La Sublime Porta

"Signori e cavallier che ve adunati/ Per odir cose dilettose e nove,/ Stati attenti e quieti, ed ascoltati/ La bella istoria che 'l mio canto muove;"

Pazartesi, Mayıs 23, 2011

Oltre i confini dell'abominio giuridico femminil-femminista: la "Deuce's Law"

Le femministe vorrebbero la cosiddetta "deuce's law":

Provata a digitare su google e verificate che si tratta di qualcosa del genere
"La presunzione di innocenza non deve applicarsi ai reati sessuali. [...] Chi viene accusato di reati sessuali avrà l’onere di provare la propria innocenza. [..]. Le vittime decideranno se il crimine è avvenuto. La pena sarà la castrazione immediata ed irreversibi"
Quando ho letto questo in un blog, avre voluto postare un commento del seguente tenore.
Cara inventrice, che differenza c'è fra questo e il nazismo?
Per motivi di sicurezza accetti di condannare le persone senza dimostrazione delle loro colpe individuali, ma solo perchè appartenenti ad un gruppo potenzialmente "nemico" (ebrei=sfruttatori, uomini=stupratori).
Non credo che i blog che postano questo meritino i miei commenti. Mi limito dunque in tre capitoletti a ribadire contro tale abominio giuridico i principi solari del diritto che già fu di Roma.

Premessa

La tua ("a priori siamo tutti non consenzienti quindi è l'accusato a dove provare la consensualità") non è una argomentazione. Il fatto che prima dell'espressione del consenso si sia supposti non consenzienti non significa affatto che, di norma, il rapporto sia avvenuto senza consenso. Tanto è vero che la maggioranza dei rapporti avviene proprio consensualmente.

Del resto ciascuno di noi si suppone (fino ad espressione del consenso) non consenziente all'acquisto di qualcosa, ma ciò non significa che qualunque venditore sia perseguibile se non dimostra di non averci imposto la vendita con la violenza.

In qualunque reato, a tutela della libertà di tutti i cittadini, l'onere della prova spetta all'accusa. La violenza sessuale non deve fare eccezione, giacchè anche per essa si va in galera come per gli altri reati. Nel caso, il reato non consiste nel rapporto sessuale, ma nella mancanza di consenso. Ergo è quest'ultima a dover essere provata dall'accusa, non il rapporto sessuale in sè, come vorresti tu.

Chiunque può mentire, quindi nessuno può essere creduto sulla parola quando accusa.
Chiunque può essere irrazionale o malvagio, quindi nessuno ha diritto a definire a posteriori e secondo i propri soggettivi parametri il confine fra lecito e illecito.

Non sono io, ma tu a gettare dubbi sulla razionalità delle donne, quando per difenderle pertendi di distruggere i principi di presunzione di innocenza (secondo cui nessuno può finire in galera sulla sola parola dell'accusa, anche prima e anche senza riscontri oggettivi e testimonianze terze della presunta violenza), di tassatività del diritto (secondo cui il confine fra lecito e illecito deve essere oggettivamente stabilito in maniera chiara e a priori e non lasciato ad una definizione a posteriori e soggettiva e, e per giunta di parte in quanto della presunta vittima) e di proporzionalità della pena (per cui non si possono dare pene da omicida a chi ha provocato sì un trauma, ma di natura psicologica come quanto sopportato spesso dagli uomini a causa della stronzaggine delle donne, nè tantomeno esiste un crimine tale da giustificare la violazione del diritto indisponibile alla salute).
La chicca dell'abolizione dell'appello proprio per quei reati in cui ricostruire la verità è più difficile ti pone di diritto nella top ten delle persone da eliminare almeno dal virtuale.

Il tuo discorso smarrisce il lume della ragione. E' all'imputato che spetta la presunzione di innocenza: accusatori, testimoni e pubblico non ne hanno bisogno (non essendo loro sotto processo e non rischiando di conseguenza nulla più dell'apparire imbecilli quando dicono quanto dici tu ora).
La ricerca della verità (scientifica come processuale, nella misura in cui la giurisprudenza pretende di costiture una scienza) prevede di sgomberare il campo da verità precostituite e di porre su chi afferma l'onere di provare che la cosa è (come insegna Popper, mentre è possibile provare l'esistenza di ciò che è, spesso non è possibile dimostrare la non esistenza di cià che non è: come si farebbe a provare di non aver mai viaggiato sulla luna o di non aver mai parlato con i fantasmi?). Questo implica la necessità, in ambito giuridico, di uscire dalla prospettiva dell'una e dell'altra parte, di mettere in dubbio tanto la parola dell'accusa quanto quella della difesa, per poi cercare, senza pregiudizi, riscontri oggettivi, testimonianze terze o altri elementi atti ad avvalorare dall'esterno l'una o l'altra tesi e, qualora ciò nonostante gli sforzi investigativi e processuali non portasse a risultato certo, assolvere per insufficienza di prove ("in dubio pro reo"). Prima o senza vi siano prove oggettive o testimonianze terze rispetto all'accusa, non si può dire nè che l'uomo sia un violentatore nè la donna una mentitrice. Non si può però, per il semplice fatto di non voler gettar sospetti sulla presunta vittima, trascurare l'eventualità (magari improbabile finchè si vuole ma sempre possibile) che questa possa mentire per qualsiasi prevedibile o imprevedibile motivo, giacchè ciò equivarrebbe a considerare colpevole l'accusato anche prima e anche senza riscontri oggettivi e testimonianze imparziali (e quindi indubitabili) della presunta violenza.
Se la parola dell'accusa viene considerata a priori come credibile, se il solo metterla in dubbio viene reputato "mancanza di rispetto per la donna", se il solo chiedere sia rigorosamente circostanziata e corroborata da fatti è marchiato come "maschilismo", se l'indagare sulla di lei attendibilità soggettiva e credibilità oggettiva viene presentato come "seconda violenza", se il tentativo di rilevare una mancanza di coerenza nelle vicende raccontate dall'accusa, una loro infondatezza rispetto ai fatti dimostrati e dimostrabili, una loro aleatorietà nel confine fra lecito e illecito è preso come "sacrilegio" e ulteriore prova di cola, se chiunque provi non dico a difendere l'imputato ma anche solo a ipotizzare una versione dei fatti in cui egli non sia colpevole è bollato come "violento e retrogrado", se si parla all'indicativo di donna come vittima e l'uomo come violento, lasciando a questo non solo l'onere, se vi riesce, di dimostrare la propria non colpevolezza, ma anche quello di farlo senza urtare la suscettibilità dell'accusa e senza cadere nel rischio di "offendere dio" (in questo caso la figura della donna) allora siamo chiaramente e incontestabilmente nel processo inquisitorio di medievale memoria.

Essere amici delle donne non può significare concedere ad esse di essere credute a priori quando accusano un cittadino innocente sino a prova contraria.

Punto 1.

Che sia chi afferma a dover provare l'esitenza di quanto affermato e non chi nega a dover dimostrare la non esistenza è fin dall'alba della civiltà, alla base di ogni ragione e di ogni diritto.

Vi sono sia un motivo etico, sia un motivo logico infatti per preferire mille uomini colpevoli liberi ad anche un solo innocente incarcerato.

Il motivo etico è presto detto.

Nel primo caso (colpevoli fuori), l'unica colpa dello stato è quella di non essere riuscito (nonostante tutta la buona volontà) a fare giustizia di un crimine commesso da altri, da criminali che comunque ha cercato e cerca sempre di identificare, perseguire e far condannare secondo ovviamente le regole del sistema giudiziario. E' ancora nell'ordine delle cose che un criminale delinqua ed è ancora plausibile che purtroppo non lo si riesca a punire legalmente. La colpa del delitto resta però tutta del criminale.
Nell'altro caso (innocente dentro) è invece lo stato a compiere un crimine ex-novo (ovvero privare della libertà un cittadino innocente) e in prima persona (ovvero a fare l'esatto contrario di quanto dovrebbe per suo stesso statuto, perchè commette direttamente un'ingiustizia e una violenza contro un cittadino anzichè proteggerlo dall'ingiustizia e dalla violenza degli altri). La colpa del delitto è qui tutta dello stato (che dal nulla crea un'atto violento e ingiusto). Questo è fuori dall'ordine delle cose, perchè costituisce la negazione del motivo per cui esiste lo stato (ovvero difendere i cittadini dall'arbitrio, dal danno ingiusto, dalla forza illegittima).
Non si tratta più di non riuscire a riparare ad un crimine già commesso da altri, ma di commettere un nuovo crimine in prima persona. Vi è la stessa differenza fra chi non riesce a riparare qualcosa (di già rotto da altri) e chi qualcosa rompe per azione propria.
Questo principio garantista non è una mia personale opinione, è uno dei fondamenti di ogni stato retto dal diritto e dalla giustizia.

Pretendere la presunzione di innocenza anche nei casi di violenza sessuale (esattamente come in tutti gli altri reati) non significa assumere che tutte le donne siano talmente false e perfide da accusare un innocente per capriccio, vendetta, ricatto o sadismo, ma impedire che quel sottoinsieme di donne false e perfide possa causare danni a qualunque uomo. Esattamente come pretendere che lo stupro sia seriamente perseguito non significa assumere che tutti gli uomini siano stupratori, ma giustamente pretendere che quel sottoinsieme tanto violento e malvagio non possa nuocere impunemente.

Io sono fermamente convinto che la stragrande maggioranza delle donne sane di mente, nemmeno sapendo di doversi vendicare di qualcosa, nemmeno sapendo di poterne trarre un grande vantaggio, nemmeno sapendo di poter rimanere impunita, sarebbe mai capace di denunciare qualcuno per una violenza mai avvenuta, come sono sicuro che anche le attiviste sono convinte che la maggioranza degli uomini non sarebbe mai capace, nemmeno sapendo di poter contare su una sostanziale impunità, di usare violenza su una fanciulla indifesa.
E dirò di più: sono anche convinto che molte donne in particolare (se non altro per non avere impostazioni mentali "cavalleresche" e per non essere soggette al timore di essere tacciate di "maschilismo" o di "fare branco" come potrebbero esserlo gli uomini nella stessa situazione) sanno sentire profondamente l'ingiustizia subita da un innocente accusato da un'altra donna, sanno comprendere tutta la gravità del trauma psicologico da lui subito e sanno attivarsi per cercare per quanto possibile di rimediare (del resto chi più degli altri si batte per la libertà di Parlanti sono le ragazze di "Prigionieri del Silenzio", alla faccia della tanto decantata "solidarietà maschile").

Se però si supponessero tutte le persone buone e giuste non servirebbero nè leggi, nè stato, nè giudici. La legge esiste proprio per tutelare il cittadino anche nel caso peggiore in cui incontri la persona più violenta o più falsa della terra.
Quando si ragiona di legge si deve abbandonare ogni proposito moralistico di capire perchè e per come le persone non siano nè buone nè sincere, e si deve ragionare realisticamente ex-summo-malo, pensando a come fare perchè, posto che certe persone siano malvagie e bugiarde al massimo grado, le loro violenze o le loro menzogne non abbiano comunque libero agire all'interno dello stato.
Il fine dello stato è proprio quello di riuscire a imporre la giustizia e la protezione dei cittadini anche in un mondo in cui gli stessi non sono affatto, nella loro maggioranza, "buoni" e "sinceri".
Non è un buono stato quello che per funzionare presuppone come condizione necessaria bontà e sincerità.
Come non ci si deve limitare a inveire moralisticamente contro la malvagità di chi uccide, ma si deve predisporre un sistema giudiziari in grado di impedire gli omicidi (con prevenzione e repressione), così non ci si può contentare di maledire moralmente la donna che accusa falsamente, ma si ha l'obbligo di costruire un sistema di diritto in grado di impedire alle sue simili di far finire in carcere gli innocenti.
Il mondo del diritto ha da secoli compreso gli strumenti per realizzare ciò.
Per difendersi dalla violenza si rendono reato lo stupro, la rapina, il furto e l'omicidio (scoprendo i colpevoli con strumenti investigativi punendoli con pene giudiziarie proporzionate al danno provocato e dimostrato), per difendersi dalla falsità si fa obbligo di provare ogni accusa.

E non mi si dica che basta il fatto che la calunnia e la falsa testimonianza siano reati.
In primis, le pene per tali reati sono risibili al confronto di quelle per lo stupro (ed anche del trauma psicologico subito da chi, accuasto ingiustamente, subisce un processo in auta, sui media e nella vita relazionale), tanto da rendere comunque "vantaggioso" il "rischio" per chi voglia accusare falsamente (cos'è un anno con la condizionale al confronto di 5-10 anni senza i benefici della Gozzini? o addirittura delle pene alla Strauss-Kahn negli Usa?).
In secundis, anche se le pene per calunnia e falsa testimonianza fossero draconiane o comunque comparabili a quelle per stupro, risulterebbe difficile, una volta abolita la presunzione di innocenza, che chi accusa falsamente venga scoperta (potrebbe esserlo solo nel caso fortuito della presenza di telecamere in loco, della delazione di qualche amica a conoscenza del "perfido piano" o dell'ingenuità commessa nel lasciare tracce della realtà dei fatti come sms o messaggi sul web). Vi è infatti a monte un fatto di "epistemologia" ben spiagato dal buon Popper. Mentre è sempre possibile dimostrare l'esistenza di quanto esiste, non sempre è possibile provare la non esistenza di quanto non esiste. Si può dimostrare la non esistenza dei fantasmi, di dio o del puro spirito? Possiamo provare di non essere mai andati sulla luna con l'ippogrifo? Come potremmo difenderci dall'accusa di aver commesso qualcosa di inesistente? Nei processi per stregoneria era praticamente impossibile essere assolti proprio per l'impossibilità di dimostrare di non aver commesso atti la cui esistenza non può essere nè affermata nè negata da prove certe (proprio in quanto extra-scientifici ed extra-fisici). Lo stesso capita a chi è accusato di violenza quando si intenda per essa anche ciò che non lascia segni riscontrabili oggettivamente.

E con questo ho detto anche il motivo logico.

Se le donne e i femministi ragionano come te, ecco perchè i grandi popoli fondatori di città e civiltà hanno escluso le donne (e gli uomini plebei ed effemminati) dalla vita pubblica: distruggete ogni ragione ed ogni diritto.


Punto 2.

Il principio di tassatività del diritto (ovvero "è punito dalla legge tutto e solo ciò che dalla legge stessa è chiaramente e tassativamente definito reato in maniera chiara a tutti a priori") esiste dall'alba della civiltà per permettere la coesistenza fra persone con sensibilità diverse (possibile solo se queste si accordano su confini da tutti condivisi e rilevabili fra lecito e illecito) e per proteggere tutti dalla possibilità che qualcuno usi la legge a capriccio (inventandosi a posteriori e secondo i propri soggettivi parametri i reati, rendendo "penalmente rilevanti" atti normali o comunque colpendo persone ignare di infrangere la legge e obiettivamente non colpevoli di alcun danno oggettivo)

Grazie alla vaga ed omnicomprensiva definizione del reato di violenza sessuale voluto dalla demagogia femminista ed accettato dalla stupidità pseudocavalleresca dei moderni, in esso ricade non solo e non tanto quanto ogni mondo civile ha da sempre riconosciuto e punito come stupro, ma letteralmente qualsiasi cosa una donna possa a posteriori e persino senza prove raccontare di aver subito da un uomo (indipendentemente dalla gravità, dalla realtà e dal fatto magari di aver concesso o lasciato credere di concedere l'assenso).
Quando si pretendeva la prova di un corpo stuprato per accusare di stupro (così come si pretende almeno il cadavere per parlare di omicidio) bastava un referto medico negativo per scagionare un uomo accusato ingiustamente, mentre ora si può finire in galera a tempo indeterminato per la sola parola di una donna (alla quale viene riconosciuto, contro l'oggettività del diritto e la necessità di definizioni chiare e note a priori di reato, il diritto di stabilire a posteriori, e secondo i propri soggettivi parametri, il confine fra lecito e illecito, e, contro la presunzione di innocenza, di essere creduta anche senza riscontri oggettivi).
Basta che il di lei racconto sia credibile, accurato e corrispondente alla realtà fino al momento del presunto stupro (riconoscimento dei luoghi, delle situazioni e delle persone), poi, se anche il rapporto è stato consensuale, non avendo gli accusati modo di provare la propria innocenza (come fanno a dimostrare di non aver violentato quando si considera violenza anche quanto non lascia segni riscontrabili scientificamente?), la violenza viene "dimostrata" con il solo racconto della presunta vittima (assunto de facto come prova).
Chi assicura che non si sia appartata volontariamente e, magari in preda all'alcool o all'ebbrezza della trasgressione, si sia concessa senza violenza alcuna e, poi, per mascherare magari il tradimento del fidanzato di allora (se l'aveva), per vergogna verso la famiglia, per nascondere (a conoscenti e amici) certi propri atteggiamenti "licenziosi", per non far conoscere all'esterno di aver compiuto volontariamente e coscientemente atti che qualcuno avrebbe potuto giudiare "immorali",
o comunque per non ammettere, davanti al mondo in cui normalmente viveva, di aver volontariamente e coscientemente tenuto (nel mondo "vacanziero") un comportamento giudicato "compromettente" per le proprie relazioni sociali,
non abbia parlato di stupro?
O chi assicura che il motivo di tutto non sia stato estorcere denaro con l'accusa e l'accordo extragiudiziale (che pure in sede civile è avvenuto)?
Non è certo, ma non è comunque da escludere.
E si può condannare un cittadino ai molti anni di carcere pervisti per la violenza sessuale solo sulla parola della presunta vittima, senza che i riscontri fattuali siano univoci, ma anzi con la possibilità non nulla che lo stupro non sia mai avvenuto?
Se la definizione del confine fra lecito e illecito è lasciata alla arbitraria interpretazione e alla irriproducibile (e spesso inconoscibile) sensibilità della presunta vittima, come sarà possibile anche per chi non ha fatto nulla di male dichiararsi innocente? Se una donna dichiarerà di essersi sentita "violentata", come farà l'uomo accusato a sostenere il contrario, non essendo nelle sue facoltà entrare nella psiche della controparte e mostrare che non vi è stata sensazione di violenza? Che la donna menta o meno, l'uomo potrà soltanto dire di non aver avuto intenzione di violentare e di non aver compiuto nulla di oggettivamente violento. Se però l'oggettività del diritto è sostituita dalla soggettività femminile la condanna risulterà sistematica (poichè il reato verrà definito a posteriori e a capriccio della presunta vittima).
Grazie alla vaga ed omnicomprensiva definizione del reato di violenza sessuale voluto dalla demagogia femminista ed accettato dalla stupidità pseudocavalleresca dei moderni, in esso ricade non solo e non tanto quanto ogni mondo civile ha da sempre riconosciuto e punito come stupro, ma letteralmente qualsiasi cosa una donna possa a posteriori e persino senza prove raccontare di aver subito da un uomo (indipendentemente dalla gravità, dalla realtà e dal fatto magari di aver concesso o lasciato credere di concedere l'assenso):
dalla segretaria che, senza costrizione alcuna (perchè sinceramente attratta da una "digressione amorosa", o perchè speranzosa di favori materiali), si concede al "capo" (a volte solo ex-capo) e poi (perchè delusa del rapporto o scontenta dello "scambio") denuncia di essere stata "costretta dalla condizione psicologica di subalternità",
alla ragazza che accetta di uscire con un coetaneo e alla fine dell'incontro (o perchè in preda all'ebbrezza dell'alcool o della trasgressione, o perchè portata in quel frangente, dall'atmosfera creatasi intorno o da bisogni erotico-sentimentali interni, a cedere al corteggiamento) gli permette di godere della sua tanto agognata bellezza e poi, pentendosi della propria decisione, dice di aver subito uno "stupro silenzioso", mentre era incosciente o mentre coscientemente ha accettato il rapporto "solo perchè vinta dall'insistenza",
dalla moglie che sostiene di aver subito violenza solo perchè il marito (senza usare alcuna coercizione, ma le medesime armi dell'avversaria nella "lotta per il potere" contrattuale all'interno di un rapporto di coppia) ha insistito per ricevere quanto un tempo secondo giustizia apparteneva ai doveri coniugali (ovvero il reciproco dovere di cercare per quanto umanamente possibile di soddisfare sessualmente il coniuge, corrispettivo del reciproco diritto a riceverne fedeltà sessuale) e si è rifiutato di accettare coperture di comodo per quanto in effetti è semplice sfruttamento legalizzato delle disparità di desideri naturali a meri fini di tirannia femminile (resa possibile da leggi che, imponendo il dovere di non cercare fuori dal matrimonio l'appagamento del bisogno di bellezza e piacere dei sensi senza il diritto ad averlo appagato all'interno del matrimonio, rendono svantaggiato e potenziale oggetto di "ricatti familiari" chi ha un bisogno naturale più forte),
alla ex-fidanzata che (magari dopo essere più volte ritornata dal "violento") racconta (senza alcuna possibilità di prova evidente e di riscontro fattuale) di essere stata costretta a prolungare contro la sua volontà un amplesso pur iniziato (per sua stessa ammissione) consensualmente, o di essere stata "violentata" per il fatto stesso di aver accettato (senza però alcuna minaccia o coercizione violenta) durante il fidanzamento di soddisfare le numerose richieste di rapporti sessuali (avanzate da chi credeva di trovarsi innanzi una fanciulla disinibita e piena di desiderio per lui, non già una frigida capace di concedersi solo controvoglia, di dissimulare ogni volta per chissà quale inconoscibile motivo la propria contrarietà finchè la relazione è durata e di denunciare il tutto come violenza una volta che questa è terminata), tutte possono, secondo la teoria giudiziaria femminista, ricoprire la parte delle "vittime di stupro" e, si badi bene, non solo mentendo sapendo di mentire, ovvero inventando fatti chiaramente considerabili violenti ma la cui veridicità possa (proprio per questo) essere smentita da indagini oggettive, bensì semplicemente dando la propria interpretazione soggettiva su fatti altrimenti non costituenti reato.

Addirittura negli usa (verso cui però anche l'europa si sta muovendo) anche solo chiedere all'accusatrice di fornire descrizioni dettagliate e dimostrabili dei fatti, riscontri oggettivi della presunta violenza, prove certe, oggettivamente valutabili e razionalmente quantificabili dell'effettiva gravità e realtà del danno ricevuto (il quale solo giustifica, in uno stato di diritto, una grave condanna) è considerato "seconda violenza" (esattamente come nel processo inquisitorio secondo la caricatura anticlericale, nel quale il mettere in dubbio l'accusa, tanto da parte dell'imputato quanto da parte del suo difensore, costituiva di per sè prova di colpevolezza o comunque aggravante del reato ipotizzato), quando al contrario è soltanto mettendo in dubbio entrambe le versioni e cercando senza pregiudizi riscontri nei fatti all'una o all'altra è possibile stabilire la verità.
Mike Tyson non ha potuto far valere il fatto che l'accusatrice aveva falsamente accusato un altro
brian ha dovuto dimostrare la consensualità del rapporto (quando di norma dovrebbe essere l'accusa a dover provare la non-consensualità, non essendo il rapporto reato in sè ma solo se dovuto a minaccia o costrizione)
parlanti è in carcere senza prove. Ecco, questa è la "presunzione di innocenza" americana. chiunque può andare in galera a tempo determinato per la sola parola di una donna senza riscontri oggettivi.
E l'uguaglianza è questa: qualsiasi accusa anche solo minimamente afferente al sesso diviene nell'inconscio collettivo di giudici, poliziotti e media identificata con la colpa più grave immaginabile, anche quando nulla ha a che fare con quanto ogni mondo civile ha in ogni tempo definito e punito come stupro.
Ecco che così non esiste più non solo una presunzione di innocenza, ma nemmeno, per i colpevoli, una pena proporzionata all'effettiva ed oggettiva gravità della colpa.
qualsiasi minimo o presunto ferimento alla soggettiva sensibilità femminile nella sfera sessuale è considerato crimine massimo da punire nella miniera più ampia, dolorosa e umiliante possibile (e senza possibilità di normale difesa), mentre ferimenti anche più gravi alla diversa e non già inesistente sensibilità maschile vengono passati come trascurabile banalità, divertente normalità o addirittura diritto della donna.
Toccare un sedere costa anni di carcere, mentre "toccare" in maniera molto più dolorosa, frustrante, e provocante ferimento emotivo, irrisione profonda, umiliazione pubblica e privata, sofferenza fisica e mentale, disagio da sessuale ad esistenziale il corpo o la psiche maschili (facendo ad esempi ripetutamente le stronze nella maniera che ho definito mille volte e che tutti, interessate comprese, sanno per vera) è addirittura divenuto stile pubblciitario o hollywoodiano.
Cercare disperatamente di ristabilire un contatto con chi, nonostante tutto, è ancora la madre dei suoi figli, può costare al marito una condanna decennale, mentre ridurre la sua vita quella di un esule ottocentesco privato di casa, famiglia, roba, beni materiali e morali, figli, interesse per la vita e residue speranze di felicità non costa nulla alla ex-moglie (anzi fa guadagnare molto).
Cercare di ottenere un rapporto sessuale in una maniera per la quale la demagogia femminista ha anche solo un minimo dubbio di consensualità (uso di alcool, corteggiamento insistente, promesse di favori lavorativi, atteggiamento da conquistatore ecc.) è considerato tanto grave da giustificare almeno dieci anni di carcere (anche quando i presunti danni alla presunta vittima, quando esistono, spariscono dopo la prima tinozza d'acqua bollente o vengono dimenticati dopo un congruo risarcimento)
e provocare intenzionalmente ad un uomo danni ben più gravi e ben più certi (violenze fisiche e mentali nella sfera sessuale, come ballbusting pretestuoso o la stronzaggine del suscitare ad arte il disio e poi compiacersi della sua negazione e di come essa, resa massimamente dolorosa, umiliante e beffarda possibile da una studiata perfidia e da una premeditata e sperimentata tecnica, possa far patire all'uomo le pene fisiche e mentali dell'inferno della privazione dopo le promesse del paradiso della concessione, farlo sentire una nullità, ferirlo emotivamente, renderlo ridicolo davani a sè e agli altri, umiliarlo in pubblico e in privato, provocargli irrisione al disio, sofferenza fisica e mentale, inappagamento fino all'ossessione e disagio da sessuale ad esistenziale, o addirittura, e i casi famosi non sono mancati, mutilazioni, devastazioni del corpo o della psiche tali da impedire di vivere ancora felicemente il sesso, come comunemente avviene ogni sera alle vittime delle tante stronzette da discoteca, spoliazioni di ogni ricchezza materiale e sentimentale, legalizzata come divorzio e mantenimento, confisca dei beni e privazione dei figli con qualche denuncia enfatizzata ad arte, distruzione con metodi femminili della famiglia e di ogni affetto privato e di ogni rispettabilità sociale, addirittura omicidi)
vengono trattati come follie momentanee da curare con qualche mese di clinica.

E anche in europa si sta introducendo questa porcheria per la quale (alla faccia dell'uguaglianza) un uomo può finire in galera solo sulla parola dell'accusatrice senza riscontri oggettivi (mentre ovviamente non vale il contrario, e non solo perchè la disparità di desideri è tale che sono sempre e solo gli uomini a doversi far avanti e quindi a rischiare accuse di violenza, ma anche perchè, quando la violenza è femminile, come nel caso di accuse false di stupro che producono nella vittima, sottoposta da innocente a carcere, gogna mediatica, distruzione affettiva del mondo e pericoli di violenze fisiche e psicologiche di ogni genere quali ritorsioni, un trauma comparabile a quello di una vera vittima di stupro). E nessuno se ne lamenta.
Basta dunque essere ritenuti credibili e saper raccontare storie credibili per far finire in galera qualsiasi uomo senza prove?
Ma non è pazzesco e indegno pure del medio-evo? Come si può tollerare una cosa del genere in uno stato di diritto? Come si può concedere a tutte le donne su tutti gli uomini un potere di distruzione arbitraria della vita quale avevano i re, i principi e le polizie segrete nei momenti più bui della storia? Nessuno che osi dubitare (come ogni ricerca della verità pretende) sulla veridicità a priori delle accuse?
Vi sono mille motivi per accusare falsamente:
capriccio, vendetta arbitraria, ricatto, interesse economico-legale o gratuito sfoggio di preminenza nell'esser credute a priori e considerate unica fonte di verità e sensibilità umana mentre l'altra campana è tenuta a tacere o reputata degna del riso o del disprezzo.
E anche se non ve ne fossero, deve sempre spettare all'accusa provare la sussistenza di un reato, non alla difesa dimostrarne la non esistenza (del resto, come insegna l'epistemologia di Popper, di quanto esiste è sempre possibile in linea di massima provare l'esistenza, mentre di quanto non esiste non sempre è possibile provare la non-esistenza). Non è necessario pensar male delle donne in particolare. Anche le persone più irreprensibili possono, in ogni ambito della vita, voler accusare falsamente qualcuno di un certo reato per i più reconditi e inspiegabili motivi, specie se rischiano poco o nulla (rispetto all'accusato) e sanno di essere credute gettando una presunzione di colpa sull'accusato. Più si toglie la presunzione di innocenza, più si incoraggia fra le persone la tentazione e il costume di togliere di mezzo gli "indesiderati" tramite la delazione (come nei regimi totalitari).
Per questo in tutti gli altri reati, prima di chiedersi perchè l'accusa dovrebbe mentire, ci si chiede se esistono prove del fatto denunciato. Non si può basare un'azione penale soltanto sulla parola di chi accusa, per quanto credibile possa apparire nel presente o essere stata in passato.
Perchè poi la credibilità della parola di una donna vale e quella di chi si deve difendere da lei no, anche se magari in passato è stato sempre credibile come e più di lei? Allora vi è disparità giuridica! Le "dame" sono trattate da aristocratiche con il diritto di definire i confini fra lecito e illecito e far valere la propria parola come prova anche di quanto non avvenuto.
In uno stato di diritto non solo la parola di tutti deve avere uguale valore, ma è preferibile un colpevole fuori che un innocente dentro, quindi in dubio pro reo.


Punto 3.

Quanto alla proporzionalità della pena, non servirebbe neanche sostenere come una mutilazione (o, nel caso estremo, la morte) non possa mai essere proporzionata a crimine alcuno. Il fine dello stato non è quello di vendicarsi, ma quello di proteggere tutti i cittadini (tramite pene in grado di punire i rei sì da fungere da deterrente ma al contempo anche di riabilitarli).

Nessun motivo di sicurezza o di progresso può violare i diritti umano individuali.

Un uomo non può essere privato dei diritti umani fondamentali (fra cui quello a non perdere la libertà ad opera dello stato, prima che l'accusa sia provata al di là di ogni dubbio e ancor di più quello di mantenere la propria integrità fisica, a prescindere dalle sue colpe) per nessun motivo.
E l'argomento "protezione della donna" non funziona, sia perchè nel caso del crimine impunito la violazione del diritto della donna all'integrità è commessa non dallo stato ma dal criminale (che lo stato comunque cerca di individuare, dimostrare colpevole nel caso e punire), sia perchè nessun innocente in carcere "bilancia" i crimini commessi dai colpevoli nè tantomeno annulla l'effetto deterrente della legge nei confronti di un potenziale criminale (il quale, prima di commettere il suo delitto, non può sapere se saranno o meno trovate prove contro di lui, non esistendo a priori il delitto perfetto, e quindi è comunque trattenuto).
Questi vostri pensieri non sono compatibili con i principi di uno stato di diritto, per cui la responsabilità penale è personale e l'ingiustizia e la violenza commesse (o lasciate commettere) dallo stato contro anche un solo cittadino incolpevole costituiscono un crimine intollerabile, che non può essere giustificato (o normalmente accettato come possibile) per nessun motivo di "pubblica sicurezza", "bene comune" o "dignità o protezione della donna".
Nessun (neanche uno) innocente può essere (realmente o potenzialmente) toccato per "compensare" le malefatte dei colpevoli (tanti o pochi che siano).
Un sistema di prevenzione del crimine che comporti il rischio concreto di nuocere a cittadini incolpevoli (e tali sono, in generale, tutti, persino gli accusati di violenza, prima che la presunta colpa sia provata al di là di ogni ragionevole dubbio in un regolare processo con riscontri oggettivi e testimonianze terze rispetto all'accusa, e, in particolare, tali sarebbero gli uomini le cui abituali o occasionali amanti omettessero, per motivi variabili dalla ingenua dimenticanza alla vendetta, al sadismo o alla calcolata perfidia, di avvisare della presenza fra le loro gambe di tale "protezione" prima di concedersi loro consensualmente) non è ammissibile in uno stato di diritto, per quanti vantaggio "probabilistici" (in termini di sicurezza) possa portare al resto della popolazione.
Sarebbe pari alle proposte leghiste o neocon di mettere in quarantena tutti i musulmani con la motivazione di salvare così milioni di vite dal pericolo terrorista e di nuocere ad assai pochi "innocenti" (comunque sacrificabili per il "benessere e la sicurezza" del "popolo").

Valgono solo all'interno della mitologia matriarcale (e non all'interno del paradigma liberale) considerazioni del genere "milioni di donne salvate dallo stupro valgono più di qualche marito di psiocopatica con il pisello tagliato".
Quantitativamente, non puoi sapere se siano più rilevanti le potenziali vittime femminili salvate dallo stupro o le vittime maschili innocenti di questo sistema antistupro.
Non puoi sapere infatti nè quanti stupri eviterà questo aggeggio (potrebbe anche non evitarne nessuno, una volta che gli stupratori adottino tecniche di "esplorazione" o di "sodomizzazione"), nè se quanti stupratori, morsi dal dolore, arriveranno ad uccidere la loro vittima.
Non puoi inoltre conoscere neanche se e quante donne "normali" (non necessariamente psicopatiche), una volta permessi dallo stato la vendita (a basso prezzo) e l'utilizzo (senza limitazioni) di questa trappola (molto più facile e immediata dei sanguinari metodi di accanimento contro i genitali maschili fino ad ora conosciuti e agiti solo dalle psicopatiche), la useranno al di là del fine di autodifesa, per capriccio, vendetta arbitraria contro qualcuno, rancore generalizzato contro gli uomini o sadico diletto, pressochè sicure dell'impunità garantita dal poter dire "l'ho fatto per difendermi da una violenza" (con poliziotti, giornalisti e giudici delle indagini preliminari che, anche prima e anche senza riscontri oggettivi e testimonianze terze della presunta violenza, non osano quasi mai mettere in dubbio la parola accusatrice di una donna contro un uomo, per timore di apparire "maschilisti"): nel caso delle denuncie negli usa, ad esempio, il progressivo estinguersi della presunzione di innocenza e il costante aumentare del divario di pena fra chi è giudicato colpevole di stupro e chi è riconosciuta come calunniatrice ha aumentato la percentuale delle accuse false e strumentali fino al 40%.
Qualitativamente, ti basi solo su una visione del mondo in cui la sola donna (e il suo sesso) è fonte di ogni valore e quindi di ogni diritto per affermare che le potenziali vittime maschili innocenti di questo aggeggio valgano meno delle potenziali vittime femminili salvate da possibili stupri, per considerare le sofferenze fisiche e psichiche
(per non dire del possibile dramma economico-giudiziario e del trauma del carcere da innocente) dei "mariti di psicopatiche" morsi dalla vagina dentata meno rilevanti rispetto ai traumi, potenzialmente subiti o evitati, dalle "mogli di mariti violenti", per sostenere doverosa l'introduzione di qualcosa di potenzialmente positivo per le donne e contemporaneamente molto negativo (per possibili i reali e possibili traumi fisici e psicologici) per gli uomini.
Ecco dove si esprime la tua prepotenza matriarcale: "questo può portare un vantaggio alle donne? Quindi deve essere assolutamente e immediatamente applicato, anche se comporta un concreto rischio di sofferenza e ingiustizia per gli uomini!"
Tu consideri implicitamente gli uomini (e il loro sesso) creature di serie b.
Cosa diresti se io rispondessi con il tuo stesso tono canzonatorio (dell'affermazione "milioni divite rovinate valgono meno di un graffietto sul santo pisello?" o di quella "un marito di psicopatica che deve fare un'operazione in più non vale forse milioni di donne salvate?"): "ma perchè milioni di uomini potenzialmente salvati da una castrazione fisica o mentale (temporanea o permanente che sia) devono valere meno di qualche moglie di violento con la passera penetrata una volta di più? Perchè l'integrità fisica e psichica degli uomini non deve essere tutelata solo per non rischiare qualche rapporto sessuale in più non apertamente voluto dalla donna? Che vaginocentriche queste donne per cui sfiorare la loro passera dovrebbe essere più grave del dolore fisico e mentale di una ferita nelle parti più intime e delicate di un uomo, un danno alle quali è invero peggio di un omicidio!"

Non ragiona chi non è d'accordo con te? Perchè poi se io sostengo che lo stato non può concedere a qualunque donna di acquistare uno strumento per castrare con facilità, momentaneamente (come dice l'articolo), o (se sorgono complicazioni) permanentemente qualunque uomo (presunto stupratore o meno) sono “pisellocentrico”, mentre se tu sostieni che, pur di non lasciare impuniti gli stupri, chiunque sfiori una vagina deve (attraverso la commercializzazione legale di questo coso) correre il rischio di subire un dolore inimmaginabile nel corpo e nella mente (con il rischio di castrazione fisica o psichica), non saresti “vaginocentica”?
Perchè si deve parlare solo di donne e non di uomini quando l'argomento riguarda oggettivamente entrambi? Non ti rendi conto neanche tu della tua prepotenza matriarcale?

Ancora una volta quando si parla di possibili "violenze sulle donne" si dimenticano tutti i principi dello stato di diritto, della ragione e della logica, tutti i diritti umani, da quello all'integrità fisica a quello della presunzione di innocenza, pur di non apparire "anticavallereschi", di non contraddire i dogmi del femminismo (donna-vittima, uomo carnefice), di non dispiacere alle donne (anche quando esprimono sete di vendetta o di violenza preventiva o comunque irrazionali distruzioni di principi garantisti).
Se valgono i diritti umani, non tanto e non solo persino il vero stupratore ha diritto a non venire torturato o castrato, ma soprattutto un solo innocente colpito ingiustamente rende criminale l'intero sistema legale che permette di privarlo della libertà o dell'integrita fisica e psichica. Non si può certo giustificare una possibile tortura contro un uomo incolpevole con l'argomento "quel piccolo rischio verso pochi uomini salva milioni di donne".

Il tuo discorso è del tutto simile a quello di chi, per salvare "milioni di vite di cittadini innocenti" mette in carcere senza difesa, senza processo e senza diritti chiunque sia accusato di terrorismo (come se la gravità di un'accusa potesse fungere da presunzione di colpa). "Cos'è qualche piccola tortura, qualche piccolo carcere senza rispetto dei diritti umani, al confronto di un altro 11 settembre evitato?" E' un'argomentazione in pieno stile "Bush": guerra preventiva (o comunque misure contrarie al diritto) contro i "terroristi" che in realtà può colpire chiunque fra gli innocenti.

E' pericolosamente simile a quello giacobino di chi, per "non lasciare senza difesa e senza giustizia" le tante vittime di veri stupri" non esita a sbattere in galera sulla sola parola dell'accusa (anche prima e anche senza riscontri oggettivi o testimonianze terze della presunta violenza) qualunque uomo, giustificando tale stupro del diritto con affermazioni del genere "lo stupro è grave quindi non può mai rimanere impunito", come se, ad esempio, nei casi non certo meno gravi di omicidio si potesse condannare l'imputato all'ergastolo senza prove certe, pur di non lasciare impunito il crimine, "il trauma della vittima è enorme, quindi nel dubbio non si può mettere fuori lo stupratore", come se la gravità di un'accusa potesse fungere da presunzione di colpa, o "la maggioranza degli stupri è vera e spesso non denunciata, quindi in caso di denuncia bisogna arrivare celermente e quasi sistematicamente alla condanna", come se la responsabilità penale non fosse personale e se potessero esistere meccanismi di "compensazione" fra ingiustizie e crimini agiti e subiti da persone diverse).
La gravità dal punto di vista umano delle vittime sarà pure uguale, ma dal punto di vista superiore della civiltà non lo è. Un conto sono la violenza, l'ingiustizia e la menzogna agite da singoli criminali (che lo stato non riesce a fermare in tempo o a punire successivamente, nonostante cerchi di riconscerli e perseguirli con gli strumenti delle leggi, dei tribunali, delle polizie), un conto sono atti di violenza, ingiustizia e menzogna (come privare un cittadino della sua libertà sulla base di una accusa falsa o esagerata ad arte o addirittura provocargli ferite fisiche e mentali dolorose e/o permanenti con la giustificazione dell'autodifesa) agiti (o permessi, con l'autorizzazione alla vendita di aggeggi come questo) contro cittadini innocenti da quello stesso stato che dovrebbe invece proprio da essi tutelare.

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