Dopo aver vagamente citato nel post precedente il poeta burlesco Germano Mosconi (pur con tutto il rispetto per il genere comico-giocoso e la tradizione della poesia burlesca nella quale certamente anche le bestemmie rientrano come forma artistica, non potevo certo, in osservanza della mia Religione, bestemmiare apertamente come nel famoso canto del "porcodrillo" né posso ora linkare quell'opera, giacché è prevista la morte nel mio impero per chi bestemmia, ed io non voglio escludermi dalla legge) oggi, come promesso, proseguirò la battaglia anticlericale postando la risposta di Costantinopoli ai Vescovi redigenti la cosiddetta "pastorale della Strada" e richiedenti il divieto di prostituzione. Si tratta della stessa risposta che preparai anni fa per un'analoga richiesta dei clericali (e delle catto-femministe) di punire i "clienti" (e cioé anche me, in quanto comunque cliente di accompagnatrici a pagamento anche se di "alto livello" socio-economico).
Udite, udite (ora parlo seriamente).
RISPOSTA DI COSTANTINOPOLI
alle affermazioni dei Vescovi sulla "prostituzione, moderna forma di schiavitù"
La prostituzione non è nè moderna nè, in sè e per sè, una forma di schiavitù.
Come sostiene da tempo il Comitato Diritti Civili delle Prostitute, "quando non è violenza, sopraffazione, sfruttamento, ma libera scelta, la prostituzione è un’espressione della sessualità. Vietarla è ridicolo prima ancora che illegale."
Il Vaticano strumentalizza la crescente diffusione di crimini moderni ed efferati, quali la tratta di esseri umani e la riduzione in schiavitù, per creare consenso sulla condanna di comportamenti sessuali contraria alla dottrina morale della Chiesa.
Dovrebbe invece distinguere fra la prostituzione in sè, come fatto privato, ossia scambio di sesso per denaro fra due individui adulti e consenzienti, e i crimini di terze persone che sfruttano le necessità ed i desideri dell'una e dell'altra per proprio tornacondo, speculando sulla miseria, sull'inganno, sull'illegalità.
Quando non vi è costrizione, la prostituzione, sia da parte di chi la pratica, sia da quella di chi ne usufruisce, è parte della vita privata e le libertà sessuale degli individui, e come tale non deve riguardare lo stato. Solo quando lede la libertà altrui o disturba altri cittadini lo stato ha diritto di occuparsene, ma non certo proibendola in sè e per sè. Solo quando vede il coinvolgimento criminoso di persone dedite allo sfruttamento, alla costrizione ed alla tratta lo stato deve intervenire.
Spaventa che la chiesa e certi politici vogliano imporre, sull'onda emotiva dello sdegno per la riduzione in schiavitù di tante ragazze vittime del racket, una morale di stato. Non è certo questa la strada per la libertà. Giusto cercare in ogni modo di liberare le schiave, ma ingiusto voler fare di tutte le prostitute delle vittime, cancellando la volontà e la voce di coloro che dichiarano di voler proseguire in pace la loro attività (Carla Corso)
Un conto, infatti, sono le nigeriane e le albanesi costrette sulla strada dalla mafia e dai trafficanti a prostituirsi dietro minacce, violenze, o debiti-capestro, altro conto sono quelle italiane o quelle straniere regolarmente in Italia o liberamente viaggianti per l'Europa che "ricevono dietro omaggio" a casa propria o in hotel di lusso, le quali potrebbero benissimo svolgere un altro mestiere, ma decidono essere meglio per loro, anzichè guadagnare poco in molto tempo vendendo (o svendendo) le proprie capacità, il proprio studio, la propria cultura, le proprie braccia nel "mercato del lavoro", guadagnare invece molto in poco tempo, offrendo le proprie grazie: scelta assolutamente legittima, dato che, trattandosi della loro esistenza e della loro felicità, nessun uomo liberale ha diritto di giudicare.
In mezzo, c'è una zona grigia di persone prostitute immigranti che scelgono la strada della prostituzione per emanciparsi più in fretta dalla povertà. Esse sono vittime non della prostituzione, ma dell'insicurezza del dover stare in strada senza diritti civili (come notato dal Comitato delle prostitute) e diventano preda di sfruttatori e violenti. Ad esse dovrebbe essere proposta un'alternativa di lavoro, ma non certo l'obbligo di essere "redente". Se scelgono di continuare, devono essere aiutate pur rimanento prostitute.
CARLA CORSO:
"A noi questo mestiere va bene, non vogliamo farne un altro, vogliamo solo farlo più tranquillamente e con certe garanzie. (...) Pretendiamo di farlo in tutta tranquillità, senza essere continuamente prese di mira dalla polizia o dai benpensanti".
Carla Corso, leader delle prostitute italiane, nel suo libro "Ritratto a tinte forti".
Le statistiche (CENSIS, CESTIM, PARSEC) dichiarano che 10-20 percento delle prostitute immigrate è costituito da schiave. Sebbene non si tratti di una realtà trascurabile, non è con l'identificazione di prostituta come schiave che si risolvono i problemi.
Da terrelibere.it:
"Donne migranti nella prostituzione", la tesi di laurea di una giovane operatrice sociale italiana. Nella quale si possono leggere cose come "Si è andato diffondendo [...] nel processo che accompagna la lotta al traffico di esseri umani, un meccanismo di "etichettamento sociale" delle donne coinvolte nello sfruttamento della prostituzione come "vittime passive". Le analisi più attente della realtà prostituzionale straniera in Italia, invece, concordano nello smentire l'utilità di una lettura schiacciata sulla vittimizzazione delle donne" e "All'interno della tratta [...] non rientrano solo e sempre donne totalmente assoggettate, ma ci sono differenze e gradazioni molteplici relativamente ai margini di autonomia ed autodeterminazione conquistabili. Meno che mai si può pensare di assimilare tutta la prostituzione straniera alla tratta."
Non bisogna mai dimenticare che quasi la metà delle prostitute è italiana (e quindi non si può identificare, ancora una volta, tratta e prostituzione).
Per quanto riguarda le straniere irregolari, comunque,
il Comitato conferma:
"Apprendiamo con viva preoccupazione che in Commissione Giustizia della Camera è stata imposta dalla maggioranza di centro destra come testo base il ddl del governo sulla prostituzione cancellando con un colpo di mano ben 13 proposte dei vari gruppi parlamentari. La poco democratica prassi attuata ci fa supporre che il dibattito sulla legge subirà una evoluzione sul tono emergenziale difficile da contrastare. La proposta governativa nella sostanza proibisce l’esercizio della prostituzione con arresto e ammende da comminare a prostitute/i e a clienti. Per il governo chi si prostituisce è sempre e soltanto “vittima della tratta” come falsamente si dice nella relazione tecnica della legge, e quindi va semplicemente aiutata e salvata con adeguati interventi di polizia. E’ falso, la maggioranza delle donne e degli uomini che si prostituiscono lo fa per scelta, e la loro scelta va rispettata."
Interessantissima la premessa del Manifesto delle "sex workers", contro ogni sorta di eccessivo vittimismo:
"Recentemente il dibattito sul lavoro sessuale e sul traffico di esseri umani ha un posto importante nell’agenda politica internazionale. Sia a livello nazionale che internazionale le organizzazioni nazionali e internazionali hanno dato vita ad una moltitudine di iniziative – conferenze, iniziative politiche, progetti.
Citiamo ad esempio il Protocollo sulla tratta degli esseri umani adottato dall’ONU nel 2000, la legge quadro sulla Tratta adottata dal Consiglio Europeo nel 2002 e parecchie conferenze internazionali, una delle quali organizzata dal Parlamento Europeo ed un’altra dall’Organizzazione internazionale sull’Immigrazione. E’ desolante constatare l’assenza quasi totale dai processi decisionali di migranti che effettivamente operano nel mercato del sesso.
Si parla della tratta come di una violazione dei diritti umani, ma raramente il dibattito si concentra sugli interessi e i bisogni reali delle vittime del traffico o sulla garanzia dei loro diritti. Al contrario quando si parla di tratta, lo si fa sempre nel contesto della lotta al crimine organizzato e all’immigrazione clandestina. Per combattere la tratta, alcuni paesi europei hanno adottato misure molto repressive per impedire alle donne migranti di svolgere lavoro sessuale nei loro territori. Anziché prevenire la tratta e i suoi abusi, le misure adottate sono discriminatorie e di fatto incoraggiano la tratta. Se si impedisce alle persone di emigrare per vie legali, esse diventano sempre più dipendenti da chi controlla i circuiti illegali.
L’attuale dibattito sulla tratta ha un impatto sulla vita quotidiana delle migranti e dei migranti attivi nel mercato del sesso e distorce la realtà della prostituzione. Rafforza lo stereotipo secondo il quale le prostitute sono tutte vittime. I politici utilizzano le storie delle “vittime innocenti” costrette ad entrare nel mondo della prostituzione per legittimare le loro politiche anti-immigrazione e anti-prostituzione. Questi discorsi non rispettano-rispecchiano i bisogni e la realtà dei migranti e nemmeno di coloro che sono effettivamnte schiavizzate e costrette, poiché toglie loro potere decisionale e la possibilità di autodeterminarsi. Il dibattito mostra solo una faccia della medaglia e fa arretrare i diritti delle persone migranti che lavorano nel mercato del sesso.
I diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso non sono solo messi in pericolo dalle misure anti-immigrazione e dai toni con cui si svolge il dibattito sulla tratta. In molti paesi europei lo spirito neo-conservatore giustifica le misure adottate contro la prostituzione, come in Francia e in Italia.
La legge svedese che criminalizza i clienti ha gravi conseguenze sulle condizioni di lavoro delle persone che si prostituiscono.
Anche in Olanda, a dispetto della legalizzazione del mercato del sesso, l’obiettivo politico reale non è migliorare le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso, bensì controllare e regolamentare l’industria e il mercato tenendo i migranti e le migranti fuori dai confini del paese.
Noi chiediamo che i diritti delle persone che lavorano nel mercato del sesso vengano rimessi all’ordine del giorno nell’agenda politica internazionale. Il dibattito sulla tratta degli esseri umani dovrebbe affrontare la questione dei diritti umani, del diritto al lavoro e alla libera circolazione, con la collaborazione attiva delle organizzazioni che rappresentano i sex workers."
Eccettuate coloro che sono violentemente costrette a quel mestiere dalle organizzazioni criminali (quest'ultime vanno perseguite e smantallate al pari di tutte le bande malavitose che sfruttano il lavoro di altri)le altre donne (e gli altri uomini) scelgono quell'attività liberamente, esercitando il sacrosanto diritto a disporre a piacimento del proprio corpo (e quindi anche il diritto a "venderlo" o "noleggiarlo"). Esse hanno diritto a farlo senza essere giudicate dalla morale comune, dallo stato, o da chi, avvezzo a una logica "illiberale" le vorrebbe schedare come criminali. Stesso discorso valga per i loro "clienti".
Il fatto prostituzione in sè attiene alla sfera intima delle persone, la loro ricerca del piacere o del guadagno, della soddisfazione o della necessità, della trasgressione o dell'autostima, della sincerità o della recita, dello svago o di quant'altro concerne il delicato equilibrio della sessualità e sulla quale nè lo stato, nè tanto meno la chiesa dovrebbero avere diritto di legiferare o proibire,
Tratta di esseri umani, sfruttamento e riduzione in schiavitù sono crimini in sè, non in quanto legati alla prostituzione.
La chiesa sfrutta quell'errore chiamato paralogisma chiamando con lo stesso nome il peccato e il reato, al fine di condannare il primo attraverso il secondo.
Se possiamo anche concordare sul fatto che chi fa con una schiava si rende complice degli aguzzini, non possiamo certo ravvisare colpa o reato alcuno a chi si accompagna ad una donna libera (italiana o straniera regolare) che ha scelto consapevolmente, per motivi personali e soggettivi, la professione, preferendola magari ad altre meno "remunerative", una volta soppesati i vantaggi e gli svantaggi dell'una e dell'altre.
In questo caso non si può parlare nè di tratta, nè di costrizione, dato che la scelta è stata libera, e nemmeno di povertà o sofferenza, dato che le alternativa lavorative per queste "squillo" vi sarebbero (molte di loro sono laureate) esattamente come per molti altri loro coetanei maschi o femminine meno avvenenti. Esse sfruttano, di fatto, una possibilità in più per arricchirsi legittimamente
Lo dicono anche esse: “guadagnare più della media è un fatto, che ne valga la pena, e quale sia il valore da attribuire a questa pena, ricade nell'ambito dell'estremamente soggettivo”.
Esse guadagnano in una notte quello che un impiegato medio guadagna in un mese, e il loro potere contrattuale è spesso superiore a quello dei clienti. Chi può dirle schiave?
Non è solo una questione di soldi, ma di scelte e di possibilità.
Che dire poi di quelle fanciulle che girano l'europa col nome di escort, viaggiano in prima classe da un cliente all'altro, sono indipendenti, diventano milionarie e sono famose, nell'ambiente, quasi come star?
Non si possono poi dimenticare quelle signore e signorine "normali" che incontrano dietro gentile omaggio per "arrotondare" il reddito del loro lavoro "rispettabile". Come si può chiamare sfruttata chi coglie liberamente una possibilità in più rispetto ai propri colleghi?
Per questo bisogna sempre distinguere la morale dalla legge.
La prostituzione non è un mestiere come un altro solo perché riguarda una sfera intima della persona, quella sessuale, e proprio per questo solo il singolo individuo ha diritto a stabilire cosa per lui/lei è giusto, dignitoso, morale.
Se un uomo detesta restare invischiato negli intrighi amorosi, se non ama gli artifici e le falsità che sovente contornano l'ars amandi, se concepisce la conquista come una fatica intollerabile in quell'ambito in cui vorrebbe trovare solo il piacere, se non si diverte a corteggiare e preferisce dunque trovare chi gli dona piacere a pagamento piuttosto che impegnarsi nell'arte della conquista, se non tollera di abbandonare il proprio piacere ai capricci della fortuna o a quelli di altre persone, se non accetta di recitare la parte del seduttore, o quella del Casanova sono affari e problemi suoi , non dello stato. Se una ragazza si sente apprezzata solo spogliandosi e facendosi pagare ingenti somme o se si eccita alla possibilità di facili guadagni per comperarsi creme e gioielli sono fatti suoi, non dello stato. I differenti e svariati motivi per cui alcune persone desiderino comperare del sesso e altre accettino di venderlo non riguardano lo stato, ma solo l'individuo, non il bene pubblico, ma la ricerca di felicità dei cittadini singoli. Tutti, compresi clienti e prostitute, hanno diritto a trarre dalla vita la propria parte di piacere come li aggrada, e di guadagnare come vogliono, senza che lo stato giudichi se ciò sia morale o immorale; tutti devono poter ricercare la propria felicità nei modi e nei tempi voluti, senza che chicchessia, prete o femminista, attribuisca loro gratuiti e superficiali giudizi morali fondati sul pregiudizio del ragionare per categorie.
Eccetto coloro che sono costrette (già citate) le altre prostitute sono da considerarsi persone adulte e consenzienti. Dire che sono “poverine da difendere” non solo è una falsità, sed etiam è un insulto alla loro dignità di persone adulte e consenzienti che dispongono a loro piacimento del corpo e della mente. Pensare infatti che una donna non possa mai decidere di vendere il piacere dei sensi, e inventarsi sempre che è costretta, rappresenta una malcelata misoginia, in quanto nasconde una visione di donna pretenziosamente “asessuata” (la quale diventa sessuale solo per “colpa” dell'uomo) e in definitiva incapace di decidere autonomamente.
Il maggiore favoreggiamento alla prostituzione proviene da chi vuole rilegarla nell'illegalità, ove associazioni prive di scrupoli possono quasi tranquillamente sfruttare ragazze (e ragazzi) senza pietà. Una prostituzione legalizzata permetterebbe un controllo non solo sanitario, ma soprattutto anti-crimine nel mondo del sesso a pagamento. Legalizzando la prostituzione, molte organizzazioni criminali vedrebbero assottigliati i loro profitti, al pari di quanto avverrebbe legalizzando le droghe leggere.
Ovunque la prostituzione è diventata illegale, si è accresciuta e si sono accresciute le violenze contro le prostitute
Le vetero-femministe e i moralisti clerico che vorrebbero punire i clienti, in realtà colpiscono le prostitute più deboli e in difficoltà, le quale, private del mercato “legale”, si devono rivolgere alla malavita per poter continuare ad esercitare. Una scelta proibizionista è inoltre contraria allo spirito liberale che dovrebbe concedere ad uomini e donne la possibilità di stabilire i valori della propria vita sessuale senza condizionamenti dello stato, senza l'etica da regime.
Ultimativamente un mondo ideale non è un mondo senza prostituzione, bensì un mondo nel quale una donna, per il fatto di essere una prostituta o di prostituirsi per una volta, non sia considerata cittadina di serie b. E lo stesso dicasi per i loro clienti.
SALUTI ECUMENICI DALLA SUBLIME PORTA
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