La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Çarşamba, Aralık 01, 2010

Un brusco risveglio

Stamane, dovendomi stranamente alzare all'alba per compiere il mio dovere, guidavo assonnati fino a quando la mia fantasia non è stata colpita da una locandina sulla fiancata di un autobus. Raffigurava una ragazza che avvinghiava con i propri capelli biondi di principessa un garzoncello reso da ciò impaurito, ridicolo e impotente. I personaggi erano i cartoni animati ed il cartellone faceva pubblicità all'ultimo prodotto Disney Rapunzel.

La mia visione

Subito la mia mente, destata da questo subliminale male-bashing indirizzato ai fanciulli, ha tratto (prima ancora di conoscere la trama, poi cercata su google) le conclusioni su queste fiabe moderne le quali, per non dare l'impressione di lasciare le nuove fanciulle ,“passivamente attendenti l'uomo che le salvi”, le rendono eroine fai da te, pronte a guerreggiare da sole e a cavarsela da sole (menando le mani, in maniera più o meno trasfigurata, a volte più dei principi e dei bruti messi assieme), belle e bionde come sempre, e più desiderabili che mai (nella loro bellezza sprezzante il maschile ritenuto “inutile e dannoso” o addirittura “malvagio o mascalzone”), ed eliminano i principi azzurri mantenendo però (che bella parità!) le principesse.

E queste, come già successo in altri titoli, diventano “viziate”.

Come se non se la tirassero già abbastanza le "principesse viziate" di questo occidente!Mantengono delle principesse tradizionali il privilegio d'esser a priori la meta d'ogni azione e d'ogni disio, di imporre all'uomo l'onere di fare la prima mossa per avvicinarle e di compiere un'impresa (più o meno modernamente rivista) per conquistarle (o, meglio, apparire ai loro occhi degni di essere considerati per le specifiche diverse doti che ogni donna pretende), di risultare universalmente mirate, amorosamente disiate, socialmente accettate, in sè e per sè, per la bellezza, la grazia, la leggiadria, senza obbligo di mostrare altre doti o di compiere particolari imprese (cui sono costretti i cavalieri i quali altrimenti restano puro nulla socialmente trasparente e negletto dal sesso opposto) e, anziché incoraggiare gli aspiranti principi a prendere su di sè l'arduo e spesso ingrato compito di affrontare i rischi e i sacrifici (materiali e morali) della cosiddetta conquista, di spendere in tempo, fatiche e impegno fisico e mentale (e a volte pure sincerità e dignità, perchè non sempre la vita è una favola in cui si vince senza macchia e senza paura) senza certezza del corrispettivo, di agire senza sapere se l'azione avrà successo (ovvero sarà gradita), come sentivano di dover fare le dame di un tempo (per rendere accettabile all'uomo l'offrire e il soffrire di tutto per loro, dal cui fatto esse misuravano la propria avvenenza, il maschile interesse e appagavano la propria vanità), riprendono dalle stronze moderne il vezzo di umiliare, irridere, disprezzare a priori i maschietti, di mostrare ogni loro dote, eventualmente utilizzabile per elevarsi al livello di chi è disiata, quale inutile, dannosa o risibile, di far sentire in colpa o in difetto chi disia, proprio perchè disia e proprio mentre disia.

A questo punto è giusto che la naturale insicurezza dei giovani (in questo caso maschi), di chi non ha ancora avuto tempo e modo di sentirsi socialmente e amorosamente accettato, di raggiungere una posizione nel mondo, di essere apprezzato da sè e dagli altri, di provare a sè e agli altri il proprio valore intellettivo, lavorativo, sentimentale, di chi associa una normale paura o titubanza nel naturale trasporto verso la bellezza femminile, avendo ricenvuto da questa non comprensione e aiuto, e nemmanco possibilità neutra di mostrare il meglio di sè in una prova, ma irrisione e disprezzo e impossibilità di esprimere serenamente tanto il proprio disio quanto la propria intenzione di volgerlo in imprese grandi e belle, si tramuti in odio.


Esagerazioni?

Esagero per un cartone? Non propriamente. Se l'intento educativo delle fiabe (e il motivo per cui la cultura politicamente corretta le vuole “ammodernare”) è quello di preparare, attraverso l'esperienza del fantastico, i fanciulli all'esperienza reale, di orientare i loro desideri, di formare i loro sogni e i loro ideali (e in particolare il loro sogno di amore e il loro ideale di uomo e di donna), di plasmare la loro psiche su un certo immaginario e una certa visione del mondo (e del rapporto fra i sessi), allora la questione è cruciale, specie perchè quanto si inscrive nel profondo in quell'età attraverso l'ingenuo trasporto per l'ideale e il sogno non potrà più essere cancellato e l'immagine che di sé si ha tramite le esperienze formative di quell'età sarà in fondo mantenuta per tutta la vita (nonostante tutte le furbizie e i nascondimenti e e le dissimulazioni dell'età adulta).

Chi dunque inventa le fiabe da raccontare deve massimamente tenere conto della realtà effettuale (come e più di chi racconta la cronaca, della quale, il giorno dopo, non resta quasi più manco il ricordo). E la realtà erotico-sentimentale e sociale dei maschietti come me è la seguente.



La realtà (giovanile e oltre) dei maschi

Chi fra noi non riesce a raggiungere una certa posizione di preminenza o prestigio nella società o comunque a mostrare eccellenza in doti immediatamente evidenti a tutti ed oggettivamente apprezzate dal mondo, non potrà mai star di paro a chi gode per natura e cultura del privilegio essere mirata dal mondo, apprezzata dalle genti, accettata dalla società e disiata da tutti al primo sguardo in sè e per sè, per la propria grazia, la propria bellezza, quando c'è (quando non c'è, supplisce comunque l'illusione del desiderio), la propria leggiadria, la propria essenza mondana dunque, senza bisogno di raggiungere una preminenza economica o lavorativa o mostrare obbligatoriamente altre doti e compiere imprese particolari (come devon invece far i cavalieri, i quali senza esse sono puro nulla e non hanno né stima nè accettazione sociale nè interesse da parte del sesso opposto).

Davanti alla bella donna resterà sempre e solo un "uomo episodico", uno specchio su cui provare l'avvenenza o un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto (qualsiasi provocazione sessuale o meno, qualsiasi tensione emotiva, qualsiasi irrisione al disio, qualsiasi umiliazione pubblica e privata, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi riduzione al nulla, qualsiasi inflizione di sofferenza del corpo o della psiche, di inappagamento fisico e mentale degenerante in ossessione, di disagio da sessuale ad esistenziale), un attore costretto a compiacere con recite da dongiovanni la vanagloria femminile o un giullare cui irridere nel disio, uno fra i tanti pronti a dare tutto in pensieri, parole e opere (per non dire dignità, recite, offerte materiali e morali e sopportazioni di patimenti e inappagamenti) in cambio della sola speranza, un cavalier servente pronto a tutto per un sorriso, un orante che miri dal basso verso l'alto chi in maniera
imperscrutabile può decidere del suo paradiso e del suo inferno, un mendicante alla corte dei miracoli che attende di ricevere ciò di cui sente bisogno.
La sua vita sarà sempre e solo un susseguirsi di tensioni psicologiche, sofferenze emotive, godimenti sperati e patimenti ottenuti, amori sospirati e inganni subiti, paradisi sognati e inferni vissuti, promesse implicite e negazioni esplicite, bellezze vagheggiate e speranze deluse, tirannie potenziali e reali, inappagamenti fisici e mentali, umiliazioni pubbliche e private, sofferenze costanti nel corpo e nella psiche, disagi d'ogni genere e sempiterne frustrazioni d'ogni disio.
E tutto questo non perchè le donne siano particolarmente "cattive" (ovvero più cattive di qualunque essere umano si trovi realmente nella condizione di poter infierire sull'altro o comunque di esercitare una forza contrattuale infinitamente superiore a quella subita), ma semplicemente perchè un uomo privo di posizione sociale, ricchezza, potere, cultura, fama, prestigio, successo non ha in un potenziale incontro (il quale, se amoroso, ha sempre qualcosa dello scontro) alcuna arma da contrapporre a quella della bellezza, alcun valore con cui bilanciare (in desiderabilità e potere) un eventuale rapporto (il quale è sempre un dare e avere), alcuna dote, al pari della bellezza oggettivamente valida e immediatamente apprezzabile, per essere mirato da tutti, disiato al primo sguardo e accettato dalla società così come le donne lo sono per le grazie corporali (con cui quindi bilanciare il rapporto di forza contrattuale).

Le disparità di desideri (non solo sessuali) permettono alla donna di avere la lucidità mentale e la forza contrattuale per decidere (dentro e fuori ogni prostituzione più o meno dichiarata) da una posizione non certo di debolezza. Che poi tutto quanto in desiderabilità e potere è dato alle donne per natura debba essere compensato in qualche modo dall'uomo (con la posizione sociale, la fama, il prestigio, il successo, la cultura,la ricchezza, il potere, il lavoro, lo studio, la fortuna o il merito individuali) appartiene alla ragione (e al desiderio di giustizia e felicità individuale): ogni uomo decide il come.

La compensanzione di cui parlo è necessaria non solo perchè, nel caso peggiore, si potrebbe altrimenti essere vittime ad ogni tentativo di contatto con il mondo femminile di perfidie sessuali, inganni sentimentali e tirannie erotiche d'ogni genere, ma anche perchè se non si può offrire alla donna nulla di suo reale interesse, nulla di oggettivamente valido e immediatamente apprezzabile al pari della bellezza (perchè una bella donna dovrebbe infatti accontentarsi di quanto ha l'effimera consistenza delle parole e delle emozioni e il valore aleatorio e momentaneo di presunte doti soggettive senza effetto sul mondo?), nulla di cui ella senta lo stesso
bisogno e lo stesso desiderio provato dall'uomo per la sua grazie corporali, non si può sperare di instaurare con lei alcun rapporto costruttivo (nè quello di un fugace e piacevole incontro nè quello di una vita assieme). Ogni rapporto umano prevede un dare ed un avere e solo gli illusi e distruttori sono convinti del contrario.

Nel mondo capitalista, persa (intendo come dote conferente primato o prestigio sociali) la virtù guerriera del mondo antico e quella poetica del mondo cavalleresco medievale, il mezzo preferito per tale compensazione è ovviamente il denaro, se non altro perchè, qualunque cosa se ne pensi e qualunque sia la propria posizione di accettazione/ostilità verso la società moderna e mercantile, rappresenta attualmente l'unico valore intersoggettivamente valido e immediatamente apprezzabile al pari della bellezza, con il quale essere dunque universalmente mirate, amorosamente disiati e socialmente accettati come le donne lo sono senza sforzo per le loro grazie corporali.

E' quindi perfettamente giusto che un uomo sia spronato anche da una fiaba a “cercar di fare dei bei soldoni” e, se non ci riesce, ad essere “il più ricercato dei banditi”: non perché sia giusto rubare, ma perchè, nella fiaba, le imprese “picaresche” sono la trasposizione di quelle determinazione ad emergere ad ogni costo, ad affermarsi in qualunque modo, a non arrendersi mai prima di aver primeggiato, a spendere ogni goccia di volontà, ogni grammodi astuzia, ogni istante di intelletto, ogni millimetro di qualità di studio e lavoro per raggiungere l'eccellenza in quegli ambiti economico-lavorativi conferenti primato o prestigio sociale. ed ottenere così con il tempo, la fatica, l'impegno, lo studio, il lavoro, il merito o anche la fortuna individuali quanto (in ammirazione universale, accettazione sociale e interesse dell'altro sesso) alle donne è dato per natura (e senza obbligo di mostrare altre doti o compiere particolari imprese cui sono invece costretti i cavalieri i quali senza essi sono puro nulla socialmente trasparente) dalla grazia, dalla leggiadria, dalla bellezza (e quando non c'è supplisce l'illusione del desiderio). Ed è criminale spingerlo ad andare disarmato verso la donna prima di avere compiuto tutto ciò. Non è vero che alle ragazze siano precluse certe posizioni in certi lavori, è invece vero che, mentre esse possono scegliere il lavoro per vocazione senza necessariamente preoccuparsi del risvolto socio-economico più che della conformità alle loro tendenze, ai loro gusti e ai loro costumi, noi siamo obbligati a scegliere quei lavori e a sacrificare tutto il resto della nostra vita per raggiungere quelle posizioni perché in caso contrario rimaniamo socialmente trasparenti ed amorosamente negletti (non possiamo certo metterci tutti a fare, se non emergiamo con la professione lecita, gli affascinanti banditi delle fiabe!). Quando si parla di discriminazione presunta sul lavoro si confondono dunque cause con effetti, discriminazioni immaginarie con effetti di privilegi.


La visione di creatori e commentatori

E cosa fa invece la fiaba? Distoglie il personaggio maschile dal seguire il proprio legittimo interesse vitale per aiutare a tutti i costi da femmina di cui si invaghisce unilateralmente e rispetto a cui resta sempre impotente (anche se sfruttato perchè utile a farle conoscere il mondo di fuori)!

E al contempo propone la principessa che “lo sconfigge”, lo “asserve a sè”, “è insensibile al suo fascino” e lo “usa per i suoi scopi”, per poi “non aver bisogno di essere salvata” e “guerreggiare da sola come gli eroi maschile” pur “senza rinunciare ad una visione femminile del mondo. Di fatto la fiaba presenta una principessa che strappa letteralmente al principe i suoi attributi (rendendolo di fatto inutile e ridicolo) e li unisce ai propri (femminili), ottenendo perciò un doppio potere (quello naturale femminil-principesco e quello “guerriero” con cui solitamente i personaggi maschili compensano il primo e, davanti alla fiaba, si pongono alla stessa altezza e allo stesso livello di interesse per lo spettatore rispetto alle belle principesse).

Questo “dare due poteri” al personaggio femminile è “giustificato” dalla volontà politicamente corretta di non far apparire le ragazze più “passive” dei ragazzi e dalla contemporanea ovvietà che fanciulle non belle e non femminili non avrebbero seguito fra spettatori di ambo i sessi (dai maschi per disinteresse, dalle femmine per mancanza di voglia d'emulazione).

Ma logicamente prima ancora che eticamente non si può essere al contempo meta e corridore. Non nelle fiabe, non nella vita. Non può la donna mantenere tutto quanto, a priori, per privilegio di natura e cultura, ha in desiderabilità e influenza sul mondo (e che gli altri possono conquistare soltanto se, a posteriori, emergono nella competizione) e pretendere di poter competere come se niente fosse.

Se vuole competere ad armi pari deve rinunciare a quei privilegi cavallereschi e a quelle attenzioni particolari spettanti alle dame, a quell'accettazione sociale e a quella desiderabilità immediata a lei proprie per l'immagine stessa della femminilità, a quall'aurea insomma di ammirazione e quasi di stupore che spetta a chi (per natura prima ancora che per cultura) è meta (e a volte al premio) della competizione stessa.

In natura sono i maschi a competere per la femmina, privilegiata e disiata in sé, in cultura l'uomo deve compensare con la fortuna, il merito, il successo, la ricchezza, la cultura e il potere quanto in desiderabilità e influenza sul mondp è dato alle donne per natura.
Se si trova il modo di far competere anche le donne per l'uomo o di concedere all'uomo altre doti immediatamente evidenti ed oggettivamente apprezzabili al parid ella bellezza femminile per essere universalmente mirato, amorosamente disiato e socialmente accettato al primo sguardo dalle donne come queste lo sono per le loro grazie allora è un altro discorso, ma per ora non si può concedere tutto alla donna privando l'uomo del modo proprio di bilanciare il femminile in quanto davvero conta innanzi alla natura, alla discendenza e alla felicità individuale (non solo nelle fiabe).

Certo, magari alle ragazze non piace “essere apprezzate, amate e accettate solo per la bellezza”. E allora che dovrebbero dire i ragazzi che non hanno il privilegio di essere apprezzati e amati e accettati per la bellezza e sono obbligati a cercare altre vie per gli stessi fini? Non si deve pensare prima a chi ha una sola via per giungere al proprio lieto fine piuttosto che a chi, avendone due, vorrebbe poter scegliere paritariamente fra l'una e l'altra (senza considerare che l'ha prima è in esclusiva e l'altra, quella in cui vorrebbe parità, è già almeno parzialmente occupata da chi non ha scelta).

Non si può da parte femminile pretendere di essere come quelle principesse tuttofare, di prendersi il vantaggio in desiderabilità e potere o comunque in vanità e autostima apportato dalla bellezza corporale e da quanto suscita negli occhi e nei sensi degli astanti (essere universalmente mirate, amorosamente disiate e socialmente accettate al primo sguardo, in sè e per sè, per la grazie, la bellezza, quando non c'è subentra l'illusione del disio, la leggiadria, da tutti a prescindere da tutto e senza bisogno di fare nulla, di dimostrare altre doti o compiere particolari imprese cui sono costretti i cavalieri pena restare puri nulla socialmente trasparenti) e poi lamentarsi dei necessari corrispondenti svantaggi (quelli elencati, inevitabili almeno all'inizio). Bisogna fare una scelta preventiva su cosa sembra più dignitoso/vantaggioso.
Altrimenti è mera ipocrisia.

Non è poi possibile che l'uomo sia costretto dalla fabula come e più di prima ad aiutare la donna,
ma non abbia in cambio quel ruolo di protagonista apprezzato di un tempo, bensì solo quello di giullare da irridere o di pezzo di legno da usare.

E cosa fa chi commenta questa fiaba? Cosa cioè è portata a dire (per induzione subliminale degli ideatori) la femmina media cui viene proposto il film?

A definire il personaggio maschile (Flynn), per come è all'inizio, “troppo sicuro di sè”! Per la miseria ladra! Si tratta di quella sicurezza imposta dal mondo a chi, come uomo, è costretto a competere, primeggiare ed emergere per essere mirato, disiato ed accettato dalla donna la quale già per la sola bellezza (quando non vi è supplisce l'illusione del desiderio) ha tutto quanto vuole e le serve in desiderabilità e potere. Quando qualcuno non ce l'ha, la deve simulare.

E se fin da piccolo gli si mostra che se ce l'ha o se la simula, prende delle bastonate dalle fanciulle (che "vogliono la parità", "vogliono essere attive" "vogliono dimostrare di essere all'altezza" ecc.), da grande non vorrà mai più avere a che fare con esse o addirittura con il mondo, ben sapendo a quel punto di non avere nulla con cui evitare di essere negletto e disprezzato dalle prime o rimanere trasparente per il secondo.

Veramente perfida è la lingua della femmina che vuole attribuire a colpe o difetti del singolo uomo quanto nasce dalla universale necessità di compensare quelle disparità naturali (di numeri e desideri) in cui ogni singolo uomo ha la (s)ventura di trovarsi nei rapporti con le donne.

Quello per cui la donna è immediatamente mirata, profondamente disiata e universalmente apprezzata per natura dall'uomo, con la rapidità del fulmine e l'intensità del tuono, prima, al di là e a prescindere sia dalle sua altre caratteristiche (positive o negative), sia dai diversi gusti, dai diversi costumi, dai diversi sentimenti del mondo, dai diversi pensieri dei singoli uomini, ovvero le lunghe chiome, il claro viso, la pelle liscia e vellutata, le lunghe membra modellate, le due rotondità del petto, la piattezza perfetta del ventre e l'altre grazie ch'è bello tacere, è valido ed apprezzato in maniera oggettiva e immediata.
Quello invece per cui un uomo può essere mirato, apprezzato e disiato da una donna, si tratti di un modo di essere simpatico e divertente, o di una maniera di agire da forti e da virtuosi, o di una fra le mille possibili doti di sentimento o d'intelletto in grado di colpire una sensibilità femminile (la capacità e l'ordine del dire, la quieta grandezza del sentire o l'altezza del pensare, la raffinatezza costumi o la nobile semplicità dei modi, la sincerità d'intenti o la gentilezza di core e di mano, la generosità d'animo, la vastità culturale, la squisitezza intellettuale, la profondità nel riflettere, l'ingenuità fanciullesca dei desideri e la delicata fralezza dei sentimenti, la capacità di creare immagini e suoni con le parole come i poeti, o l'abilità di perdere la donna negli imperi dell'illusione e del sogno) non solo è d'apprezzamento soggettivo e non immediato (ovvero è apprezzato solo da colei nel cui specifico sentimento del vivere una certa dote è bella, importante, necessaria al rapporto, e magari non sa di volere e amare quella dote prima di ri-conoscerla), ma richiede tempo, modo e occasione per essere mostrato a chi ha occhi per vederlo.
Per questo, anche qualora si sia in possesso di quelle doti soggettive (sentimentali o intellettuali) che potrebbero risultare gradite alla donna, serve comunque poter disporre di altre doti oggettive (ed evidenti anche al primo fugace contatto) tramite le quali rendere desiderabile e interessante a lei (che non può ancora conoscerci e solo per casi ci incontra) concederci quelle occasioni di contatto calmo e prolungato, di dialogo solus ad solam, di conoscenza più ravvicinata (anche se non ancora intima) e di corteggiamento, nelle quali sole le doti soggettive di sentimento e intelletto possono gradatamente rivelarsi (in caso contrario si può anche possedere la chiave giusta per entrare nel cor, ma veder tale chiave restare appesa al muro e non trovare la via per aprire al porta).
Se tali doti oggettivamente valide ed immediatamente apprezzabili non possono per ventura del caso essere davvero possedute e mostrate tramite la posizione sociale, il prestigio, la cultura, il denaro, il successo, la fama, il potere, perchè magari non si è ancora avuto tempo e possibilità di raggiungere un certo livello economico o di eccellere in un certo modo nello studio, nel lavoro, nella cultura, nello spettacolo o nella società in generale, devono per forza di cose essere "simulate" (tramite magari quel comportamento un po' arrogante e presuntuoso tipico di chi si atteggia a "capobranco" e senza il quale, per qualunque uomo non ricco, non famoso, non prestigioso e non potente, non è affatto possibile fugare l'aria del "povero mendicante alla cerca dell'amore"). Senza tali doti (reali o simulate che siano) si diviene infatti, come già detto e spiegato in precedenza, solo oggetto di sufficienza, disprezzo, inganno e tirannia.

Se una fanciulla ha la bellezza per farsi immediatamente apprezzare e disiare un fanciullo deve possedere qualcosa d'altro per allettare con la stessa rapidità la donzella, altrimenti risulta condannato ad una situazione chiaramente impari,in quanto lei è apprezzata immediatamente e a priori per quello che è (bella) mentre io sono obbligato a "fare qualcosa" (in forme moderne o convenzionali non ha importanza) nella speranza di conquista.

Non parlo delle qualità soggettive, aleatorie, o d'apprezzamento casuale ed arbitrario. E nemmeno di quelle profonde dell'animo che si scoprono soltanto con la conoscenza intima o raffinatamente intellettuale. Discuto di quelle doti immediatamente evidenti, desiderabili ed oggettivamente apprezzabili dal mondo, in grado di conferire con certezza e rapidità uno "status" sociale, una capacità di attrarre, un'aurea di ammirazione e quasi di stupore, un valore materiale o spirituale da tutti riconosciuto, tale da poter essere "scambiato" con la bellezza, o comunque da conferire lo stesso fascino, lo stesso riconoscimento e gli stessi privilegi di essa, in modo da "pareggiare" il rapporto con la bella donna.

Chi si lamenta della natura e delle sue disuguaglianze è vano, chi spera di avere compensazioni gratis è illuso, solo chi si adopera attivamente per compensarle è saggio. Ha senso infatti "giocare per il pareggio", e su questo ogni civiltà, così come ogni Scuola Calcistica, da sempre ha la sua strategia. Il mondo eroico ed omerico aveva la virtù guerriera, il mondo cavalleresco e cristiano la cultura, il pensiero, le belle arti, la conoscenza, il cor gentile, il mondo capitalista ha il denaro. Forse un futuro (utopico) proporrà finalmente il puro spirito. Il sugo della storia (o della fiaba) è che oggi come ieri la donna ha sempre privilegio di natura d'essere apprezzata, ammirata e desiderata in sé per la bellezza. Per naturale compensazione l'uomo ha sempre potuto proporre altre doti per essere simmetricamente apprezzato, a seconda del mondo. E' invece assurdo un mondo che programmaticamente voglia eliminare le differenze. E' ipocrita poi un mondo che chiama svantaggio il privilegio e chiama discriminazione una scelta (dettata da diversi desideri di natura)

Io sono mosso da incantamento la claritade angelica del viso, dalla figura alta, dalle chiome fluenti e lunghe, dalle linee scolpite delle membra, dalle forme dei seni rotonde, dallo slancio statuario della persona, dalla piattezza d'un ventre perfetto, dalla liscia pelle e levigata, dalle fattezze tutte d''un corpo dea, e dall'altre grazie che, come diceva Dante, "è bello tacere" e desidero godere carnalmente di tale bellezza che par discesa dal cielo per delizia dei sensi e per estasi dell'intelletto, nell'idea di congiungermi con la dea stessa il cui astro (Venere) rimiravo nel silenzio intento delle notti d'estate, quando sospirando guardavo con gli occhi dell'immaginazione le stesse fattezze che ora posso sfiorare, toccare, palpare.

Visto che l'interprete di tale sogno estetico (completo) mi dona un'ebbrezza inesausta di sensi e di
idee, e propriamente posso definirla, per questo, sacerdotessa di Venere Citerea, giacchè attraverso il corpo di lei mi congiungo con la divinità, non posso pretendere tutto ciò senza dare nulla in cambio (non posso pretendere che sia il solo piacere, dato che la forza del desiderio è dispari fra uomini e donne, e per queste l'espressione carnale è infinitamente meno rilevante). Persino i devoti antichi qualcosa sempre portavano alle sacerdotesse degli dèi olimpici.

Devo poter contraccambiare dunque con qualcosa di altrettanto desiderabile, o di cui la donna ha, sensitivamente o intellettivamente, pari bisogno, o comunque che, per necessità o per brama, vuole con pari forza. Sa tale possibilità di "compensare" non esiste, l'uomo non potrà mai appagare i propri desideri più profondi e, realisticamente, non potrà nemmanco sperare, al di fuori di casi meramente fortuiti, di ottenere le grazie corporali delle donne di cui rimira la bellezza. O, comunque, non sarebbe mai veramente desiderato o apprezzato dalla donna. Tali doti servono sia a ottenere con la certezza di uno scambio dichiarato, sia a permettere di corteggiare con una probabilità di successo non infinitesima.


Le conseguenze dei cartoni
Alla luce di questo (quanto ho chiamato prima il sugo della storia o della fiaba, evidenziandolo), la principessa che guerreggia o comunque fa l'eroina per “non essere da meno del principe” compie un atto distruttivo e sprezzante verso tutti gli uomini (come se questi volessero strapparle ogni grazia e corroderle il viso con l'acido per eliminare “per parità” ogni sua qualità ed ogni sua possibilità di avere un modo proprio per ottenere desiderabilità e potere). Chi la disegna ottiene l'effetto di privare la psiche dei maschi della capacità di agire nel mondo per affermarsi, per compensare in desiderabilità e potere ogni rapporto con la donna, per accrescere la propria forza contrattuale al di lei cospetto, per aumentare il proprio valore fino a rendere nella donna il bisogno e la brama di ottenere ciò che essi possono fornire (si parli di denaro, utilità economiche o favori carrieristici o viceversa di doti intellettuali, cultura, virtù) pari o addirittura maggiore di quella da essi provata per le bionde chiome, il claro viso, le belle forme e l'altre grazie d'un bel corpo principesco. Perchè? Perchè la disegna diversa dal principe, ovvero irraggiungibile per bellezza di per sé, laddove vi è il vero motore della fiaba (il desiderio amoroso) e pari al principe laddove il principe dovrebbe compensare tutto ciò (con l'azione, il merito, la nobiltà di cuore o il coraggio di mano).

Non ha senso infatti parlare di parità senza considerare le disparità naturali da compensare (che vi sono nelle fiabe come nella vita). E' mellifluo pretendere parità di doti dimostrate e di risultati raggiunti quando ben diverse sono le necessità di raggiungerli e le possibilità di avere comunque sul mondo e sull'altro sesso stima e influenza.

Ecco perché non ha senso spronare fin dalle fiabe le fanciulle a “fare le stesse cose” e ad “essere all'altezza” dei maschi persino nella rappresentazione scenica dell'impresa da compiere. I latini, per popolo talmente saggio da concepire degli dei che non davano mai tutte le qualità e tutti i poteri ad una sola persona, direbbero ne bis in idem. Le fanciulle non hanno bisogno di lottare e primeggiare per essere socialmente accettate, di attivarsi in particolari imprese per essere amorosamente disiate, di dimostrare necessariamente altre doti per essere universalmente mirate.

Sono i garzoncelli a dover obbligatoriamente raggiungere un “surplus” nelle doti conferenti con valore intersoggettivo primato o prestigio sociali, per poi usarlo al fine di compensare in desiderabilità e potere tutto quanto alle fanciulle è dato dalla bellezza (o, meglio, dall'illusione del desiderio), se vogliono bilanciare il rapporto o anche solo renderlo possibile per sé e interessante da parte femminile. Le doti strettamente personali e sentimentali infatti, che si mostrano solo con il tempo dato al corteggiamento, al dialogo e all'introspezione reciproca degli animi, non compensano nulla , perchè in un rapporto già esistente sono possedute anche dalla donna , mentre in un rapporto non ancora esistente non hanno il potere di attrarre chi invece possiede doti oggettive ed evidenti a proporre o accettare un incontro non banale, ed essendo di apprezzamento arbitrario, non universale e non immediatamente evidente , non danno mai potere contrattuale, giacchè, mentre con la bellezza una donna sa di poter trovare in qualunque momento altri pretendenti, un uomo, con le sue soli particolari doti di sentimento o intelletto, può trovare un'altra amante solo sperando di incontrare un'altra donna predisposta ad apprezzare proprio quelle doti e di avere l'occasione per disvelarle con calma e spontaneità, lontano dal caos dei fugaci incontri moderni e dalla tensione da esame degli appuntamenti "mirati", in modo da essere in esse apprezzato per il meglio di sé.

Serve, almeno da principio, possedere qualcosa di intersoggettivamente valido ed apprezzabile da tutti e a prescindere da tutto al primo sguardo al pari della bellezza, verso cui la donna provi (in maniera parimenti indipendente da tutto il resto) brama e bisogno pari in intensità e immediatezza a quelli sentiti dall'uomo per le sue grazie corporali, con cui rendere interessante agli occhi della donna l'occasione di un incontro intimo (nel quale POI rivelare con calma e senza tensioni le doti più intimamente soggettive dell'intelletto e dell'animo) in misura pari o superiore a quanto non lo sia per l'uomo che ne scorge le bellezze nel corpo.
Solo dopo, se e quando si è riusciti a raggiungere con lo studio, il lavoro, la posizione sociale, il denaro, il prestigio, la fama, il potere, la fatica, il merito o la fortuna individuali una posizione tale da bilanciare in desiderabilità e influenza sul mondo il privilegio naturale femminile ci si potrà accostare alle fanciulle senza tema.

Chi è ancora “solo un ragazzo” non può già essere in tale condizione di parità. E se, per autoinganno più o meno consapevole, non si sente “bello e invincibile” come il flynn pre-incontro, se non crede in cuor suo di essere irresistibile, non potrà mai accettare di impegnarsi in qualcosa di così improbabile e svantaggioso come la conquista di una femmina.

Distruggendo tale possibile certezza creduta o simulata, irridendo ad ogni suo tentativo di affermarsi per vera, umiliando chi vi tenta con scene in cui appare impotente in ogni senso fisico e psicologico, o comunque inferiore per forza e desiderabilità (non solo è immobile, ma sa di non poter attrarre colei di cui ha bisogno e non ha altra via che divenirne il servo senza speranza), si distrugge ogni timidi accenno nei maschi di accettazione del proprio difficile ruolo naturale in amore, si uccide il principe che potrebbe nascere in loro e li si rende tutti puttanieri.

Ilenia Provenzi dice che ”un anno dopo la Principessa e il Ranocchio, ha avuto l’ennesima conferma che le donne sono sempre le vere protagoniste dei film Disney: spetta a loro trasformare gli uomini in principi… ”

Ed io concludo che dunque la Walt Disney trasforma i possibili principi in alieanti sociali o in anoressici sessuali, come prima esposto o, nel migliore dei casi, in puttanieri.

Se "spetta sempre alle donne trasformare gli uomini in principi", questi preferiranno andare a puttane che cercare avventure fiabesche, perchè, dici io, cosa possono vantare, se non sono considerati principeschi fin da principio per virtù d'intelletto o di core, (o se non hanno poteri e ricchezze e altre doti con cui venire immediatamente apprezzabili ed oggettivamente valide al pari della bellezza, con cui risultare universalmente mirati, socialmente accettati, amorosamente disiati da tutte e al primo sguardo come le belle donne lo sono per le loro grazie) per bilanciare in desiderabilità e potere un eventuale rapporto o almeno per propiziarlo? Per rendere interessante agli occhi di chi è bella un incontro solus ad solam in cui provare a mostrare eccellenza nelle doti di sentimento o intelletto da queste pretese per un eventuale rapporto e per indurre poi la donna disiata ad interessarsi a loro e ad attuare la trasformazione?

Devono porsi alla mercé della donna di turno, dando tutto in pensieri parole ed opere per avere in cambio una remota speranza.

Questo è il finale della vita. Quello della storia di Disney vede invece il maschietto (tenuto nella storia solo perché utile) rischiare comunque la vita per salvare chi sa salvarsi da sola.

La morale della favola è questa: le donne non hanno bisogno degli uomini, li apprezzano e disprezzano a rotazione e a capriccio, li usano quando sono utili ma si possono benissimo salvare da sole, però, però gli uomini devono sempre faticare, riverire ed aiutare. Hanno perso il diritto a ricoprire il ruolo di principi, ma hanno mantenuto come e più di prima il dovere a rischiare la vita per il bene della fanciulla. Bella parità!

Spero che chi cresca con questa fiaba si trovi a battere sulla tangenziale di Mosca, anzi, no a pulire i cessi della stazione di Praga!



P.S.

Non contesto che una ragazza debba imparare anche dalle fiabe a cavarsela da sola senza aspettare il principe azzurro, bensì che questo sia visto non più come qualcuno da apprezzare in sè, per le sue qualità, con cui non dico convolare a nozze ma almeno condividere momenti di intimità o di sincero e reciproco trasporto emotivo, ma come mero strumento per fini femminili.

Ci si lamenta della donna-oggetto, ma qui (come nella vita) è l'uomo ad essere usato (tramite le armi della bellezza e della debolezza sentimentale) dall'interesse (materiale o morale, finanziario o sentimentale, personale o rivolto alla prole) della donna e ad essere gettato e disprezzato quando non più utile.

Anche noi a volte usiamo così le donne, la almeno le paghiamo. E altre volte la debolezza erotica si trasmuta in trasporto sentimentale.

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