PROPRIO PERCHE' VEDO (CHE SOFFRIREI), PROVVEDO (E GODO)
Gentile Madonna Chiara,
noto che parlando meco in chat parlavate anche ai pisquani pubblicamente (con termini peraltro simili). Vi rispondo dunque qui.
Quanto alla critica di non perfetta coerenza, replico rafforzando quanto ho inserito in grossetto nel post del "meglio morire che corteggiare", fondando il discorso sulla constatazione che, a differenza degli altri animali, l'uomo non ha come fine l'utilità riproduttiva, ma la ricerca della vita felice (che poi tale felicità risulti magari illusioria è un altro discorso).
Il maggior grado di coscienza fra tutti gli esseri viventi fa sì che ami se stesso più della propria vita, ossia si ami "supremamente" (come nel dialogo di Farfarello)
Per questo ricercherà sopra ogni cosa non tanto la vita, la sua conservazione e la sua propagazione, come gli altri animali, bensì la vita felice (e quando la possibilità di essa, o l'illusione di essa, sarà svanità, preferirà la morte alla vita priva di felicità) La ricerca sarà però sempre mossa dal desiderio, da quello stesso desiderio di cui la natura in diverse forme modi e intensità fornisce gli individui affinché perseguano i suoi fini, illusi come da una chimera.
L'uomo ha in comune con gli animali i bisogni naturali (il cibo, il sonno, il sesso), che devono ovviamente essere soddisfatti a pena di infelicità profonda, frustrazione intima, disagio da sessuale ad esistenziale, ossessione, ma è distinto dall'autocoscienza. Per questo il tentare di ottenere il soddisfacimento dei propri desideri seguendo i modi "naturali" può, per via della particolare sensibilità individuale o del fatto stesso di rendersi conto della crudeltà della natura, comportare per lui disagi psicologici, ferite emotive, o addirittura ancora infelicità profonda come nell'inappagamento. La "recita" nasconde tutto questo.
L'appagare i propri bisogni nel modo puramente "naturale" (ossia corteggiando) può talvolta portare a situazioni di disagio emotivo o di ferimento psicologico (che per gli animali nelle corrispondenti situazioni non vi sarebbero) quali più avanti, ancora una volta, esemplificherò.
Quanto al vostro discorso sulla competiziona naturale (che tanto i pisquani non sapranno, non potendo leggere le nostre chat), probabilmente è vero, o almeno fondato, ma non mi crea alcun problema, dato che persino Nietzsche lo sosteneva, in pratica con le vostre stesse argomentazioni ("il grado e la specie della sessualità, in un uomo, arrivano sino al vertice del suo spirito") e ne dava un valore positivo (in polemica con le utopie cristiano-socialiste) e vitalistico.
La differenza fra la competizione nello sport, nelle battaglie, nei giuochi, e quella che vorreste voi nel corteggiamento (e di cui parlate tanto a me quanto ai pisquani) è presto detta:
nel primo caso si lotta non già per compiacere la vanagloria di una femmina, ma per un ideale, per un divertimento, o per una voglia di mettere alla prova le proprie doti e di migliorare, e, se il risultato dipende comunque spesso dalla fortuna, il merito, la gloria e la soddisfazione delle proprie azioni sono sotto l'esclusiva dipendenza dal nostro valore e da quanto e come lo esprimiamo. Anche se si perde, non si è umiliati, se ci si è ben comportati. Viceversa, i codardi sono tali (agli occhi di un Omero che racconta e ricorda) anche nella vittoria fortunosa.
Nelle competizioni di studio, poi, quelle che ho amato di più, la fatica dell'applicazione, i disagi della concentrazione e lo spasimo dell'impegno non pesano nulla, giacché si ha la consapevolezza che nulla sarà inutile o disprezzato (come invece è la regola nel corteggiamento). Innanzitutto la valutazione sarà basata su criteri oggettivi e noti a priori e anche se la fortuna non dovesse essere dalla nostra parte, avremo comunque, con lo studio, ottenuto qualcosa di valore indiscusso. Il merito dunque in tali competizioni è individuabile, oggettivo e meritevole di fatica (perché incrollabile), mentre nella competizione per il corteggiamento è aleatorio, impalpabile, assolutamente indefinito e totalmente dipendente dal capriccio della fanciulla di turno (e soprattutto non sono noti a priori le regole di battaglie e i criteri di valutazione, quindi non si può parlare di merito).
Sarei molto stupido se accettassi di competere in queste condizioni. Sarei davvero un animale.
Sono rafforzato in questa considerazione teoretica dal vedere, praticamente, come anche le pulcelle con la più vaga somiglianza con le belle donne di cui sopra godano in realtà di una posizione di assoluto privilegio nella sfera erotico-sentimentale, e possano vantare stuoli di ammiratori e di cavalieri, i quali, compagni di classe, coetanei, conoscenti, finiscono per tollerare in ogni dove l'intollerabile.
A me fa soffrire questa situazione, mi fa sentire sempre guardato con sospetto o addirittura sufficienza e, dato che già mi trovo a disagio in tutte le situazioni nelle quali una donna può mostrare la propria avvenenza mentre io non posso rendere evidenti le doti d'intelletto, la cultura e l'eloquenza che sole mi renderebbero degno di star di pari alla sua bellezza o eventuali virtù che potrebbero farmi gradito agli occhi di chi miro, non posso né voglio avere approcci nel mondo di oggi con donne non-escort.
Si tratta infatti di una situazione chiaramente impari, in quanto lei è apprezzata immediatamente e a priori per quello che è (bella) mentre io sono obbligato a "fare qualcosa" (in forme moderne o convenzionali non ha importanza) nella speranza di conquista. Questo fa sì che non mi senta proprio a mio agio per disvelare la parte più gradevole di me ed anzi mi senta costretto proprio dove vorrei invece un abbandono alle onde della voluttà.
Poiché anche la chiara disparità di numeri e di desiderio non gioca a mio favore, e attorno alle ragazze non dico belle, ma lontanamente assomiglianti a qualcosa in grado di suscitare un palpito di desiderio, circola la corte dei miracoli, ed io ho ben studiato il calcolo delle probabilità, nemmeno prendo in considerazione l'ipotesi.
Non voglio fare come coloro i quali, pur di avere una speranza, sopportano i comportamenti psicologicamente molesti di quelle che si sforzano con ogni mezzo di suscitare ad arte il desiderio negli uomini per poi compiacersi della sua negazione ed infoltire così le schiere di ammiratori, ed alla fine guardano tutti dall'alto al basso, arrivando addirittura a deridere gli approcci, o ad appellare molestatori quegli aspiranti corteggiatori che ingenuamente o maldestramente cercano di conquistarne i favori.
Io disprezzo profondamente coloro le quali sfruttano la situazione per attirare ad arte ammiratori e poi respingerli, con l'unico scopo del proprio diletto e del rendere loro ridicoli agli occhi degli amici e dei presenti, dell'offendere il loro desiderio di natura, del farsi gioco del loro purissimo ed ingenguo trasporto verso la bellezza. Ho dunque, verso queste donne non escort (che dovrei chiamare oneste ma non lo meritano) un comportamento di indifferenza cordialmente ricambiata. Per togliere loro ogni occasione di compiacere la vanagloria con me e di irridermi intimamente, di farsi gioco di me e del mio disio, di sbeffeggiarmi, di tiranneggiarmi col desiderio indotto, di umiliarmi in privato o in pubblico, di ingannarmi apertamente o implicitamente, o anche solo di ferirmi emotivamente o di indurmi tensione psicologica ad arte, mi dissocio da coloro i quali si dilettan nell'atto di corteggiar pulzelle.
Il corteggiamento è troppo simile alla "supplica". Meglio il dichiarato commercio per soddisfare lo stesso bisogno.
Perché dovrei accettare una situazione di disparità di numeri e desideri del genere 1:1000?
Darei la possibilità alle varie mediocri di ferirmi psicologicamente, di trattarmi con sufficienza o con aperto disprezzo ad ogni tentativo di approccio con loro, di suscitare ad arte il desiderio per compiacersi della sua negazione, atteggiarsi come chi ha tanti ammiratori e può fare a meno di tutti, e far così sentire colui, il quale dal trasporto verso la bellezza sarebbe portato ad affinare la propria anima e il proprio intelletto, uno dei tanti, un uomo senza qualità, un banale "scocciatore", di rendermi ridicolo agli occhi nostri o degli amici o dei presenti, di sbeffeggiarmi, svilirmi, offendermi nel desiderio e di farsi gioco del mio purissimo ed ingenguo trasporto verso la bellezza, di attirarmi e respingermi con il solo scopo di umiliarmi, di compiacere la loro vanagloria e di irridermi intimamente o pubblicamente.
Tutto per colpa della "speranza che delude sempre" (Turandot).
Il pensiero di non fornire la benché minima occasione alle stronze è per me meglio del più intenso degli orgasmi.
P.S.
E' nel corteggiamento che, fingendosi altro da sé, l'uomo si fa di cartapesta.
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