteressata: quasi sempre chiedere per ottenere. Colei che nella sfera erotico-sentimentale sembra mossa da minor brama (il suo modo è infatti il farsi desiderare più che il desiderare, e il selezionare più che il bramare e per questo il suo desiderio non può essere il medesimo) diffonde la potenza del genio della specie (che nell'uomo par concentrata nella sola sessualità) ad ogni aspetto della vita, per cui, allo stesso modo con cui sceglie e valuta i maschi da lei attratti ad arte (altro non è la tanto decantata "razionalità sentimentale" delle femmine che una forma evoluta del "genio della specie") e con cui mette a frutto il loro desiderio per fini utili o graditi a lei (o alla specie), naturalmente cerca di trarre da ogni domanda il maggior utile concreto. Il suo modo di chiedere è dunque tipicamente PETERE.

Forse proprio perché, nella sua essenza più profonda, è molto più vicina dell'uomo ai fini della natura (se non altro per il semplice fatto di essere potenzialmente madre e dunque predisposta ad incipiare e a curare la vita e i bisogni corporali e attenta a cogliere ogni sfumatura, ogni affetto ed ogni vaghezza del mondo sensibile) e quindi più "utile", la donna, nella sua opera di vita ogni suo gesto, ogni sua azione, ogni suo impulso, ogni suo istinto, ogni suo pensiero conscio o subconscio ed ogni sua scelta (soprattutto quelle importanti) segue più gli interessi della
specie che non quelli dell'individuo.

Ciò mi fa essere pessimista sulla possibilità che vi possa essere "uguaglianza" nel conoscere e nel creare, per quanto riguarda cose afferenti lo spirito. Le stesse doti che permettono alla donna di risultare più pratica e utile nelle cose afferenti il corpo costituiscono anche il limite per cui non pare in grado di elevarsi alla conoscenza pura, di uscire dalla dimensione soggettiva ed utilitarista del sapere per raggiungere l'assoluto dell'oggettività (ad esempio nella filosofia o nella matematica, almeno a certi livelli, ovvero in ogni opera di pura speculazione e di creazione implicante un "vivere in astratto", o comunque un "astrarsi" dal particolare concreto e vissuto, dalla propria soggettività,dalla propria natura terrena, dal proprio utile materiale).

Questo mi rafforza nella convinzione (che fu già di Schopenhauer e di Nietzsche) di come le femmine, dotate più dell'uomo di senso pragmatico "particulare" (indispensabile per valutare la soluzione più pragmatica di ogni problema, per trarre il massimo profitto da ogni singolo uomo e da ogni situazione umana concreta) e meno di amore per "le cose necessarie, universali, perpetue", non possiedano il piano dell'oggettività, essendo tutte protese (ed anche eccellenti) in quello della soggettività (proprio ad esempio della Poesia di Saffo) e debbano essere tenute lontane da ogni scienza, e soprattutto dal legiferare (e i recenti disastri prodotti dalle leggi sul divorzio e l'aborto e soprattutto dalla loro applicazione femminista lo dimostrano), per non parlare della filosofia (totalmente decaduta, come del resto quasi tutte le espressioni dello spirito, da quando le donne si arrogano il diritto di essere uguali agli uomini).

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