La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Pazartesi, Ekim 07, 2024

Bestie, Uomini, ebrei


Le bestie di Hamas... degne della "Resistenza"
Le bestie

Il modo di fare la guerra di Hamas è il modo delle bestie. L’assassinio pianificato (e scientemente crudele) di civili non come “danno collaterale”, ma come obiettivo primario è la negazione stessa di ogni umanità, prima ancora che di ogni etica guerriera. Qualcosa che non può trovare giustificazione in nessuna (eventuale) causa nazionale o rivoluzionaria (come, del resto, io ho sempre sostenuto anche quando nella storiografia ufficiale italiana i terroristi erano visti come “buoni”, come ad esempio nel caso del risorgimento o della cosiddetta resistenza).

Epperò il modo di fare la guerra di Netanyaou e degli israeliani che lo sostengono non è da uomini. A prescindere dal fatto che, non essendo stata Hezbollah bensì Hamas a preparare gli attentati del 7 ottobre dello scorso anno, sta pure sbagliando obiettivo (come a suo tempo Bush Jr., quando, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, non si limitò ad intervenire in Afghanistan dove si erano rintanati i terroristi di Al Qaida, ma, sfruttando l’onda emotiva e la scarsa conoscenza del mondo islamico in occidente e giustificando tutto con prove false contro Saddam e false parole sullo “scontro di civiltà”, pretese di invadere pure l’Iraq per motivi che in realtà nulla avevano a che vedere con la “lotta al terrorismo” e la “difesa dell’occidente”).

Uccidere (o far uccidere) a tradimento i capi nemici, violare la sovranità nazionale di altri stati per colpire con missili e droni chi si considera arbitrariamente “terrorista” solo perché avversario, accettare come “danno” collaterale la morte di decine, centinaia, migliaia di civili non meno innocenti di quelli colpiti da Hamas, lanciare missili nella ambasciate di altri stati per uccidere chi vi è ospitato, arrivare addirittura a seppellire di bombe un intero quartiere residenziale pur di “eliminare” un avversario (ed eliminarlo, come nel caso di Nasrallah, proprio il giorno dopo che si era arrivati a parole ad un accordo di tregua) è qualcosa che denota l’assoluto disprezzo delle norme più elementari di quanto i Romani chiamerebbero “ius gentium”.
Cioè quanto distingue i popoli civili dai barbari o, se vogliamo, gli uomini (dotati di pietas) dalle “umane belve” (spietate per definizione).

Gli Uomini

Gli uomini (viri Romani exemplari) e il bellum iuxtum


A differenza dello “ius civile”, che è il codice di norme (principalmente scritte) proprio del popolo romano, lo ius gentium è l’insieme delle regole non scritte che accumunano tutte le genti del mondo e che hanno la loro radice nella “ragion naturale” (base di quanto noi oggi chiameremmo “diritti universali”).
Ad esempio non essere aggrediti, derubati, ammazzati, solo perché ci si trova in territorio straniero o perché ci si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato in casa propria (qualora non ci sia alcuna guerra in corso o comunque non si sia militari in quella guerra).

I Romani, che pure erano maestri della guerra (vantandosi pure, con Romolo, di discendere da Marte), non avevano affatto l’idea “hitleriana” (a loro falsamente attribuita da un filone giudaico-femmineo facente capo a “poetesse” come Simone Weil) di guerra (mera legge del più forte in una giungla in cui si lotta per la sopravvivenza). Al contrario, la guerra era per loro consentita solo come riparazione di un torto subito e previa concessione di 33 giorni al nemico per un eventuale “ravvedimento”.

Solo qualora il nemico si fosse rifiutato di riparare o l’offerta fosse stata giudicata insufficiente si passava alla guerra come “extrema ratio”. Ed a valutare se l’offesa fosse tale da giustificare la guerra o se la proposta nemica fosse o meno soddisfacente alla riparazione era non la “leadership politica” (i consoli e il Senato), ma un “organismo indipendente” come il collegio sacerdotale dei “Feziali” (che dovevano “consultare gli dèi” oltre a giudicare secondo la tradizione… una sorta di “Corte Costituzionale” ante litteram).

Certo, non sempre i Romani (specie a partire dalla tarda età repubblicana) furono fedeli a queste regole di “bellum iuxtum”.
Famoso il caso del 172 a.C. citato da Tito Livio, quando gli ambasciatori presso il re di Macedonia si vantarono in Senato di aver ingannato il sovrano avversario prospettandogli un accordo solo per guadagnare tempo (il re era già pronto alla guerra e i Romani no: un po’ come hanno fatto la Merkel e Obama con Putin nel 2014 con gli accordi di Minsk, finti fin da subito ed utili solo ad avere modi di armare l’Ucraina…).
Però anche in quei casi c’era sempre qualche senatore che ammoniva come ciò non fosse “degno di Roma”, come avrebbe prima o poi attirato l’ira degli Dèi e come fosse segno di tempi bui conseguenti l’aver preso troppa familiarità con l’astuzia dei Greci e la perfidia dei Levantini.
Anche quando “baravano”, insomma, i Romani conoscevano il sentimento della vergogna. E nessuno di loro si sognava di giustificare in qualche modo la cosa con ideali di facciata (“la difesa dell’occidente”) come fa l’attuale leadership israeliana. Nè tantomeno di invocare una qualche divinità (la “vendetta di dio”, come va di moda dire fra gli israeliti) per avere ragione a prescindere.

Gli Ebrei come i Cartaginesi?

Ebrei oggi: democratica perfida "plus quam punica"


Fra i motivi di “giusta guerra” c’erano, oltre ovviamente al respingere il nemico (quella che nella nostra epoca si chiama “guerra difensiva”), le offese fatte agli ambasciatori. Chissà che avrebbero detto i contemporanei dei Fabii, degli Scipioni, dei Cesare, dei Pompeo, se avessero visto uno stato comportarsi come Israele che colpisce le stesse ambasciate con i missili, che muove guerra dopo non una dichiarazione ma un attentato ai capi dell’esercito nemico, che fa ciò per giunta a tradimento (con l’astuzia e con l’inganno, direbbero i Latini) dopo aver promesso l’accordo di tregua (nel caso, in cambio della non-reazione dell’Iran), che, in generale, da mezzo secolo non sa convivere in pace nemmeno per un minuto con nessuno dei popoli limitrofi…

Chi, come avversari di ceppo semitico, ha fatto in tempo a conoscere soltanto i Cartaginesi, certamente parlerebbe di “perfidia punica”, richiamerebbe il modo con cui Annibale trattò gli ambasciatori a Sagunto (non ricevendoli neanche e mettendo sotto assedio la città alleata di Roma), tramò sottobanco per convincere le popolazioni italiche e della Gallia a ribellarsi all’Urbe o in genere cercò in ogni battaglia di prevalere tramite l’inganno e direbbe di Netanyau quello che Livio scrisse del condottiero punico: “nihil veri, nihil sancti, nullus deorum metus, nullum ius iurandum, nulla religio”.

Chi, invece, ha fatto in tempo a conoscere gli Ebrei del tempo, probabilmente confermerebbe il giudizio che di loro diedero un Tacito (“scelleratissima gens, despectissima pars servientium”)  o un Marco Aurelio (“O Marcomanni, o Quadi, o Sarmati, finalmente ho trovato un popolo più irrequieto di voi”) e, volendo, loderebbe la lungimiranza di chi, come Cicerone o Seneca, nelle usanze così “superstiziose”, nel loro dio così “geloso” (al punto da rifiutare di essere messo assieme agli altri nel Pantheon), nelle pratiche e nelle usanze così “chiuse e razziste” (come si direbbe oggi) come l’endogamia e la generale misantropia verso gli altri popoli (l’opposto di quanto oggi  gli israeliti a parole professano tramite il “cosmopolitismo”, quando sono all’estero, per poi tradirlo nei fatti quando si tratterebbe di applicarlo in Israele) vide sin da allora le caratteristiche di un popolo intrinsecamente “hostis humanis generis”.

Ora come allora c’è in occidente chi, sul giudizio “morale”, fa prevalere quello puramente “militare”, esaltando le abilità tecniche dei servizi segreti israeliani, le meraviglie tecnologiche he permettono ad Israele di colpire con precisione bersagli a migliaia di chilometri di distanza, la “superiorità strategica” con cui lo stato ebraico ha affrontato (e affronta) tre nemici (Hamas, Hezbollah e l’Iran) confidando sulla loro ritrosia a combattere per batterli separatamente.

A questi figuri, prevalentemente boomer di destra, probabilmente “fasci repressi” che godono nel vedere “bastonati” i sostenitori di una causa “de sinistra” (come semplicisticamente ed assurdamente è considerata la cosiddetta “causa palestinese”) tocca ricordare che Annibale “dedit verba” al console Flaminio nel senso che ne attirò in trappola l’esercito al Lago Trasimeno giocando sull’effetto sorpresa e sulla nebbia, non che lo fece assassinare prima della battaglia.
E che comunque gli Israeliani di oggi, a differenza di Annibale, non hanno di fronte Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo con il più grande esercito romano mai visto (quello di Canne), non stanno invadendo l’Italia dei tempi dei Fabi, non si stanno misurando con la superpotenza dell’epoca e nemmeno stanno facendo la guerra ad un loro pari, ma si stanno “misurando” con i civili di Gaza (trasformati in miliziani di Hamas dall’odio “sorbito con il latte delle madri”), con le milizie Hezbollah armate dall’Iran ma capaci di fare solo guerriglia partigiana sui monti, con un paese privo di aviazione come il Libano o con uno, come lo stesso Iran, forse loro pari, ma impoverito dalle sanzioni e minacciato dal gigante Americano.

Per cui parlare dei “paracadutisti che hanno combattuto a Gaza” come si trattasse dei veterani di Canne, dei generali che hanno coordinato i bombardamenti sul Libano come dei geni militari che avessero pianificato la trappola del Trasimeno, o dei carri armati israeliani che entrano in Libano come se fossero i cartaginesi alla Trebbia dopo aver passato le Alpi con gli Elefanti è davvero roba da boomer filoccidentali: se quei paracadutisti si trovassero di fronte i Fallschirmjager tedeschi della seconda guerra mondiale, se qui carri avessero di fronte le Panzerdivisionen di Guderian o di Rommel, o se i soldati israeliani in genere si trovassero nella condizione dei loro attuali avversari (che era la stessa dei loro nonni nella rivolta del ghetto di Varsavia) “a riderebber, meno, che tal deg me!”

Gli Ebrei come i Corleonesi?

Ma quali "padroni del mondo" come pensano i complottari, quale genialità come pensano gli amici
 di Israele, quali "servizi segreti letali" come raccontano i boomers: sono solo la versione medio-orientale di Riina e Provenzano! 


E per dirla tutta, ai boomer filoccidantali (che per motivi anagrafici non riescono a capire come le nuove generazioni, dall’America e dalla Ue, abbiano visto arrivare solo valanghe di progressismo e politicamente corretto, speculazione finanziari, austerity e femminismo e non, appunto, il boom economico), e, soprattutto, ai bimbiminkia (che, pur vedendo tutti ciò, non hanno il cervello per capire da che parte sia il loro interesse di “maschi bianchi”, occidentali o meno) va fatto notare che esaltarsi (e ridere vergognosamente sul web… “risus abundat in ora stultorum") per certe “imprese” come aver ucciso un ingegnere a Teheran con una mitragliatrice automatica da 6000 colpi al minuto, aver fatto esplodere centinaia di membri di Hezbollah (assieme a tutti i civili, donne, bambini e vecchi attorno a loro in quell’istante) mettendo (grazie ad una complessa serie di infiltrazioni e aziende fittizie) dell’esplosivo nei cercapersone e poi lanciando un messaggio a mo’ di innesco o aver usato 1500 tonnellate di esplosivo per far saltare il bunker sotterraneo di Nasrallah (assieme ad un intero quartiere residenziale soprastante) è come applaudire per il mondo “intelligente e micidiale” con cui la Mafia di Salvatore Rina riuscì (previo accordo con Nitto Santapaola) a crivellare di colpi l’A112 del Generale Dalla Chiesa nel centro di Catania, a piazzare il tritolo sotto l’autostrada di Capaci per uccidere Falcone o fece esplodere l’intera palazzina dove abitava la madre di Borsellino.

In entrambi i casi, infatti, più che di grandi abilità tecniche o strategiche (manco si stesse parlando della Trebbia, del Trasimeno, di Canne), si tratta di aver potuto contare su un solido insieme di “soffiate”, connivenze” e “infiltrazioni” garantito da una coesione principalmente su base etnico/familistica (forse ancora più forte di quella dei Corleonesi) e dalla promessa di sostanziale impunità sul piano giuridico (nessuno chiederà conto a Netanyahu dei suoi crimini, o almeno così lui crede, forte delle stesse promesse che furono fatte a Rina dai settori “mafiosi” dello stato).

Paradossalmente, tutto questo avvalorerebbe le tesi antisemite fino ad allora bollate come “complottiste”. Se sono stati capaci di infiltrarsi così subdolamente nelle società ungheresi per intercettare le partite di cercapersone da Taiwan, se sono stati capaci di preparare un attentato nel cuore della capitale nemica, se sono stati in grado di aver “soffiate” da settori dello stato nemico stesso (l’Iran) per uccidere Nasrallah, come potrebbe non essere credibile che siano sempre stati capaci di infiltrarsi in tutti i settori dell’economia e della finanza fino a controllarli, di inserirsi in tutti i gangli dei governi in modo da influenzarli per i propri scopi, che, insomma, abbiano sempre potuto fare quanto raccontato dai “Protocolli dei Savi di Sion” e usato dagli antisemiti del secolo scorso per giustificare le persecuzioni in nome della “sicurezza dello stato” (fra l’altro, la stessa motivazione con cui gli israeliani di oggi giustificano le loro azioni parimenti nefande)?
Avvalorerebbe, essendo creduloni. La realtà è che gli Ebrei (al contrario dei Romani) non sono mai stati (né mai saranno) padroni del mondo, ma restano una cosca con più o meno agganci in politica. Sarebbero ancora come li mostra il film "C'era una volta in America" se l'America stessa non trovasse vantaggioso tenerli come "proxy" in Medio Oriente. Ricordo a tutti che nella prima guerra del Golfo, quando a Bush Sr. non piaceva l'idea di allargare il conflitto, l'Israele di allora era tenuta a star buona nonostante i missili di Saddam che le cadevano in testa. Giusto per capire chi comandava e comanda. E non è detto che, come Riina e Provenza o, un giorno anche Netanyahu non possa finire in una specie di 41bis (magari per condanna del tribunale internazionale).

Che differenza ci sarebbe, in fondo, fra la mafia del Corleonesi, la ‘Ndrangheta, la Sacra Corona Unita e le varie “lobbies” ebraiche che fanno le stesse cose, solo a livello (per ora) un po' più alto (non pizzo sui commercianti ma sgravi fiscali per le loro multinazionali ottenuti a spese dei cittadini tramite amicizie e influenze, non intimidazione a mano armata, ma tramite leggi ad hoc contro “l’odio”, non guerre di mafia geograficamente limitate, ma guerre geopolitiche che rischiano di diventare mondiali pur riguardando l’interesse di pochi “padrini”, ecc.)?

Mi viene da dire: almeno gli “uomini d’onore” hanno appunto un “codice d’onore”. O, meglio: almeno sono uomini.

Humanitas


Ettore e Achille: l'etica guerriera alla base del concetto di Humanitas


Trovo una prova di disumanità il fatto, ad esempio, che il governo israeliano abbia protestato con quello italiano allorquando i nostri militari fecero il saluto al passaggio delle bare dei militi di Hezbollah (dopo aver peraltro fatto lo stesso con quelle dei caduti israeliani). Mania deorum iura sancta sunto. Oppure in Italiano: “Oltre il rogo, ira mortal non vive”.

A fondamento della civiltà classica, così come della cultura umanistica che si è tramandata sino a noi, è il mondo degli eroi omerici. Ed è proprio nell’Iliade che troviamo il concetto di “uomo” secondo l’etica aristocratica e guerriera dell’Antica Grecia. La quale, sviluppandosi, sarà pure divenuta “furbastra e levantina” come la descrivevano i Romani, ma ha sempre mantenuto, in conformità alla sua origine indoeuropea, (persino quando è diventata “democratica” nell’Atene di Pericle) un principio agonale alla sua base.

In una delle pagine più toccanti, quella in cui il padre di Ettore, il Re Priamo, implora Achille di restituirgli il corpo del figlio, ucciso in duello dall’eroe acheo, viene enunciato questo principio. Non si parla dei motivi della guerra, non si parla di chi ha ragione, non si parla da un lato di “lottare per il proprio diritto ad esistere” (motivazione che volendo i Troiani potrebbero pure addurre, visto che sono assediati e alla fine saranno costretti a diventare tutti esuli della loro città in fiamme) o dall’altro di “esportare la democrazia” (cosa che gli Ateniesi erano ancora ben di là dall’inventare).
Anzi, i motivi della guerra sono, se vogliamo, futili (due dee che si offendono perché Paride le ha giudicato meno belle di Afrodite… una donna… manco fosse una rissa da discoteca di provincia.. Elena, promessa a questi con l’inganno e da questi rapita, un marito geloso, Agamennone, che vuole riprendersela a chiama il fratello Menelao… quasi roba da faida calabrese). Ma quello che importa è la sacralità virile del combattimento (cosa che poi migliaia di anni dopo permetterà al filologo Nietzsche - forse l’unico europeo moderno che abbia mai davvero capito i Greci - di dire che non esistono guerre sante, ma che “una bella guerra santifica ogni causa”). 

Nella furia (umanamente comprensibile, ma non giustificabile) di vendicare l’amico Patroclo, Achille, dopo aver ucciso Ettore ne strazia il cadavere trascinandolo con il suo carro attorno alle mura della città (scempio che spesso nella storia viene commesso da chi crede di avere tutte le ragioni nella guerra). Ma poi, alle parole di Priamo ("Ricordati di tuo padre, o Achille pari agli dèi;
ha la mia stessa età e sta sul triste confine della vecchiaia. E forse egli, come me, è oppresso dai vicini e non c'è nessuno che lo difenda dalla rovina e dalla guerra. Ma almeno egli sa che tu sei ancora vivo, e ogni giorno è lieto nel cuore, sperando di vederti tornare dalla Troade. Io, invece, sono il più miserabile degli uomini: ho generato dei figli eroici, qui a Troia, ma nessuno mi rimane. […] E ora che i Troiani sono in città, e tutti gli Achei vogliono uccidermi, io mi sono spinto qui, alle navi degli Achei, per supplicarti di avere pietà di me. Ricorda tuo padre e di me abbi compassione, o Achille, poiché io sono molto più da compiangere: ho osato fare ciò che nessun uomo al mondo ha mai fatto: portare le labbra alla mano che ha ucciso mio figlio."), capisce di aver sbagliato, perchè, in fondo la sola “colpa” di Ettore è stata quella di combattere per la propria patria esattamente come i greci fanno per la propria.

Se però, come nel caso di Israele, si negano gli onori ai caduti nemici, si considerano questi sistematicamente come “terroristi” solo per il fatto di combattere in campo avverso, si invocano “punizioni divine” o “giustificazioni morali” (“combattiamo contro l’asse del male” ed altre amenità “democratiche” già sentite fino alla nausea) basate su questa o quella visione della civiltà (peraltro decadente e criticabile, nel caso occidentale) significa che il principio omerico (“il naturale diritto delle genti eroiche”, come lo chiamerebbe il Vico) è negato. Sostituito da una perfidia che non è più nemmeno la “Metis” greca con cui Ulisse “fregava” i Troiani, e con cui Annibale, che dei Greci era ammiratore, ingannava i Romani, ma è pura e semplice astuzia da sacerdoti levantini mista a crudeltà e moralismo.

Gli Ebrei come gli Americani e le donne?

Donne e Americani hanno di "giudaico" l'incapacità di riconoscere e rispettare il nemico


Non stupisce che Israele sia sostenuta (anche contro ogni ragione, ogni diritto e pure ogni interesse) dagli Americani i quali, di tale visione anti-eroica (perché spesso “asimmetrica”, con gli avversari molto più deboli), ipocrita (perché, pur di negare il diritto di combattere del nemico, nega di essere guerra e si presenta come “operazione di polizia internazionale”) e moralista (“bene contro male”) della guerra sono gli epigoni.
Hanno iniziato le loro guerre sparando contro pellirossa armati di frecce cui “in nome di dio” (il dio dell’antico testamento che prometteva il “destino manifesto”) stavano rubando la terra nativa, e hanno finito in quest’ultimo secolo con i “bombardamenti umanitari” su Serbia e Iraq o le “esportazioni delle democrazia” in Libia o Afghanistan (dove stati sovrani sono stati bombardati, invasi, o comunque sovvertiti nei loro legittimi governi con pretesti fondati su pretese universalistiche quali “la violazione dei diritti umani” o “la lotta al terrorismo” .

Ed anche quando si sono scontrati con nazioni comparabili per potenza (come la Germania nelle due guerre mondiali) lo hanno sempre fatto criminalizzando il nemico (solo per il fatto di essere tale ed a prescindere dai crimini effettivamente commessi in violazione delle convinzioni internazionali, di cui peraltro essi stessi si sono resi colpevoli, se pensiamo ai bombardamenti terroristici sulle città europee, alle due atomiche, ai campi di concentramento riservati a giapponesi, italiani e tedeschi, ecc,). Come evidente già nella prima guerra mondiale (quando a Versailles, come ben notato da Carl Schmidt, sono stati i primi promotori del passaggio dal secolare “ius publicum europeum” ad un “diritto internazionale” basato non più su regole pattuite fra pari con pari diritti nel fare la guerra, ma su meccanismi di “crimine-sanzione” buoni per un ordine giuridico interno che, se estesi ai rapporti fra stati, tradiscono l’impostazione religiosa del  “colpa-punizione” e quando con la “dottrina Wilson” hanno preteso di cancellare le ragioni politiche persino degli vincitori europei - Italia in primis - per imporre il loro ordine pseudo-universale e para-messianico) e ancora più nella seconda (quando addirittura, nella faida giudiziaria di Norimberga, in barba ai più elementari principi di terzietà del giudice, hanno preteso di processare i vinti, inventandosi pure mostruosità giuridiche come i “crimini contro la pace”, per condannare anche chi come solo “crimine” ha avuto l’amor di patria a spingerlo a fare la guerra per “vendicare” - come da “naturale diritto delle genti eroiche” - la sconfitta o la “mutilata vittoria” nel conflitto precedente), gli yankee non hanno mai riconosciuto nel loro “hostes” un “alter ego” alla pari in senso guerriero, ma hanno sempre preteso di porsi al di sopra di esso, nelle vesti di un giudice superiori fuori dal tempo e della storia (come se non fossero stati, in entrambe le guerre mondiali, anche loro parte in causa, sostenitori di una visione del mondo parziale e tutt’altro che universale).

Ciò deriva dalle origini veterotestamentarie (aka giudaiche) della forma mentis americana in politica.

Mentre nel mito greco l’origine del mondo si deve all’ordinamento del (pre-esistente) Chaos in Kosmos da parte degli Dèi Olimpici e (sulla terra) degli eroi fondatori di città e civiltà (di cui Romolo è l’ultimo epigono), in quello biblico la creazione “ex-nihilo” vede un dio fuori dal mondo creare il mondo dal nulla e imporre in esso un tipo di uomo dato.
Se quindi per Greci e Romani l’azione “eroica” della grande politica che dà forma, valore e significato all’umano primordiale informe allo stesso modo con cui il martello dell’artista estrae l’opera dal marmo (scegliendo quale forma essa debba avere, cosa vi debba appartenere e cosa debba essere ridotto in polvere) ha una valenza positiva (da cui appunto il culto degli eroi, i miti fondativi delle città, l’Iliade e l’Eneide alla base dell’etica meta-politica), per i popoli fedeli alla Bibbia qualunque tentativo di essere qualcosa di diverso dal tipo d’uomo “ad immagine e somiglianza di Dio” (quindi egalitario, sottomesso alla casta sacerdotale, consapevole di essere “polvere” e di essere destinato e tornare tale, negando valore a tutto quanto può avere costruito come individuo nella sua effimera esistenza) è “peccato” (a cominciare dal “farsi un nome” e dal dare valore a quelle identità di sangue e spirito che con la propria azione e il proprio pensiero ha contribuito a pro-gettare nell’agone della storia: famiglia, casta, razza, popolo).

La costituzione americana (“noi crediamo che gli uomini siano creati uguali”) inizia significativamente con due menzogne derivatati dalla Bibbia ed incompatibili con qualunque etica aristocratica e guerriera del mondo classico (oltreché con qualunque verità storica o anche solo biologica). La prima, “che gli uomini siano creati” (infatti, essi non sono affatto stati creati dal nulla, ma, biologicamente, si sono evoluti dalle scimmie antropomorfe e, storicamente, si sono generati come “uomini storici” proprio differenziandosi dall’uomo naturale tramite quella volontà comunitaria di “darsi un destino” che per la bibbia sarebbe il massimo dei peccati e che nella storia implica dover agire nell’agone della guerra “madre delle nazioni”). E, la seconda “che siano uguali” (già da un punto di vista biologico, se lo fossero non potrebbe esistere la selezione, ma soprattutto, dal superiore punto di vista storico, è stata proprio la rottura dell’egualitarismo mesolitico, grazie alla tripartizione indoeuropea produttori-guerrieri-sapienti, a permetterne il passaggio dalla preistoria - dove erano da milioni di anni prigionieri della specie e delle donne, pur avendo già le caratteristiche biologiche degli uomini attuali -  alla storia e l’affermazione in questa del tipo umano superiore, le cui “tavole dei valori” non sono esplicitate nei “tu devi” da schiavo della bibbia, ma si deducono “per exempla heroica” leggendo l’Iliade, l’Eneide, i poemi persiani, la Baghavad Gita, l’Edda, il Beowulf).

Proprio perché, in realtà, la guerra non è un accidente della storia ma ne è l’essenza (“Polemos padre di tutte le cose, insegnava Eraclito), non è un’anomalia da eliminare, ma è espressione della natura umana (ritualizzazione dell’aggressività - uno dei quattro impulsi fondamentali riconosciuti dall’Etologia di Conrad Lorenz), è necessario (come hanno sempre fatto gli Antichi, almeno quelli di stirpe non semitica) normarla, dare ad essa delle regole, dei riti, dei limiti.
A iniziare dal riconoscimento al nemico di esistere come tale, di combatterci come noi combattiamo lui, di sostenere le proprie verità, i propri interessi e i propri dèi come noi sosteniamo i nostri.Questo almeno è ciò che ci insegnano i Greci a partire da Omero e i Romani a partire da Virgilio.

Certo che se si crede invece che il proprio dio sia l’unico, se si pensa che “vinta questa guerra per la civiltà non ce ne saranno più” (cosa che già la propagande dell’Intesa scriveva sulle medaglie della prima guerra mondiale), che “bisogna eliminare il male dal mondo” (come hanno sempre detto i presidenti americani e come dice oggi Netanyeau), allora si vede ogni nemico come un terrorista, ogni avversario come non umano, ogni “altro” (in senso guerriero) come cattivo da criminalizzare, cancellare, sterminare.
Ed ecco il modo di fare la guerra di Israele, dell’America (fondata, come appena mostrato, su prospettive messianiche vetero-testamentarie malamente celate dello pseudo-illuminismo della sua costituzione tardo settecentesca) e, in genere, di tutto quanto è “femmineo”.

Sono le donne, infatti, ad essere le “naturali” rappresentanti tanto della pretesa americana di porsi sopra l’avversario e di poter decidere sulla base di un potere superiore (nel loro caso, sulla base del loro ruolo naturale di “selezione della vita”, ben più comodo e preminente rispetto a quello maschile di desiderio/propagazione e competizione per la stessa: si vivesse allo stato di natura, solo un 5 percento di “maschi alpha” selezionati dal combattimento o dalla “female choiche” avrebbe accesso alla riproduzione e al sesso) quanto della “perfidia” tipicamente semitica (diretta conseguenza, nel loro caso, del non essere né fisicamente né psicologicamente predisposte alla “guerra” e quindi del non avere, assieme alle armi per combatterla, nemmeno l’etica con cui farlo, a iniziare da quel “trattenersi” che già in natura distingue gli animali più “armati”, i quali raramente arrivano ad usare tutte le loro “armi” fin ad uccidere l’avversario, se questo appartiene alla stessa specie).

Quando si vantano di aver “conquistato” i loro “diritti” (in realtà concessi loro dall’alto perché funzionali al capitalismo e non già strappati dopo una lotta come, ad esempio, i diritti conseguenti le rivoluzioni giacobine…), quando chiamano “coraggiosa” una qualunque stronza che (approfittando di definizioni vaghe e onnicomprensive contrarie all’oggettività del diritto e di procedimenti probatori soggettivi, non-fattuali e contrari a qualunque presunzione di innocenza) denunci presunte violenze forte del fatto di essere creduta “in quanto donna” (e di non rischiare praticamente nulla nemmeno nel caso di falsa testimonianza), quando, sfruttando le leggi a senso unico sul divorzio, riducono un ex-marito al ruolo di esule ottocentesco privato di “famiglia, casa, roba” (e ridotto se non a dormire in macchina per pagare gli alimenti almeno ad una vita condannata a non tirare più quella di prima mentre per loro è garantito il tenore di vita precedente), quando pensano come “normale” o “dovuto” il mantenere la loro naturale preminenza nel “mondo come volontà” della riproduzione e del sesso (dove in natura, senza bilanciamenti sociali “è la femmina che sceglie”) nello stesso momento in cui invocano la “parità” nel “modo come rappresentazione” dello studio, del lavoro, dell’economia (proprio là dove, per bilanciare tale preminenza naturale, i più saggi e forti fra gli uomini hanno concepito quelle mirabili strutture dell’arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come della società, ingiustamente chiamate “oppressione” ma in realtà equo, umano e necessario bilanciamento per dare anche a noi “pari opportunità” di vivere liberi e felici), quando usano le armi del mainstream (“l’antifemminsimo è misoginia”) e del ricatto psicologico (“siete antifemministi perché siete sfigati”) per sostenere l’assurdo del mantenere i loro antichi e naturali privilegi (corteggiamento, attenzioni gentili, “protezione” più o meno cavalleresca o paternalistica) assieme ai moderni diritti (fingendo di non vedere come la parità in questi impedisca di fatto agli uomini di avere le loro stesse possibilità di scelta e la loro stessa forza contrattuale in quanto davvero conta davanti alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale), quando invocano la censura o la gogna mediatica per chi denuncia i doppi standard morali (i loro capricci sono questioni di stato mentre la sofferenza degli incel “roba da sfigati”, qualunque atto, gesto, detto o persino sguardo sfiori anche solo minimamente la loro soggettiva sensibilità è considerato “molestia” mentre quanto in altro modo ferisce la diversa ma non già inesistente soggettività maschile - come ad esempio la “stronzaggine” oggi divenuta costume del suscitare disio solo per compiacersi dalla sua negazione - è normalità da sopportare o addirittura diritto della donna o “bello dell’essere donna), sociali (un tizia può tenere monologhi alla tv di stato dicendo che “gli uomini sono tutti stronzi” mentre se un uomo osa criticare alcuni aspetti del genere femminile odierno o dare dalla stronza a una o più singole donne, o anche solo ad un dato tipo di comportamento muliebre, rischia di perdere il lavoro e di essere condannato alla morte sociale) e giudiziari (meno pene a parità di reato, possibilità di mandare in galera qualsiasi uomini in qualsiasi momento per qualsiasi motivo praticamente solo sulla parola) non stanno facendo altro che portare sul piano della “guerra dei sessi” la maniera asimmetrica tipica degli americani.

Quando, invece, usano il loro status di “protette” per permettersi letteralmente di tutto (qualunque provocazione o perfidia più o meno sessuata, qualunque ferimento intimo al corpo o alla psiche, qualunque irrisione al disio, qualunque umiliazione pubblica o privata, qualunque inflizione di disagio da sessuale ad esistenziale, qualunque sbranamento economico-sentimentale) consapevoli, come le scimmie sacre del Templio di Benhares cui già nell’Ottocento le paragonava Schopenhauer pesando alle “dame”, di non dover temere la reazione (perchè chiunque reagisse come sarebbe giusto, ovvero come si farebbe con un uomo, verrebbe accusato di “sacrilegio” (in maniera simile a come viene accusato di antisemitismo chiunque critichi alcuni tratti ebraici o qualunque operato di Israele), quando operano distorsioni anacronistiche del passato (“il patriarcato”) per presentarsi come eterne vittime come fanno gli Ebrei anche prima del cosiddetto “Olocausto” (fatto storico in sé, alla pari di tante altre persecuzioni del secolo scorso, ma usato strumentalmente come emblema da porre fuori dal tempi ed ella storia), quando usano vere o presunte discriminazioni passate per guadagnarsi un “credito morale infinito” per giustificare qualsiasi iniquità presente (quote rosa, sentenze a senso unico ecc.) e qualsiasi tirannia futura (“futuro rosa”, “ritorno al matriarcato”) in maniera simile a quanto Israele fa per giustificare il suo razzismo e le sue guerre di sterminio (nonché per negare l’esistenza di lobby ebraiche), quando si professano contro ogni discriminazione proprio nel momento in cui di fatto si considerano “più uguali” (vedi i doppi standard femministi di cui sopra così come quelli filo-israeliani nella questione del Medio Oriente), allora invece stanno trasponendo alle questioni di genere la “perfidia” propria dei popoli semiti.

Fra gli aggettivi che potrebbero tradurre la “perfidia plus quam punica” del citato Tito Livio (e che oggi nel sedicente “mondo libero” è quindi vietato usare) potrebbero infatti spiccare tanto “giudaica” quanto “feminea”.

E già solo questo potrebbe bastare ai pochi uomini rimasti evolianamente in piedi in questo mondo di rovine per scegliere da che parte stare nell’attuale “guerra di civiltà”.
Se proprio dobbiamo ragionare in termini di “guerra santa”, allora che questa sia contro il femminismo (male assoluto), l’America (in quanto braccio armato del femminismo) e Israele (in quanto proxy dell’America in medio oriente).

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