La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Pazartesi, Mart 22, 2010

"8 Marzo e parità di diritto: parlano le donne"

Intotola ancora così, due settimane dopo, yahoo.it. Ora però parlo io.
E confermo che le donne parlano.

PARLANO DI LIBERTA'
Parlano della libertà, ma la libertà esiste solo per le donne.
Socialmente, la donna è libera di scegliere se dedicarsi al lavoro e alla carriera o alla famiglia e alla vanità (). Se vi sono statisticamente meno donne che guadagnano tanto (ma qualcuna vi é, a dimostrazione proprio di come chi davvero vuole arrivare a certe posizioni vi arrivi, se alla pari di un uomo si impegna, e come non esistano affatto "soffitti di vetro" o ostacoli costruiti apposta contro le donne) non è perché sono vittime di un complotto o le si paga di meno in quanto donne (sarebbe assurdo), ma semplicemente perché molte donne non hanno bisogno di guadagnare necessariamente tot euro al mese per essere socialmente accettate o di raggiungere una certa posizione, di forza o di prestigio, socio-economica per essere desiderate dagli uomini (e quindi appagare un profondo desiderio di natura). Per questo non avrebbe senso per molte donne sacrificare il proprio tempo, la propria sensibilità, il proprio impegno, i propri stili di vita, sull'altare della carriera lavorativa la quale sotto la specie della natura non aggiungerebbe nulla alle loro possibilità d'essere felici nella sfera erotico-sentimentale (giacché l'uomo mira esclusivamente alla bellezza o alla sua illusione).
L'uomo invece non è affatto emancipato, poichè non ha affatto quelle possibilità di scelta legate al privilegio della bellezza (o, meglio, della sua illusione), ma è costretto a lavorare per vivere, e per non risultare socialmente trasparente e negletto dalle donne deve anche avervi successo. Non può né coprirsi né scoprirsi, né essere (senza quattrini) seduttore, né mantenuto, ma deve per forza (non già per scelta) impegnare ogni sforzo d'intelletto e di mano, ogni goccia di volontà e di sudore, nel lavoro, per sperare di ottenere una posizione tale da essere immediatamente e oggettivametne guardato, ammirato, disiato dalle donne così come queste sono da lui bramate per la bellezza. L'uomo è ancora costretto ad un ruolo, e se non vi eccelle non ha certo il sorriso (sincero) del prossimo, l'ammirazione degli astanti e l'accettazione sociale al primo sguardo come le donne, né suscita in loro interesse (se non come buffone di cui farsi beffe). L'uomo, al contrario della donna, DEVE DEVE DEVE (indipendentemente dai sui gusti, dalla sua sensibilità, dai suoi valori) affermarsi nel lavoro, pena essere considerato trasparente dalla società ed essere negletto dalle donne.
Dovrebbe esistere un ministero per l'emancipazione dell'uomo.
Sessualmente, poi, alle donne viene riconosciuta la libertà di (s)vestirsi come pare loro (consciamente per moda, capriccio, vanità, interesse economico sentimentale, gratuito sfoggio di preminenza erotica, oppure inconsciamente, poichè dietro il "vestirsi all'occidentale" si cela l'istinto di natura di apparire massimamente belle e disiabili per attrarre quanti più maschi possibile e selezionare fra essi chi eccelle nelle doti volute, presente nel profondo a prescindere dall'intenzione cosciente di conoscere uomini o ricercare con essi rapporti più o meno intimi) mostrando a piacimento le loro grazie, ma all'uomo viene fatto divieto di mirare liberamente quanto mostrato (sono stati recentemente inflitti dieci giorni di carcere ad un passeggero colpevole di aver solo guardato quanto la donna gli poneva innanzi in maniera da questa ritenuta prolungata e fastidiosa), alle donne viene concessa la libertà di esprimere (consciamente o meno) in ogni modo, tempo e luogo il proprio naturale istinto d'esser belle e disiate (chè, come detto, questo vi è dietro il diritto a "vestirsi come le pare" o a "esprimere la propria femminilità") e addirittura di esagerare a piacere nell'illudere, nel suscitare disio e provocare attrazione negli astanti, ma all'uomo non è parimenti permesso di esprimere il suo corrispettivo istinto di disiare al primo sguardo la bellezza, inseguirla e cercare di ottenerla (nemmeno, con le nuove vaghe e omnicomprensive leggi sulle molestie, se le espressioni di esso non mostrano oggettivamente nè violenza nè prepotenza nè prevaricazione nè volontà di costringere, giacchè la sola sensiblità femminile pare far giurisprudenza definendo a posteriori e secondo i propri soggettivi parametri cosa sia il reato),
le donne hanno insomma il diritto di mostrare e gli uomini il dovere di non guardare quanto mostrato, le donne il permesso di seguire il proprio comportamento naturale e l'uomo il dovere di reprimere la propria corrispondente della mia natura, le donne il diritto ad essere disinibite e l'uomo il dovere legare a sottoporsi a mille inibizioni, le donne il permesso ad essere ambigue e l'uomo il dovere a risultare "sessualmente corretto" (nel senso stabilito fuori da ogni etica, da ogni logica, da ogni natura e da ogni buon senso dal femminismo pc angloamericano).
Per le donne viene addirittura sancito (a costo di distruggere il beneficio del dubbio per chi vien accusato di violenza da una femmina almeno ad principio non certo costretta con la forza a seguirlo) il discutibile diritto ad attrarre, per capriccio, vanità, bisogno d'autostima, aumento del proprio valore economico-sentimentale o gratuito sfoggio di premiennza erotica, chiunque si trovi a tiro anche quando fin da principio non vogliono alcun rapporto con loro, a diffondere pubblicamente disio presso tutti gli astanti e tutti i perfetti sconsciuti che esse non hanno alcuna intenzione di conoscere, ma solo di ingannare, di far sentire nulli di fronte a lei, e di rendere sessualmente frustrati, e addirittura quello di dilettarsi a suscitare disio per poi compiacersi della sua negazione e di come questa, resa al massimo grado beffarda, umiliante e dolorosa da una meditata e intenzionale perfidia, possa far patire nel corpo e nella psiche del "prescelto" pene infernali dopo le promesse implicite di paradiso, provocando con tutto ciò continuamente negli uomini, in maniera assolutamente impunita dalla legge ed anzi da questa istigata, tensione emotiva, ferimento intimo, irrisione al disio, umiliazione pubblcia e privata, sofferenza nel corpo e nella psiche, inappagamento fisico e mentale degenerante alla lunga in ossessione e disagio (se ripetuto) scivolante dal sessuale all'esistenziale.
Per gli uomini che siano accusati di aver cagionato il minimo e presunto danno fisico o psicologico ad una donna valgono invece leggi draconiane pronta ad infliggere anni di carcere per una mano morta o a distruggere vite e carriere per una proposta ritenuta "volgare". Che quanto urta la particolare sensibilità femminile (atti, detti, sguardi o toccate) debba essere considerato offensivo, punito dalla legge e giustificante la vendetta più ampia, crudele, dolorosa e soggettiva da parte della donna e quanto invece ferisce (in maniera spesso assai più grave, come si può oggettivamente rilevare dal numero di suicidi cagionati da una donna o, senza arrivare agli estremi, dalla diffusione fra i maschi di problemi come l'anoressia sessuale o il precoce bisogno di prostitute) l'altrettanto particolare (e non già inesistente) sensibilità maschile (ad esempio il comportamento intriso di stronzaggine, divenuto regola nelle femmine moderne, anche quando non usano le mani, e spesso motivato da prepotenza, vanagloria, necessità di autostima o sadismo o comunque volontà di provocare sofferenza emotiva) sia trascurabile, non penalmente rilevante, appartenente alla normalità, alla tollerabilità o comunque al "diritto della donna" e non provocante in sé offesa o umiliazione (anche se è quanto l'uomo prova, di fronte a sé o agli altri, quanto sente come intima ferita nella sessualità e può provocargli traumi, blocchi psicologico e metterlo a disagio emotivo, momentaneo e poi esistenziale) è PURO ARBITRIO di questa ginecocrazia plebea.

PARLANO DI DIRITTO
Parlano di diritto, ma con le leggi sulle "molestie sessuali" è sancito il "diritto" per ogni donna a stabilire a posteriori e secondo i propri parametri il confine fra lecito e illecito, nella maniera più vaga e ampia possibile e senza alcun obbligo di riferimento oggettivo e valido per tutti (contro ogni oggettività del diritto, che vorrebbe la definizione di ogni reato circoscritta a quanto chiaramente identificabile come tale e soprattutto noto a tutti a priori) e con quelle sulla cosiddetta "violenza sessuale" è possibile per una donna (contro ogni presunzione di innocenza per la quale nessuno dovrebbe essere trattato da criminale prima che il crimine sia dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio) far finire in galera in qualsiasi momento qualsiasi uomo a tempo indeterminato con la sua sola parola, prima del processo (aboliti i domiciliari), prima ancora vi siano prove fattuali o addirittura senza alcun riscontro oggettivo che non sia il racconto di luoghi, persone e fatti realmente esistiti ma di per sè non probanti affatto il presunto stupro (basta che l'accusatrice pur essendosi appartata volontariamente e, magari in preda all'alcool o all'ebbrezza della trasgressione, essersi concessa senza violenza alcuna, a posteriori si penta del proprio comportamento e riferisca di essere stata costretta in qualche modo; anche se non porta prove, le basta saper inventare bugie credibili, o semplicemente raccontare la verità fino al momento del presunto stupro, per dare al pm modo di dire che il racconto coincide con fatti, personaggi e luoghi realmente riscontrati) e poi esagerare ad arte, distorcere o addirittura inventare di sana pianta quanto avvenuto dopo).

Solo quest'anno l'italia, che passa per paese "maschilista", ha approvato ben due leggi in tal senso.
Quella sulle molestie sessuali è stata totalmente gratuita, non sospinta da alcuna richiesta del mondo reale, e foriera di infinite possibili violazioni della giustizia, del buon senso e della vita civile e naturale. Come si fa a sapere a priori se un complimento, un atto, uno sguardo sarà considerato molesto o meno? Nel dubbio un uomo savio non farà assolutamente nulla. Non ci si lamenti allora se gli uomini non vogliono più corteggiare: ora alla naturale timidezza, alla razionale considerazione di non convenienza (nel dare tutto in pensieri, parole e opere per ricevere come funzione di variabile aletaoria), all'emotiva ritrosia a doversi sentire "sotto esame", al rifiuto psicologico a trovarsi nella condizione del cavalier servente pronto a tutto per un sorriso e potenzialmente vittima d'ogni tirannia, umiliazione e inganno, si aggiunge pure il pericolo del carcere.
Come si può pretendere che un uomo addirittura corteggi quando anche solo la prima naturale espressione (più o meno raffinata, più o meno poetica, più o meno esplicita a seconda delle inclinazioni, degli stili e delle conoscenze di ciascuno) del suo desiderio per le grazie femminili può essere ad esclusivo arbitrio della presunta vittima reputata un reato da accostare addirittura agli stupri (è nella stessa legge!)?
Questo porterà ad una uccisione sul nascere della spontaneità di ogni uomo (soprattutto se giovane) in ogni rapporto con le donne e un conseguente progressivo allontanamento di ogni uomo dotato d'intelletto dal genere femminile.
Sarà anche vero che la maggioranza delle donne non denuncerà un ammiratore per un complimento osè, e si limiterà a segnalare i casi davvero molesti, ma se si supponessero tutte le persone buone e giuste non servirebbe neppure la legge. Quanto rende questa legge abominevole è il fatto di permettere a quel sottoinsieme di donne false e perfide di denunciare chicchessia per capriccio, vendetta arbitraria, ricatto, interesse o gratuito sfoggio di preminenza erotico-sociale (nel poter far finire nei guai un uomo con l'arma dell'attrazione sessuale e nell'esser creduta a priori mentre l'altra parte è tenuta a tacere e se parla reputata indegna d'ascolto e degna solo o del riso o del disprezzo)
Non sto dicendo che le donne siano tutte perfide e sadiche, sto solo esprimendo il mio sdegno per una giurisprudenza tale da permettere a chi lo sia di infierire massimamente sul primo uomo incontrato per strada. Sarebbe come una giurisprudenza che permettesse agli stupratori di infierire sulle vittime (le donne se ne lamenterebbero anche senza considerare tutti gli uomini stupratori).
Se la definizione del confine fra lecito e illecito è lasciata alla arbitraria interpretazione e alla irriproducibile (e spesso inconoscibile) sensibilità della presunta vittima, come sarà possibile anche per chi non ha fatto nulla di male dichiararsi innocente? Se una donna dichiarerà di essersi sentita molestata, come farà l'uomo accusato a sostenere il contrario, non essendo nelle sue facoltà entrare nella psiche della controparte e mostrare che non vi è stata sensazione di molestia? Che la donna menta o meno, l'uomo potrà soltanto dire di non aver avuto intenzione di molestare e di non aver compiuto nulla di oggettivamente molesto.
Se però l'oggettività del diritto è sostituita dalla soggettività femminile la condanna risulterà sistematica (poichè il reato verrà definito a posteriori e a capriccio della presunta vittima).
Bella prospettiva per uno stato di diritto.
Chiunque cammini per strada e incontri una donna rischia due anni di carcere anche senza aver intenzione di farle nulla, anche senza compiere alcuna molestia.
Avendo infatti voluto definire con tale parola anche quanto non lascia alcun segno oggettivamente riscontrabile , sarà sovente impossibile dimostrare l'esistenza o meno della molestia. E se si prosegue quanto si sta affermando in termini di violenza sessuale, si finirà per credere a priori alla donna (considerata de facto unica fonte di verità e sensibilità umane da difendere e proteggere ad ogni costo, anche a quello dello stato di diritto) pur senza testimonianze di terzi o riscontri oggettivi, e fidandosi soltanto del suo racconto "credibile" (qualcuno ha forse confermato o provato il presunto sguardo molesto costato 10 giorni di carcere ad un povero malcapitato viaggiatore?).
Ciò che davvero è molesto (così come pure ciò che davvero è violento) erano puniti anche prima. Qui si sta solo allargando la definizione ad esclusivo capriccio delle presunte future vittime. Peccato il contrario non valga per gli uomini.
Se toccare un culo costa anni di carcere e esclamare un compimento qualche mese, allora il fare le stronze, come ormai costume in ogni luogo e tempo, dalla strada alla discoteca, dalla scuola all'età adulta, suscitando ad arte il disio per poi compiacersi della sua negazione,
infliggendo, per vanitò, capriccio, interesse economico-sentimentale (autostima) o sadico diletto, tensione emotiva, irrisione al disio, umiliazione pubblica e privata, senso di nullità, frustrazione intima, sofferenza fisica e mentale, inappagam,ento a volte fino all'ossessione e disagio se ripetuto da sesusale ad esistenziale,
dovrebbe essere punito con decenni, perchè il danno alla psiche è notevolmente maggiore.
Il fatto che gli uomini, per obbligo culturale a mostrarsi forti e cavalieri e per plagio psicologico femminista (che li dipinge come carnefici anche quando sono vittime) in genere non lo ammettano non significa non esista.

La legge sulla violenza sessuale è invece stata sospinta dalla campagna mediatica sulla sicurezza, dimentica dei più elementari principi del diritto.
La carcerazione preventiva (ovvero prima del processo e dell'eventuale condanna) non ha nulla a che vedere nè con la gravità del reato di cui si è accusati, nè con la pena da scontare se si è condannati ed è giustificata solo e soltanto quando, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, vi è evidente ed imminente pericolo o di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove. In ogni altro caso non è accettabile ove viga la presunzione di innocenza. Non può affatto, per nessun reato, essere la norma. Che poi sia stato usata a sproposito in passato da certi magistrati per motivi politici è tutt'altro discorso. Se ci sono stati episodi di giustizia sommaria in passato non è un motivo di reiterarli nel presente o addirittura di istituzionalizzarli come norma.
Prima di dire colpevoli bisogna istruire un regolare processo e concedere tutte le garanzia del diritto all'imputato, altrimenti si tratta di vendetta personale istituzionalizzata o di linciaggio plebeo.
Non bisogna affatto lasciare che la rabbia e l'irragionevolezza della plebe, delle femmine e delle bestie si impadronisca della giustizia.
I giornali sono bravi a sfruttare il momento in cui accadono un paio di episodi gravi e veri per montare la psicosi, affiancando ad essi qualsiasi notizia di eventi anche solo lontanamente correlati, mescolando verità e menzogna, fatti accertati e fatti presunti, reale gravità oggettiva ed esagerazione emotiva e soggettiva, ponendo in prima pagina anche quegli episodi che di norma non finirebbero neppure nei trafiletti di cronaca e facendo passare per certezze terribili e acclarate anche semplici denunce, per allarme immediato e inaudito quanto rientra in statistiche in calo.
Questo accade periodicamente con gli stupri come con le rapine in villa, le madri assassine, i delitti fra coniugi, gli omicidi fra amici e fidanzati. Quando poi il periodo in cui uno di questi argomenti è in auge finisce, anche i fatti accertati e gravi vengono poi passati sotto silenzio.
Adesso sembra tutto uno stupro, salvo poi magari scoprire dopo due anni (come successo a Bologna) che il "mostro" sedicenne accusato dall'amichetta di violenza nel bagno di una discoteca ha passato due (!) anni agli arresti domiciliari per qualcosa di mai accaduto e frutto di un puro capriccio erotico-sentimentale della fantasia femminile.
E allora che accade?
Che se si vogliono per legge abolire i domiciliari per gli accusati di stupro anche persone innocenti come quel ragazzo passarebbero due anni addirittura in galera, sempre ammesso siano altrettanto fortunati da trovare testimoni in grado di scagionarli (altrimenti la millenaria stupidità cavalleresca unita alla moderna la demagogia femminista, imponendo di credere a priori alla donna, li condannerebbero anche senza prove).
Anche i colpevoli dei reati più gravi devono essere tutalati dal diritto. Se si inizia a considerare, sulla base dell'onda emotiva femimnea e dello della vendicativa irrazionalità popolare, qualcuno indegno di tutela giuridica, si cancella il fondamento stesso del diritto.
Togliere i domiciliari, per legge, a tutti gli accusati di stupro, impedendo ai giudici di valutare caso per caso la sussistenza o meno dei requisiti per richiedere la carcerazione preventiva, equivale a cancellare, in un crimine che riguarda le donne (e assunto a simbolo tanto dalla cavalleria medievale quanto dal femminismo contemporaneo), la presunzione di innocenza.
Come ben detto e spiagato, in uno stato di diritto la carcerazione prima di regolare processo non può essere la norma.
A maggior ragione non può esserlo per il reato di "violenza sessuale" così come definito dall'interpretazione femminista bovinamente accettata dalla maggioranza idiota dei maschi e tale da mettere assieme un reato vero e grave con tanti episodi veri o presunti, dalla gravità più o meno seria, dalla veridicità più o meno accertabile, e spesso più appartenenti alla sfera del pensiero, dell'intenzione o addirittura della fantasia che non a quella della realtà effettuale, tanto da essere definibili più correttamente come "psicoreati".
Nel diritto romano perchè esista un delitto deve esistere un danno oggettivo ed evidente. Ogni stato di diritto conosce questo principio. Lo psicoreato stupro fa invece eccezione. La definizione vaga e onnicomprensiva del reato di violenza o molestia imposta dalla demagogia femimnista include potenzialmente qualsiasi atto, gesto, toccata e persino sguardo non abbia in sè nulla di oggettivamente violento o molesto ma sia "sentito" tale dalla soggettività femminile.
Va da sè per chiunque sia capace di deduzione logico-matematica che quando la definizione di violenza o molestia viena affidata all'arbitrio soggettivo e irriproducibile della presunta vittima allora i numeri della violenza possono essere tutti gli interi da zero a infinito.
Finchè per stupro si intendeva una violenza oggettiva ed evidente, di cui si pretendevano i segni sul corpo come prova, allora solo i colpevoli potevano essere condannati. Poichè invece si pretende di considerare violenza anche quanto non essendo oggettivo (come ad esempio il giudicare se il tentare, l'insistere e il resistere ai no di un corteggiatore siano violenza e costrizione o adeguamento al gioco amoroso voluto socialmente e naturalmente dalle stesse donne, il quale prevede che l'uomo tenti sempre, senza sapere a priori se la propria azione avrà successo, e senza poter chiedere alla controparte se l'attacco sarà gradito, come non lo si potrebbe in guerra, e insista, non si fermi ai primi rifiuti, insegua mentre la donna fugge e si opponga al suo rifiuto se questa lotta come chi non vuol vincere) può lasciare non alcun segno evidente a terzi, chiunque può essere condannato. Come si fa infatti a dimostrare di non aver toccato minimamente una donna, se anche toccandola non si lasciano segni? Come si fa più in generale a dimostrare di non essere stati nè violenti nè molesti se la donna, creduta a priori, può sia dire di aver sentito violenza o molestia secondo i propri soggettivi parametri (i quali proprio in quanto soggettivi non possono essere smentiti) o addirittura inventarsi tutto?
Di fatto si può essere incarcerati per anni senza che sia mai esistito alcun reato, esattmente come se si potesse finire all'ergastolo per un omicidio non solo mai commesso, ma neppure mai avvenuto. E' questa la mostruosità del femminismo culturale di cui gli uomini infinocchiati non si accorgono.
Ciò è evidente da episodi come quello di Parlanti, letteralmente rapito in un aereoporto tedesco grazie ad un mandato internazionale spiccato da uno sceriffo texano che ha voluto credere a dichiarazioni incredibili (fuori dal buon senso e dalla fisica) della ex-moglie (non nuova al denunciare i compagni per estorcere denaro a loro o per rubarlo allo stato come "vittima di violenza domestica") e poi condannato ad una pena da omicida solo perchè uomo e perchè italiano e ridotto a marcire in carcere per quanto non solo non ha compiuto, ma non sarebbe mai stato possibile ad alcun uomo fisicamente esistente compiere.
Via via vi sono poi esempi come quelli di chi viene denunciato per violenza e rapina da prostitute clandestine che non si presentano neanche al processo, come quelli di chi finisce in carcere per stupro di gruppo dopo aver litigato fino alle bottigliate (reciproche) con la ragazza la quale mettendosi poi a urlare e a piangere in strada rende automaticamente stupratori tutti i maschi presenti e amici del suo fidanzato, come quelli di chi solo perchè immigrato viene denunciato da una ragazzina in vena di sfoggiare preminenza sociale e attirare attenzioni morbose su di sè (e liberato solo perchè per caso le telecamere della stazione hanno mostrato la falsità), fino a quel viaggiatore condannato a una settimana di prigione per aver osato guardare (senza che nessun testimone abbia peraltro confermato ciò) la passeggera sua vicina.
E' il cedimento dello stato di diritto a permettere alla donna di accusare falsamente per capriccio, vendetta arbitraria, ricatto, estorsione di denaro e privilegio o gratuito sfoggio di preminenza sociale nell'esser creduta a priori mentre l'altra parte è tenuta a tacere o ritenuta degna del riso, dei disprezzo e della condanna a priori;
definire a capriccio il limite fra lecito e illecito fino a rendere penalmente rilevante qualsiasi atto, detto, gesto, toccata o sguardo non sia oggettivamente nè violento nè molesto ma abbia la sola "colpa" di esprimere disio naturale per la donna o tentativo di carpirne i favori e non essere poi a posteriori da questa apprezzato (dopo che però è stato implicitamente indotto e socialmente preteso) permettersi letteralmente di tutto davanti all'uomo (CITA) senza temere le conseguenza poichè protetta dal proprio status di "dama intangibile".
O si ripristina lo stato di diritto anche nei casi di violenza sessuale (come c'è per l'omicidio, l'infanticidio, la strage, il terrorismo, eccetera), oppure si dica apertamente che si vuole considerare la donna gemma rara e preziosa da venerare e proteggere ad ogni costo, anche a quello di distruggere lo stato di diritto e a cui credere a priori senza bisogno di prove o riscontri oggettivi per condannare chi viene da lei accusato, lo si ammetta che si vuole imporre la donna quale unica fonte di verità e sensibilità umane mentre l'altra campana viene tenuta a tacere o reputata degna alternativamente del riso o del disprezzo aprioristici.
In tal caso chi ama il diritto se ne andrò nel vituperato mondo arabo, il quale presenterà certo parecchi difetti e ingiustizie, ma almeno su certi temi ama avere certezze prima di lapidare.

Stiamo lentamente scivolando verso gli usa, dove (in maniera eticamente e socialmente incoerente) non si riconoscono fra i diritti dell'uomo l'oggettività del diritto, la presunzione di innocenza e la gradazione della colpa per tutto quanto, afferendo alla sfera sessuale, suscita l'irrazionalismo pruriginoso e totalitario di stupidità puritana e demagogia femminista, dove viene punito come violenza e molestia tutto quanto oggettivamente non ha nulla nè di violento nè di molesto, ma viene definito tale (a posteriori) dalla soggettiva sensibilità della donna, senza riscontri oggettivi in definizioni chiare a tutti a priori nè tantomeno prove concrete (le quali non potrebbero ovviamente sussistere nel caso di atti normalmente non reati divenuti perseguibili solo in conseguenza di quanto la presunta vittima dice essere accaduto nella sua psiche), dove il prof deve fare ricevimento con la porta aperta per paura di denunce e spennamenti legali, dove gli avvocati consigliano di non entrare in ascensore soli con donne, dove persino chi inavvertitamente sfiora una passeggere nella ressa dell'aereoporto viene accusato di molestie vuol dire che non esiste oggettività del diritto (e anche chiunque non faccia nulla di male deve temere).

PARLANO DI UGUAGLIANZA
Parlano di uguaglianza, ma nel mondo moderno occidentale le donne sono sempre più uguali degli uomini.
Ogni distinzione basata sul sesso avviene in loro favore, dalla sopravvalutazione estetico-filosofica della figura femminile dei costumi (che nei luoghi di svago fa pagare meno le donne in quanto ritenute più rare, più preziose, più portatrici di divertimento e cultura, uniche degne rappresentanti della bellezza, della raffinatezza, dell'intelligenza e di ogni altra dote nobilmente umana), alle discriminazione delle pari opportunità delle leggi che riservano posti, privilegi e fondi perduti alle donne in quanto donne, distruggendo ogni concetto di colpe e meriti individuali, confondendo causa con effetto e soprattutto dimenticando come quanto la demagogia femminista propaganda per "ingiustizia", "oppressione" o "discriminazione", tutte le cifre e le statistiche citate (lavori part-time, media retribuzioni, quantità di donne laureate che non lavorano, scarsità di donne in certi lavori e in certe posizioni ecc.) non siano la conseguenza di una discriminazione, ma, AL CONTRARIO, l'effetto macroscopico di un PRIVILEGIO, o, meglio, dello sforzo disperato e vitale dell'uomo di compensare con la fatica, il lavoro, l'eccellenza economica ed il livello sociale quel privilegio posseduto dalle donne per natura, evidente sia (soprattutto nel ruolo di amante) in desiderabilità e potere grazie alle disparità di numeri e desideri volute dalla natura a lei favorevoli, sia (in ogni rapporto non solo e non tanto sessuale) in influenza sul mondo tramite quell'influsso naturale su quanto in ogni uomo vi è di più profondo e irrazionale (derivante dalla sua predisposizione naturale all'esser madre e dunque al plasmare un'anima come si fa coi fanciulli pur mo' nati, all'intuire in anticipo i desideri e i bisogni, a parlare senza parole e a intendere senza mostrarlo, a vedere quanto alla coscienza altrui è ancora oscuro, a leggere dentro senza esser letta) e in virtù del quale in ogni rapporto non banale l'influenza della donna sull'uomo è molto maggiore di quella inversa.
La propaganda femminsta dà concetto e una misura di emancipazione basati unicamente su valutazioni numeriche o ideologiche riguardo il lavoro. Ciò coglie solo la superficie del problema e non tocca le motivazioni profonde dell'essere umano. Il lavoro infatti è un mezzo, non già un fine supremo dell'essere umano, né una sua escatologica realizzazione (come pare nell'idealizzazione capitalista del guadagno). Il vero fine dell'essere umano non è arrivare in una determinata posizione socio-economica in sé o svolgere un determinato lavoro in quanto tale. Non è così che la vita in sé si compie e i desideri si appagano. Il fine supremo, anzi profondo, dell'uomo (e della donna) è essere riconosciuto, apprezzato, desiderato. Raggiungere una certa posizione socioeconomica, svolgere un certo lavoro, piuttosto che non sposarsi, essere belle, sfilare ecc. sono soltanto i mezzi con cui si può essere riconosciuti, apprezzati e desiderati nel mondo odierno.
Per privilegio di natura prima ancora che di cultura, la donna ha la possibilità di essere dal mondo apprezzata, ammirata, disiata al primo sguardo in sé e per sé, per la sua grazia, la sua leggiadria, la sua essenza mondana (quando manca la bellezza, vi supplisce l'illusione del desiderio), senza bisogno di compiere imprese (cui sono invece costretti i cavalieri i quali senza esse restano purno nulla) o di mostrare necessariamente altre doti, poiché l'uomo la desidera primieramente per la bellezza.
Al contrario, poiché la donna vuole selezionare fra i tanti che la desiderano colui che "eccelle", l'uomo è costretto a mostrare un certo valore, a faticare, a competere, a raggiungere una certa posizione socio-economica o anche culturale e di prestigio, giacché il concetto di "eccellenza", trasposto nel mondo umano, non ha valenza soltanto estetica, ma si ammante di una sfaccettata serie di significati ed implica conseguentemente per l'uomo un'altrettanto variegata serie di "imprese da compiere".
Se non vi riesce, rimane un puro nulla e non solo non ha alcuna speranza d'esser degnato d'uno sguardo dalle donne, ma risulta completamente trasparente per tutta la società (giacché non può esercitare nel mondo quell'influenza indiretta sugli uomini e sulle cose per tramite di quanto in essi è di più profondo e irrazionale, quell'influsso sui pensieri e sulle azioni che per disparità di desideri ed inclinazioni sentimentali è proprio della donna).
Per la donna la carriera è una scelta, per un uomo un obbligo. Altrimenti è infelice, non può godere di ciò di cui ha bisogno per natura e non ha né accettazione né stima del sesso opposto.
CITA non ho visto ma non trovo
Di ciò non si può non tenere conto parlando di "parità", sempre che si abbia come fine una parità effettuale o, meglio, una uguale possibilità di ogni individuo di cercare la via per essere felice, o meno infelice possibile, secondo i propri personalissimi ed ingiudicabili parametri. In caso contrario significa o che si è troppo stupidi per capire la sostanza del problema oltrepassando l'apparenza o troppo perfide e false per ammettere di avere un vantaggio (molto più influente della superiore forza fisica maschile) il quale DEVE essere compensato da una società che voglia essere non dico giusta, ma almeno FUNZIONANTE (solo quanto è bilanciato, come lo è stato il mondo della tradizione, può funzionare a lungo). La terza via significa semplicemente ritenere accettabile la crudeltà della natura solo perché in questo caso va (o sembra andare) a vantaggio della donna, sottendere che l'uomo debba sempre essere tiranneggiato o reso profondamente degno del riso da questa e definire arbitrariamente la disparità naturale come "giustizia naturale" (ragionamento tipico delle ecofemministe: e sarebbe interessante la loro reazione a chi sostenesse giusto per l'uomo approfittare della brutalità fisica e delle forze naturali di coesione , ossia del branco, per schiavizzare le donne, perché è il discorso simmetrico a questo quello sostenuto da certe ecofemministe e da certe donne).
E' ipocrita poi un mondo che chiama svantaggio il privilegio e chiama discriminazione una scelta (dettata da diversi desideri di natura).
Se vige la morale pseudo-cavalleresca, per cui sia per cultura sia per legge è sancito che l'uomo debba mantenere la donna (se questa non ha voglia di lavorare o di cercare un lavoro in grado di farle guadagnare quanto desidera), se anche per un semplice rapporto "free" l'uomo deve dare infinite cose in pensieri, parole, opere, fatiche, dignità (quando deve recitare da cavalier servente) e soprattutto doni e regali e inviti a cena, se una donna può ottenere (economicamente e sentimentalmente, oppure in moneta di vanagloria e autostima) tutto senza dare nulla più che un sorriso, se viene accettata, disiata o comunque socialmente apprezzata in ogni dove di per sè, in quanto "soave fanciulla", per la sua grazia, la sua leggiadria ed ogni altra dote attribuitale per natura e cultura (addirittura anche quando, come accade spesso, manca la vera bellezza) perché mai una donna dovrebbe faticare per arrivare a guadagnare tassativamente una certa cifra (come ha l'obbligo l'uomo per non essere un nulla) o raggiungere una certa posizione di prestigio socio-economico (quella indispensabile invece all'uomo per essere ammirato e potersi circondare delle donne che desidera) dato che già per natura piovono su di lei privilegi principeschi (in relazione all'uomo), complimenti, desiderabilità e ammirazione, o comunque accettazione, sociale e per natura le viene dato tutto?
Sarebbe molto stupida se non ne approfittasse, facendosi per quanto possibile mantenere o, se ama il lavoro, scegliendo una professione per puro gusto e non per soldi (ed è per questo e solo per questo che le donne svolgono mestieri meno remunerati ma non per questo meno appaganti in sé).
Se deve sempre essere l'uomo a "spendere" (sia materialmente, sia idealmente) per la sola speranza di conquista, deve esistere per lui ALMENO LA POSSIBILITA' di guadagnare di più, altrimenti dove trarrebbe le risorse per la "rincorsa"? O per voi è naturale che l'uomo viva perennemente infelice e inappagato?
La donna, per privilegio sia di natura sia di galanteria, ha la possibilità, nella sfera dell'AUTOSTIMA (erotica ed affettiva), di essere ammirata, disiata ed apprezzata al primo sguardo e, in quella del POTERE (personale e sociale) di influenzare l'agire e il pensare degli uomini (e quindi la storia), SENZA BISOGNO di faticare, compiere "imprese" o mostrare eccellenza in doti particolari (come i cavalieri che se non le dimostrano non sono né disiati né ammirati) o di raggiungere una posizione di preminenza sociale ed economica (come invece gli uomini che senza di essa non contano nulla).
E tutto questo vale per natura, poiché è il maschio ad essere indotto dalla natura ad onta di perigli e fatiche a seguire la femmina nel più fitto dei boschi e chissà dove, non viceversa.
Tale disparità DEVE essere compensata in un modo o nell'altro dall'ordine sociale. Il denaro è un mezzo (o il mezzo attuale).
Se le persone sono lasciate libere tale "riequilibrio" avviene senza discriminazioni, non per effetto di divieti o svantaggi alle donne, ma per conseguenza di libere scelte diverse dettate da bisogni diversi, inclinazioni diverse e doti naturali differenti. E' se si pretende di eliminare a posteriori tale riequilibrio che si compie azione ingiuste e discriminatoria in quanto un'uguaglianza imposta penalizzerebbe gli uomini DATO CHE il non avere il femminista 50 e 50 non deriva da discriminazione contro le donne ma dal fatto che esse (per privilegio naturale e culturale) hanno meno bisogno di certe posizioni e di certe carriere (per essere felici o anche solo socialmente accettate e amorosamente disiate) e quindi non vi spendono tanto tempo ed energia come sono invece obbligati a fare gli uomini: conseguentemente correggere a posteriori per avere il politicamente corretto 50 e 50 sarebbe come, per il puro gusto di "pareggiare", rallentare a metà di una competizione chi ha corso e faticato di più perché aveva più necessità di arrivare prima.
Se davvero si realizzassero i propositi del ministero delle pari opportunità la situazione sarebbe totalmente a svantaggio dell'uomo, e non certo pari o giusta.

Le leggi su aborto, divorzio e violenza sessuale, poi vengono sistematicamente applicate a senso unico.
Per la legge sull'aborto una donna ha non solo la possibilità di disconoscere ed abbandonare un neonato senza alcuna conseguenza legale, ma anche il diritto di decidere ad arbitrio (strano per un mondo dominato dal culto dell'individui autodeterminati uguali per nascita e dalla religione dei diritti umani e dei diritti dei più deboli) sulla vita e la morte del nascituro, mentre l'uomo ha il dovere sia di riconoscere e mantenere figli che non voleva (a volte neanche suoi), sia di accettare che un figlio voluto sia soppresso dalla compagna.
Per la legge sul divorzio, la donna ottiene sistematicamente la casa, i figli, metà o più delle sostanze del marito e soprattutto il diritto a scegliere se lavorare se ne ha voglia, se lo ritiene vantaggioso, se trova un impiego che la appaghi materialment e moralmente o farsi mantenere a vita dall'ex-marito in caso contrario (e anche qualora questo non ne abbia più la possibilità economica, come dimostrano i separati costretti a dormire in macchina, a fare gli straordinari o a divenire barboni, folli o omicidi nel tentativo di sostenere "alimenti" impossibili), mentre l'uomo ha il dovere di accettare il rischio di fare la fine di un esule ottocentesco (privato di casa, famiglia, roba, affetti e di ogni possibile speranza futura di felicità), di continuare a mantenere chi non sta più con lui (e magari si è messa con un altro con cui potrebbe benissimo vivere senza aiuti dall'ex) quando non di finire in galera per stupro coniugale, violenza domestica o stalking a causa di accuse false, infondate, distorte o esagerate ad arte e comunque usate a fini meramente strumentali per metterlo in condizioni di debolezza contrattuale nella causa di divorzio.

Che una donna debba mantenere un uomo non accade mai, poichè, anche senza le disuguaglianze legali de facto, esistono quelle naturali di numeri e desideri, in conseguenza delle quali per le donne la posizione socioeconomica di un uomo è un criterio di scelta imprescindibile almeno quanto per gli uomini lo è la bellezza corporale nella scelta della consorte.
Che un uomo possa accusare degli stessi reati una donna è parimenti raro per le disparità di fiducia a priori di cui per via di due millenni di cristianesimo e di stupidità cavalleresca e due decenni di demagogia femminista i due sessi godono presso polizia, società e tribunali.
Per la legge sulla violenza sessuale la parola di una donna (se credibile), vale di fatto come prova (tanto che si finisce in galera immediatamente in attesa di indagini più accurate, come accaduto al ragazzo di bologna prosciolto dopo due anni di domiciliari quando finalmente le indagini difensive trovarono testimoni in favore, del processo, come accaduto a diversi ragazzi accusati di violenza su discotecare varie, o addirittura dell'appello, come accaduto a dua cagliaritani accusati di stupro di gruppo pur in assenza di ogni prova della violenza sessuale sul corpo della ragazza), mentre quella di un uomo, per valere, ha bisogno di schiaccianti evidenze in favore (i due romeni della cafferella sono restati in carcere persino dopo che il dna li aveva scagionati, per "il quadro inquisitorio comunque pesante", il che vuol dire "per l'accusa della vittima").

Addirittura negli usa (verso cui però anche l'europa si sta muovendo) anche solo chiedere all'accusatrice di fornire descrizioni dettagliate e dimostrabili dei fatti, riscontri oggettivi della presunta violenza, prove certe, oggettivamente valutabili e razionalmente quantificabili dell'effettiva gravità e realtà del danno ricevuto (il quale solo giustifica, in uno stato di diritto, una grave condanna) è considerato "seconda violenza" (esattamente come nel processo inquisitorio secondo la caricatura anticlericale, nel quale il mettere in dubbio l'accusa, tanto da parte dell'imputato quanto da parte del suo difensore, costituiva di per sè prova di colpevolezza o comunque aggravante del reato ipotizzato), quando al contrario è soltanto mettendo in dubbio entrambe le versioni e cercando senza pregiudizi riscontri nei fatti all'una o all'altra è possibile stabilire la verità.
Mike Tyson non ha potuto far valere il fatto che l'accusatrice aveva falsamente accusato un altro
brian ha dovuto dimostrare la consensualità del rapporto (quando di norma dovrebbe essere l'accusa a dover provare la non-consensualità, non essendo il rapporto reato in sè ma solo se dovuto a minaccia o costrizione)
parlanti è in carcere senza prove. Ecco, questa è la "presunzione di innocenza" americana. chiunque può andare in galera a tempo determinato per la sola parola di una donna senza riscontri oggettivi.
E l'uguaglianza è questa: qualsiasi accusa anche solo minimamente afferente al sesso diviene nell'inconscio collettivo di giudici, poliziotti e media identificata con la colpa più grave immaginabile, anche quando nulla ha a che fare con quanto ogni mondo civile ha in ogni tempo definito e punito come stupro.
Ecco che così non esiste più non solo una presunzione di innocenza, ma nemmeno, per i colpevoli, una pena proporzionata all'effettiva ed oggettiva gravità della colpa.
qualsiasi minimo o presunto ferimento alla soggettiva sensibilità femminile nella sfera sessuale è considerato crimine massimo da punire nella miniera più ampia, dolorosa e umiliante possibile (e senza possibilità di normale difesa), mentre ferimenti anche più gravi alla diversa e non già inesistente sensibilità maschile vengono passati come trascurabile banalità, divertente normalità o addirittura diritto della donna.
Toccare un sedere costa anni di carcere, mentre "toccare" in maniera molto più dolorosa, frustrante, e provocante ferimento emotivo, irrisione profonda, umiliazione pubblica e privata, sofferenza fisica e mentale, disagio da sessuale ad esistenziale il corpo o la psiche maschili (facendo ad esempi ripetutamente le stronze nella maniera che ho definito mille volte e che tutti, interessate comprese, sanno per vera) è addirittura divenuto stile pubblciitario o hollywoodiano.
Cercare disperatamente di ristabilire un contatto con chi, nonostante tutto, è ancora la madre dei suoi figli, può costare al marito una condanna decennale, mentre ridurre la sua vita quella di un esule ottocentesco privato di casa, famiglia, roba, beni materiali e morali, figli, interesse per la vita e residue speranze di felicità non costa nulla alla ex-moglie (anzi fa guadagnare molto).
Cercare di ottenere un rapporto sessuale in una maniera per la quale la demagogia femminista ha anche solo un minimo dubbio di consensualità (uso di alcool, corteggiamento insistente, promesse di favori lavorativi, atteggiamento da conquistatore ecc.) è considerato tanto grave da giustificare almeno dieci anni di carcere (anche quando i presunti danni alla presunta vittima, quando esistono, spariscono dopo la prima tinozza d'acqua bollente o vengono dimenticati dopo un congruo risarcimento)
e provocare intenzionalmente ad un uomo danni ben più gravi e ben più certi (violenze fisiche e mentali nella sfera sessuale, come ballbusting pretestuoso o la stronzaggine del suscitare ad arte il disio e poi compiacersi della sua negazione e di come essa, resa massimamente dolorosa, umiliante e beffarda possibile da una studiata perfidia e da una premeditata e sperimentata tecnica, possa far patire all'uomo le pene fisiche e mentali dell'inferno della privazione dopo le promesse del paradiso della concessione, farlo sentire una nullità, ferirlo emotivamente, renderlo ridicolo davani a sè e agli altri, umiliarlo in pubblico e in privato, provocargli irrisione al disio, sofferenza fisica e mentale, inappagamento fino all'ossessione e disagio da sessuale ad esistenziale, o addirittura, e i casi famosi non sono mancati, mutilazioni, devastazioni del corpo o della psiche tali da impedire di vivere ancora felicemente il sesso, come comunemente avviene ogni sera alle vittime delle tante stronzette da discoteca, spoliazioni di ogni ricchezza materiale e sentimentale, legalizzata come divorzio e mantenimento, confisca dei beni e privazione dei figli con qualche denuncia enfatizzata ad arte, distruzione con metodi femminili della famiglia e di ogni affetto privato e di ogni rispettabilità sociale, addirittura omicidi)
vengono trattati come follie momentanee da curare con qualche mese di clinica.

E anche in europa si sta introducendo questa porcheria per la quale (alla faccia dell'uguaglianza) un uomo può finire in galera solo sulla parola dell'accusatrice senza riscontri oggettivi (mentre ovviamente non vale il contrario, e non solo perchè la disparità di desideri è tale che sono sempre e solo gli uomini a doversi far avanti e quindi a rischiare accuse di violenza, ma anche perchè, quando la violenza è femminile, come nel caso di accuse false di stupro che producono nella vittima, sottoposta da innocente a carcere, gogna mediatica, distruzione affettiva del mondo e pericoli di violenze fisiche e psicologiche di ogni genere quali ritorsioni, un trauma comparabile a quello di una vera vittima di stupro). E nessuno se ne lamenta.
Basta dunque essere ritenuti credibili e saper raccontare storie credibili per far finire in galera qualsiasi uomo senza prove?
Ma non è pazzesco e indegno pure del medio-evo? Come si può tollerare una cosa del genere in uno stato di diritto? Come si può concedere a tutte le donne su tutti gli uomini un potere di distruzione arbitraria della vita quale avevano i re, i principi e le polizie segrete nei momenti più bui della storia? Nessuno che osi dubitare (come ogni ricerca della verità pretende) sulla veridicità a priori delle accuse?
Vi sono mille motivi per accusare falsamente:
capriccio, vendetta arbitraria, ricatto, interesse economico-legale o gratuito sfoggio di preminenza nell'esser credute a priori e considerate unica fonte di verità e sensibilità umana mentre l'altra campana è tenuta a tacere o reputata degna del riso o del disprezzo.
E anche se non ve ne fossero, deve sempre spettare all'accusa provare la sussistenza di un reato, non alla difesa dimostrarne la non esistenza (del resto, come insegna l'epistemologia di Popper, di quanto esiste è sempre possibile in linea di massima provare l'esistenza, mentre di quanto non esiste non sempre è possibile provare la non-esistenza). Non è necessario pensar male delle donne in particolare. Anche le persone più irreprensibili possono, in ogni ambito della vita, voler accusare falsamente qualcuno di un certo reato per i più reconditi e inspiegabili motivi, specie se rischiano poco o nulla (rispetto all'accusato) e sanno di essere credute gettando una presunzione di colpa sull'accusato. Più si toglie la presunzione di innocenza, più si incoraggia fra le persone la tentazione e il costume di togliere di mezzo gli "indesiderati" tramite la delazione (come nei regimi totalitari).
Per questo in tutti gli altri reati, prima di chiedersi perchè l'accusa dovrebbe mentire, ci si chiede se esistono prove del fatto denunciato. Non si può basare un'azione penale soltanto sulla parola di chi accusa, per quanto credibile possa apparire nel presente o essere stata in passato.
Perchè poi la credibilità della parola di una donna vale e quella di chi si deve difendere da lei no, anche se magari in passato è stato sempre credibile come e più di lei? Allora vi è disparità giuridica! Le "dame" sono trattate da aristocratiche con il diritto di definire i confini fra lecito e illecito e far valere la propria parola come prova anche di quanto non avvenuto.
In uno stato di diritto non solo la parola di tutti deve avere uguale valore, ma è preferibile un colpevole fuori che un innocente dentro, quindi in dubio pro reo.

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