La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Cumartesi, Aralık 23, 2006

DALLE TRINCEE DELL'ISONZO A GARDALAND




















Correvano gli anni 1915, 1916 e 1917 ed il Regio Esercito Italiano (peraltro inferiore complessivamente in numeri e mezzi) schierava, sulla frontiera delle Alpi Giulie, la sua II Armata, a fronteggiare le truppe dell'Imperial Regio Esercito Austro-Ungarico. Dal Rombon alla conca di Plezzo, dalla dorsale Vrsic-Vrata-Monte Nero- Monte Rosso a quella Sleme-Mrzli-Vodhil, fino a Tolmino, nella zona dunque più settentrionale della fronte giulia, quella tenuta dal IV Corpo d'Armata, tutte le posizioni di prima linea italiane correvano ad una altitudine inferiore, dai 100 ai 500 m, rispetto a quelle austriache, ed erano dunque dominate da postazioni forti per natura e sapientemente difese (magari non con truppe molto numerose, ma ben addestrate alla guerra di montagna), con tanto di osservatori per l'artiglieria da montagna ottimamente protetti e nidi di mitragliatrice magnificamente nascosti e piazzati. Si dice anche che i soldati austro-ungarici, per deridere gli Italiani che si trovavano più in basso, in trincee fangose e fatiscenti nelle quali rifluivano i rivoli e i rifiuti portati dalla pioggia e dalle trincee superiori, usassero riempire di sterco le lattine da far rotolare di sotto, come umiliazione, scherno ed abbattimento del morale. Forse qualcuno di loro avrà anche consigliato di passare all'attacco frontale perché "i veri uomini fanno la guerra all'assalto".
Ad ogni modo, che avrebbe fatto un comando supremo saggio, ovvero guidato non dalla retorica, non dall'impulso cieco dell'attacco ad ogni costo, non dalla pressione psicologica, bensì dalla ragione?
Avrebbe certamente ordinato alle truppe di lasciare quelle scomode posizioni, di ridiscendere a valle e di ritirarsi dietro l'alto corso del fiume Isonzo, lascianco magari solo qualche testa di ponte per gli attacchi eventuali e successivi (da condursi in profondità partendo da solide basi) sulla riva sinistra, e togliendo comunque l'esercito da quella situazione di continuo ed avvilente logoramente materiale e morale. Un comando saggio avrebbe servato intette e fresche le forze, e riparate, ed avrebbe atteso l'occasione propizia per sferrare un attacco "serio" e far cadere l'intera linea austriaca per manovra (come faranno poi gli austro-tedeschi a parti invertite a Caporetto: sfilando in silenzio per le valli sotto il naso degli artiglieri posizionati sulle vette, tagliando i rifornimenti, aggirando le cime e chiudendo le forti posizioni in una morsa), non già con ripetuti e suicidi attacchi frontali.
Purtroppo a capo del Regio Esercito comandava un Belcore, il quale, convinto di essere il miglior "sergente" del mondo, galante e irresistibile, pensava di conquistare donne e posizioni nemiche cantando "in guerra ed in amore è fallo l'indugiar/ l'assedio stanca: io vado all'arma bianca". Fu così che si ebbe il fior fiore della gioventù italica falciato dalle mitragliatrici austroungariche, quando si sarebbero potuti ottenere risultati migliori con perdite nettamente inferiori. Su una cosa però Belcore aveva ragione: le stesse regole che valgono per la guerra valgono anche per l'amore. Peccato fossero l'opposto di quanto lui decantava.
Quando la probabilità è una su un milione è stupido (criminale nel caso delle guerre, masochista nel casto dei corteggiamenti) tentare! La divina provvidenza ha dotato gli uomini dell'intelletto perché con esso aggirassero i problemi troppo duri, non perché vi si schiantassero contro come idioti rendendoli ancora più duri. A vedere come si comportano oggi i discendenti di quell'esercito italiano viene da dubitare se non sarebbe stato meglio dare l'intelletto ai tori o ai cervi, giacché forse ne avrebbero fatto miglior uso, tanto nelle "guerre" fra loro quanto con le femmine.

Purtroppo, ora come allora, non si riesce a far capire, tanto alla truppa quanto agli ufficiali d'italia che trovarsi per accidente storico-politico o per situazione geografico-tattica, in condizioni di inferiorità militare rispetto alle truppe austro-ungariche non significa
1) né che gli Italiani siano "inferiori" agli austriaci (la civiltà vera, quella basata sulla produzione non già delle armi e delle industrie, ma dello Spirito e dell'Arte, tenderebbe piuttosto a dimostrare il contrario)
2) né che gli Italiani non possano vincere la guerra (come infatti hanno vinto, quando una buona volta hanno capito, per sciagura, che, in una guerra nella quale un fante vale 1 in attacco e 10 in difesa, il miglior attacco è la difesa).

Quanto alla discendente dei sudditi di "Ceccobeppe", la quale, lanciando lattine cariche di sterco ai suoi odiati pisquani italici, li invita ad esporsi ancora di più al fuoco micidiale delle sue postazioni fortificate, si può solo dire (tenendo a mente che, in quanto Austro-ungarica, resta alleata, ora come allora, dell'Impero Ottomano) quanto segue.

Non è normale ottenere i favori di una donzella. Non basta che vi siano motivi "ostativi" all'evento, ma devono esistere motivi validi "a favore" di esso. E tali motivi sono rari come le vincite alla roulette. Chi si ostina a giocare sui "grandi numeri" e a sperare che la prossima sia la volta buona è come il giocatore ingenuo che aspetta l'uscita di un numero in ritardo, non sapendo che i numeri non hanno memoria e che ogni volta che si rigioca la probabilità torna la stessa (bassa). E questo anche senza contare che nel mondo le roulette (e le donne) truccate (in tutti i sensi) abbondano.

Troppo comodo dire che "il bello della vita" è tentare, rischiare ed anche perdere, quando si è dalla parte del banco che vince sempre. Certo è il bello, ma per il banco, mica per il giocatore. Il giocatore è meglio si diletti a casa con il videogioco (che costa una cifra fissa e accettabile) piuttosto che farsi spennare al vero casinò (meglio il casino).

Troppo comodo dire che "il bello della vita" è tollerare che una donna, bella o meno bella, possa sfruttare il nostro desiderio di natura per farci recitare da giullari o da seduttori, a seconda che voglia divertirsi o che brami compiacere la propria vanagloria, o, come avviene spesso con quelle che si ritengono dame corteggiate, per spingerci a far da "cavalier servente" disposto a priori ad affrontare rischi e sacrifici degni, come diceva Ovidio nell'ars amandi, delle campagne militari, a sopportare, insomma, rinunce e privazioni, per non ricevere in cambio nulla se non la sola speranza.

Certo è bello per chi è la destinataria di questi privilegi. Non ho affatto la pretesa che una donne rinunci al naturale desiderio di essere corteggiata, bensì quella che non se ne senta in diritto di averlo "gratis". Così come noi paghiamo per soddisfare il nostro bisogno naturale di bellezza e di piacere con colei che interpreta il nostro sogno estetico, e non abbiamo alcun diritto a pretendere ciò "gratis" o "liberamente" (dentro o fuori dell'escorting, come detto più volte, non esiste il "sesso libero": si dà sempre "qualcosa" in cambio, come in tutti i fenomeni fisici), così ella potrebbe benissimo ingaggiare un gigolò che le reciti la parte del seduttore (o qualunque altra parte lei gradisca, la diverta o l'appaghi) e la infiammi come vuole essere infiammata o la compiaccia come vuol essere compiaciuta o la soddisfi come vuole essere soddisfatta. Chi lo vieta? Io mi limito a negare di dover fare tutto ciò "gratis", come un "obbligo" (che sarebbe l'espressione di una sudditanza, come infatti erano le "corvé" , medievali al pari del corteggiamento e non retribuite).
Io rifiuto di concedere alla donna, a priori, questo privilegio.

Preferisco, come ripetuto mille e mille volte, pagare in moneta che in sincerità o in dignità. Inoltre non accetto (come avviene nei rapporti "normali) di dover pagare con probabilità 1 (se non in denaro, comunque in regali, doni, inviti o altre utilità economiche, oppure in tempo, corteggiamenti e rinunce varie, o ancora in sincerità e affetto, per non dire in dignità quando dovrei fare da giullare o da cavalier servente) per poi ricevere in cambio un piacere funzione di variabile aleatoria. Per questo ritengo più onesto e dignitoso per entrambi un rapporto mercenario in cui l'assenza di sentimento (ma perché, in quelli "gratuiti" il sentimento c'è ed è vero?) non implica quella di rispetto o di una qualsivoglia forma di coinvolgimento emotivo.

Non può esistere alcun rapporto paritario se l'uomo ha sempre il dovere della conquista, o comunque di "fare qualcosa", magari anche in forme moderne o anticonvenzionali, per "conquistare", mentre la donna è apprezzata, disiata e venerata a priori per il suo "status".

Meglio nessun rapporto, di un rapporto dispari, e molto meglio di tutti il rapporto commerciale.

E' "normale" considerare sempre se stessi in obbligo a fare qualcosa? E' normale doversi sentire, in ciò che dovrebbe essere un ristoro dalle fatiche dello studio e del lavoro, sotto esame? E' normale dover accettare di porre la donna, a priori, su un piedistallo, conferirle doni e offerte votive (in senso materiale o figurato), preghiere e corteggiamenti? E' normale pagare comunque in moneta o in sentimento, sincerità (quando si recita da seduttori per la sua vanagloria) o dignità (quando si fa da giullari per farla divertire) per lei, e ricevendo in cambio la sola speranza? E' normale dover accettare la tensione psicologica da lei imposta (attraverso il suscitare ad arte il nostro desiderio, attraverso il volerci far recitare da seduttori, attraverso il suo metterci alla prova per pura vanagloria, per diletto, per autostima o a volta anche per derisione e umiliazione)?
MILLE VOLTE NO.
Anche nei casi di non stronzaggine non è comunque piacevole ricevere continuamente rifiuti come regola (non si può pretendere di pensare di essere graditi nella maggioranza dei casi).
E' normale provare n volte con la speranza che la n+1 esima sia quella giusta?
E' normale agire a modo di tester elettronici?
Io troverei più normale trovare la donna giusta lasciando fare al destino! Senza sforzo e senza insistenza, con serenità e fiducia in noi, senza volerci forzare né spingere gli eventi. Per fare ciò e per essere indifferenti alle "stronze" e amici alle altre servono le "attrici" disposte a concedersi a pagamento, altrimenti, poiché il naturale bisogno, legato alla sfera sensitivo o sublimato a quella intellettiva, di godere della Bellezza è inderogabile, a pena di ossessione e di infelicità profonda, sarebbe la teoria della probabilità, ed in particolare la legge dei grandi numeri, ad imporci di "tentar la fortuna" con ogni donna catturi il nostro sguardo.

E' la vita che vuole questa disparità?

Ebbene, l'intelletto umano ha dimostrato che può esistere una costruzione civile (l'escorting) in grado di evitare questo aspetto della vita "naturale". Così come esiste la medicina, per evitare l'aspetto "naturale" del dover morire per malattia al fine di "rafforzare la specie", esiste il meretricio per non dover corteggiare (che per taluni è un piacere, per altri è un disagio: la sensibilità delle "umane belve", da quando hanno raggiunto l'autocoscienza, è fortemente soggettiva), pur appagando (o credendo di appagare, il che è lo stesso, in quanto si parla dell'illusione naturale per eccellenza: l'amore) i propri naturali bisogni di bellezza e di piacere.
E' questa uno dei pochi vantaggi dell'autocoscienza umana. Altro che gardaland! L'escorting è un'invenzione seconda forse solo alla ruota.

SALUTI DALLA SUBLIME PORTA

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